Relatore Franco Corleone(segue dal testo n.986)
MA CHE COS'E' LA DROGA?
Volendo affrontare l'argomento seguendo punti scientifici seri, riportiamo qui lo stralcio inedito di uno studio di prossima pubblicazione del professore Luigi Del Gatto. Il Professore Del Gatto, medico e docente universitario di endocrinologia, ha lavorato per anni per l'Organizzazione Mondiale della Sanita'; e' uno dei fondatori del Comitato Radicale Antiproibizionista e della Lega Internazionale Antiproibizionista; fa parte della Drug Policy Foundation.
E' indubbio, che di fronte alla diffusione e spesso drammaticita' delle notizie sulle "droghe", venga spontaneo chiedersi che cosa mai esse siano, come si costituisca il concetto di droga, come si possano definire e classificare. Dal punto di vista medico e farmacologico la disquisizione sul loro modo di definizione e di classificazione appare quanto mai arbitrario, dati i proteiformi effetti delle droghe, le condizioni variabili nelle quali vengono assunte e il contesto sociale del loro uso.
Non e' nemmeno pensabile una univocita' concettuale, definitoria e classificatoria. In verita', qualora se ne volesse ripercorrere l'evoluzione storica, non si sfuggirebbe alla necessita' di rivedere "sul campo" i concetti, le definizioni e le stesse classificazioni; non ci si potrebbe sottrarre alla continua verifica e al farsi e rifarsi delle dette nozioni a seconda dell'ottica scientifica con la quale viene visto il fenomeno delle tossicodipendenze, di come questo venga percepito e vissuto dall'opinione pubblica in generale e da quella medico-terapeutica in particolare, con conseguenze, anche nette, sulle tecniche di approccio e di trattamento dello stesso.
(...) Date le conseguenze molto pratiche, il problema e' solo apparentemente formale; pertanto e' opportuno esaminare il concetto, la definizione e la classificazione delle droghe. Non e' affatto fuori luogo ricordare che il significato che oggi attribuiamo alla parola "farmaco" e' riduttivo rispetto al passato in cui e' stato usato in molte e diverse accezioni, che sicuramente includerebbero alcune delle definizioni, se non esplicite, senz'altro implicite, di quelle che oggi cerchiamo di separare chiamandole "droghe". Il capitolo XVIII dell'Apocalisse definisce con il termine "farmaco" le arti e le malie con le quali Babilonia vinse, seducendoli, i popoli della terra.
Dalle "Leggi" di Platone apprendiamo che il termine "farmaco" si riferiva a tutto cio' che, sotto forma di canti, formule magiche, amuleti e orazioni, potesse lenire le sofferenze, accezione con la quale passo' tra i secoli e che forse e' alla base di una certa cultura delle droghe.
Per tornare ai giorni nostri e' opportuno vedere le definizioni ufficialmente proposte dall'Organizzazione mondiale della sanita', che almeno potrebbero avere la funzione di uniformare, sotto la specie di un consensus generale le possibili definizioni sulla base di un concetto moderno, basato sull'osservazione e sperimentazione della farmacologia sperimentale. Nel ricordarne la prima e anche la piu' citata, quella che risale al 1957 (WHO Expert Comm. on Addiction - Producing Drugs, ed. Techn. Rep. Ser. n. 16, WHO, Ginevra 1957), non possiamo sottolinearne ora la scarsa coerenza scientifica, ora il fondamento tautologico.
Per droga si deve intendere qualunque sostanza che abbia:
capacita' di suscitare un desiderio smodato o addirittura una coazione (compulsion, obbligation) a continuare a consumarla e a procurarsela con ogni mezzo;
capacita' di provocare (tolleranza) e quindi di indurre il ricorso a dosi sempre piu' elevate;
capacita' di instaurare "dipendenza fisica" o "psichica";
capacita', infine, di esercitare effetti lesivi all'individuo e alla societa'.
(...) Non solo la definizione di droga e' poco coerente, ma essa ricalca quella data al termine "stupefacente" che e' difficilmente applicabile ad altre droghe, per esempio l'LSD o la stessa marijuana.
L'OMS ha dovuto rivedere piu' volte le definizioni dei termini come "uso" e "abuso" fino a quando ha adottato la definizione di "droga" in termini di "dipendenza", secondo la formulazione di Eddy Edwards G. et al., Drug Problems in the Socio-Cultural Context, WHO, Ginevra, 1980): "si definisce droga ogni sostanza capace di determinare uno stato di dipendenza o psichica o fisica o ambedue in seguito alla sua somministrazione in base periodica o continuativa". In questa sede non e' il caso di intrattenersi sull'ambiguita' a sfondo tautologico delle definizioni accettate dall'OMS per cui la dipendenza psichica e' "una condizione in cui una sostanza procura un senso (feeling) di soddisfazione e un impulso (drive) psichico..." mentre quella "fisica" e': "quello stato che si manifesta nei disturbi somatici, allorche' venga interrotta la somministrazione della sostanza", definizione che, quasi a ricaduta illogica, vede la dipendenza in funzione della crisi di astinenza e, a sua volta, come base definitoria del
termine "droga". Tipica di questa irrazionalita' e' la definizione di dipendenza che viene denominata "sociale", cioe' come "un adattamento dell'individuo alla sua condizione di tossicodipendente" (Mannaioni P.F., Le tossicodipendenze, Piccin Editore, Padova, 1980).
Il fatto di definire le droghe in termini di dipendenza e' almeno una scelta paradigmatica necessaria, anche se andrebbe precisato che molte sostanze, tra quelle iscritte nella farmacopea e attualmente prescritte possono dare dipendenza, e con una base almeno empirica d'osservazione e verificabilita' tale che la stessa OMS, come dicevamo sopra, ha abbandonato il termine "abuso" con il quale si e' usato definire l'autosomministrazione periodica o sporadica di una sostanza con modalita' che derivano da quelle di impiego medico o di consumo sociale proprio di un determinato contesto culturale. Dove si vede la funzione extra-scientifica della definizione per cui "abuso" e' ogni uso illecito (extra-legale) o improprio (extra-terapeutico) o eccessivoo (extra-voluttuario) o comunque dalle norme di una data societa' (non sanzionato).
Quindi la definizione in termini di dipendenza puo' rappresentare un superamento della base sociopatologica del termine "abuso" che fa riferimento piuttosto al grado di accettabilita' sociale (come nell'esempio tipico degli etilisti nella cultura giudaico-cristiana e dei fumatori di cannabis nella cultura indo-nord-africana).
L'ambivalenza del termine "abuso", forse l'interpretazione almeno intuitiva di "eccesso" si carica di un maggior senso normativo o morale se sostituito con i termini "uso corretto" (misuse) o anche "uso deviante", tutte definizioni che si attagliano a ogni "farmaco" (indicato con il termine "drug" nella lingua inglese), cioe' ad "ogni sostanza capace di indurre un qualsivoglia mutamento funzionale in qualsivoglia unita' vivente" e quindi da intendersi nel senso piu' esteso di "sostanza bio-attiva" e non necessariamente come medicamento. (Nomenclature and classification of drug and alcohol-related problems: WHO Memorandum, Bull of WHO 59,225, 1981).
Proprio dalle fatiche terminologiche degli esperti dell'OMS, che rappresentano indubbiamente elevati gradi di competenza, si dovrebbe ricavare l'insegnamento delle difficolta' di definire "droghe" certe e alcune sostanze, quando, invece, le diverse sostanze che chiamiamo di volta in volta comunemente come "droghe", "veleni", "medicamenti", "additivi alimentari" sono o sarebbero tutti definibili come "farmaco" e trattabili concettualmente e definitoriamente in termini di farmaci.
