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Corleone Franco - 22 gennaio 1990
Mafia: Relazione di minoranza della Commissione parlamentare antimafia
del senatore Franco Corleone

INDICE:

CAPITOLO 1 - La relazione di maggioranza della Commissione Antimafia come compromesso partitocratico.

CAPITOLO 2 - Il caso Contorno

CAPITOLO 3 - Il fallimento dell'Alto Commissario.

CAPITOLO 4 - L'attività "legale" della mafia

CAPITOLO 5 - Mafia e Proibizionismo.

CAPITOLO 6 - Conclusioni.

CAPITOLO 1

La relazione di maggioranza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia come compromesso partitocratico.

A fine luglio 1988 si è insediata la Commissione parlamentare Antimafia. La vicenda della presentazione e della approvazione della relazione annuale da sottoporre al Parlamento per esprimere valutazioni e proposte è emblematica delle difficoltà di funzionamento e di significato della Commissione stessa che si è costituita come tutte le Commissioni parlamentari e in particolare quelle bicamerali, col metodo della spartizione delle presidenze tra i partiti della maggioranza e del partito comunista.

L'attribuzione della Presidenza della Commissione Antimafia al senatore Chiaromonte, esponente della maggiore forza di opposizione, ha dato inevitabilmente ai lavori della Commissione stessa un carattere da unità nazionale contrassegnandoli dalla ricerca estenuante di mediazioni continue, riproponendo analisi scontate del fenomeno mafioso di carattere prettamente sociolo-gico.

Le contraddizioni sono pero' così tante e forti nella realtà, che la bozza predisposta dal Presidente Chiaromonte è stata contrastata dalla DC non nelle parti di riproduzione delle interpretazioni offerte dalle istruttorie giudiziarie ma nel giudizio, peraltro cauto, sull'impegno dello Stato nella lotta contro le organizzazioni criminali, sul ruolo dell'Alto Commissario e sulle connivenze delle amministrazioni pubbliche.

Così sono stati necessari tre mesi per far elaborare a un comitato ad hoc un nuovo testo che ha edulcorato il precedente giungendo al risultato paradossale che al voto contrario di chi scrive già preannunciato sul testo originale, si è aggiunto il voto contrario del gruppo comunista.

Rappresenta una coincidenza straordinaria la presentazione di questa relazione di minoranza nel momento in cui è esploso e sta divampando la polemica sui comportamenti e sui metodi del Prefetto Sica con riflessi giudiziari dagli esiti imprevedibili.

Questa coincidenza permette di svolgere alcune considerazioni.

Ritengo che sia abbastanza curioso (nel senso che questo aggettivo può assumere in riferimento alla mafia e che ha nel dialetto siciliano), il fatto che la relazione annuale della Commissione eluda quanto di clamoroso è accaduto in questo anno e si limiti stancamente a compiere esegesi storico strutturali della mafia.

Proprio per rispondere al compito che la legge affida alla Commissione, si deve offrire invece al Parlamento e ai cittadini una interpretazione e una valutazione di quello che oggi è la mafia e l'antimafia, non sottraendosi ad un giudizio su quanto è accaduto a Palermo con il caso Di Pisa e il caso Contorno, prendendoli anzi come casi esemplari.

Questa relazione di minoranza intende partire da questa analisi che è auspicabile obblighi tutti a fare i conti con i risultati di una politica che dura ormai da anni.

E' tempo di fare i conti con i risultati dei maxiprocessi, delle tesi e dei teoremi che sottostanno ai maxiprocessi stessi; è tempo di fare i conti senza anatemizzazioni contro il Presidente Corrado Carnevale con le decisioni della Cassazione, ma anche con i giudi-zi di secondo grado (ad esempio quello del maxiprocesso 2).

Ed è proprio il numero delle assoluzioni che deve far riflettere sulla validità di quel giudizio che la relazione di maggioranza indica come efficace a comprendere il fenomeno, cioè essere la mafia una unica organizzazione gerarchico-piramidale a struttura unitaria.

E' questa concezione, peraltro non confermata dallo stesso numero di morti che si registra oggi nella "guerra di mafia", che costringe la maggioranza che ha votato la relazione, inevitabilmente, a richiedere ancora provvedimenti sostanzialmente di emergenza; di richiedere interventi sul problema della droga che si iscrivono nel inefficace universo culturale del proibizio-nismo e di chiedere insistentemente una legge sui pentiti per rafforzare quella che assume il carattere di unica chiave di volta nella lotta contro la mafia.

La relazione di maggioranza ha ritenuto di dover rispondere all'allarme sollevato nell'agosto '88 dal Presidente della Repubblica, se lo Stato avesse abbassato la guardia nella lotta contro il dilagare della criminalità organizzata.

