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Dupuis Olivier - 7 dicembre 1989
L'Ungheria e la Comunità europea: "Vilag" intervista Olivier Dupuis

SOMMARIO: "Vilag" intervista Olivier Dupuis, segretario federale del Partito radicale, sulla proposta, avanzata dal Pr al governo ungherese, dell'ingresso dell'Ungheria nella Comunità Europea. "Vilag" (Mondo) è uno dei settimanali più impegnati del paese.

(Vilag, 7 dicembre 1989)

SUBITO, O MAI

L'Ungheria deve presentare quanto prima possibile una richiesta ufficiale di adesione alla Comunità Europea - avverte il Partito Radicale Transnazionale.

Fra le più importanti questioni discusse oggi in Ungheria ne esiste una nei confronti della quale i partiti e l'opinione pubbblica assumono un atteggiamento favorevole, ma che non figura nell'ordine del giorno dei problemi che richiedono un'immediata soluzione. Si tratta della nostra adesione alla Comunità Europea, che appare nei programmi di azione in via di profilarsi come un'ultima tappa della trasformazione avviatasi nella politica e nell'economia. Essa è considerata dai personaggi rappresentativi della vita pubblica come una meta di non immediata realizzazione, che deve essere preceduta da lunghi preparativi, dallo stabilirsi definitivo del cambiamento del sistema all'insegna di una moderna economia di mercato.

Il Partito Radicale Transnazionale ha, a questo proposito, un'opinione completamente diversa. Dei particolari della concezione di un'aggregazione sovranazionale abbiamo parlato con Olivier Dupuis, segretario federale di questo partito. Ricordiamo che il Partito Radicale ha organizzato il suo XXXV congresso alla fine di aprile, a Budapest. Fra i 4000 iscritti al partito ci sono degli ungheresi. Dupuis, trentenne, ha svolto studi di sociologia e di politologia; attualmente è incaricato "ordinario" del partito. E' stato incarcerato nel 1985, per 24 mesi, con l'accusa di rifiuto di prestare il servizio miitare, ed è stato arrestato a Dubrovnik, in Yugoslavia, per distribuzione di volantini che invitavano al rispetto della democrazia, della libertà e del diritto. In questo periodo, è stato candidato nelle liste del partito ecologista belga. Il mondo è minacciato da tre pericoli, professa Dupuis, nei confronti dei quali la difesa militare risulta "drammaticamente insufficiente": l'offesa dei diritti dell'uomo nei

regimi totalitari, la disperazione di milioni di persone condannate a morire dalle disfunzioni del sistema internazionale di oggi, e l'egoismo dei privilegiati dell'Occidente ricco e libero. Queste minacce possono essere affrontate solo a livello internazionale, e richiedono innanzitutto la realizzazione dell' idea degli Stati Uniti d'Europa. Questa, a sua volta, è determinata dal rinnovamento della qualità dell'integrazione europea occidentale con l'incorporamento dei paesi est-europei in via di divenire autonomi.

Ritengo un errore - dice Olivier Dupuis - il fatto che molti in Ungheria considerino l'adesione alla Comunità come una meta. Al contrario, è proprio ora che bisogna saltare sul treno comunitario senza indugiare. Come dimostrano le esperienze, l'adesione è un processo a più gradi: prima occorre una richiesta formale - cosa che Budapest dovrebbe fare subito - ed in seguito, in un secondo tempo, che a nostro parere potrà essere molto vicino, bisogna definire la forma del contratto di adesione. Quindi segue il momento dell'adesione effettiva e ufficiale, completato in realtà con il momento di adattamento: il nuovo membro godrebbe pieni diritti, e al tempo stesso un trattamento particolare nelle sfere e nei termini stabiliti dagli accordi. Questo è avvenuto per tutti i paesi che hanno aderito ai sei paesi fondatori. Per l'Ungheria l'esempio non è, naturalmente, la Gran Bretagna, ma piuttosto il Portogallo, che al momento della ratifica del Contratto di Roma non si trovava affatto in una situazione economica migli

ore di quella attuale in Ungheria.

L.V.:E' vero, ma nel paese iberico vigeva un'economia di mercato che doveva, e deve tuttora, essere resa adatta all'integrazione, mentre in Ungheria non è stato completato nemmeno il regresso dell'economia statale centralizzata e pianificata. Il punto di partenza quindi è fondamentalmente diverso.

O.D.: Lei non è il primo che porta questo argomento contrario; se ricordo bene, non molto tempo fa anche Pozsgay ha parlato di qualcosa del genere. Ammetto, la mancanza del mercato pone serie difficoltà al trapasso, all'adattamento; ma voi avete certi vantaggi che il Portogallo non poteva avere. L'Ungheria in ultima analisi è un paese industriale, oltre all'agricoltura può vantarsi di settori industriali sviluppati.