(...) Tanto meno la tolleranza, che e' certo tipica della maggior parte delle droghe (purche' assunta in certe quantita') puo' essere assunta come "discriminante" per definire alcune sostanze droghe e altre semplicemente farmaci. E' esperienza nota - percio' la definizione di tolleranza e' aspecifica - l'ottenere una risposta progressivamente decrescente ad una dose costante di una sostanza chimica o, specularmente, la necessita' di aumentare progressivamente la dose di una sostanza chimica per ottenere un effetto di intensita' pari a quello ottenuto con la dose iniziale (A. Goodman et al. (ed.) The Pharmacological thesis of Therapeutics, McMollar Publ. Co. 1985).
Che la tolleranza sia rintracciabile nell'uso di ogni droga, lo si puo' affermare quasi con certezza; quando essa manca significa che o essa e' troppo bassa o si instaura molto lentamente (come e' per l'alcool) oppure dura troppo poco (come nel caso dell'LSD, come dimostrano i buoni consumatori che la assumono solo a distanza di giorni) o perche' non si instaura per la presenza troppo fugace della droga nell'organismo (come sembra essere il caso per la cocaina).
Molti farmaci (quelli cosi' intesi perche' di uso medico) danno tolleranza (che quindi non e' specifica delle droghe) come, per esempio i farmaci capaci di agire sul sistema nervoso centrale, cioe' i neurolettici e gli antidepressivi, ma anche i famosi attivi a livello del sistema nervoso vegetativo, per esempio l'atropina e la nicotina e perfino i farmaci direttamente attivi a livello periferico (come i nitriti).
Un fatto noto e' che questa tolleranza - base farmacologica affatto aspecifica per definire le droghe - e non si manifesta per tutti gli effetti di una droga, come proprio gli oppiacei dimostrano con la loro tolleranza totale degli effetti analgesici ed euforizzanti, una tolleranza parziale di quelli sedativi, miotici o depressivi sul centro respiratorio e tolleranza praticamente nulla dell'effetto costipante.
D'altra parte - e infine - la tolleranza farmacologica non trova una spiegazione univoca, potendosi verificare in piu' di una modalita': per esempio acutamente, e si parla allora di trochifilassi o "da desensibilizzazione" e appare legata ad un'alterata reattivita' recettoriale come accade con i farmaci colinergici, attivi a livello della giunzione neuromuscolare (acetilcolina) o del ganglio (con la nicotina).
Senza inoltrarci in altri dettagli, ci interessa sottolineare che, se, da una parte, la tolleranza non riesce ad essere un marker delle droghe, con le sue diverse modalita' (torchipilasi, tolleranza post-mediatoriale, anti-medatoriale,farmaco metabolico ecc.), dall'altra essa dimostra come le droghe andrebbero pensate e trattate come tutti gli altri farmaci, cio' che aprirebbe la razionalita' scientifica all'interpretazione piu' equa ed equanime dei fenomeni delle "droghe". Si scoprirebbe come la somministrazione di un farmaco induca alla tolleranza metabolica di molti altri famraci anche chimicamente non corelati e si spiegherebbero cosi' molti casi cosiddetti da overdose che probabilmente sono da tolleranza "induzionale". D'altra parte questa stessa tolleranza potrebbe essere considerata come un aspetto particolare di quella tolleranza piu' generale che si potrebbe chiamare farmacocinetica in quanto attribuibile ai processi di cinetica del farmaco stesso, quali l'assorbimento (come nel caso tipico de
l mitridatismo arsenicale), l'eliminazione, eccetera.
Alcune droghe, come alcool e barbiturici (sovente trovati insieme in morti da overdose) mostrano una tipica tolleranza "induzionale", la quale si sovrappone alla tolleranza "mediatoriale", rendendo complessa l'interpretazione globale del quadro che risulta da questa somma.
L'osservazione sperimentale che quando un farmaco e una droga esercitano un effetto sul comportamento si puo' avere una tolleranza - che puo' essere definita comportamentale - che si stabilisce tanto piu' rapidamente quanto piu' l'effetto ha un "costo"; tipico il caso dell'alcoolizzato che riesce spesso molto bene a mascherare il suo stato d'intossicazione alcoolica (Dews I.B., Behavioral tolerance, in:Krasnegor N.A. (ed.) N.I.D.A. 1977).
In questo tipo di tolleranza va meglio inclusa la piu' vasta categoria della tolleranza "da condizionamento" con le sue caratteristiche:
1) di svilupparsi piu' rapidamente se viene indotta, mantenendo costante l'ambientazione;
2) di accelerarsi la riacquisizione con cicli ripetuti da somministrazione e che puo' entrare in gioco negli "infernali giochi farmacologici" che alcuni usano fare. Se ne' la dipendenza in termini di crisi di astinenza, ne' la tolleranza sono basi certe per la definizione e la caratterizzazione delle "droghe" come sostanze diverse dai comuni farmaci, quello che e' da sottolineare e' "che sia l'una che l'altra rimangono tutte da studiare" (Goodman, op. cit.) ed e' semmai da sottolineare il loro netto carattere "omeostatico", che fa paradossalmente delle droghe dei farmaci tra i meglio "tollerati" dell'organismo, come l'esperienza di massa - in termini di milioni di consumatori in tutto il mondo - sta a dimostrare.
E' un fatto mai discusso e tanto meno sottolineato che una sperimentazione cosi' massiccia non si era data nella storia dell'umanita' - ed essa e' tale che mette in forse la pur meticolosa sperimentazione farmacologica dell'ultimo secolo.
(...) Se le precedenti considerazioni ci portano a concludere che la concezione delle droghe e la loro definizione non puo' che essere demandata all'evoluzione storica e al lavorio della ricerca farmacologica e quindi da accomunarsi a quanto accade per tutti gli altri farmaci, aprendo cosi' la strada alla necessaria riflessione scientifica e all'ampliamento della stessa ricerca, la classificazione deve avere un valore euristico e uno operativo; in poche parole deve servire ad inquadrare il lavoro conoscitivo e aiutare a prendere delle decisioni a salvaguardia della salute del singolo e del bene comune della collettivita'.
Per queste considerazioni, le tabelle universalmente accettate appaiono dettate da presupposti socio-giuridici ed errate dal punto di vista farmacologico; come accade nella legge n. 685 del 1975 la cui prima tabella classica indifferentemente l'oppio e congeneri, che sono psicodepressivi, e la coca e congeneri che sono psicostimolanti; le tabelle III e IV suddividono le sostanze inducenti notevole dipendenza fisica e/o psichica e quelle inducenti una minore dipendenza, sulla base quindi di quel concetto di dipendenza di cui abbiamo rilevato la scarsa univocita' d'interpretazione e sicuramente l'incapacita' di discriminare le droghe dai farmaci; le tabelle V e VI poi differenziano le sostanze in base al rischio di abuso, concetto questo abbandonato dalla stessa OMS nelle diverse traversie di classificazione e che peraltro non includono l'alcool e il tabacco, notoriamente sostanze abusate.
Altri criteri sono necessari per classificare le droghe ed essi possono invero essere molteplici.
Scartato tuttavia quello socio-giuridico, per le contraddizioni farmacologiche sopra citate, due, in pratica sembrano giustificabili: uno e' il criterio farmacologico, l'altro il criterio antropologico che fa tesoro delle esperienze, a volte millenarie, dell'uso e delle condizioni d'uso, o, comunque, un criterio farmacologico, corroborato da un criterio storico-antropologico o piu' semplicemente culturale. Quanto allo schema farmacologico, prima di esporlo, vogliamo fare un'osservazione preliminare: nella estrema variabilita' di effetti che le droghe producono, esse sembrano tutte accomunate dalla capacita' di proteggere l'individuo, nel senso che leniscono situazioni di sofferenza o stress e facilitano una piu' o meno felice "evasione".
Laddove si stabilisca una chemiodipendenza, essa appare una manifestazione della piu' vasta patologia del disadattamento sociale, al pari del suicidio, della criminalita' o delle stesse crisi infartuali eccetera.