Il risultato non è brillante ma addirittura intimamente contraddittorio per la natura della maggioranza e per la logica del compromesso partitocratico che sottostà ad essa perchè contemporaneamente si sostiene che l'impegno dello Stato è inadeguato e con compiacimento si prende atto della disponibilità, del conforto e del grande impegno nella lotta del Presidente del Consiglio -che si chiama Giulio Andreotti-, del Ministro dell'Interno -che si chiama Antonio Gava-, ed in qualche misura anche dell'Alto Commissario -che si chiama Domenico Sica-.

Anche l'affermazione fatta dal Capo della Polizia che ci troveremmo difronte ad una vera e propria "occupazione del territorio" se presa alla lettera mette in luce gravi, inconcepibili e intollerabili latitanze da parte degli organi dello Stato in presenza di quello che sarebbe non un antistato ma uno stato alternativo.

Questa " esagerazione" rischia di coprire una realtà di potere quarantennale che inevitabilmente ha delle complicità -o per necessità o per volontà- con le organizzazioni criminali.

Quella che io invece interpreto come una metafora ci può consen-tire di comprendere un fenomeno criminale che nelle regioni meridionali presenta una originalità rispetto a fenomeni analoghi che in altre regioni -(la Palma va al Nord, ahinoi) non assumono la stessa valenza pure essendo presenti ed avendo la stessa origine "mafiosa".

Non è sufficiente esprimere generici riferimenti alla riforma delle Autonomie Locali in discussione o vacui appelli ai partiti per una scelta di candidati onesti per le prossime elezioni amministrative, anzi tutto ciò costituisce un alibi utile per coprire le responsabilità di chi avendo per lungo tempo esercitato il potere derivante dal Governo ha vantato omogeneità e complici-tà.

Insomma la Sicilia, la Calabria, la Campania e le città che hanno primati dolorosi di morti, rapine, estorsioni come Catania, Palermo, Reggio Calabria, Napoli, sono associate immediatamente dalla gente ai nomi dei politici che hanno per lunghi anni messo le mani nella città.

Di tutto questo possibile affresco nulla appare nella relazione di maggioranza che preferisce le tinte forti e improbabili di un dominio assoluto ed incontrollato di una autonoma e invincibile criminalità.

E' una visione consolatoria e partitocratica che non è condivisibile.

Il Parlamento non puo' indulgere ad approssimazioni poliziesco-giornalistiche che in apparenza suonano di clamorosa denuncia ma in realta' rischiano di coprire l'effettiva natura dei fenomeni criminali e il loro intreccio con i potentati economici e politici locali. Che significa dire che tre regioni sono "occupate" dalla criminalita' organizzata? Si vuole forse intendere e fare intendere che a Napoli, a Reggio Calabria e a Palermo il potere, il governo della citta' e della regione e' in mano alla camorra, alla 'ndrangheta e alla mafia? Se e' questo che si vuole intendere, ed e' comunque questo che si rischia di far passare, il Parlamento deve respingere decisamente affermazioni cosi' equivoche e devianti: Napoli, Reggio Calabria e Palermo, e le rispettive regioni, sono afflitte e devastate dalla criminalita', ma il governo, il potere locale e' tenuto saldamente nelle mani, come altrove, piu' che altrove, dai partiti, tutti, nessuno escluso, e sia pure in maniera diversa e con diversa responsabilita',

e dai loro comitati d'affari. Sono i partiti che "occupano", come altrove, piu' che altrove, queste citta' e queste regioni, e non la cosiddetta criminalita' organizzata. Questa s'intreccia, in vari modi e a vari livelli, con la partitocrazia e con essa e su essa interagisce, esasperandone le strozzature e insanguinandone gli esiti. Per dirla sinteticamente: da queste parti ci sono certamente piu' morti ammazzati intrecciati alle tangenti, ma il sistema e' lo stesso, e analoghi sono i meccanismi dell'esercizio distorto del potere. Una commissione parlamentare dovrebbe lasciare alla polizia ed alla magistratura il compito di indagare su Michele Greco, Liggio, Santapaola e Cutolo e Piromalli, frenandone se mai la tendenza a costruire e disfare teoremi piuttosto che a cercare riscontri e prove che resistano al controllo della Cassazione, e in proprio dovrebbe occuparsi, piu' di quanto non faccia, del sistema di potere economico e politico locale, quello con cui la criminalita' convive, nella migliore delle ipo

tesi, o all'ombra del quale i criminali prosperano.

CAPITOLO 2

IL CASO CONTORNO

La concessione a Salvatore Contorno degli arresti domiciliari da parte del giudice Guarnotta vuole significare che il "caso" è definitivamente chiuso. Anche l'esito annunciato della perizia sulle armi ritrovate il 26 maggio 1989 nella villetta del cugino Gaetano Grado non ancora pervenuto alla Commissione Antimafia secondo il quale quelle armi non sarebbero state usate negli omicidi accaduti nel periodo di permanenza di Contorno a Palermo durante quella che è stata definita "guerra di mafia", ha giustificato l'uscita dal carcere di Rebibbia di Contorno alla fine dell'anno 1988.

