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Occhetto Achille - 3 gennaio 1990
Intervento di Achille Occhetto, segretario generale del PCI, al Consiglio Federale del Partito Radicale
Roma, 3 gennaio 1990

Amici e compagni radicali, federalisti, non sono certo segni di crisi, di rinuncia, di disperazione quelli che leggiamo nei tempi nuovi: sono segni di speranza. Speranza e fiducia possono bene accompagnare oggi il nostro impegno e la nostra lotta. Il mondo cambia, cambia rapidamente, si aprono possibilita' inedite. Siamo entrati in una di quelle fasi in cui ognuno puo' sentirsi protagonista, in cui ognuno e' effettivamente responsabile verso tutti gli altri uomini, perche' le sue azioni pesano, contano, possono produrre effetti politici positivi, aiutare soprattutto il nuovo che nasce.

Chi avrebbe mai pensato, solo poco tempo fa, a due messaggi di fine anno come quelli di Gorbaciov e Mitterrand? Ha detto Gorbaciov: "Nel 1988 molti consideravano l'idea della casa comune europea come una sorta di utopia. Adesso se ne parla invece come di una prospettiva reale, mentre ormai la divisione dell'Europa portata dal dopoguerra appartiene al passato". Come non essere, percio' d'accordo con il presidente sovietico, quando afferma poi che gli anni Novanta "promettono di divenire il periodo più fruttuoso della storia della civilta'"?

Ha detto il presidente francese, Francois Mitterrand: "Conto di veder nascere, negli anni Novanta, una confederazione europea nel vero senso della parola, che associera' tutti gli stati del nostro continente in un'organizzazione comune e permanente di scambi, di pace e di sicurezza. Cio' sarà ovviamente possibile soltanto dopo l'instaurazione, nei paesi dell'Est, del pluralismo dei partiti, di un sistema rappresentativo e della liberta' di informazione. Alla velocita' con cui vanno le cose, non ne siamo forse così lontani".

La "velocita' con cui vanno le cose" e' una sfida per tutti. Non si puo andare più lenti delle cose. Lenti, lentissimi, rischiano d'andare i partiti se si mostrano incapaci di interpretare il grande mutamento d'epoca che ci sta di fronte, e quegli elementi "transnazionali" - come voi da tempo avete cominciato a dire - che lo caratterizzano.

Crollano i regimi autoritari e dispotici dell'Est, e prendo l'occasione per rivolgere il mio piu' caloroso saluto ai compagni di quei paesi perseguitati che sono qui presenti. Non e' il crollo degli ideali socialisti, ma di un sistema - autodefinitosi di "socialismo reale" - che ha sommato un vuoto di democrazia alla stagnazione economica. Ultima, drammatica, la vicenda della Romania di Ceausescu, con la quale, per la verità (come abbiamo detto insieme a Pannella alla manifestazione degli esuli rumeni in Piazza Venezia) le cancellerie occidentali hanno intrattenuto cordiali rapporti, Così come, tutto sommato, buoni tornano ad essere i rapporti con quella Cina che vorrebbe oggi rilanciare il "comunismo" poggiandosi sul selciato insanguinato della Tien An Men.

L'Est senza democrazia non regge alle prove della storia. Ma il processo che vi si apre toglie ogni alibi a chi non vuole vedere i limiti della democrazia ad Ovest, a chi vorrebbe che il vento della libertà si fermasse alle frontiere di chi ne ha poca o nessuna, senza toccare quelle di chi non ne ha quanta occorrerebbe.

Consentitemi percio una terza citazione, quella del presidente della Repubblica italiana, che ha trovato le parole giuste per augurare agli italiani un buon anno nuovo. Ha detto Francesco Cossiga che "L'Occidente non deve rinchiudersi in una concezione nazionale ed internazionale statica", che e' "necessario far vincere il diritto ovunque, quel diritto che e' garnzia di liberta', contro la violenza della malasocieta' del crimine e della prepotenza", per concludere: "Anche noi, anche noi italiani, non dimentichiamolo, abbiamo bisogno del vento della liberta'".

Io sono d'accordo con lui. E penso di essere d'accordo con voi, amici e compagni radicali e federalisti, nell'impegno intransigente che dobbiamo assumere per aprire all'Italia, entro questa Europa che si unisce, una nuova stagione di liberta' e di democrazia, per difendere, anzi per fondare, quello Stato di diritto che nella sua pienezza forse non e'mai nato.

