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Langer Alexander - 14 novembre 1989
Trovare parole e forme
Alexander Langer

Ambientalista, deputato verde al Parlamento europeo, é stato iscritto al Partito radicale

SOMMARIO: L'autore ritiene che per essere "forti" in un'azione nonviolenta bisogna realmente rischiare qualcosa delle proprie posizioni e rigidità. Allo stesso tempo, i mezzi estremi della nonviolenza vengono compresi solo quando si è di fronte a un'ingiustizia davvero estrema. E allora è necessario trovare forme nuove per dare forza all'iniziativa nonviolenta, per trasformare chi vi partecipa, per renderla meno predicatoria e più comunicativa.

(Notizie Radicali n.248 del 14 novembre 1989)

Per essere "forti" in un'azione nonviolenta ci si deve realmente mettere in gioco: bisogna davvero rischiare. Non solo e non tanto il deperimento della salute in un digiuno o le aggressioni della polizia in un sit-in, ma soprattutto qualcosa delle proprie posizioni e rigidità. Quando invece l'azione nonviolenta viene concepita da chi la promuove e da chi vi assiste come semplice "megafono" di posizioni precostituite, quasi come uno strumento per mettere in mora qualcun altro senza davvero rischiare di lasciarsene anche trasformare (attenti solo a contare le righe di giornale o di secondi di TV che l'azione "rende"), l'impatto nonviolenza corre il rischio di stemperarsi nell'ovvio, nel già visto, nel sospetto della strumentalizzazione. Mezzi estremi - quando lo sono, perchè non ogni azione nonviolenta comporta di per sé il ricorso a mezzi estremi - vengono compresi ed approvati solo quando si è di fronte ad una minaccia o ingiustizia davvero anch'essa estrema: il padre di famiglia disperato e senza casa che m

inaccia di buttarsi dal cornicione o il prigioniero che ricorre allo sciopero della fame hanno ben altra credibilità dalla loro parte che non i nostri digiuni elettorali.

Dico "nostri", perchè anche a me è capitato negli ultimi 10-12 anni di partecipare più volte a digiuni orientati a denunciare l'ingiusta esclusione dalla grande comunicazione (Tv, soprattutto) in occasione di competizioni elettorali o referendarie, e recentemente ho proposto (ed attuato, con circa 70 persone) un "digiuno propiziatorio" di una settimana, anch'esso rivolto ad un obiettivo fortemente elettorale: aprire un fronte di dialogo e di possibile iniziativa unitaria verde in occasione delle ultime elezioni europee. Anche se in quel caso il diguno non voleva - esplicitamente è stato ribadito - essere rivolto contro nessuno e non puntava a mettere in mora altri, ma semplicemente a sottolineare e rendere più credibili la serietà e la profondità di un intento (convocazione di un "concilio verde"), si trattava pur sempre di un'azione assai legata alla contingente scadenza elettorale. Una sproporzione, mi sembrava, confontandosi poche settimane dopo con i giovani della Piazza Tien An Men, per i quali la scope

rta del digiuno e della resistenza nonviolenta avveniva in ben altre condizioni e con ben altra drammaticità.

A proposito di "drammaticità": è naturale che l'azione nonviolenta punti alla drammatizzazione: è un'arma (pacifica!) dei poveri, che cerca di supplire almeno in piccolissima parte al gigantesco squilibrio creato e mantenuto dai padroni-ladroni dell'informazione e dello spettacolo, che sovranamente trasformano i non-eventi in eventi, e cancellano e sfigurano notizie ed eventi a loro piacere.

Ma proprio per questa ragione mi sembra necessario trovare parole e forme, gesti e metodi nuovi per dare forza all'iniziativa nonviolenta in Italia ed in Europa, puntando soprattutto a due cose: a iniziare che trasformino ed in un certo senso trasfigurino chi le fa e chi vi partecipa (costruendo un vincolo di solidarietà e di inter-azione forte) e ad una possibilità di aggregazione e di estensione comunicativa che offra anche ad altri la possibilità di intervenire, assumendo e condividendo responsabilità intorno a "grandi cause" (che sono poi quelle che legittimano e magari richiedono azioni persino auto-lesive).

Il sistema politico e dei mass-media in cui ci troviamo promette la massima informazione e comunicazione per alluvionarne poi invece i destinatari con messaggi composti da una miscela propagandistica di irrilevanza e di fraudolenza in favore dell'ovvio trionfante. Il digiuno, la manifestazione nonviolenta, il silenzio (così difficile da trasformarsi in grido percepibile) forse non sono più capaci di offrire una sorta di contraltare efficace, che aspiri anch'esso alla spettacolarità ed alla semplificazione, ma non per questo hanno perso la loro capacità di trasformare chi vi ricorre e di indicare un'altra qualità di verità e di democrazia. Non saranno antidoti capaci di svelenire la miscela, ma come gli studenti cinesi dovremo saper reggere anche oltre la momentanea sconfitta.

E forse potremo, per parte nostra, fare qualcosa perchè le nostre azioni da "unilaterali" e un po' predicatorie diventino davvero più comunicative: perchè non unire, per esempio, ad un digiuno anche l'invito a qualcuno degli interlocutori interpellati di fare con noi una lunga camminata, nel corso della quale ascoltarsi, litigarsi e forse trovare soluzioni?

 
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