Alessandra RomanoSOMMARIO: Riprende in questi giorni al Senato italiano il dibattito sul disegno di legge sulla tossicodipendenza: l'autrice ne propone qui un'analisi.
(Notizie Radicali n.248 del 14 novembre 1989)
Partendo dalla legge 685 del 1975, che tuttora governa il traffico e l'uso delle sostanze stupefacenti si è cercato di produrre, con uno sforzo comune, un testo che fosse più attuale e confacente alla sempre più grave situazione della tossicodipendenza in Italia. Purtroppo però, il dibattito che in questi mesi ha visto coinvolte le forze politiche, è degenerato in un coacervo di posizioni contrastanti, prime fra tutte quelle sulla punibilità del tossicodipendente e sulla soppressione della cosiddetta modica quantità; da ciò l'allungamento dei termini di approvazione della legge stessa e il malcontento generalizzato che ha aperto varchi anche all'interno della stessa maggioranza. Alla cosiddetta "maniera forte" adottata dal PSI, e con esso dagli altri partiti della maggioranza, fa eco l'opposizione trainata dai radicali che vuole evitare sanzioni contro chi si droga. Il punto nodale della discussione, è la questione della tolleranza.
Nella prima parte del testo, sono contenute norme che intendono coordinare l'azione di prevenzione e repressione della produzione e del traffico di droga, creando un'apposita burocrazia e definendo le attribuzioni del Ministero della Sanità e dell'Interno. E' istituito il comitato nazionale di coordinamento per l'azione antidroga: le sue responsabilità sono di indirizzo e promozione della politica di prevenzione e di intervento contro la illecita produzione e diffusione delle sostanze stupefacenti.
E' stato accolto, in sede di discussione, un emendamento della senatrice Salvato del gruppo comunista che prevede una relazione annuale al Governo sulla lotta alla droga da parte del Presidente del Consiglio. Sono stati altresì definiti i compiti di consultazione e raccordo tra lo Stato, le regioni e le province autonome.
Il fulcro della discussione si è incentrato però laddove si prefigura il concetto di punibilità del tossicodipendente.
La legge 685 del 1975 aveva introdotto il concetto di non punibilità per i detentori di modica quantità di sostanze stupefacenti. Ha prevalso, nel testo emendato del Comitato ristretto, la linea dura, che prevede sanzioni differenziate. Vediamole: Se si tratta di detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope in dose non superiore a quella media giornaliera (ovvero per uso personale) si è sottoposti a sanzioni amministrative atipiche, quali la sospensione della patente di guida, del passaporto e di ogni altro documento equipollente, della licenza di polizia per il porto d'arma o per il divieto di allontanarsi dal comune di residenza, per un periodo da due a quattro mesi se si tratta di sostanze comprese nelle Tabelle 1 e 3 (es. eroina) dell'articolo 12 della legge 685 del 1975 e da 1 a tre mesi se si tratta delle Tabelle 2 e 4 (es. cannabis) della stessa legge. La competenza ad infliggere queste sanzioni amministrative spetta al Prefetto. In caso di recidiva le pene possono inasprirsi ma è prevista la poss
ibilità di far ricorso alle strutture socio-sanitarie per la riabilitazione del tossicodipendente in alternativa e in sostituzione alla pena.
Sono altresì previste nel nuovo testo, pene fino a sei mesi di reclusione per chi abbandona siringhe usate. Le contrapposizioni su questi punti sono state aspre: la sinistra ha sostenuto che la indiscriminata criminalizzazione del tossicodipendente, in primo luogo ne ostacola il recupero anzichè facilitarlo, ed ha temuto che l'insistenza delle misure punitive respingerà ancora di più nell'isolamento, lontano dalle comunità e dalle strutture di aiuto molti tossicodipendenti.
L'alternativa del trattamento sanitario, in sostituzione della pena èstato anch'esso assai criticabile: infatti, la scelta dell'aiuto offerto dalle Comunità e da qualsiasi altra struttura socio-riabilitativa, per sortire l'effetto desiderato deve essere spontanea e non coatta. Dal punto di vista più strettamente tecnico-giuridico, è stato rilevato che la punibilità del drogato rappresenterà un carico quasi insostenibile, per la già convulsa e precaria struttura giudiziaria del nostro paese, considerando il notevole carico che verrebbe a pesare sull'apparato carcerario, assolutamente non in grado di sopportare un ulteriore appesantimento che si renderebbe necessario qualora la nuova legge entrasse in vigore.