Salvatore Contorno era ristretto nel carcere di Sollicciano a Firenze e il trasferimento a Roma è stato il primo segnale delle autorità per raffreddare le proteste di Contorno contro una detenzione dura ai limiti della segregazione non sopportata perchè ritenuta ingiusta.

Significa tutto ciò un potere di ricatto effettivo? Non lo sapremo mai.

Con pochi commissari mi sono battuto per approfondire gli aspetti sconcertanti della gestione di questo pentito e per condurre una inchiesta vera e propria.

Ritengo utile riprodurre il mio intervento svolto nella seduta del 9 novembre scorso.

"Ho ascoltato il documento che presenta il presidente del gruppo di lavoro, on. Azzaro.

Devo dire che è un documento che ha esposto il lavoro fatto dal gruppo di lavoro con estrema precisione e gliene do' atto.

Sulla conclusione, e anticipo subito il mio pensiero, non sono d'accordo e spiegherò alla Commissione perchè; ritengo perciò che dobbiamo trovare un'altra soluzione. Il 2 agosto si decise, è vero, di svolgere un'indagine preliminare sulla vicenda Contorno, allo scopo di riferire quindi al plenum della Commissione. Oggi siamo arrivati a questo momento previsto, ma la decisione da prendere , anche secondo il documento costitutivo del gruppo di lavoro, era se svolgere o no un'attività d'inchiesta vera e propria.

Questo era scritto testualmente nel documento con cui abbiamo iniziato il gruppo di lavoro; il nostro compito non era di aprire o chiudere un'inchiesta, ma era quello di portare quì alla Commissione la decisione se svolgere o no l'attività d'inchiesta vera e propria. Questa è la domanda alla quale oggi ci troviamo a dover rispondere: se ci sono cioè degli elementi che consentano alla Commissione ( non a un Comitato ristretto o a un gruppo di lavoro) ma alla Commissione di fare un'inchiesta secondo l'articolo 15, 1· comma. E che le cose stiano così è evidente dal fatto che noi come gruppo di lavoro non abbiamo utilizzato i poteri della Commissione; proprio per questo, se non vado errato, noi abbiamo sentito Contorno e lo stesso De Gennaro e La Barbera come audizioni libere, se così vogliamo dire, ma non come testimoni cioè non in attività d'indagine vera e propria.

E quindi mi pare che questa, anche se può apparire una differenza sottile, è invece fondamentale per capire che cosa noi oggi dobbiamo decidere, e allora, se la domanda a cui dobbiamo rispondere è quella che deriva dal testo di inizio del nostro lavoro allora credo che quanto esposto dal Presidente Azzaro sia sufficiente per dire quello che io corroborerò con altri fatti e altre interpretazioni, cioè che dai documenti che noi abbiamo acquisito ci sono elementi sufficienti per svolgere un'attività d'inchiesta vera e propria.

Il caso nasce non dal rientro in Italia di Contorno ma dalla sua andata o dal suo trasferimento in Sicilia, e dal suo arresto, più o meno casuale. Ma nasce da lì. La documentazione che noi abbiamo raccolto è vasta, ricca e può consentire una valutazione che apre un quadro impressionante di coincidenze , concomitanze, garantismo a spiovere in ogni momento: dalle ordinanze e sentenze di concessione della libertà per scadenza dei termini cautelari fino al processo di Termini Imerese, passando, e questo non è irrilevante, attraverso la decisione di annullare il provvedimento che disponeva la non possibilità di soggiorno a Palermo e provincia presa dopo anche una dichiarazione favorevole in questo senso del Questore che si è assunto, in questo modo, grave responsabilità.

Questa vicenda ha quindi , a mio parere, un sapore del tutto emblematico di quello che è il rapporto e la gestione dei pentiti e di quello che in particolare riguarda questa persona.

Indubbiamente se guardiamo le carte troviamo elementi di dubbi ma certamente anche irregolarita' formali da denunciare per quanto riguarda la sentenza del presidente Prinzivalli e possiamo anche non trovarle; certo è che si ribalta la decisione di altro magistrato di un mese prima che negava con altra interpretazione del 272 a Contorno la possibilita' di scarcerazione, ma ancor piu' questa sentenza Prinzivalli e' curiosa perche' demanda alla polizia le modalita' del controllo del Contorno stesso, cioe' non lo lascia in liberta' assoluta e non stabilisce esso stesso magistrato le forme di controllo. Anche questo appare un unicum ritagliato su misura. Quali sono le contraddizioni pesanti a cui noi ci troviamo di fronte? Ve ne dico una perche' sarebbero tante, eccola: il dottor De Gennaro dice che si e' invitato Contorno attraverso la DEA a non venire in Italia, perche' c'era pericolo per la sua incolumita'.