La controprova comportamentale di questa funzione "evasiva" sarebbe nell'osservazione fatta dagli psichiatri che le droghe, per cosi' dire, piu' tipiche - gli oppiacei, l'alcool, i solventi, gli allucinogeni eccetera - vengono usate non tanto per questo o quell'effetto farmacologico specifico quanto per la loro capacita' d'indurre "ebbrezza", "euforia" o per dirla con l'inglese del gergo per l'"effetto high".
Un antropologo, Zutt (in: Aspetti sociali delle tossicomanie, Ist. It. Med. Soc. Ed., Quaderno degli incontri n. 34, 1965) farebbe rientrare questo "high" nel piu' ampio concetto antropologico di "ebbrezza", intesa come uno dei modi involontari del nostro essere e del nostro divenire, alla pari della fame, della sete, del desiderio sessuale eccetera a tal punto che gli specifici effetti delle droghe, dalla sedazione al sonno all'ubriacatura alla dispercezione sarebbero effetti collaterali inevitabili, non ricercati e tanto meno goduti.
Tuttavia ai fini di una classificazione, non si potra' non scegliere l'effetto dominante di una droga, inteso come effetto che, alle dosi abituali, appare come terminale e che, comunque, si manifesta nella maggior parte dei soggetti che la consumano, essendo possibile anche una reazione paradossale, come l'ipersonnia da caffeina o da anfetamina.
A queste condizioni si possono proporre tre tabelle:
la prima include le droghe di tipo psicodepressivo;
la seconda quelle di tipo psicostimolante psico-depresso-stimolante;
la terza quelle di tipo psicoalternante.
Per quanto concerne la Tabella I il termine "narcotico" e quello "analgesico-narcotico" vengono abbandonati sia perche' l'analgesia non e' proprio l'effetto ricercato ne' la narcosi e' identificabile con l'atarassia da oppio. Essa include gli oppiacei, gli ipnotranquillanti, gli antalgico-antipiretici e, infine gli inebrianti: tra questi ultimi gli alcoolici, come il vino e la birra, e gli inalabili come l'etere e il nitrito d'amile.
La Tabella II, che elenca le sostanze psico-stimolanti, include le diverse anfetamine e la cocaina nel sottotipo adrenergico, mentre, nel sottotipo purinergico, c'e' la caffeina. Tra i psico-depresso-stimolanti c'e' la nicotina del tabacco. Sul piano sperimentale, la nicotina si comporta come una droga perfetta, nel senso che seda gli animali stimolanti e stimola gli animali sedati. (Baer, Tobacco Dependancy and its basis, The P.C. Newsletter, 9, 1, 1980).
La Tabella III include le diverse sostanze dispercettive, cioe' che danno alterate percezioni di oggetti reali, che non sono quindi vere e proprie allucinazioni, cioe' percezioni senza ooggetto ma riconosciute come tali dal soggetto e che molto impropriamente vengono comunemente dette allucinogene, psichedeliche, psicodislettiche e psicomimetiche eccetera. Solo eccezionalmente esse inducono una vera e propria psicosi, non criticata dal soggetto. Accanto ai cannabinoidi ci sono due droghe minori: la noce moscata e la Kawa-kaza non solo per il loro effetto dispercettivo ma anche per la comune struttura pironica dei loro principi attivi (mesticina, kawaina e yangonina).
Nella stessa tabella ci sono i deliranti, in massima a struttura colinergica, come gli atropinici, alcuni parkinsonici e la stessa fenciclidina (PCP) tra i deliranti non-colinergici si deve ammettere l'alcool cronico. Nell'insieme essi possono indurre uno stato schizofrenico indistinguibile dalla schizofrenia vera e propria, diversamente dalla fenciclidina che e' un dispercettivo maggiore serotoninergico che solo superficialmente mima la schizofrenia.
Un'altra classificazione possibile e anche preferibile e' quella che prende in considerazione l'aspetto antropologico e soprattutto prende in considerazione gli infusi e gli estratti acquosi di sostanze dalle foglie di coca e da quelle di the, dai semi di cacao a quelli di oppio, che hanno trovato un diffuso uso in varie aree geografico-culturali; queste tabelle si propugnano anche nella possibilita' di indicare un uso culturale, di gran lunga meno rischioso, di queste sostanze rispetto ai principi attivi e nella speranza di promuovere quello che Peter Scoeller definisce "l'immunita culturale".
Ma al di la' della completezza delle classificazioni e della plausibilita' e obiettivita' scientifica, quello che l'esperienza ormai suggerisce e' che un farmaco puo' o non puo' assumere la connotazione di "droga" secondo la reattivita' che esso incontra nella risposta individuale.
A questo proposito si puo' anche introdurre il concetto di "vulnerabilita'", cioe' quello di una base biologica di minore o maggiore capacita' di resistenza del singolo individuo agli effetti dell'una o dell'altra sostanza (NIDA, Biological Vulnerability to Drug Abuse, M. 8, 1988).Da quanto sopra risulta che la cosa piu' saggia e idonea sarebbe una vera e propria farmacovigilanza (Del Gatto: Farmacovigilanza, sett. 1987), da organizzarsi attraverso strutture tecnicoscientifiche a distribuzione regionale (Osservatori Farmacologici Regionali, previsti dalla proposta di legge Rutelli e altri del 18 dicembre 1987: atto Camera n. 2086) per affrontare con i mezzi della scienza la questione delle "droghe".
REPRESSIONE O LEGALIZZAZIONE
Le convenzioni internazionali
Le convenzioni internazionali che in larga misura hanno costituito la base per la legislazione di numerosi Paesi sono quella di New York del 30 marzo 1961 (ratificata con la legge n. 412 del 5 giugno 1974) e quelle di Vienna del 21 febbraio 1971 (ratificata con la legge n. 385 del 25 maggio 1981) e del 19 dicembre 1988 (non ancora ratificata).
Ai fini della presente relazione, riteniamo importante soffermarci solo sulle parti degli accordi relative alla punibilità. Seguendo in questo l'impostazione che il senatore Pierluigi Onorato ha dato ad un suo intervento al convegno su "La pena della droga" (organizzato dal Centro di Riforma dello Stato a Roma il 28 aprile 1989), anche noi osserviamo che l'impostazione legislativa anteriore alla legge n. 685 del 1985 era legittimata dalla Convenzione Unica di New York che penalizzava sia la detenzione che il consumo degli stupefacenti. L'art. 36 di detta Convenzione testualmente recita: "Compatibilmente con le proprie norme costituzionali, ciascuna parte adotterà le misure necessarie affinchè la coltivazione e la produzione, la fabbricazione, l'estrazione, la preparazione, la detenzione, l'offerta, la messa in vendita, la distribuzione, l'acquisto, la vendita, la consegna per qualunque scopo, la mediazione, l'invio, la spedizione in transito, il trasporto, l'importazione e l'esportazione di stupefacent
i non conformi alle disposizioni della presente Convenzione o qualunque atto deputato dalla detta Parte contrario alle disposizioni della presente Convenzione, siano considerate infrazioni punibili qualora siano commesse intenzionalmente e sempre che le infrazioni gravi siano passibili di una pena adeguata, in particolare di pene che prevedono la reclusione o altre pene detentive.". Com'è noto l'interpretazione delle parole 'infrazioni gravi' che diede il nostro legislatore non fu rigida e pertanto non furono considerati tali il possesso ed il consumo in modica quantità di sostanze stupefacenti. La norma dunque, ratificata nel 1974, fu uno dei punti di riferimento della L.685 che approvata nel 1975, recepiva anche la Convenzione di Vienna conclusa quattro anni prima ma a quel tempo non ancora ratificata. In questo senso la legge n..685 molto insisteva sulla prevenzione, sulla cura e sulla riabilitazione. La Conversione infatti all'art. 22 stabiliva che:"subordinatamente ai rispettivi principi costituziona
li, ciascuna Parte considererà come violazione punibile tutti gli atti commessi intenzionalmente che contravvengono ad una legge o ad un regolamento adottato in esecuzione degli obblighi derivanti dalla presente Convenzione, e prenderà le misure necessarie affinchè le violazioni gravi siano debitamente punite, per esempio con una pena detentiva o con altra misura limitativa della libertà.
