intervista di Laura Cesaretti a Francesco RutelliSOMMARIO: Rutelli commenta il risultato dei Verdi per Roma alle elezioni comunali; la difficile convivenza delle diverse componenti del mondo ambientalista; l'inadeguatezza delle regole all'interno del mondo verde e le proposte che egli porterà nel dibattito sulla rifondazione e unificazione dei Verdi; la propria militanza "verde" conciliata con quella nel Partito radicale transnazionale.
(Notizie Radicali n.248 del 14 novembre 1989)
D: La lista unitaria dei Verdi per Roma ha raccolto esattamente quel 7% dei consensi che avevi pronosticato qualche settimana prima del voto, e si è attestata come quarta forza elettorale della capitale. Un successo, o - come sostiene qualcuno anche tra i Verdi - un risultato al di sotto delle aspettative o delle potenzialità?
R: Un forte successo. Ci sono stati errori e inadeguatezze nella preparazione della lista, che è risultata essere un "cartello " tra Sole che ride e Arcobaleno più che una lista nuova e aperta. Ma raffrontare aritmeticamente il voto alle europee con quello amministrativo è un esercizio di completa superficialità. Vedi, ad esempio a Bolzano (dove c'era un'unica, consolidata, riconosciuta lista verde e alternativa animata da Langer e Lanzinger) si è registrato un "differenziale", a distanza di pochi giorni, tra voto europeo e comunale di circa il 5%! E nessuno, ovviamente, ha parlato di mezza delusione, ma tutti hanno salutato il grande successo. Lo stesso differenziale si registra ovunque, e in misura ben più sensibile che a Roma: il voto libero, di opinione si restringe nelle amministrative, e vengono penalizzate tutte le forze di opposizione o comunque estranee alla gestione del potere, alle lusinghe clientelari, ai meccanismi di "scambio". Il successo del Verdi per Roma si riassume in questi dati: quarta f
orza elettorale, triplicamento dei seggi, avanzata ancor più significativa (8,1%) nelle Circoscrizioni. Soprattutto, centralità delle nostre proposte programmatiche nel confronto elettorale (con rincorsa, non di rado patetica, da parte delle forze tradizionali), che prelude a un ruolo significativo nei 5 anni di vita del Consiglio comunale.
D: Il notevole potenziale elettorale dei Verdi fa gola a molti partiti. La vigilia del voto romano è stata segnata da esasperate polemiche tra le varie componenti del mondo ambientalista ("alternativisti di sinistra" da un canto, "apolitici-moderati" dall'altro), che si scambiavano pesanti accuse di appartenenza a diverse aree d'influenza politica. Com'è possibile far convivere queste diverse anime, e che collocazione possono trovare i Verdi nel panorama politico italiano?
R: Il mio e nostro tentativo, fin dal gennaio scorso, è stato proprio quello di una rifondazione del mondo verde in un nuovo soggetto: che abbia le idee chiare, programmi precisi ma che contempli al proprio interno la massima possibilità di esprimere differenze politiche e culturali. Io vedo questo nuovo soggetto (ove riuscissimo a realizzarlo: non sarà affatto facile, come si è visto in questi mesi) impegnato come un attore determinante del cambiamento politico riformatore in Italia. Una forza determinante per i suoi programmi di conversione ecologica della società e per la sua dimensione elettorale nella direzione di una democrazia vera, di un sistema in cui sia possibile l'alternanza di governo. Se i Verdi uniti e rinnovati non si perdessero per strada, potrebbero essere davvero al centro di questo disegno.
D: »L'irresponsabilità al potere finché dura la cuccagna del consenso : così Mauro Paissan definisce la situazione di assenza di regole e di mancanza di governo responsabile del movimento verde. Quali proposte porterai nel dibattito sulla rifondazione e unificazione dei Verdi?
R: Come Verdi arcobaleno abbiamo già dato un contributo non irrilevante: abbiamo colto un buon successo alle europee, ma non ci siamo assolutamente strutturati come un nuovo partitino sulla scia di quel risultato.
Gli obiettivi per la rifondazione verde sono politici (occorre un'aggregazione vasta, non la chiusura delle attuali strutture, occorre puntare su temi ambiziosi: per parte nostra, abbiamo individuato i referendum, l'iniziativa ecologista transnazionale, una proposta pacifista/disarmista, il difficilissimo rapporto ambiente/lavoro, diritti civili e lotta all'emarginazione); ma sono anche di natura organizzativa-statutaria. Qui viene al pettine il problema delle regole, che sono state decisamente inadeguate all'interno del mondo verde, e lo sono ancor più nella nuova situazione: occorre consentire più chiarezza di assunzione di responsabilità nelle decisioni politiche. Ma senza alcun disprezzo per il tentativo operato dalle Liste Verdi, sia nell'abbozzo di una struttura federale rispettosa di autonomie locali sia, ad esempio, nel non uso del finanziamento pubblico.
Si tratta di inventare un modello accettabile di organizzazione libertaria e federativa, non centralistica ma dalle strutture non ingovernabili, aperta e non settaria. A dicembre abbiamo indetto una grande Convenzione per discutere di questi problemi con forze esterne all'attuale comunità ecologista; entro la fine dell'anno dovremmo concordare un abbozzo di statuto del nuovo soggetto con il Sole che ride; e a gennaio convocare l'Assemblea costituente del nuovo soggetto. E' un processo apertissimo, incerto e molto difficile.
