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Arnao Giancarlo - 22 novembre 1989
IL CONGRESSO DELLA DRUG POLICY FOUNDATION 1989
Giancarlo Arnao

SOMMARIO: Secondo l'autore la "Drug War" condotta negli Stati Uniti non è diretta a combattere lo spaccio e il consumo di droga ma ad imporre un modello culturale e comportamentale, violando così apertamente la privacy dei cittadini americani. E' lo Stato totalitario che si manifesta attraverso il proibizionismo delle droghe.

(Il manifesto, 22 novembre 1989)

Secondo lo "zar della droga" William Bennet il problema della droga è "una crisi di autorità, in ogni senso del termine". La soluzione? Semplice: "dobbiamo restaurare l'autorità [...]. Dobbiamo costruire più prigioni. [...] Dobbiamo avere più giudici e più PM [...] includendo giudici e PM militari"

E significativo e quasi ironico che, nel momento in cui l'autoritarismo statalista si sta liquefando nei paesi dell'est, nel paese che una volta era il baluardo della libertà un funzionario governativo venga chiamato "zar", e un problema sociale venga affrontato con soluzioni autoritarie degne appunto del tempo degli zar.

Nella "guerra alla droga" degli USA di oggi l'obiettivo non è più quello di protezione dei cittadini dalle conseguenze dell'abuso delle cosiddette "droghe", modulando gli interventi secondo i rischi concreti dei comportamenti, delle circostanze di uso, delle diversità delle sostanze. Apertamente, senza mezzi termini (e qui gli va dato atto di essere almeno onesto), Bennet rivendica allo stato-padrone il diritto di intervenire nella privacy dei cittadini con una imposizione violenta degli intossicanti voluttuari legali (alcol si, marijuana no), al di fuori di motivi razionali, ma in base alla omogeneità con i modelli culturali della maggioranza.

L'analogia con lo statalismo totalitario diventa impressionante se si considera l'atteggiamento dei mass-media. A Washington abbiamo assistito allibiti a sequenze martellanti di "news" sulla "drugwar" in tutte le reti TV. Un esempio tipico: notizie su omicidi in Colombia, omicidio (legato alla guerra fra bande) a Washington (sotto il titolo "città assediata"), e infine la foto con dati anagrafici di una ragazza nera e la scritta "WANTED per possesso di marijuana con intento di distribuirla" - con l'implicita assunzione che chiunque possiede un po' di erba è complice dei crimini che si erano visti prima.

Questo è il clima in cui si è tenuto a Washington il secondo Congresso della Drug Policy Foundation (2-5 Novembre 1989).

Un Congresso, come al solito, ricco di stimoli e di novità.

Il dato più importante è stato lo spazio concesso alla Lega Internazionale Antiproibizionista (di cui era presente anche il Presidente Marie Andree Bertrand), al CORA, e agli eletti italiani nelle liste antiproibizioniste, Del Gatto, Pannella e Taradash. L'orientamento francamente anti-proibizionista era indicato già nella presentazione del Congresso, il cui tema era "Oltre la proibizione - alternative pratiche alla guerra alla droga".

Sui contenuti dfi questo Congresso occorrerà tornare con calma in altra sede.

Nel momento attuale, nell'imminenza della Manifestazione Nazionale contro la legge Vassalli-Irevolino, ci si limiterà a dare una serie di indicazioni sull'evoluzione del dibattito in altri paesi.

Sorvoleremo qui sulle relazioni dall'Olanda, dove la situazione è praticamente immutata: nessun cambiamento di politica, e conferma dei risultati positivi. Fra l'altro, ricordiamo che la mortalità per droga ad Amsterdam ha segnato nel 1988 il dato più basso dal 1982 (40 casi) e le proiezioni per il 1989 prevedono un ulteriore calo.

Un grosso sviluppo di strategie alternative all'approccio proibizionista è in corso in Gran Bretagna, al punto da indurre Cindy Fazey (del centro di Studi urbani di Liverpool) a intitolare la sua relazione "Il sistema britannico non è fallito". La specificità della situazione britannica consiste nell'ampia discrezionalità che il potere politico e legislativo concede alla gestione medica del problema dell'abuso di droga - il che spiega fra l'altro come le strategie alternative si siano potute sviluppare sotto un governo conservatore. In realtà tutte le successive evoluzioni della politica sulla droga sono state determinate dalla classe medica o da autorità locali. Oggi abbiamo moltissimi programmi di scambio siringhe e di mantenimento con metadone, ma anche esperienze di mantenimento con eroina (che in GB è legale) e addirittura con cocaina sotto controllo medico; è in corso anche un esperimento di mantenimento con eroina fumata (che evita i rischi di overdose e di contagio).

I programmi di scambio siringhe si stanno diffondendo in molti paesi. La lezione di New York, dove le siringhe non sono legalmente acquistabili e vi è la più grossa concentrazione di tossicodipendenti sieropositivi in USA (circa 100.000 unità) è stata recepita da molti paesi, anche fra i più rigorosamente proibizionisti, come la Svezia e gli stessi USA (Oregon, NYC e Detroit). Oltre che in Olanda, programmi del genere sono segnalati in Danimarca, Gran Bretagna, RFT, Svizzera e Australia.