Ammettiamo per vera questa asserzione. Il pericolo per un collaboratore della giustizia, un grande pericolo ad entrare in Italia. Contorno viene ugualmente in Italia e non si attua alcuna forma di controllo, neppure nella forma della protezione perche' se ci fosse stata una forma di controllo o protezione, davanti all'abitazione, negli spostamenti, probabilmente la gita in Sicilia non sarebbe passata inosservata.Anzi ce ne sono state due: una di dieci giorni( non abbiamo appurato chiaramente se in marzo o aprile, perche' ad ogni deposizione viene indicato un mese diverso) e una di 15 giorni in maggio. Quindi Contorno non solo torna in Italia con questa serie di concomitanze create a Palermo: liberazione, nessun impedimento ad andare a Palermo, nessun controllo o protezione nell'abitazione e sola condizione le telefonate bisettimanali e l'obbligo di comunicare ogni cambio di domicilio cosa che Contorno non fa, almeno in queste due occasioni riscontrate. Ma quand'anche tutte le carte, e in realta' le cart

e ci dicono molto, ma quand'anche le carte dicessero che tutto e' in regola o e' stato costruito a regola d'arte c'e' la forza dei fatti con cui la Commissione deve fare i conti ed il fatto fondamentale e' uno, che non e' credibile che Contorno sia andato a Palermo nel luogo dove si svolgeva il massimo di guerra di mafia, in quelle circostanze emblematiche mi pare le definisca il Dottor Meli in una lettera che ci ha mandato - anzi c'e' anche un curioso errore di dattilografia per cui si legge guerra di "magia," corretto a mano in "mafia". Ma, Contorno arriva,dice, per andare a chiedere un prestito a suo cugino e la prima volta ottiene 1.500.000, che Grado nega. Ma ammettiamo che gliel'abbia dato, però Contorno ha avuto in Italia dalla televisione per un'intervista di cui si disse fatta in America e invece fatta in Italia,- 20 milioni e da un'intervista al settimanale" l'Europeo" 5 milioni. Se il problema era soltanto raccattare un milione e mezzo era sufficiente fare un'altra intervista ad un altro giorn

ale; non puo' essere questa la motivazione: qui ci scontriamo con la forza di questo fatto, con la dura replica della realtà.

Bisogna quindi sforzarsi di capire che cosa e' successo. Noi abbiamo questi elementi: mentre Contorno era in America ha ricevuto una telefonata attraverso funzionari dell'Ambasciata americana nella quale gli si diceva che l'Alto Commissario voleva parlargli ed era disposto ad incontrarlo in qualunque posto. Contorno parla con Sica dall'America. Cosa si dicono? Non lo sappiamo: Contorno dice che essendo a" lutto stretto" non puo' parlare e perciò rimanda ad un momento successivo. Ma Buscetta nella deposizione al Dott. Celesti dice testualmente, con riferimento alla frase "è stato pregato di tornare in Italia", per cui ritengo di non essere d'accordo con quanto ha detto il Presidente Azzaro: "preciso che Contorno decise di rientrare in patria per incontrarsi con Sica perche' sperava di poter risolvere i suoi problemi familiari anche con il suo aiuto". Certo, dice anche che l'espressione "e' stato pregato" e' sbagliata perche' lui voleva dire " e' stato cercato". Noi sappiamo, dai documenti che abbiamo,

che il Dottor De Gennaro e lo stesso Sica in Italia hanno continuato a chiedere informazioni a Contorno su quanto accadeva in Sicilia; e Contorno diceva: "io posso darvi informazioni , ma non da qua , posso darvi informazioni se voi mi date aiuto e se io mi posso muovere." Contorno afferma piu' e piu' volte sia di aver avuto queste richieste, sia di aver detto che le informazioni non le poteva avere stando a Roma.

Noi non abbiamo, a questo punto, elementi per poter dire che cosa e' successo. Quello che e' pacifico e' che c'e' stata oggettivamente una" spinta" - questo nella migliore delle ipotesi - perche' andasse a raccogliere informazioni. Forse non c'e' solo questo. Ma possiamo dire, di fronte a questi elementi, che non ci importa cosa e' successo? Possiamo accontentarci del fatto che non c'e' una irregolarita' evidente nella decisione del Presidente Prinzivalli o nel fatto di avergli dato agio di andare a Palermo, di avergli tolto il divieto?

O invece, di fronte a tutto questo noi dobbiamo affermare che ci sono gia' gli elementi per andare a fare una indagine, una inchiesta vera e propria.