Il senatore comunista Imposimato ha anche sostenuto che si rischia l'applicazione della normativa in maniera non uniforme ed omogenea su tutto il territorio nazionale. E' del tutto evidente, infatti, il rischio che negli uffici giudiziari maggiormente oberati di lavoro, la normativa resti inapplicata creando così un'intollerabile sperequazione tra diverse regioni della penisola.
Una legge deve essere infatti commisurata alle reali possibilità applicative se non vuole rimanere un mero fatto declamatorio. Come ripetutamente hanno dichiarato i senatori radicali, per la prima volta, si punirebbe, seguendo il testo in via di applicazione, uno "status" in quanto tale, cioè l'essere tossicodipendente e non un comportamento lesivo dell'altrui libertà: sarebbe come punire l'ubriacarsi oltre che l'ubriachezza molesta.
Contro l'impostazione rigidamente repressiva proposta dal PSI, accolta dalla maggioranza seppure con vaste aree di obiezione, soprattutto all'interno della DC, si è schierata compatta la corrente di sinistra che ha puntato su alcuni temi qualificanti quali la non punibilità del tossicodipendente e la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, attenuando il regime sanzionatorio per queste ultime. A sottolineare la delicatezza della materia e la conseguente difficoltà a seguire una condotta perfettamente coerente anche all'interno della maggioranza è significativo l'intervento di alcune personalità di spicco della DC. Fra questi l'On.le Giovanni Goria, che in una lettera inviata ai senatori del suo partito li invitata a recedere dalle posizioni più repressive nei confronti dei tossicodipendenti e ad un'analisi magari più lunga ma più attenta della legge . Significative ed in questa direzione anche le posizioni dei senatori Granelli, Rosati e Cabras.
Riprendendo l'analisi del testo delle Commissioni riunite, ricordiamo che gli articoli 6 e 7 che originariamente attenevano il primo alla definizione del delitto di traffico di sostanze stupefacenti e il secondo all'associazione per delinquere relativa al traffico anzidetto, sono stati soppressi. Si è preferito, infatti, in un dibattito vivace ma essenzialmente univoco, riprendere il tema del traffico di droga inserendolo negli articoli successivi, 13 e seguenti dove è stata inserita la legislazione antimafia vigente ( la legge Rognoni- La Torre del 13 settembre 1982) anche per i narcotrafficanti.
Un duro confronto si è registrato durante la discussione dell'articolo 17, ex articolo 14 del testo del comitato ristretto dove era previsto l'ergastolo per i narcotrafficanti che smerciano sostanze adulterate. E' stato infatti approvato un emendamento del democristiano Lucio Toth che cancella l'ergastolo comminandolo con 30 anni di carcere. Il Presidente della Commissione Sanità, il socialista Sisinio Zito, ha così commentato la soppressione dell'ergastolo: "il messaggio che si rischia di mandare all'opinione pubblica è che il Parlamento non considera questo reato degno, a differenza di altri, della massima pena prevista dal codice penale". Al contrario si è dichiarato favorevole all'emendamento il Pci che con Imposimato ha sostenuto, alla luce della esperienza degli gli anni bui del terrorismo, che la pena dell'ergastolo non sortisce quell'effetto deterrente che ci si auspica al momento della sua applicazione.
Gli altri articoli della legge in esame non hanno destato particolari problemi in sede di discussione: rimane invece aperto il problema del finanziamento per questa legge, fissato in 6.800 milioni in ragione d'anno per il triennio successivo all'entrata in vigore del provvedimento. E stato infatti respinto un emendamento della comunista Salvato che prevedeva, con l'aggiunta di un ulteriore articolo alla legge, il 31 bis,una disposizione di mille miliardi per il triennio 1989-90, affinché si potesse applicare adeguatamente la nuova normativa. Al termine della discussione il sen. Corleone ha così commentato il testo che si appresta ad arrivare in aula al Senato dopo il 17 novembre: "La 685 era una legge proibizionista, questa è anche punizionista. E' più confusa di quella e sarà di più difficile applicazione. Inoltre la cura coatta produrrà il proliferare di comunità autoritarie. Don Ciotti non le inventa, un poliziotto come Muccioli, sì. E dirigere comunità diventerà un business. Infine aggraverà la giustizia
, creerà un clima da caccia alle streghe, ridurrà i tossicodipendenti alla clandestinità facendo aumentare, in tal modo, il rischio dell'AIDS. Sì, questa legge è molto peggio della 685".