A proposito dell'Australia, occorre ricordare che in questo paese il dibattito sul proibizionismo è arrivato al livello dei governanti, che pongono oggi il problema delle droghe assieme a quello dell'alcolismo. Un dato interessante segnalato dall'australiano Mugford è una pur limitata diffusione del crack in quel paese; ma il quadro del fenomeno è del tutto diverso da quello USA, sia sul piano sanitario che su quello sociale; ciò ha indotto Mugford (come già numerosi altri studiosi) a concludere che i drammatici effetti del crack in USA dipendono soprattutto dagli individui che lo usano e dal contesto sociale: "noi non abbiamo in Australia le stesse esperienze degli USA perché da noi non esiste il Bronx". In realtà come è emerso da altre ricerche (Reinarman) il problema centrale del crack non è tanto nei suoi effetti (su cui fiorisce una subletteratura giornalistica completamente priva di basi scientifiche) quanto per i profitti del mercato, che attraggono adolescenti e giovani dei ghetti urbani emarginati

e privi di alternative, e generano (seguendo un modello americano, favorito peraltro dalla libera disponibilità di armi da fuoco) conflitti a fuoco con altri spacciatori. Ed è questa guerra per bande (più degli effetti della droga) che oggi terrorizza l'uomo medio americano.

Alla diffusione del crack non è peraltro estranea la strategia della "guerra totale" di Reagan-Bush-Bennet. Secondo Drucker, il crack si diffonde anche come alternativa alla marijuana, l'unica droga di cui la "guerra" ha effettivamente limitato la disponibilità e aumentato il prezzo. A proposito di marijuana, è stato presentato al Congresso un documento di provenienza non sospetta: il giudice Francis L. Young, capo della sezione amministrativa legale della DEA. Se ne riportano qui alcuni stralci più significativi:

"Non esiste alcun documento in tutta la letteratura medica che descriva un caso di morte da cannabis sicuramente provato"

"La documentazione sulla cannabis abbraccia 5.000 anni di esperienze umane [...]. Ebbene, nonostante questo lungo periodo di uso e il numero eccezionalmente alto di consumatori sociali, non esistono documenti medici attendibili da cui risulti che l'uso di marijuana abbia provocato un solo caso di morte"

"In termini strettamente medici, la marijuana è molto più sicura di molti alimenti consumati abitualmente" (6 settembre 1988)

Queste frasi mi sembrano doverose nel contesto di un dibattito, come quello attualmente in corso in Italia, in cui si insiste a dimenticare che la legge Vassalli-Iervolino non riguarda soltanto i tossicodipendenti (di cui è nostro sacrosanto dovere difendere i diritti) ma anche e soprattutto (in termini numerici) un paio di milioni di consumatori di droghe leggere, che con la tossicodipendenza non hanno nulla a che fare.

Ritornando agli USA, vorremmo chiudere con una storia che è emblematica della selettività culturale e farmacologica dei Crociati Antidroga, cui scopertamente si ispirano oggi i sostenitori della legge iperproibizionista italiana.

Si tratta di una notizia inedita e clamorosa apparsa su The Nation (Oct.30 1989), secondo cui il Governo USA (in base alla Section 301 del 1974 Trade Act, che autorizza il governo a sanzioni punitive verso altri Paesi che danneggiano "ingiustamente" gli esportatori americani) stanno facendo pressioni su quello tailandese per far cessare le campagne antifumo, danneggiando cosi' la esportazione di sigarette USA. Un episodio analogo era occorso nel 1986, quando Reagan aveva indotto il premier giapponese Nakasone ad assicurare alle multinazionali del tabacco il 20 per cento del mercato giapponese, in cambio della copertura militare americana nel Pacifico. E d'altra parte noto (seppure sistematicamente ignorato dalla grande stampa italiana) che il governo USA continua a sovvenzionare la produzione del tabacco.

In realtà, le grandi compagnie produttrici di tabacco contano di recuperare nel terzo mondo (dove la diffusione del tabacco aumenta del 2 per cento all'anno) il calo del consumo (1,5 per cento all'anno) dei paesi industrializzati. Basandosi sui dati americani (390mila morti premature ogni anno derivanti dal tabacco), si calcola che l'esportazione di tabacco USA nel terzo mondo provochi poco meno di un centinaio di migliaia di morti all'anno, contribuendo ad incrementare un fenomeno che è stato denunciato con toni allarmati dall'OMS nel 1986. Più esplicitamente, la massima autorità sanitaria USA, il Surgeon General Everett Koop, ha dichiarato che "la nostra politica commerciale è di spacciare sostanze assuefacenti nei mercati stranieri", e che "mentre ci lamentiamo con i governi stranieri perché fermino l'esportazione di cocaina, il fatto di esportare tabacco è per gli USA il colmo dell'ipocrisia [...]. Considerate questi dati: l'anno scorso in USA 2.000 persone sono morte per cocaina; nello stesso anno le s

igarette hanno ucciso 390.000 persone"

Giancarlo Arnao

 
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