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Bertrand Marie Andrée - 14 novembre 1989
Oltre l'antiproibizionismo
Marie Andrée Bertrand

SOMMARIO: Il Partito radicale può accontentarsi di combattere il proibizionismo sulle droghe? Partendo dalla considerazione che le leggi non sono il diritto, ma che, al contrario, il diritto penale è ingiusto e perverso nei mezzi, e illegittimo nei suoi obiettivi, l'autrice ritiene che, in vista di abolirlo interamente, ci si debba impegnare per riformarlo, per ritornare a delle soluzioni più conviviali, più comunitarie, più solidali a proposito dei conflitti di ogni natura. Il primo passo potrebbe essere quello di adottare un programma minimo sottraendo dal diritto penale tutti i crimini senza vittime, nonché lavorare già da adesso all'abolizione delle prigioni.

(Notizie Radicali n.248 del 14 novembre 1989)

Se il Partito radicale non avesse creato una Lega antiproibizionista nel marzo 1989, bisognerebbe assolutamente farlo ora attaccando frontalmente la politica penale sulle droghe e sottolineando che la sola soluzione possibile passa attraverso una revisione completa delle convenzioni internazionali.

Ma d'altro canto chi, oltre al Partito radicale e al Cora, potevano inventare un organismo internazionale prendendo puntualmente in contropiede l'opinione pubblica e la politica penale di tutti i paesi occidentali in questa materia?

Già il convegno di Bruxelles, nell'ottobre 1988, rappresentava tutta una scommessa: riunire i protagonisti di numerosi paesi che avessero già proposto delle soluzioni sostituive alla proibizione; correre il rischio di farli esprimere sulle differenti modalità d'abolizione delle politiche penali; pubblicare gli atti del convegno. Nessuno mai aveva avuto il coraggio di rappresentare con tanta evidenza, e riunendo tante personalità, gesti che così seriamente abbiano contribuito a nutrire un dibattito e a farlo crescere.

La forza degli argomenti dei membri fondatori delle Lega, quella dei membri del Partito impegnato nella lotta antoproibizionista si è trovata considerevolmente arricchita dal convegno, dai suoi atti e, più tardi, dal dibattito e dalle dichiarazioni del Congresso di fondazione della Lia.

Da allora l'antiproibizionismo si é guadagnato uno spazio nell'arena politica durante la campagna che ha preceduto le elezioni al Parlamento europeo e - grazie al Partito radicale, alle sue scelte trasnazionali e transpartitiche - ha eletto un deputato al parlamento europeo su una piattaforma antiproibizionista. Queste candidature sono l'occasione di un dibattito fondamentale sui costi della proibizione, sulle origini di questa politica irrazionale e viziosa, sulle ragioni che ne spiegano la persistenza malgrado gli insuccessi clamorosii.

C'è il piano Bush che moltiplica i terribili problemi prodotti in America Latina - e soprattutto in Colombia, in Bolivia e Perù - da una politica proibizionista dei paesi del Nord, voluta dai paesi consumatori e la cui locomotiva è senza dubbio la pretesa di controllare dall'esterno i problemi che il paese ha al suo interno. E' la ripetizione della dinamica che è prevalsa al momento della adozione delle prime convenzioni internazionali sugli stupefacenti...

Si tratta in fondo per gli americani di porsi a campioni della lotta per un ordine "morale" che essi sono assolutamente incapaci di far osservare a casa propria. E' il tentativo di chiudere le frontiere, di controllare a distanza o, in caso contrario, di imporre il proprio ordine attraverso la forza armata.

Era tempo di creare una lega antiproibizionista e internazionale; di ciò il Partito radicale ha avuto il senso acuto dell'urgenza morale e politica con la prova del marzo 1989.