In conclusione per Contorno prima nessun controllo, neppure per protezione: mentre oggi nel carcere di Sollicciano ci sono ben 50 uomini destinati solo a lui. E' una contraddizione, in qualche misura. Se e' in pericolo oggi, lo era anche prima, tant'e' che gli si diceva, attraverso la DEA, di non venire. Ma c'e' un altro elemento: noi dobbiamo iniziare l'inchiesta perchè non abbiamo il documento, il contratto, con cui Contorno e' andato in America: da quello noi potremmo capire alcune cose, capire perche' gli e' stato tolto il contributo di 1300 dollari. Infatti avendogli tolto quel contributo, si e'data una spinta decisiva per farlo tornare in Italia, non sapendo lui esprimersi in inglese, sentendosi un" limone usato", sentendosi sbandato, come dice Buscetta. Fra i documenti cosa abbiamo? Abbiamo le telefonate registrate di Contorno. Contorno fa telefonate di estorsione, compie piccole commissioni per il cugino Grado, fa delle cose rilevanti come le telefonate con il Dottor De Gennaro che sono

a disposizione di tutti i colleghi,- spero che le abbiano lette. Una telefonata del 16 maggio, 10 giorni prima dell'arresto, inizia con il Dottor De Gennaro che dice "Professo' come andiamo?" ( Contorno e' a Palermo) e poi il dialogo diventa incomprensibile, perche' Contorno risponde:"mah!, Come andiamo.. Vedi il maltempo che c'e'... Io sono raffreddato e via di questo passo sul maltempo.

Il Dottor De Gennaro chiede "novita'?"," niente ci ho"-risponde Contorno-" da te le sto aspettando le novita'!!" e così via; e poi ancora perche' e' molto lunga, non e'la solita telefonata di routine fra le 17 e le 19.00. "Comunque, io per il momento sono fermo, dopo rivediamo cosa c'e' da fare,... io non ho niente..- dice sempre Contorno- perche' vengono qua come le lumache sotto terra: quando c'e' il bagnato vengono subito tutti fuori"." Ma manco mi puoi dare qualche indicazione, qualche cosa."" Per il momento no, niente " e cosi' via.

Potremmo esaminare le altre telefonate a De Gennaro e a Sica, ma ci possiamo fermare qui. E voi vi accontentate della sentenza Prinzivalli sostenendo che non ci sono irregolarità! Per me ce ne sono. Quantomeno c'è una discrepanza forte; non so se e' una sezione feriale che l'ha fatta, forse no, ma comunque ha delle cose che non vanno, così come quell'assoluzione per il concorso in detenzione di armi.

Io credo che noi abbiamo molti elementi per iniziare l'inchiesta. Voglio solo ricordare un fatto.

Pochi giorni fa alla Commissione e' arrivata la notizia che le chiavi dell'automobile trovate nella roulotte vicino alla casa di Grado dove c'erano armi, eschimo, cartuccera, pistole e munizioni, erano di una macchina che e' stata trovata, due giorni dopo, il 29, con un bossolo Fiocchi calibro 12. Quindi è stata sequestrata perche' e' una macchina indiziata e quelle chiavi trovate nella roulotte aprono la portiera sinistra e avviano il motore. Quindi in quella roulotte c'e' la chiave di volta del caso.

Noi su questo abbiamo avuto dal Dottor La Barbera risposte incredibili: si trovano delle armi in una roulotte e non si sigilla, non si mette sotto sequestro, non si chiama il proprietario.

Ecco: dire allora che tutto va bene, madama la marchesa, a mio parere e' inaccettabile: io ritengo che la Commissione sia in condizione di iniziare l'inchiesta e debba decidere in tal senso".

CAPITOLO 3

IL FALLIMENTO DELL'ALTO COMMISSARIO

Di fronte alla complessita' del fenomeno mafioso, alle molteplici implicazioni di carattere economico e sociale che abbiamo cercato prima di descrivere e che rendono difficile la comprensione del fenomeno in tutte le sue sfaccettature, si e' ritenuto alcuni anni orsono che fosse necessario costituire una alta autorita' in grado di aggregare e coordinare l'azione di tutti gli organi dello Stato impegnati nella lotta contro la delinquenza mafiosa.

L'esperienza di questi anni, e quanto accaduto piu' di recente dopo l'approvazione della nuova disciplina sui poteri dell'Alto Commissario, dimostra senza ombra di dubbio che non solo e' fallito il tentativo di coordinare attraverso la figura dell'Alto Commissario le diverse iniziative delle forze di polizia, ma e' fallito nel suo complesso l'istituto dell'Alto Commissario.