Indipendentemente dalle disposizioni previste al punto precedente, quando alcune persone avranno commesso alcune violazioni utilizzando in modo abusivo delle sostanze psicotrope, le Parti invece di condannarle o di irrogare una sanzione penale nei loro confronti, o quale pena accessoria della sanzione penale, potranno sottoporre queste persone a misure di trattamento, di educazione, di dopocura, di riadattamento e di reintegrazione sociale (...)". Secondo l'opinione che i più danno del disegno di legge in discussione, quanto stabilito nella suddetta convenzione non viene violato dalle nuove disposizioni. A noi invece sembra che si stia forzando l'interpretazione del termine 'gravi' comprendendo in questo, comportamenti valutati tali anche se oggettivamente non gravi se non per la persona che li compie. A questo proposito è chiaro che la norma, che prima si riferiva ad 'infrazioni, si riferisce a 'violazioni', intendendo in entrambi i casi non un comportamento soggettivo da giudicare, bensì un comportame
nto che viola una disposizione che necessariamente dev'essere legislativa. La nuova Convenzione di Vienna approvata lo scorso anno, richiamata più volte dalla maggioranza per legittimare le nuove norme in discussione, insiste molto sulla possibilità di creare strutture adeguate al recupero dei tossicodipendenti ma non prevede la necessità ancor meno l'obbligo di punire coloro che fanno uso di sostanze stupefacenti. Quando si parla di consumo personale, questo è riferito alla "violazione delle disposizioni della Convenzione del 1961 così come modificate dalla convenzione del 1971" (art.3, comma 2); inoltre "le misure necessarie per conferire il carattere d'infrazione penale" alla detenzione, all'acquisto ed alla coltivazione delle sostanze stupefacenti vanno date "conformemente al diritto penale interno" e "quando l'atto è stato commesso intenzionalmente".
Di questo troviamo riscontro in quanto scritto dal magistrato Gianfranco Viglietta: "Ma dall'adesione a tali convenzioni, nonostante i termini "detenzione" e "acquisto" figurino tra le infrazioni punibili, non derivava alcun obbligo di assoggettare a punizione (e tanto meno a pena detentiva) il consumo, poiche' si parla di "punizione adeguata" - in linea di principio pena detentiva - solo per le "infrazioni gravi", che sono quelle, ovviamente, destinate al traffico" (in: Droga, tossicodipendenza, legge, Franco Angeli, 1982).
Le lettere c) e d) del comma 3 dell'art.2 prevedono la possibilità ("le Parti possono particolarmente prevedere") di strutture di recupero per le infrazioni di carattere minore che sono alternative alla sanzione penale solo quando questa è prevista. Questa non è dunque ne obbligata, ne necessaria e la motivazione che alcuni portano per giustificare queste al fine di creare un'obbligatorietà dei trattamenti sanitari è negata dell'esperienza che insegna come tanto più i trattamenti sono utili quanto più vengono liberamente scelti.
Le disposizioni in questione così testualmente recitano:
"c) Nonostante le disposizioni dei commi precedenti, nei casi adeguati d'infrazioni di carattere minore, le Parti possono particolarmente prevedere, in luogo di una condanna o di una sanzione penale, misure di educazione, di riadattamento o di reinserimento sociale, come anche, quando l'autore dell'infrazione è un tossicomane, misure di trattamento e dopocura;
d) Le Parti possono prevedere che misure di trattamento, di educazione, di dopocura, di riadattamento e di reinserimento sociale dell'autore dell'infrazione sostituiscono la condanna o la pena decretate per un capo d'imputazione formulato in conformità alle disposizioni del comma 2 del presente articolo, ovvero si aggiungono ad esso.".
La seconda Convezione di Vienna è certamente più repressiva delle precedenti ma, indipendentemente dalle valutazioni prima espresse, non surroga l'indipendenza e l'autonomia delle Parti, cioè degli Stati.
Lo spirito della legge n.685
La legge 685 del 1975, suddivide la materia trattata in tre settori: i titoli dal I al VII affrontano la disciplina amministrativa, il titolo VIII si riferisce alla disciplina penale mentre gli interventi di prevenzione e trattamento sono previsti nei titoli dall'IX all'XI.
Questa normativa ha portato importanti innovazioni rispetto alla precedente legge del 22 ottobre 1954, n.1041.
In primo luogo, viene ampliato l'arco delle sostanze considerate stupefacenti e psicotrope con l'aggiunta delle anfetamine, dei barbiturici, dei tranquillanti e degli allucinogeni.
E' altresì definita la depenalizzazione per l'acquisto e la detenzione di modiche quantità di sostanze stupefacenti a fronte di un aggravamento di pena contro i grandi trafficanti; infine, si pone l'accento su un maggior impegno verso il reinserimento del tossicodipendente all'interno della società, mediante interventi di prevenzione socio-sanitaria demandati all'ambito delle autonomie locali.
Cominciando l'analisi del testo dai problemi derivanti dal nuovo concetto di modica quantità, le motivazioni che, al tempo, ebbero il sopravvento nell'indirizzare i vari gruppi politici verso la depenalizzazione, sembrano ora non avere più valore: si è criticato in quest'ultimo decennio l'operato di questa legge, colpevole di aver permesso un uso indiscriminato della droga e, conseguentemente, di aver consolidato il vorticoso aumento di soggetti tossicodipendenti.
Ecco il testo dell'articolo 80 della legge n. 685:
"Non è punibile chi illecitamente acquista o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle prime tabelle dell'articolo 12, allo scopo di farne uso personale terapeutico, purché la quantità delle sostanze non ecceda in modo apprezzabile la necessità della cura, in relazione alle particolari condizioni del soggetto.
Del pari non è punibile chi illecitamente acquista o comunque detiene modiche quantità delle sostanze innanzi indicate per farne uso personale non terapeutico o chi abbia a qualsiasi titolo detenuto le sostanze medesime, di cui abbia fatto uso esclusivamente personale (...).
E' bene fare un parallelo con la normativa precedentemente in vigore per comprendere meglio da quale impulso socio- culturale abbia avuto luogo la tanto criticata impostazione depenalizzatrice della droga.
Il comma 4 dell'articolo 6 della legge 1041 del 1954 così recita: "chiunque, senza autorizzazione, venda, ceda, esporti, importi, passi in transito, procuri ad altri, impieghi o comunque detenga sostanze o preparati indicati nell'elenco degli stupefacenti, è punito con la reclusione da tre a otto anni e con la multa da lire 300.000 a lire 4.000.000 (...)".
La valutazione più rigorosa che si è data a quel "comunque detenga", ha portato a coinvolgere tra i destinatari del comando penale, in pratica, tutti i consumatori di droga.
Anche il consumatore di droghe cosiddette leggere - seppure trovato in possesso di minime quantità di sostanze stupefacenti per uso personale - secondo l'interpretazione prevalente, era destinato ad incorrere nei rigori della norma penale. Sotto questo aspetto, quindi, non esisteva una differenza tra spacciatore e consumatore; al giudice era lasciata esclusivamente la possibilità di variare la pena da infliggere tra il minimo ed il massimo edittale. Partendo da questi presupposti, si comprende dunque il desiderio del legislatore, e con lui di gran parte dell'opinione pubblica del tempo: cercare da un lato di differenziare radicalmente la posizione del consumatore da quella dello spacciatore di stupefacenti e dall'altro, di creare un complesso di organi che avessero finalità di prevenzione, cura e riabilitazione. Durante la discussione della legge n. 685, nelle commissioni riunite sanita e giustizia della Camera, lo spirito degli interventi dei parlamentari di pressoche' tutti i gruppi era praticamente u
nivoco. La democristiana Maria Eletta Martini, relatore della IV commissione giustizia della Camera, nella seduta del 19 novembre 1975 si legge ha sostenuto che:" "E' evidente che la non punibilità non significa che il fatto in oggetto sia lecito... perciò non è vero che c'è una sorta di incitamento alla droga in questo senso, perché quello che configura l'illecito è ciò che viene trovato in possesso del soggetto prima ancora di valutare o meno la periodicità... La questione generale è che chi viene trovato in possesso di droga, compie un illecito; è poi il pretore che decide se la persona in oggetto sia punibile o no.
