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D'Elia Sergio - 14 novembre 1989
Rimettiamoci il bavaglio
Sergio D'Elia

Segretario federale del Partito radicale, ex-terrorista, detenuto ammesso al lavoro esterno al carcere

SOMMARIO: Il problema dell'informazione ora non è più la censura, ma l'eccesso di informazione e il riflesso di indifferenza, incredulità e diffidenza che ne è provocato. La televisione "anestetizza" lo spettatore, privandolo "dell'estetica della scena, del gioco, delle regole del gioco". E allora quale efficacia può avere il digiuno, con il suo "effetto speciale" del corpo che si consuma, di fronte a questo eccesso di informazione? L'azione nonviolenta non può quindi essere rituale e sempre la stessa, ma deve ogni volta produrre una sorpresa.

(Notizie Radicali n.248 del 14 novembre 1989)

La polis è innanzitutto agorà, piazza, luogo della rappresentazione, della parola e del dialogo, spazio del comizio e del "faccia a faccia". La "politica" è l'arte della lotta per il governo della città. Non può esservi governo senza agorà, il conoscere è fondamentale ai fini dello scegliere e del deliberare. La democrazia vuole poter significare "governo di quelli che sanno quello che vogliono".

Cosa rimane di tutto questo nella società della comunicazione?

"Il medium è il messaggio", questa intuizione di Marshall Mac Luhan affascina ed inquieta. E' una sintesi efficace del potere (della televisione) nella società dell'informazione, delle sue potenzialità e dei suoi limiti. E' affascinante la possibilità di collegare in tempo reale e a spazio zero uomini e fatti di ogni parte del mondo, ma è inquietante il potere che è del mezzo, la proprietà - tecnica più che economica e politica - di uniformare, banalizzare le identità e i messaggi; che è peggio dell'escluderli o censurarli.

L'identità è affidata all'informazione, il messaggio alla televisione che lo trasmette in tutte le case.

La "polis" non esiste più, l'intera città con le sue vie di comunicazione e le sue abitazioni viene investita da un immenso flusso di "servizi", informazioni, immagini via cavo, via video. L'abitante stesso non è più il cittadino, ma l'utente: utente dei diritti e dei doveri, come del lavoro e dei servizi, delle parole e delle opinioni, della propria vita e della propria morte.

Qual è l'effetto dell'azione nonviolenta, nella sua forma estrema, lo sciopero della fame, nel sistema della comunicazione?

Non mi interessa qui discutere della forma del digiuno, del digiuno di "dialogo" (»dare corpo ad un'azione politica in cui l'obiettivo è innanzitutto di colui verso il quale l'azione è rivolta) contro il digiuno come forma di "ricatto" (»presa di ostaggio del proprio corpo e relativa richiesta di riscatto rivolta a chi il digiunatore elegge a responsabile di una volontà e di un destino che non sono i suoi).

La questione che qui mi interessa è relativa a quell'»effetto speciale che il dramma del corpo che si consuma (a causa dello sterminio per fame o per uno sciopero della fame) provoca e subisce attraverso i media.

Sotto questo profilo, credo che noi dobbiamo fare i conti con una dimensione mutata, perversa della comunicazione, con un problema opposto a quello del superamento della barriera dell'informazione. Dobbiamo considerare il problema della saturazione del sistema di comunicazione, l'iperinformazione, non la censura ma la trasparenza, l'eccesso di informazione e il riflesso di indifferenza, incredulità e diffidenza che provoca tutto ciò che ci è consegnato attraverso il canale dei media.

Perchè vi sia un riflesso di attenzione, di credibilità e sensibilità è necessario che vi sia comunque una »scena , uno spazio prospettico, qualcosa in cui giochi anche - soprattutto - l'immaginazione, un minimo di illusione, in cui si sia coinvolti, attratti o respinti.

La televisione - per dire: l'immenso macchinario e codice di procedura con le sue reti, circuiti, nastri magnetici, satelliti, medelli di simulazione... - non è una scena, ma uno schermo, uno spazio senza profondità, pura superficie, che non è nemmeno quella dello specchio che sarebbe in grado di riflettere fedelmente l'immagine del soggetto, ma il luogo della sparizione degli avvenimenti, del corpo individuale e sociale. La luce della televisione viene dall'interno, è come se tutto da dentro si creasse, le gestualità, i corpi, gli eventi, senza nessuna referenza esterna.