La politica, fuori da questi orizzonti, davvero e' ben misera cosa: Di cose politiche misere ne abbiamo ogni giorno sotto gli occhi: Percio' dobbiamo impegnare ogni nostra energia per una autentica riforma della politica. Una riforma che investa la vita dei partiti e dello Stato, che restituisca alle istituzioni rappresentative i loro poteri e al popolo la sua sovranita', che muti radicalmente un sistema politico, come quello italiano, in cui i rapporti di forza che si perpetuano sempre identici, gli equilibri sono ingessati, le alternative sono bloccate. Ricordate la "grande bonaccia delle Antille"? di Italo Calvino? Rischiamo di restare tutti bloccati con le vele che sbattono senza vento, in un'altra grande bonaccia, stavolta non di un mare, bensi di una palude. E quindi credo sia molto importante mettere in discussione il potere, io direi mettere in discussione i poteri. Ritovare quel valore dell'individuo di cui parlava adesso Pannella in quel contesto transnazionale e federalista che e' una delle grandi

innovazioni che tra l'altro il crollo dei Paesi dell'Est e l'apertura di una nuova grande prospettiva politica mondiale ripropone con tutta la propria forza. E io credo che noi oggi siamo a un momento di svolta perche' come in tutti i grandi momenti di svolta della storia il problema vero non e' quello di dare nuove risposte ma di avere la capacita' di porsi nuove domande: e' li' che si segna il passaggio da un'epoca a un'altra.

Da qualche parte si deve cominciare. Si puo' cominciare per esempio dalla riforma elettorale. Non mi pare che l'insieme dei partiti di governo manifesti oggi un grande interesse a decidere quacosa di nuovo. Essi pensano piuttosto a difendere le antiche rendite di posizione, a perpetuare i meccanismi che, tra gli altri, hanno consentito alla Dc di governare senza ricambi ormai per quasi mezzo secolo (siamo quasi al record mondiale). Non possiamo neppure rassegnarci al gattopardismo di quanti pensano che bisogna pur cambiare qualcosa perche' niente cambi...

Percio' voglio dichiarare qui l'interesse e il favore per una eventuale iniziativa referendaria, che puo' vedere impegnato un arco molto ampio di forze, volta a cambiare aspetti importanti del sistema elettorale oggi in uso.

Riforma elettorale, riforma istituzionale, riforma della politica: un grande progetto democratico e di liberta', che puo' essere credibilmente perseguito dai partiti che mettono in discussione la loro forma, e al tempo stesso non si omologano, non si annegano nel brodo caldo dell'attuale sistema di potere. Che mantengano vive e operanti le grandi discriminanti politiche, di valore e di principio: prima fra tutte la questione morale.

Noi comunisti italiani, come sapete, ci siamo impegnati fortemente sulla questione morale. Ma come non ricordare profeti in tempi piu' lontani - i Gaetano Salvemini, gli Ernesto Rossi, che non puntavano il dito accusatore solo sulle disonesta', sulle corruzioni, sulla "malasocieta'": denunciavano gia' qualcosa che appartiene, come un dato negativo, alla piu' lunga storia italina: la permanenza delle classi dirigenti al potere, il trasformismo politico.

Permanenza al potere e trasformismo sono al tempo stesso causa ed effetto di quell'impoverimento democratico, di quel limite alla liberta' dato dall'assenza di alternative, dalla "impossibilita'", esplicitamente teorizzata, di una alternativa.

Percio', creare le condizioni dell'alternativa diventa un dovere politico, e un imperativo morale. Altro che omologarsi, integrarsi nelle vecchie classi dirigenti! Io penso che il nostro comune impegno dev'essere quello di sostituirle, di crearne delle nuove, all'altezza delle sfide che ci vengono dall'Europa e dal mondo.

Su questo punto avverto una consonanza particolare con cio' che voi rappresentate, e con cio' che voi oggi volete essere. Ed e' esattamente questo punto - mi consentirete di affermarlo - che credo dia particolare significato alla proposta da me avanzata, che discutera' il prossimo congresso del Pci: la proposta piu' innovativa, e la piu' contraria ad ipotesi di adattamento, di riassorbimento nel gioco attuale della politica italiana. Una proposta volta a ricollocare una grande forza come il Pci nella storia del mondo, e a creare le condizioni dell'alternativa in Italia. Dunque, per eccellenza antitrasformistica.

In questa battaglia nessuno basta a se stesso. Non sono venuto a proporvi fusioni o confluenze. Sono venuto (dopo le discussioni e gli incontri, che tra di noi si sono infittiti negli ultimi mesi) a ragionare di cose, per misurare e verificare i pensieri comuni, i valori che possono unire, i cammini che possono convergere.

Io non riesco a pensare la "costituente di una nuova formazione politica", all'ordine del giorno del congresso del mio partito se non nel quadro di una piu' grande e generale "costituente" della democrazia italiana. Sono molte le forze che oggi si ripensano e che pensano al proprio rinnovamento in termini costituenti. Voi state parlando questo linguaggio. Che si puo' oggi ascoltare pero' anche nel mondo ambientalista (non a caso anche li' mi sono recato in un importante incontro) e in tanti settori del mondo cattolico. Del resto - voi lo sapete - solo chi mette in gioco se stesso conquista la credibilita' del riformatore autentico.