In generale è punibile, ma in determinate condizioni non lo è: questo dipende dalla quantità di droga di cui è in possesso".
O, ancora più esplicite le parole del sottosegretario alla giustizia del tempo, il democristiano Dell'Andro: "...il problema sorge proprio per il tossicodipendente in quanto questo individuo non lede in alcun modo i beni della società, nel qual caso compirebbe un illecito penale, ma arreca un danno alla propria persona...Oltre al richiamo fatto al nostro sistema giudiziario vi è anche l'esperienza, del tutto negativa, fatta dalle leggi precedenti che prevedevano la penalizzazione dell'uso della droga. Tutto questo non ha fatto altro che incentivare la diffusione di sostanze stupefacenti in quanto la sanzione penale è stata uno stimolo, per i giovani, a drogarsi sempre con maggior frequenza. Ecco allora che il principio costituzionale va convalidato con le osservazioni storiche: le leggi precedenti hanno fallito perché penalizzavano".
Con la legge n. 685 vennero modulate varie sanzioni: esiste infatti una distinzione tra comportamenti illeciti penalmente rilevanti (articoli da 71 a77) e comportamenti illeciti rilevanti ai soli fini del trattamento e del recupero.
Le sanzioni non erano certo di lieve entita'. Il magistrato Gianfranco Viglietta a tale proposito ha sostenuto: "Si puo' serenamente concludere che i livelli di pena previsti dalla legge n. 685 del 1975 sono certamente i piu' elevati d'Europa. E' vero, infatti, che solo l'Austria e la Danimarca escludono la punibilita' della detenzione per uso personale, per quantitativi rapportabili al fabbisogno di una settimana, ma negli altri Paesi o non vige l'obbligatorieta' dell'azione penale, e l'esenzione da pena del consumatore e' sancita per via di circolari dei titolari dell'azione penale, o il minimo edittale consiste in una semplice multa" (in: Droga, tossicodipendenza, legge, cit.).
All'interno poi di queste distinzioni, esistono ulteriori suddivisioni intese sempre a graduare la gravità delle pene, mentre per l'associazione per il traffico di sostanze stupefacenti è previsto un aggravamento delle sanzioni comminate dal codice penale. Nei confronti dei trafficanti le pene sono state aumentate rispetto a quanto sancito dalla legge precedentemente in vigore,la n.1014 del 1954, e per i piccoli spacciatori di modiche quantità le pene sono state definite in maniera ancora più lieve che nel caso precedente.
Riferendosi sempre al dibattito alla Camera del 1975 leggiamo che alla base della normativa: "vi è l'indirizzo fondamentale: distinguere nettamente tra trafficante e consumatore, soprattutto per quanto riguarda le norme penali...ciò innanzitutto perché si tratta di un atto di giustizia sostanziale, al quale il legislatore non può sottrarsi..."." Solo differenziando queste situazioni si rompe il cerchio di omertà che accomuna, ora, il trafficante, il piccolo spacciatore e il consumatore, i quali, per così dire, sono legati ad un'unica prospettiva, essendo ancora puniti dalla stessa norma con un'unica pena".
Ecco, a proposito, le parole del sottosegretario Dell'Andro: "... il regolare in ogni caso la tossicomania nell'ambito della devianza sociale penalmente sanzionata, non contribuisce necessariamente a ridurre l'incidenza di quel comportamento sul corpo sociale ma produce notevoli effetti negativi. In questa prospettiva non ha senso colpire con sanzioni penali il comportamento del consumatore, la cui devianza viene determinata e potenziata dal lato dell'offerta, mentre è verso quest'ultima che si deve concentrare una politica rigorosamente repressiva. Si persegue così la finalità di tenere lontane le droghe dall'uomo, prima ancora che l'uomo dalle droghe".
Se si confrontano i testi degli accordi internazionali che all'epoca regolavano il traffico e il consumo delle droghe, si comprende anche come le scelte attuali, depenalizzanti da un lato e, volte a reprimere dall'altro, fossero quasi unanimemente condivise ed accettate anche a livello internazionale( si veda a questo proposito l'art.36,comma I, lettera b della Convenzione Unica come risulta modificato dal protocollo di emendamenti del 1972 e l'art.22,comma I,lettera b della Convenzione di Vienna)..
L'altro punto fermamente voluto e condiviso dalle varie forze politiche tendeva alla creazione di un complesso di organi che avessero finalità di prevenzione, cura e riabilitazione.
Su questo, infatti, la legge n. 1041 del 1954 si limitava a cio' che era contenuto nell'art. 21 e cioè: "il pretore, su richiesta delle autorità di pubblica sicurezza o di qualsiasi altro interessato e previo accertamento medico, ordina il ricovero in casa di dalute o di cura o in ospedali psichiatri-
ci, perchè sia sosttoposto alla cura disintossicante, di chi, a causa di grave alterazione psichica per abituale abuso di stupefa-
centi si rende comunque pericolo a se' e agli altri o riesce di pubblico scandalo".
Ma il grave limite della legge n. 685 del 1975 e' stato proprio quello di non aver saputo poi rendere effettivamente operanti le strutture di assistenza e cura per i tossicomani da questa delineate. Tra queste erano previsti organismi importanti che in questi anni non hanno mai ben funzionato. In tal senso ricordiamo i comitati regionali per la prevenzione delle tossicodipendenze con compiti di coordinamento e controllo sugli organi e gli enti abilitati alla prevenzione (articolo 90, comma 1) e i centri medici di assistenza sociale costruiti secondo le necessita' locali (articolo 90, comma 2). Numerosi altri interventi non sono stati attuati nonostante i consigli regionali potessero costituire, secondo le esigenze del caso, centri medici di assistenza sociale (articolo 92, comma 1) composti da medici, psicologi, assistenti sociali ed educatori aventi specifica competenza, per operare interventi specifici di cura e riabilitazione dopo l'accertamento della condizione di tossicodipendenza dei soggetti in q
uesione.
Gli interventi dovevano essere caratterizzati dall'individualita' dei tossicodipendenti: inveve - quando ci sono stati - si sono dimostrati prevalentemente indistinti e massificanti. Questa carenza endemica ha portato inevitabilmente a che nascessero, in ambito extra-istituzionale, organizzazioni private religiose e laiche.
Infatti i tossicodipendenti ora venivano affidati agli ospedali psichiatrici, ora a centri regionali per la prevenzione e cura delle tossicomanie, ora a centri per la tossicosi da stupefacenti istituiti presso gli enti ospedalieri mentre, altrove, ci si era limitati a prevedere l'istituzione di organi di studio con compiti di prevenzione generale e di informazione.
LE INDICAZIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Che lo scopo della 685/75 fosse quello di prevenire e recuperare e che in questo senso dovessero operare le Istituzioni è stato ribadito più volte dalla Corte Costituzionale.
Da un'analisi delle pronunce giurisprudenziali sulla legge 685 del 1975 relative ai problemi interpretativi emersi in sede di applicazione della normativa antidroga è facile notare come una particolarissima attenzione viene attribuita a questi problemi.