Infatti, se ha un qualche senso dire »questo è cinema , oppure »questo è teatro , non ha nessun senso, comune o critico, dire »questa è televisione . L'»effetto speciale della televisione è che siamo »anestetizzati , privati dell'estetica della scena, del gioco e delle regole del gioco: »perfettamente informati e impotenti, perfettamente solidali e paralizzati, perfettamente collegati e omogeneizzati, perfettamente stereotipati nell'estasi della comunicazione.

Davanti allo schermo televisivo, noi stessi siamo divenuti schermo, schermo di indifferenza superficiale e di incredulità. Per questo si prova incredulità di fronte al corpo digiunante, la stessa incredulità e indifferenza che si provano di fronte al corpo di un biafrano morente di fame.

Ma, davanti alla televisione, siamo divenuti anche schermo di totale incertezza rispetto alla nostra opinione, alla volontà di giudizio e di scelta. Per questo sono inattendibili i sondaggi di opinione.

E' un'involuzione generale, alla simulazione rispondiamo con la simulazione: alla forma degradata dell'evento e dell'opinione che è l'informazione su quell'evento e su un'opinione, corrisponde la refrattarietà all'impegno e al giudizio da parte degli utenti dell'informazione.

Tanto è l'eccesso di informazione, che non riusciamo più a sapere quel che vogliamo.

Tanto forte è la pressione e la velocità di tutto ciò che è collegato e trasmesso dai media che si perde la disposizione del proprio corpo, della propria volontà, della stessa facoltà di conoscere.

Allora, che cos'è il digiuno, la consunzione di un corpo a fronte della sua sparizione sullo schermo freddo, refrattario e saturo di informazione dei mezzi di comunicazione? a fronte - è lo stesso - della sua obesità, del suo apparire iperreale, più vero del vero o più falso del falso?

Che cos'è il digiuno di dialogo, qual è la sua efficacia di fronte all'eccesso di informazione? Quale rapporto è possibile tra un sistema di senso e un sistema di simulazione? Tra lo spazio-tempo della volontà e della rappresentazione e quello della devolizione e dell'iperrealtà? tra la scena del politico e dell'opinione e quella del dominio pieno e incontrollato dei mezzi di comunicazione?

E non è solo un problema politico, dell'uso buono o cattivo dei media.

Non so quale possa essere la risposta a questa situazione.

Nell'83 il Partito radicale propose e organizzò lo sciopero del voto: era la risposta allo strapotere dei partiti nella vita e nell'organizzazione del »primo potere .

Contro lo strapotere dei partiti nei media, o meglio, contro il »quinto potere , è possibile immaginare qualcosa di analogo? E' possibile concepire ed organizzare oggi, nella società della comunicazione, forme di disobbedienza civile, di sciopero degli utenti dell'informazione, che siano efficaci almeno quanto lo sciopero dei lavoratori nella società dell'automobile? Non saremmo sempre in quella dimensione del politico, della volontà e della rappresentazione di cui la società della comunicazione, della trasparenza, dell'eccesso di informazione ha decretato la scomparsa?

In questo momento, penso a due cose.

Penso che dobbiamo dare risposte nuove, originali, inattese, adeguate allo strapotere dei media, risposte che della merce-informazione assumano e rilancino il valore assoluto, che è quello della scambiabilità, della sua libertà di circolazione, della sua velocità di comunicazione. L'azione nonviolenta non può essere rituale e sempre la stessa, deve potere ogni volta produrre uno choc, una sorpresa, uno spiazzamento, caratteri decisivi per colpire l'indifferenziato mondo dell'informazione e superare l'indifferenza dell'utente.

Un esempio? L'azione del bavaglio! Geniale, sconvolgente, irripetibile.

E penso a Radio Radicale, mezzo di comunicazione d'altri tempi, caldo, altro dalla televisione, che è medium freddo. Per questo va salvaguardata Radio Radicale, come dimensione del politico, della scena, dell'agorà, come luogo della volontà e della nonindifferenza, a fronte della incertezza, della diffidenza, dell'indifferenza generate dalla televisione. Radio Radicale va salvata come andrebbe salvato il teatro, il cinema, il Parlamento e tutti gli altri luoghi della rappresentazione e dell'immaginazione.

 
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