L.V.: Noi abbiamo un'impressione piu negativa. Ma a suo parere, quali possono essere le nostre aspettative a proposito dell'adesione?

O.D.: Siamo convinti che l'immediata adesione sia un atto inevitabile per superare la crisi al più presto e con il minor numero di spese sociali. Se grandi paesi come la Francia o la Germania federale sono stati pronti a sacrificare una piccola parte della loro sovranità per rafforzare la loro posizione nell'economia mondiale, in unione, che cosa impedisce all'Ungheria di fare un atto simile, ora che questa è effettivamente l'unica sua chance di superare l'isolamento economico? L'adattamento isolato al contesto internazionale di concorrenze cela una serie di rischi, mentre i meccanismi istituzionali della CEE potrebbero proteggere l'economia ungherese contro "l'avidità economica" dell'Occidente, evitando che i settori con un alto potere di concorrenza passino nelle mani degli investitori stranieri, mentre il governo ungherese dovrebbe affrontare il compito di trasformare i settori piu deboli. Il contratto renderebbe possibile, naturalmente, all'Ungheria di ricevere contributi - tramite i fondi separati ad h

oc della CEE - per combattere o almeno diminuire il preoccupante problema dell'emarginazione sociale e della povertà. L'adesione avrebbe anche vantaggi politici. Si riprenderebbe l'immagine di un'Ungheria che ha un ruolo di ponte fra Est e Ovest. Assumerebbero, inoltre, un'altra dimensione anche i problemi delle minoranze: le minoranze ungheresi nei paesi adiacenti diverrebbero quasi minoranze delle comunità europee, il che aprirebbe nuove prospettive per la loro difesa.

L.V.: La sua argomentazione è da prendere in considerazione; pare comunque che il suo punto di partenza sia che l'adesione dipende escusivamente dall'Ungheria, e che a Bruxelles sono in attesa che noi presentiamo la richiesta ...

O.D.: Siamo lungi dal sopravalutare la disponibilità della Comunità Europea, per quanto le affermazioni di sopra sembrino retoriche. Senza dubbio manca la decisione politica; ma a nostro parere esprimere formalmente l'intenzione di adesione favorirebbe la decisione, darebbe uno slancio all'affermazione della volontà politica. Se l'Ungheria prendesse alla lettera le autorità di Bruxelles, queste non potrebbero evitare una netta presa di posizione. Va da sé che a proposito della modalità di adesione andrebbero portate avanti trattative fra due parti pari di diritto.

L.V.: Il fatto che l'Ungheria sia membro del Patto di Varsavia non è una condizione che può mettere in crisi la causa dell'adesione?

O.D.: Il nostro obiettivo non richiede la rivalutazione totale dell'equilibrio strategico d'Europa. Per voi probabilmente è assai piu importante aderire alla Comunità di quanto sia uscire dal Patto di Varsavia. Per costruire la nuova Europa non è certamente necessario distruggere tutto quanto è stato fatto dopo Yalta e che oggi costituisce condizioni con le quali si devono fare i conti assolutamente.

L.V.: Nonostante tutto ciò che lei ha detto, mi rimane un sospetto: l'Europa occidentale esita a prendere sulle spalle il peso dei paesi est-europei con la loro crisi.

O.D.: Per il momento l'interesse principale dell'Occidente è "tenere a freno" l'ebollizione nell'Europa Orientale, allontanando il pericolo degli scrolli. Ma anche questo è segno di un senso dell'Europa comune, in quanto ormai non si può più considerare la parte orientale del continente come isolata dai Dodici, o semplicemente come un territorio di manovre del mercato e dell'economia. Nessuno dei problemi della nostra epoca può essere affrontato con efficienza a livello di Stati nazionali - tale riconoscimento è ancora più urgente alla luce degli avvenimenti recenti. Mentre quindi sollecitiamo l'adesione dei paesi riformistici all'integrazione europea, sentiamo il bisogno, forse ancora più grande, di porre la questione europea come questione della democrazia. Bisogna infatti prevedere che le decisioni che fra alcuni anni determineranno la vita di ogni cittadino europeo non entreranno più nelle competenze delle legislazioni nazionali, poiché nasceranno nei meccanismi legislativi istituzionali della Comunità,

i quali sono completamente privi del controllo democratico da parte degli elettori d'Europa. Senza il controllo democratico dell'apparato esecutivo eurocratico, il 1992 potrà diventare la data iniziale di una decadenza anziché un passo verso l'integrazione. Per questo è importante investire quanto prima il Parlamento Europeo di veri diritti legislativi, e organizzare i preparativi per un nuovo trattato di unione europea nel quale si profilino gli Stati Uniti d'Europa come li sognamo.

V.L.

 
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