Con la sentenza N· 31 del 22 febbraio 1983 (ribadita con l'ordinanza N· 243 del 6.7.1987) la Corte ha dichiarato infondata la questione di legittimità delle disposizioni che, per quanto riguarda la prevenzione, la cura e la riabilitazione degli stati di tossicodipendenza, hanno assoggettato le Regioni e le Province autonome "alle direttive, all'indirizzo ed al coordinamento del Ministero della Sanità" ed hanno attribuito allo Stato la potestà di stabilire "i criteri di indirizzo e di coordinamento".
Questa scelta che solo apparentemente può essere considerata marginale è, di contro, rappresentativa della manifesta volontà da
parte della Corte di sottolineare la particolare valenza di que-
sti aspetti della normativa antidroga.
Parimenti infondata è stata ritenuta la questione di legittimità degli articoli 103 e 107 della L. 685 del 1975, che danno facoltà al Ministero della Sanità di utilizzare direttamente "in caso di carenza degli organi regionali", i fondi assegnati alle Regioni per l'attività di prevenzione, cura e riabilitazione; ovvero di istituire con proprio decreto, qualora i consigli regionali non vi provvedano nel termine prescritto,"i centri regionali medici e di assistenza sociale". Ed infatti la creazione di centri rientra negli obblighi internazionali assunti dallo Stato di adottare le misure opportune per la lotta alla droga; questi costituiscono quindi una attività dovuta che legittima il potere sostitutivo dello Stato. L'utilizzazione dei fondi è, infatti, una manifestazione dei poteri di vigilanza e controllo propri dello Stato. Le citate sentenze, seppur di carattere settoriale per le specifiche questioni di legittimità sollevate dal giudice di primo grado, lasciano con evidenza apparire la volontà della C
orte Costituzionale di esprimere una parola chiara sul problema del recupero e della prevenzione anche a fronte di questioni di indubbia rilevanza e delicatezza costituzionale come il rispetto della autonomia degli Enti Locali e delle Regioni ed in ispecie di quelle a statuto speciale.
Le citate sentenze sono state il preludio ad alcune pronunce molto più mirate riguardanti sempre questo argomento.
L'esigenza di un intervento legislativo globale in tema di lotta alla tossicodipendenza è stata prospettata dalla Corte, con una pronuncia di evidente carattere "monitorio", nella sentenza 22 novembre 1988 n.1044. La Corte, respingendo le eccezioni di costituzionalità avanzate dalla regione Emilia Romagna avverso il decreto legge 1 aprile 1988, n. 108, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 giugno 1988 n. 176, ha ritenuto legittima la erogazione da parte del Ministero dell'Interno di contributi a comuni, unita' sanitarie locali, associazioni di volontariato e privati allo scopo di sostenere le attività per il recupero ed il reinserimento sociale dei tossicodipendenti; legittimità ritenuta in considerazione delle finalità di supera-mento dell'emergenza droga che hanno motivato l'emanazione del provvedimento legislativo.
Tanto affermato, la Corte rileva però che la lotta alla tossicodipendenza esige urgenti interventi legislativi da adottare in base ad una strategia generale di carattere socio-sanitario, coinvolgente competenze di autorità nazionali e locali nonchè private e pubbliche. "La legge -afferma la Corte- dovrà cogliere i mutamenti intervenuti a dare soluzioni efficaci sul piano della lotta al mercato della droga e su quello della prevenzione, della cura e della riabilitazione con conseguente apprestamento di ser-vizi sanitari e sociali diffusi sul territorio e capaci di rap-portarsi alla situazione del tossicodipendente e del consumatore di sostanze stupefacenti".
Appare incontrovertibile la scelta di campo ed anche di prospettiva e di indirizzo che la Corte vuole dare con questa sentenza, operando un prospettiva di riforma della legge n. 685. Le indicazioni si fondono su due principi fondamentali: rafforzare la lotta agli spacciatori e attrezzarsi in maniera efficace sul piano del recupero e della prevenzione.
La Corte non solo non prende in considerazione (nel momento in cui decide di dare anche un indirizzo per il futuro atteggiamento da seguire) la possibilità di colpire il tossicodipendente, ma ad-
dirittura indica al legislatore la necessità di sviluppare un cam-
po che evidentemente è stato tenuto in scarsa considerazione: quello del recupero e della prevenzione.
Infatti la disciplina dettata dal decreto legge 22 aprile 1985, n.297, valida per il triennio 1985-1987, prorogata dal decreto legge 108 del 1988 citato per il triennio 1988-1990 è immune da censure di costituzionalità, secondo la Corte, solo in quanto disciplina transitoria.
Ne concludono i giudici sempre nella citata sentenza che:
"Il ritardo di una legge oltre ogni ragionevole limite di tempo renderebbe definitiva l'attuale disciplina che, siccome diretta solamente a superare l'emergenza, risulterebbe essenzialmente o gravemente inadeguata anche in relazione al ruolo collaborativo delle autonomie locali, onde questa Corte, se nuovamente investita della materia, potrebbe riconsiderare diversamente la questione e trarne le eventuali conseguenze".
LA MODICA QUANTITA' ED I "SUOI AMICI"
luglio 1980 l'allora Ministro della Sanità, il socialista Aldo Aniasi, si esprimeva in un'intervista rilasciata a La Repubblica; "anzitutto proponiamo di precisare senza equivoci cos' è la 'modica quantità', uno dei punti generici dell'attuale legge che finisce per lasciare troppi margini discrezionali alla magistratura" continua Aniasi "(...) depenalizzare la canapa per il piccolo consumo vuol dire insieme accentuare i rigori della legge, le energie della polizia, verso i grandi spacciatori, verso quelli che tirano le fila del mercato che sono poi gli stessi sia per la marijuana sia per la ben più temibile eroina".
Nel Psi questa certo non era una posizione isolata. Sempre nel luglio del 1980 L'Avanti intitolava così un articolo: "Vasti consensi all'iniziativa Aniasi - Droga: un impegno che colma la flagrante assenza dello Stato". Nell'articolo tra l'altro si leggeva: "Le ragioni della depenalizzazione sono note: da una parte significa prendere atto che la nocività dei derivati della canapa è uguale a quella di alcool e tabacco, dall'altra spezzare il circuito tra il mercato clandestino delle non-droghe e quello dell'eroina (...) possiamo sperare di combattere il mercato nero che è il vero responsabile della morte per eroina, di spezzare il circuito che obbliga i tossicodipendenti a trasformarsi in spacciatori ed in piccoli delinquenti pur di procurarsi la sostanza necessaria" (5 luglio 1980).
Su questa posizione qualche socialista aveva addirittura posizioni più avanzate di quelle di Aniasi. Senza richiamare le note posizioni di allora espresse da Martelli (che nel 1979 assieme ad altri socialisti aveva firmato la proposta di legge Teodori per la distribuzione controllata della droga e la liberalizzazione della cannabis), ricordiamo Mauro Seppia che il 30 settembre 1980 presentava una proposta di legge (atto Camera n. 2030) che oltre a riformulare le tabelle della legge n. 685 del 1975, prevedeva la depenalizzazione del consumo e della detenzione di haschish e marijuana fino a 10 grammi (art.10).La proposta veniva motivata nella presentazione al testo con cui si soteneva che l'obiettivo da perseguire era quello "di non criminalizzare chi faccia uso personale" di sostanze stupefacenti. Nello stesso tempo è necessario liberare il consumatore dalla discrezionalità connessa alle caratteristiche della modica quantità della dose detenuta. Tale indeterminatezza della fattispece del reato e quindi
dell'entità della pena ha determinato ingiustificabili disparità di trattamento in sede giurisdizionale (...)".La proposta di legge veniva sottoscritta tra gli altri anche da Labriola e Raffaelli.
Il 19 aprile 1984 i socialisti presentavano un nuovo disegno di legge (atto Camera n. 1606) per introdurre norme quadro in materia di tossicodipendenza; primo firmatario Formica, tra gli altri Artioli, Aniasi, Marianetti, Piro, Di Donato e Spini.