Non e' inutile a questo punto esaminare le difficolta' che si sono manifestate nell'opera di coordinamento svolta dall'Alto Commissario. Nonostante l'ampiezza dei poteri conferiti con la nuova disciplina, la situazione non si e' significativamente modificata. Vi sono anzi molti segni che testimoniano come la capacita' degli organi di polizia di operare in funzione preventiva e sul piano delle indagini attraverso gli strumenti ordinari sia ulteriormente diminuita. A cio' si aggiunga che proprio l'ampiezza dei poteri conferiti all'Alto Commissario e la quasi impossibilita' di un controllo sull'uso che di questi poteri viene fatto, anche per la "disattenzione" del ministro dell'Interno, ha creato a piu' riprese conflitti e polemiche con la magistratura che non hanno certo giovato all'immagine che l'opinione pubblica ha dell'impegno dello Stato contro la criminalita' organizzata. Le recentissime polemiche nei confronti del prefetto Sica sull'uso disinvolto del potere di effettuare intercettazioni telefonich

e preventive a norma dell'art. 226 d. lgs n. 271/89, ed ancora le polemiche roventissime sul caso del "corvo" e sul ruolo giuocato dall'Alto Commissario in quelle circostanze, meritano di essere esaminate con attenzione.

La prima questione e' nata da una comunicazione dell'Alto Commissario tesa ad esplicitare le ragioni giuridiche e di interpretazione in base alle quali riteneva di poter esercitare il potere di effettuare intercettazioni preventive (gia' previste dall'art. 226 sexies del vecchio codice di procedura penale e non riprodotte nel nuovo codice di rito ma consentite in forza dell'art. 266 del d. lgs. 271/89 contenente norme di attuazione di coordinamento e transitorie). L'Alto Commissario giungeva a concludere che l'autorita' cui compete autorizzare l'intercettazione (il procuratore della Repubblica) "deve porsi comunque solo un problema di ragionevoli proporzioni tra i costi del mezzo investigativo prescelto e l'utilita' prevedibilmente conseguibile, attraverso l'ulteriore raffronto con la possibilita' di ottenere analoghi risultati diversamente, attraverso strumenti meno pregiudizievoli per la riservatezza dei cittadini" e "non deve accertare un fatto, ma convalidare l'esistenza di un sospetto".

In occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario presso la Corte d'Appello di Roma il procuratore generale Dott. Mancuso ha contestato il contenuto di quella nota ed ha sollevato numerose critiche all'operato dell'Alto Commissario soprattutto sotto il profilo della legittimita' e della correttezza istituzionale, ritenendo che piu' volte e gravemente siano stati usurpati poteri che la legge e la Costituzione riconoscono solo alla magistratura ordinaria; si e' creata dunque una sovrapposizione ed una confusione di competenze che hanno screditato sia l'istituzione giudiziaria che l'Alto Commissario.

A parere di chi scrive sebbene il decreto legislativo citato abbia conservato l'istituto delle intercettazioni preventive, non si puo' essere d'accordo con Sica nel ritenere che questo possa essere rimesso alla quasi assoluta discrezionalita' dell'Alto Commissario senza quelle garanzie che sono indispensabili nell'esercizio di un'attivita' di indagine cosi' insopportabilmente pregiudizievole del diritto alla riservatezza del cittadino. Le preoccupazioni del Dott. Mancuso sono dunque condivisibili, se non altro perche' fanno riflettere sui rischi cui si va incontro quando gli organi dello Stato iniziano a percorrere la strada dell'emergenza e dell'arbitrio sacrificando cosi' le garanzie costituzionali del cittadino.

Superare la logica dell'emergenza. Di fronte a questi proclami, si rimane sbalorditi se si verifica il comportamento tenuto "sul campo" dagli organi dello Stato. Quanto accaduto nella vicenda del "corvo" di Palermo, la campagna mossa contro il giudice Di Pisa ed il modo in cui in questa complessa vicenda e' entrato l'Alto Commissario debbono far riflettere sul significato di quelle proclamazioni che poi altro non sono che vuoti slogan. La realta' e' stata ed e' ben diversa. Se saranno provate le accuse che sono state mosse al prefetto Sica, in particolare se si provera' che l'Alto Commissario ha operato su di un terreno che e' riservato alle attivita' della magistratura (con le garanzie e l'osservanza delle norme procedurali cui la magistratura e' tenuta) si dimostrera' nella maniera piu' evidente che le osservazioni critiche da noi mosse gia' otto anni orsono al momento della approvazione della legge che istituiva l'Alto Commissario e confermate in occasione della discussione della legge n. 486/88 mod

ificativa di quella disciplina, si sono dimostrate fondate. Gia' oggi, pero' si puo' senz'altro affermare che occorre rivedere il giudizio sulla necessita' oltre che sulla utilita' dell'Alto Commissario.