La legislazione vigente in materia di tossicodipendenza è regolata dalla legge 22 dicembre 1975, n. 865. Il senso comune che si evince scorrendone il testo è quello di aver voluto consapevolmente adottare, nei confronti del malato tossicodipendente, misure alternative a quelle penali e, al contrario, di aver proposto misure puù restrittive di quelle vigenti all'epoca del dibattito, riferentisi alla normativa allora in vigore, per il traffico di stupefacenti. Le motivazioni che, al tempo, ebbero il sopravvento nell'indirizzare i vari gruppi politici verso una depenalizzazione di modiche quantità di sostanze stupefacenti, sembrano ora non avere più valore: si è criticato in quest'ultimo decennio l'operato di questa legge colpevole di aver permesso un uso indiscriminato della droga e, conseguentemente, di aver consolidato il vorticoso aumento di soggetti tossicodipendenti. Complice di questo pericoloso indirizzo è stato il lassismo e il permissivismo nato dalla difficile applicazione dell'articolo 80 di questa
legge.
Il testo dell'articolo così recita: "Non è punibile chi illecitamente acquista o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle prime tabelle dell'art. 12, allo scopo di farne uso personale terapeutico, purché la quantità delle sostanze non ecceda in modo apprezzabile la necessità della cura, in relazione alle particolari condizioni del soggetto. Del pari non è punibile chi illecitamente acquista o comunque detiene modiche quantità delle sostanze innanzi indicate per farne uso personale non terapeutico o chi abbia a qualsiasi titolo detenuto le sostanze medesime, di cui abbia fatto uso sclusivamente personale(...)." Quindi l'impegno del legislatore si è accentrato, in primo luogo, sulla necessità di distinguere quei comportamenti collegati al semplice uso personale delle sostanze stupefacenti da tutte le altre, ricezione, detenzione e cessione che in genere sono diversamente motivate e rivolte a scopo di lucro.
Dall'intervento della democristiana Maria Eletta Martini, relatore della IV commissione giustizia alla Camera nella seduta del 19 novembre 1975, si legge ad esempio: "E' evidente che la non punibilità non significa che il fatto in oggetto sia lecito .... perciò non è vero che c'è una sorta di incitamento alla droga in questo senso, perché quello che configura l'illecito è ciò che viene trovato in possesso del soggetto prima ancora di valutare o meno la periodicità.....La questione generale è che chi viene trovato in possesso di droga, compie un illecito; è poi il pretore che decide se la persona in oggetto sia punibile o no. In generale è punibile, ma in determinate condizioni non lo è: questo dipende dalla quantità di droga di cui è in possesso". O ancora più esplicite le parole del sottosegretario di Stato per la grazia e giustizia, Dell'Andro: "...il problema sorge proprio per il tossicodipendente in quanto questo individuo non lede in alcun modo i beni della società, nel qual caso compirebbe un illecito
penale, ma arreca un danno alla propria persona...
...Oltre al richiamo fatto al nostro sistema giudiziario vi è anche l'esperienza, del tutto negativa, fatta dalle leggi precedenti che prevedevano la penalizzazione dell'uso della droga. Tutto questo non ha fatto altro che incentivare la diffusione di sostanze stupefacenti in quanto la sanzione penale è stata uno stimolo, per i giovani, a drogarsi sempre con maggior frequenza. Ecco allora che il principio costituzionale va convalidato con le osservazioni storiche: le leggi precedenti hanno fallito perché penalizzavano". Quindi lo scopo primario di quella legge era quello fondamentale di combattere efficacemente il traffico di stupefacenti con il conseguente aggravamento delle pene e un maggior rigore nel perseguimento dei produttori e dei trafficanti e, parallelamente, quella di delimitare l'ambito della depenalizzazione perseguendo però,in concomitanza, efficaci misure di intervento che coprano fruttuosamente lo spazio in cui falliscono le funzioni di deterrenza e di controllo della legge penale.