In ogni caso, e anche se l'opinione pubblica e la stampa sembrano venire lentamente all'idea che la proibizione ha fatto il suo tempo, anche se ci si rende molto ben conto che non si cambieranno le abitudini di consumo di milioni di tossicodipendenti attraverso la lotta armata, il controllo delle frontiere, l'estradizione dei trafficanti e il loro imprigionamento, la legalizzazione della droga non è per domani.

La lotta perchè cessino le politiche penali e repressive nel campo della circolazione e il consumo delle droghe è lontano dall'essere vinta. Troppi interessi si oppongono alla ritrattazione pura e semplice delle convenzioni internazionali!

Ma il partito può accontentarsi di combattere il proibizionismo nel campo delle droghe?

La semplice logica morale non ci condurrà a combattere tutte le misure penali che si prendono, per esempio, verso i crimini senza vittima e a difendere una visione minimalista della repressione penale, cioè un controllo repressivo che si applichi ai soli comportamente che costituiscono un reale pericolo sociale e a proposito dei quali gli altri controlli si siano rivelati inefficaci?

Sto pensando alla lotta condotta da gruppi di una certa età e di una certa formazione sociale, in Canadà, in vista di rendere più punitive le leggi contro la prostituzione e la pornografia. Quale ipocrisia da parte di tutti coloro che utilizzano la proibizione per "non vedere" ciò che c'è nella strada o presso i venditori di giornali, ma che hanno mezzi sufficienti per procurarsi le stesse cose a casa propria o nelle "case" che gli aggradano.

Io penso alle centinaia di clausole dei codici penali che si attaccano ai delitti contro la proprietà e che uccidono due volte, considerando il furto in un appartamento come un'infrazione punibile con la prigione. Una delinquenza occasionale che diviene un'attività dettata dalla necessità presso i giovani disoccupati (e i meno giovani), gli assistiti sociali, le ragazze-madri. Qual è la legittimità di uno stato che utilizza la sanzione penale contro una delinquenza nata dalla necessità e da un'organizzazione sociale ingiusta?

Noi sappiamo che le leggi non sono il diritto. Nessuno di noi fa questa confusione. Le nostre leggi penali sono votate da dei legislatori, degli uomini, raramente delle donne, della classe media superiore, di gruppi etnici dominanti messi lì a soddisfare gli interessi dei loro gruppi e quelli delle lobbies corporative che li supportano in tempo di elezioni. Esse sono fatte raramente per assicurare il benessere della maggioranza come le vorrebbero i filosofi penali della tradizione liberale democratica. Dopo venticinque anni di insegnamento e di ricerca in criminologia, avendo bene esaminato i trattamenti che gli Stati fanno a coloro che sono sospettati, accusati, condannati, io sono venuta alla conclusione che il diritto penale è talmente ingiusto, talmente perverso nei mezzi, e così spesso illegittimo nei suoi obiettivi che bisogna lavorare per abolirlo interamente. Che si esamini dal punto di vista dei valori che esso difende (dal 40 al 70 % delle sue disposizioni volgono a fare rispettare la proprietà pri

vata dei "contribuenti" o delle compagnie e delle corporazioni che non "contribuiscono" affatto e delle compagnie esentate dai doveri fondamentali del rispetto per i beni i più essenziali alla sopravvivenza della umanità - si pensi all'inquinamento professionale al quale non si arriva a imporre delle sanzioni economiche efficaci, si pensi all'industria farmaceutica che medicalizza senza vergogna milioni di persone anziane, (mentre lo Stato imprigiona i fumatori di mariujana e i consumatori di cocaina ed eroina) oppure nelle sue disposizioni che scaturiscono veramente dal sistema sociale quelli che l'organizzazione economica aveva già marginalizzato. Il diritto penale e soprattutto il sistema penale, appaiono a tal punto come dei mali in se stessi e come la fonte di tante iniquità, che si giunge alla conclusione che bisognerebbe disfarsene, soprattutto al termine di qualche decennio di tentativi per riformarlo.