Se questi processi andranno avanti, non solo si incresperanno le acque stagnanti, ma molte novita' potranno venire a vivificare la demcrazia italiana, si potranno scrivere capitoli nuovi della storia della liberta'.

Anche i socialisti saranno posti di fronte a una scelta impegnativa: o chiudersi nella "partnership a due" con la Dc, escludendo sempre piu' i terzi, quarti e quinti incomodi, continuando il pendolo tra l'arrogante dar lezioni e i tentativi annessionistici a sinistra, oppure decidere di partecipare a questo movimento che sale dal profondio della societa', e investe la cultura, lo spirito pubblico, la politica, la civilta' stessa di un Paese come il nostro che e' indubbiamente ricco, e potrebbe diventare piu' democratico, piu' libero, piu' civile di quanto non sia, piu' regolato dai principi della solidarieta', della giustizia, del diritto.

Penso dunque alle sorti della sinistra possibile. Di una sinistra non monolitica, pluralistica, non soffocata nella morsa dell'aut-aut: o dispersa e subalterna, o ridotta ad uno e sterile.

Bisogna insomma guardare avanti, recuperando un grande passato che ha visto divise culture che possono ambire a ritrovare un contatto fertile. Gramsci e Gobetti per un momento si parlarono: qualcosa e' restato, ma molto si e' disperso. Credo anch'io che deve tornare la memoria, tutta la memoria di cio' che e' stato il grande movimento per la liberta', per la democraziam per il soicialismo. Noi comunisti italiani dobbiamo molto della nostra originalita' ad Antonio Gramsci. Ma ci sono altre parole che dal passato parlano al nostro presente.

Quelle di Carlo Rosselli, per esempio. C'e' una famosa intervista del '29, in cui si chiede a Rosselli di riassumere le tesi fondamentali del suo pensiero. Ed egli risponde: "Dunque io sostengo (...) che il socialismo senza democrazia e' negazione dei fini primi del socialismo. Che il socialismo in quanto alfiere dinamico della classe piu' numerosa, misera ed oppressa, e' l'erede del liberalismo. Che la liberta', presupposto della vita morale cosi' del singolo come della collettivita', e' il piu' efficace mezzo e l'ultimo fine del socialismo. Che la socializzazione e' un mezzo, sia pure importantissimo. Che il socialismo non si decreta dall'alto, ma si conquista e si costruisce dal basso, nelle coscienze, nei sindacati, nella cultura, attraverso, le innumeri, libere, autonome esperienze del moto operaio. Che il nuovo movimento socialista italiano non sara' probabilmente il frutto di appiccicature di vecchi partiti, ma organismo nuovo, sintesi federativa di tutte le forze che si battono per la causa della lib

erta' e del lavoro."

Chiede l'intervistatore: "Superamento del marxismo, dunque?"

E Rosselli : "Si', ma superamento che ne consacra per certi lati il trionfo. Bisognerebbe che distinguessi tra Marx sociologo e Marx in quanto specifico teorico del movimento socialista. Il primo e' immortale e ha permeato di se' e del suo prepotente realismo tutta la scienza sociale moderna: tanto penetrato che puo' vantarsi di contare tra i suoi scolari i suoi piu' acerrimi avversari. Anche la reazione antisocialista si fa oggi in un certo senso, nello spirito di Marx, cioe' con la piena coscienza delle forze che si vogliono incatenare. E tutta la polemica politica e' oggi ancora intessuta per tre quarti su posizioni intellettuali che del pensiero di Marx recano il potente suggello".

Parole che contengono grandi verita'. Non credo si tratti si sostituire, oggi, una teoria con un'altra. Penso pero' che l'dentita' di un partito, di un movimento, di una sinistra che raccoglie le sfide del presente si possa costruire scavando l'alveo nel quale confluiscono tanti fiumi diversi.

E questo piu' grande fiume puo' essere portatore di un "nuovo inizio". La storia della liberta' e della liberazione umana viene da lontano, e non e' certo finita. Anzi, comincia oggi: e' affidata cioe' alle scelte che oggi noi compiamo, con una decisione che riguarda, naturalmente e prima di tutto, la responsabilita' nostra.

Far fronte a questa responsabilita' e' il nostro dovere di uomini che hanno fiducia nel futuro. Per questo, cari amici, cari compagni radicali e federalisti, ho voluto essere qui' presente: perche' ritengo che questa fiducia nel futuro deve fare in modo che questi mille fiumi che fanno il grande alveo della liberta' e dello sviluppo delle societa' in campo non solo nazionale ma transnazionale, deve avere un nuovo inizio e che a questo nuovo inizio tutti siamo chiamati a collaborare.

 
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