Il 4 e il 5 ottobre 1988 nell'ambito del dibattito sui nuovi poteri all'Alto Commissario svoltosi al Senato fui l'unico ad intervenire contestando non solo elementi specifici (possibilità di interrogare in carcere i detenuti alla ricerca di nuovi pentiti, possibili conflitti con l'autorità giudiziaria, la formazione di una "intelligence" ecc.) ma la stessa figura dell'Alto Commissario oltre che la persona scelta per questa delicata funzione.

Anche nel voto il gruppo che rappresento nella Commissione Antimafia fu l'unico ad esprimere un parere contrario.

Ovviamente provoca grande soddisfazione rilevare che posizioni di assoluta minoranza vengono oggi condivise da molte altre forze politiche: e' necessario - perche' non assumano il sapore di lacrime di coccodrillo - che segnino però l'avvio di un'iniziativa politica conseguente.

Rimango dell'avviso, e probabilmente in questa valutazione sono ancora solo, che il fatto piu' grave commesso dall'Alto Commissario Sica sia stata l'attribuzione della patente di "Corvo" al dottor Di Pisa.

A questo proposito la Commissione Antimafia si e' assunta una grave responsabilita' quando con una maggioranza da unita' nazionale ha deciso di non ascoltare il dottor Di Pisa che avrebbe potuto illustrare le sue critiche alla "gestione" dei pentiti e chiarire il mistero del ritorno in Sicilia di Buscetta con il dottor De Gennaro della Criminalpol.

Vale inoltre la pena di ricordare che il Prefetto Sica non ha mai chiarito a sufficienza il rapporto con Contorno, cosi' come mai e' stata esaurientemente spiegata la fuga di uno pseudo pentito da una discoteca romana, per non parlare poi del tentativo d'incastrare Badalamenti.

Per queste ragioni ritengo opportuno riproporre quanto gia' - sostenuto in Parlamento quando - in nome dell'emergenza- tutti furono disposti ad approvare in poche ore un provvedimento cosi' grave per i principi e per i guasti che ha provocato.

(...) parlare di mafia in tempi in cui sembra che basti parlarne per risolvere il problema è molto difficile, così come affrontare le questioni legate ad un testo di legge che ci viene proposto sull'onda di quella che è chiamata, senza originalità, l'emergenza, come se la mafia fosse un fatto straordinario e non, prutroppo, un fatto ordinario, di tragica ordinarietà nel nostro paese ed in Sicilia.

E' anche difficile perché, quando si affrontano certe questioni, si rischia di essere criminalizzati se non ci si unisce al coro di giaculatorie, troppe volte sentite, e che mai hanno risolto il problema.

In questa occasione, secondo ormai una lunga tradizione del nostro Parlamento nei casi di reale crisi, di dramma, di tragedia, c'è la tentazione di espropriare il Parlamento dei suoi poteri. C'è sempre una ragione superiore che urge, che preme, per cui non bisogna discutere e decidere nel luogo a ciò deputato dalla nostra Costituzione.

Questo testo, che prevede poteri eccezionali che turbano l'equilibrio costituzionale dei poteri e che intaccano le garanzie e i diritti fondamentali dei cittadini, è da agosto che è in gestazione. E' anche curioso il fatto, come abbiamo ascoltato, che alla gestazione di questo testo abbia partecipato il diretto interessato, giudice-prefetto Sica. E' l'eccezionalità, è l'emergenza! Certo; ma solo negli ultimi giorni, nelle ultime ore, di fronte alla mattanza verificatasi in Sicilia è stato messo all'ordine del giorno per essere approvato senza discussione: addirittura sono state avanzate proposte di esaminarlo in sede deliberante in Commissione. Addirittura non si voleva dare tempo alla Commissione antimafia di esprimere il proprio parere: l'idea era di convocarci per questa mattina impedendo appunto a quella Commissione di dare un parere, su cui indubbiamente avremmo dovuto discutere e del quale avremmo dovuto tener conto.

(...) Infatti, relatore Guzzetti, le Commissioni antimafia nel 1985 e nel 1987 hanno presentato documenti contenenti perplessità sull'istituzione stessa dell'Alto commissario; addirittura si è proposto qualcosa di diverso, si è detto che forse occorreva un'alta autorità politica per andare specificamente ad intervenire con quella capacità che finora non si è verificata.

Nel parere si dice anche che è illusorio tutto ciò senza affrontare la questione preliminare di una lotta di impegno politico complessivo che affronti quella che per molti anni è stata detta "questione meridionale" come questione nazionale. E mai come in questo caso è così: la questione meridionale è la questione italiana e la questione mafia oggi è questione siciliana, calabrese, ma soprattutto è questione italiana.

E dobbiamo renderci conto di questa connessione: questione italiana, ma con prerogative e con incidenza particolari su un territorio delimitato dove maggiormente si esercita la violenza per l'intimidazione, per il controllo sociale, per intervenire più direttamente sul sistema politico locale e forse non solo locale.