Numerosi sono i membri del Partito radicale che ne hanno sofferto; alcuni ne sono morti, come Enzo Tortora. Affianco alle vittime di crimini, bisogna ben contare le vittime del diritto penale: questi autori di delitti più o meno gravi, questi dissidenti che il braccio più violento ed aggressivo dello Stato, viene a violentare in modo totalmente mirato. Più il processo si restringe, più ci avviciniamo al carcere, più il bersaglio é evidente, più la discriminazione gioca contro i giovani, i marginali morali, i dissidenti ideologici, coloro che resistono, le persone sole, i poveri, i membri dei gruppi etnici minoritari. Tutti quelli che l'ordine, o piuttosto il disordine ambientale, non ha saputo "organizzare" efficacemnete.

Al pari degli antiproibizionisti sulla droga, gli abolizionisti non chiedono una società senza norme. La maggioranza ritiene che la presa a carico da parte dello stato di tanti conflitti nei quali vien ad interporsi tra la vittima e l'aggressore presunto, ha contribuito notevolmente a deresponsabilizzare tutti: aggressore, vittima, ambiente e che conviene ritornare prima possibile a delle soluzioni più conviviali, più solidali, più comunitarie a proposito dei conflitti di ogni natura.

Diverse iniziative fatte in questo senso (riparazioni, restrizioni, risarcimenti...) si rivelano convenienti a livello delle risorse dello stato e degli individui, confortante per le parti che non si sentono più estranee nelle trattative di propri affari. Ed è il caso, per esempio, della degiuridificazione, del ricorso sistematico alla testimonianza delle vittime; oppure della pratica di invitare le parti a proporre delle soluzioni ai loro conflitti, senza che lo Stato e i suoi procuratori dominino sulla scena. Con questa conseguenza poco prevedibile in partenza, che le vittime che prendono parte alla soluzione dei loro conflitti e che hanno qualcosa da dire nelle riparazioni che sono loro dovute, si rimettano due volte più rapidamente dai traumi che hanno subito, che quando lascviano tutto tra le mani del sistema giudiziario e subiscono passivamente il loro processo. Ma la soluzione abolizionista non é forse troppo radicale, non sarebbe meglio adottare prima un programma minimo sottraendo dal diritto penal

e tutti i crimini senza vittime ed i delitti che non costituiscono un torto reale al gruppo sociale?

Ciò che ci lascia perplessi davanti alla soluzione minima, é il fatto che certi paesi occidenatli che tentano di praticarla a diversi livelli (facendo molto poco ricorso all'imprigionamento, riducendo il numero delle infrazioni, e degiuridificando il più sepsso possibile) - l'Olanda, la Danimarca - si ritrovano comunque alle prese con la tentazione permanente di allungare le pene, di reintrodurre nel codice nuovi crimini. Così, per esempio, i nostri colleghi olandesi hanno dovuto riconoscere che le lunghe sentenze imposte alle persone condannate per affari di droghe, hanno seriamente contribuito ad innalzare la durata generale delle pene, dell'imprigionamento (Hulsmaan 1983). il sistema penale ha una tendenza naturale all'inflazione...

Ma già adesso mi sembra che l'antiproibizionismo nel campo delle droghe non saprebbe soddisfare gli orientamenti radicali del Partito. Se è troppo presto per proporre un programma "morale" che porti all'abolizione completa del sistema penale, si dovrebbe a tutti i costi, lavorare seriamente già da adesso all'abolizione delle prigioni. Su questo capitolo si potrebbe raggiungere l'ICOPA (International coalition for the abolition of prisons). A questo livello del sistema penale, gli effeti di selezione, di discriminazione, di criminalizzazione, non sono più cose da dimostrare.

D'altronde, per il Partito radicale questa non é molto di più che un'altra contestazione dell'odine giuridico, civile e penale. Basta pensare, per esempio, alle lotte e alle vittorie del Partito nel campo del divozio e dell'aborto.

Ma non si dovrebbe andare ancora più lontano?

 
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