D: Va benissimo piantare un albero per ogni bambino, chiudere i centri storici o proporre un piano energetico alternativo. Ma, come radicale, non ti senti un po' stretto in una forza politica che spesso sembra vivere di rendita su un consenso diffuso e un po' apolitico, evitando di prendere posizione su problemi che esulano dalla politica ambientale, senza una strategia di ampio respiro?
R: Per niente. Intanto, questa storia della "facilità" dell'iniziativa Verde è un luogo comune un po' stucchevole. Esiste, certo, una propensione consistente della gente a sostenere i Verdi. Questo è un fatto molto positivo, perché inizia a corrispondere a una disponibilità a mettere in discussione - non solo al momento del voto - scelte e costumi dominanti, e sbagliati. Ma non esiste una duratura "rendita di posizione" verde. Se ripercorriamo questa fase politica, ci rendiamo facilmente conto che se non avessimo compiuto scelte difficili, già sarebbe iniziata una crisi dei Verdi. E questa crisi è in agguato, se non sapremo vincere la sfida della rifondazione, se dovessero continuare le divisioni interne e non si imboccasse la strada della chiarezza politica, programmatica e organizzativa.
Io credo peraltro sia sbagliato guardare all'iniziativa ecologista dentro una lente apolitica; ma anche attraverso una lente politicistica e macchinosa, senza saper dare corpo al nuovo che da quest'esperienza molti Italiani si aspettano.
Quanto ai contenuti, mi pare infine che ci sia una certa sottovalutazione da parte di alcuni dell'effettiva, reale priorità dei temi ecologisti. Una lettura matura della necessità dello "sviluppo compatibile" nelle nostre società, nelle nostre istituzioni, nell'economia, nei rapporti internazionali è compito della cultura democratica, laica, libertaria. Anzi, essa dovrebbe essere in grado di farla crescere, rispetto alle sfide mutate e decisive del nostro tempo che, tutte, sono attraversate dalla contraddizione verde.
Insomma, non mi sento in una postazione periferica, ma di primissima linea.
D: In tutta Europa, e oggi non solo ad ovest, i movimenti verdi ottengono consensi crescenti, anche elettorali. Quale bilancio politico si può trarre ad oggi di questa presenza? Non vedi, in prospettiva, il rischio dell'esaurimento di un consenso solo di opinione, di protesta o di speranza, se non viene ancorato a precise scelte politiche e di governo della società?
R: Te l'ho detto: la crisi è in agguato. Neppure dietro, ma davanti all'angolo. Tocca a noi cercare di evitarla facendo delle attuali inadeguatezze l'occasione di una crescita responsabile, libera, creativa, razionale...
D: A questo punto, come intendi conciliare la tua militanza "verde" con quella nel Partito radicale transnazionale?
R: Dipende essenzialmente dal Partito radicale. Ora che siamo stati o ci siamo catapultati in realtà diverse nella politica "interna", si tratta di individuare finalmente questo benedetto denominatore comune di iniziativa radicale: transnazionale, ed anche di riforma democratica in Italia. Finora, ci si è mossi in troppe direzioni. L'antiproibizionismo è un tema essenziale (ho deciso in questi giorni di iscrivermi al Cora), che si misurerà tuttavia su una sfida davvero epocale, non dai tempi brevi. E che dovrebbe trovare una traduzione selettiva e non automatica di tipo elettorale, come dimostrano l'esperienza spagnola e la stessa prova di Roma. L'azione per la democrazia all'Est non può restare al punto finora un po' generico in cui si è collocata, altrimenti resta estranea alla colossale svolta storica che è in atto.
L'iniziativa per gli Stati Uniti d'Europa potrebbe forse puntare su una campagna di denuncia frontale del disastro economico che si prepara col 1993.
Io resto convinto che esistono le condizioni per un grande rilancio transnazionale della lotta per la vita sul pianeta, solo se combinata alla lotta ecologista per la vita del pianeta. Nord-sud e ambiente potrebbero essere la sfida intrecciata e vitale del nuovo Pr. sono molto lieto che - secondo alcune notizie che ho appena ricevuto - la Lega per l'Ambiente abbia raccolto l'idea contenuta nel mio libretto "10 anni al 2000" e si voglia far promotrice di una grande campagna europea e internazionale per la salvaguardia del clima. Perché il nuovo Pr non prende quest'occasione, legandovi gli obiettivi più che mai attuali della difesa della vita e delle possibilità di sviluppo delle popolazioni dei Paesi del Terzo Mondo, che con le sfide di conversione ecologica/economica/produttiva sono inscindibilmente legati?
In Italia, io credo che i radicali che non vogliano impegnarsi direttamente - e lealmente! senza secondi fini... - nel mondo ecologista potranno dedicarsi a sviluppare l'idea sintetizzata da Marco Pannella col progetto Nathan (più che a una proliferazione di iniziative elettorali minoritarie). E che forse varrebbe la pena ritrovare lo spirito monotematico di un'aggregazione radicale - anziché in una quantità rapsodica e dispersiva di iniziative - particolarmente sul tema decisivo della riforma elettorale. L'ultima speranza di una svolta democratica e di non abdicazione alla partitocrazia, alla corruzione, alla disinformazione lo vedo affidato a un coinvolgimento davvero transpartitico su quest'obiettivo, che sarebbe capace di mobilitare molta gente nel nostro Paese.