Sulla questione della modica quantità il disegno di legge riproponeva le proposte espresse nel testo di Sappia, ora coofirmatario del nuovo disegno di legge: l'art.109 testualmente recitava "Non costituisce reato l'acquisto o la detenzione di canapa indiana, in quantità non superiore a 10 grammi. Per quantità comprese tra i 10 ed i 100 grammi si applica la multa da lire trecentomila a tre milioni.
Per quantità superiori ai cento grammi si applica la multa da tre milioni a lire trenta milioni e nei casi gravi, la reclusione da due a sei anni, congiunta alla pena pecuniaria".
Forse è utile qui ricordare anche alcune delle posizioni che altri della maggioranza, che oggi difende la linea Craxi, in un passato recente avevano assunto. I liberali si erano subito caratterizzati con le proposte che Altissimo, nel 1979 ministro della sanità, tentò di portare nell'ambito del Governo e di legare alla riforma sanitaria che stava prendendo il via: "Se trovassimo il sistema per la somministrazione controllata dell'eroina da parte delle strutture pubbliche potremmo bloccare l'espansione del fenomeno e si ridurrebbero i delitti contro la proprietà". La proposta fu formalizzata con il disegno di legge Zanone-Altissimo presentato il 26 dicembre 1980. Questo prevedeva la non punibilità di "chiunque acquisti o detenga sostanze stupefacenti o psicotrope per farne uso personale non terapeutico a condizione che la quantità delle sostanze medesime non ecceda le 4 dosi massime individuali giornaliere"(art.1) e stabiliva le modalità di somministrazione controllata dell'eroina (art.6) anche all'inter
no delle carceri (art.8).
Sempre nel 1980 i repubblicani presentavano un disegno di legge (Olcese, Mammi' e Dutto: atto Camera n. 2035) per la costituzione di centri per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti. Oggi i repubblicani sostengono l'obbligatorietà del trattamento di recupero alternativo alla detenzione, allora sottolineavano il pieno rispetto della libertà personale del tossicodipendente (art.5) e la possibilità insindacabile d'interrompere il trattamento in qualunque momento (art.7)
Molto più recenti e sorprendenti le posizioni della Democrazia cristiana che con il disegno di legge Bompiani del 22 luglio 1987 (atto Senato n. 277) tentavano di modificare sostanzialmente la legge n. 685 del 1975. Restando sull'argomento della modica quantità, il disegno di legge democristiano all'articolo 92 prevedeva che non era punibile "chi acquista o detiene senza titolo legittimo sostanze stupefacenti o psicotrope allo scopo di farne uso personale, purchè non in quantità superiore a quella assunta abitualmente dal soggetto in questione nelle 24 ore o, in caso occasionale, in quantità non superiore alle dosi medie efficaci delle sostanze suddette". Il disegno di legge era firmato anche dalla senatrice Jervolino.
Il problema rimase irrisolto non solo perché la varie proposte di legge non furono mai approvate, ma anche perché neppure la Corte Costituzionale è riuscita a dare un'interpretazione al concetto di 'modica quantità': una prima volta ha ritenuto inammissibile la questione per la mancanza di elementi idonei ad identificare l'intervento richiesto alla Corte dai giudici rimettenti (sentenza N.170 del 26/10/82), una seconda volta ha rilevato che spetta al Parlamento determinare il contenuto dell'espressione essendo questa assolutamente discrezionale (sentenza N.136 del 16/4/87). Sull'argomento non è stato d'aiuto neppure l'intervento della Corte di cassazione che ha ritenuto legittima la punizione inferta a chi detiene per uso personale quantità 'non modiche', sostenendo da un lato la differenziazione dallo spacciatore di 'modiche quantità', ma sottolineando dall'altro la legittimità della pena per il pericolo oggettivo rappresentato dalla possibilità di circolazione di una maggiore quantità di droga (sent.
N.152334 del 18/2/82).
Certo non corrisponde alla realtà del dibattito attribuire la previsione della modica quantità a chi ha sostenuto prima della legge n. 685 ed oggi con ancora più chiarezza e detrminazione la necessità di penalizzare e legalizzare.
L'esperienza dei Paesi Bassi
Dal testo presentato ad un convegno di studi da Eddy L. Engelsman, capo della direzione della politica sull'alcool, la droga ed il tabacco del Ministero del benessere, della sanita' e della cultura, proponiamo qui i passi piu' significativi per comprendere in quale direzione si muova la politica olandese per circoscrivere il piu' possibile la domanda e l'offerta di droga.
Il principio fondamentale di tutta la legislatura dei Paesi Bassi in materia di tossicodipendenze e' che questa non e' considerata come un problema che riguardi principalmente la giustizia e la polizia. Si tratta piuttosto di una questione di salute e benessere sociali; come tale, la responsabilita' del coordinamento della politica in materia di droga e' di competenza del Ministero gia' citato.
Si e' molto discusso circa il carattere liberale e antirepressivo dell'Olanda nei riguardi dei tossicodipendenti. Nei criteri fondamentali di tale politica, c'e' l'intento di separare il mercato delle droghe pesanti da quello delle droghe leggere. Secondo il Ministro della giustizia in questo modo si mantiene la vendita dell'hashish al di fuori del giro della grande criminalita'. Evitando di criminalizzare i giovani si impedisce loro di cadere nella illegalita'.
D'altronde la politica di depenalizzazione della cannabis non ha certo creato un eccessivo espandersi del suo consumo: basta osservare i dati a proposito. All'inizio di quest'anno, l'Universita' di Amsterdam ha studiato un campione rappresentativo di oltre 4.000 abitanti in Amsterdam dai dodici anni in su. A tutti e' stato chiesto se nell'anno precedente avevano fatto uso di cannabis anche una sola volta. I risultati hanno detto che una media del 5,5 per cento aveva assunto della cannabis nel mese precedente l'intervista. Tale percentuale era piu' elevata nella fascia di eta' tra i 23 e 24 anni: il 14,5 per cento.
Questo sta a dimostrare come anche in condizioni di facile disponibilita' e di relativa assenza di condanna sociale, la popolarita' della cannabis sia piuttosto bassa.
Come noto in tutto il mondo ad Amsterdam si possono acquistare hashish e cannabis in circa duecento negozi. Il prezzo delle droghe prodotte cosi' facilmente e con poca spesa e' piuttosto basso, tra i quattro e i cinque dollari al grammo, circa la meta' del prezzo di citta' come Roma o Milano e un terzo di quello di Francoforte o Berlino. L'Olanda si pone in quest'ottica deliberatamente non repressiva partendo dalla lucida analisi dell'esperienza degli altri paesi europei.
A livello internazionale, infatti, la maggior parte degli Stati pretende di avere una morale rigorosa e delle norme etiche irreprensibili nei riguardi dei tossicodipendenti.
Va da se' che questo atteggiamento non comporta, e non ha mai comportato, un'effettiva diminuzione del consumo di droga.
Oltre a cio' e' estremamente rischioso tentare di unificare in un solo approccio mondiale gli esperimenti di una legislazione unica, per destabilizzare il traffico ed il commercio di droga. Un tale indirizzo, infatti, non potrebbe evidentemente tenere conto delle diversita' culturali ed economiche fra tutti i paesi interessati. Si potrebbe cosi' pervenire solo a delle parvenze di soluzioni per risolvere il problema della droga nei diversi paesi.
L'Olanda ha avuto il merito di porsi una domanda essenziale: quale margine di discrezione esiste per giungere ad una sistemazione dell'attuale politica in materia di droga?
Qual'e' l'atteggiamento dell'Olanda rispetto alla legalizzazione? Una lotta piu' intensa contro le droghe illegali costituisce una scelta estrema. La scelta estrema sul versante opposto sarebbe la legalizzazione.
Chiedere la legalizzazione non significa ne' negare ne' minimizzare gli effetti della droga. Al contrario, gli aspetti sanitari rivestono un'importanza fondamentale.
Evidentemente non si sa in quale misura il consumo di stupefacenti aumenterebbe o diminuirebbe in tali circostanze. Ma il carattere del problema della tossicomania potrebbe assumere un aspetto meno nocivo in una situazione decriminalizzata o depenalizzata, e questo significa tutt'altro che una situazione "libera".
Secondo Engelsman vi e' una netta differenza tra una politica che tende a scoraggiare il consumo ed una politica che criminalizza il consumatore. Tale approccio puo'essere comparato alla politica olandese nei confronti dei prodotti della cannabis. Nel 1986 su di una popolazione di 14.700.000 olandesi, vi sono stati 18.000 morti causati dal tabagismo, circa 2.000 decessi sono derivati direttamente da un abuso di alcool e soltanto 64 cittadini olandesi sono morti per consumo di droghe.
"La societa' reagisce a questi dati in modo abbastanza sorprendente" ha dichiarato Engelsman "sembra si possa vivere con i propri problemi di alcool e di tabacco senza reazioni emozionali e senza il timore che la nostra civilizzazione e la nostra societa' occidentale siano in pericolo, cosi' come sostengono alcuni capi di governo. Ma ci si rifiuta di accettare che la droga provochi soltanto un numero insignificante di morti".
Dal punto di vista sociale, Engelsman mette in guardia rispetto al fatto che il rifiuto dei tossicomani da parte della societa' puo' anche incoraggiare o rafforzare determinanti stili di vita.
La repressione nei confronti dei consumatori che fanno un esperimento e semplicemente dei consumatori puo' avere lo stesso effetto. Ecco perche' la prevenzione deve eliminare il fascino e l'idealizzazione infondata che il consumatore di droga suscita. Il fenomeno della droga deve essere spogliato dei suoi aspetti essenziali ed emozionali e prestarsi maggiormente ad una discussione aperta.
Per quel che riguarda la politica dell'assistenza, gli anni '80 hanno segnato una notevole differenza dai precedenti. Sono stati contrassegnati dall'apparizione di una nuova filosofia del trattamento che poneva l'accento sulla situazione di svantaggio dei tossicomani. Qui il Governo ha sempre piu' incoraggiato le forme di assistenza che non miravano in primo luogo a mettere fine alla stessa tossicomania, ma che tentavano di aiutare i tossicomani ad avere una funzione nella societa'. Il fatto che il tossicomane non possa rinunziare alla propria droga e' provvisoriamente accettato come una realta'. Questa forma di assistenza puo' essere definita come una "limitazione dei danni" o, piu' tradizionalmente, come prevenzione secondaria o terziaria.
In realta' la politica di normalizzazione nei Paesi Bassi sembra avere creato un contesto nel quale i tossicomani appaiono piu' come dei cittadini olandesi disoccupati che come mostri minacciosi per la societa'.
Anche per quanto riguarda la lotta all'AIDS l'esperienza olandese e' davvero significativa.
La cosiddetta politica olandese di "assunzione dell'onere" ha fatto si' che la rete dei servizi di assistenza riesca a raggiungere la grande maggioranza dei tossicodipendenti. Ad Amsterdam, dal 60 all'80 per cento dei tossicomani sono coinvolti in qualche forma di aiuto. La grande accessibilita' e' molto favorevole, in particolare perche' una condizione assoluta per prevenire l'AIDS risiede nel poter rimanere in contatto con i tossicomani.
La prevenzione dell'AIDS mira al cambiamento degli stili di vita. Si insegna ai tossicomani a limitare il piu' possibile i rischi sia per quel che riguarda l'uso delle siringhe che per i rapporti sessuali.
Infatti in Olanda solo l'8 per cento del totale degli 805 malati di AIDS sono tossicomani (al 1 ottobre 1988). In Europa tale percentuale e' del 23 per cento (al 30 giugno 1988).
Un ultimo punto che vale la pena di considerare del rapporto di Engelsman e' quello che riguarda la criminalita'.
La politica di normalizzazione in Olanda non ha prodotto un tasso piu' elevato di criminalita'. Dopo un rialzo generale, la criminalita' registrata si e' stabilizzata a partire dal 1984. In confronto con numerosi altri paesi europei, il tasso di criminalita' e' anche piu' basso.
Il caso di Liverpool
Quasi a contrastare la politica di repressione attuata in tutta la Gran Bretagna, e' necessario ricordare, come stimolo a seguire una strada diversa e "alternativa" l'esempio del Maryland Centre di Liverpool.
Come scrive Carlo Gallucci nell'espresso del 19 novembre 1989, il centro offre un servizio pubblico basato sulla legalizzazione delle droghe, e dell'eroina in particolare.
A finanziare il centro che deve far fronte anche all'opposizione del partito laburista e' l'ala destra Tory che utilizza i fondi messi a disposizione dal governo per la lotta contro l'AIDS. Oltre al Maryland Centre, estistono altri sedici centri analoghi sparsi in tutta la regione dove vi lavorano oltre duecentocinquanta persone.
E' facile intuire la motivazione che da' a questi movimenti, ancora limitati ed isolati, la forza per condurre il proprio lavoro. John Marks, psichiatra nell'ospedale di Halton e conoscitore di numerose cliniche per la cura della tossicodipendenza afferma che "il proibizionismo equivale al mercato nero, alla droga sporca, alla violenza ed al crimine organizzato. La liberalizzazione del resto porterebbe verso la tossicodipendenza molti piu' giovani. La strada giusta e' una disponibilita' controllata": la legalizzazione. All'interno del Centro si offrono a che ne fa richiesta siringhe, aghi disinfettanti, preservativi: il tutto insieme ad un piccolo contenitore che servira' a riporre cio' che e' stato usato. Delle 192.000 siringhe distribuite in tre anni ne sono tornate indietro 166.000.
I ragazzi che entrano in contatto con il centro hanno a loro disposizione farmacisti che, dietro prescrizione medica, forniscono loro la droga di cui hanno bisogno, eroina generalmente, in dosi controllate e a prezzi assolutamente ragionevoli rispetto a quelli richiesti dal mercato nero degli altri paesi nei quali vige il rigore penale in materia di traffico e spaccio di stupefacenti.
Perche' e' assolutamente necessario considerare che, a fronte delle gravi soluzioni nelle quali si incorre in tutta la Gran Bretagna per i reati comuni legati alla tossicodipendenza, esiste un evidente desiderio di conformarsi non solo alla richiesta di droga, ma anche alla sua domanda. E questa, come tale, non puo' e non deve passare al setaccio della punibilita' letta come repressione viscerale di un problema che assume connotati ben lontani dall'essere esclusivamente giudiziari e penali.
Deve godere del beneficio della tolleranza, perche' e' solo cosi' che si riesce a stemperare quella attenzione morbosa verso il tossicodipendente che lo allontana da una necessaria fomra di reintegrazione in seno alla societa'. Penalizzare il tossicodipendente equivale ad emarginarlo, a renderlo - se possibile - ancora piu' vulnerabile nei confronti di chi lo esclude, ricacciandolo sempre e di piu' verso un mondo che sa di ghettizzazione, razzismo e paura.
A conferma che questo atteggiamento di "approccio premuroso" come e' stato definito, e' valido e da' i suoi frutti, basta scorrere qualche dato: la sieropositivita' tra gli eroinomani nella regione e' la piu' bassa di tutta l'Inghilterra e, probabilmente, di tutta l'Europa: sei, per milione di abitanti, contro i trentuno dell'area londinese e i ben centosettantuno della Scozia dove vige la criminalizzazione del tossicodipendente.
Nel Merseyside vivono quasi due milioni e mezzo di persone e i sieropositivi fra i tossicodipendenti sono solo quattordici.
C'e' un solo malato di AIDS.
Che altro aggiungere?
(continua nel testo n.988)