La Commissione antimafia ha dato un parere sul modo di affrontare tali questioni e per ammonire di non farsi illusioni con la creazione di un commissario; ha sollevato preoccupazioni per certi poteri esorbitanti e per quelli che mancano.

Allora, anch'io dirò qualcosa su questa contraddizione. Tutta questa sensibilità antimafia dov'era quando si sono aspettati 9 mesi per costituire la Commissione antimafia? Un ritardo enorme! E dov'era (e dov'è oggi) questa sensibilità da parte di coloro che si preoccupavano dei poteri della Commissione antimafia e che oggi poi di fronte a poteri straordinari e reali non dicono niente? E' possibile che si viva sotto il continuo ricatto di dover accettare delle cose per l'emergenza?

Noi crediamo che vi sia la necessità di un dibattito libero. Noi non siamo di quelli convinti della utilità di questa struttura; riteniamo anche che la scelta dell'uomo sia criticabile; ma al di là di tutto questo, ci dà tristezza il fatto di vivere in tempi così incresciosi, per cui tocca leggere sui giornali alcune cose, per esempio, di Giorgio Bocca, di questo genere: "Finalmente lo Stato si è deciso a dare pieni poteri al giudice Sica." Noi diciamo che sono eccezionali, ma che non sono "pieni poteri", ed aggiungiamo per fortuna! Il giudice Sica è denominato da Giorgio Bocca "guida della lotta alla mafia", ma per quale motivo? Ciò che ha fatto a Roma il giudice Sica credo sia stato già ricordato. Egli ha avuto la capacità di correre sempre sul luogo del delitto, prendere l'inchiesta, raccogliere probabilmente molte notizie e molte informazioni e poi lasciarla morire. Alla Camera dei deputati, credo che vi sia una interrogazione che chiede notizie circa 150 procedimenti che si è scoperto essere fermi ora c

he ha cambiato ufficio. In realtà, questi procedimenti non sono mai stati portati a conclusione.

Invece, per Giorgio Bocca, il giudice Sica è "guida della lotta alla mafia"! Inoltre, egli aggiunge che "i nostri" - penso che si voglia riferire ai verdi, ai radicali, eccetera - "insorgono nel nome del garantismo... Non lo sanno che la lotta alla mafia tenuta al livello di un rigoroso formalismo equivale a consegnare il paese alla mafia? Non lo sanno che una dittatura temporanea" - bontà sua! - "è un istituto storico degli Stati che vogliono veramente difendersi da pericoli eccezionali? Lo sanno, ma vogliono fare il gioco della mafia." Questo è il ritornello! Ebbene, questi sono tempi crudeli per l'intelligenza, se si può arrivare a scrivere tali enormità!

Infatti, la mia preoccupazione è proprio questa: noi diamo all'Alto commissario questi poteri eccezionali, poi forse dovremmo vedere i risultati. E se i risultati non ci saranno, di fronte ad una nuova mattanza cosa si farà? Si proseguirà nell'escalation dei poteri eccezionali? Si arriverà appunto a proporre la dittatura temporanea? E' questa la spirale in cui ci si vuole coinvolgere?

Noi non ci stiamo, perché la realtà in cui ci dibattiamo, e che è stata ricordata già in questo dibattito del Senato, è che lo Stato si trova in difficoltà di fronte ad una organizzazione criminale che non ha regole, che può spaziare liberamente, che il suo dibattito lo fa a colpi di kalashnikov e si risolve le questioni che esistono all'interno della mafia a colpi di mitra, perché non risolve solo i rapporti con i rappresentanti dello Stato o con chi combatte la droga come Rostagno, o come tutti quelli che sono stati ammazzati in questi anni. Non usa solo verso gli avversari le armi, ma le usa anche per le lotte e per i conflitti interni: tutto viene risolto in questo modo.

Vi è quindi una grande difficoltà per lo Stato di diritto di confrontarsi; grande difficoltà anche per sapere esattamente che cosa la mafia è oggi. Io, ad esempio, non sono convinto che le interpretazioni sulla struttura di potere o di comando della mafia, che sono alla base del maxi-processo, siano quelle giuste. Anzi, io credo che siano sbagliate. Ritengo che l'ultimo rapporto del SISDE ci dica qualcosa di più e di diverso a ciò che hanno detto i magistrati. Credo, ancora, che la difficoltà l'abbiano avvertita l'altra sera in un'intervista concessa al telegiornale da un magistrato del pool anti-mafia, il quale ha confessato che sono lontani non dalla lettura, ma addirittura dalla chiave di lettura.

Con questa scorciatoia non si aiuta la struttura costituzionale. Addirittura si diffonde la convinzione che lo Stato non serve per combattere la mafia, ma che ci vuole qualcos'altro. Io invece sono convinto che sia proprio la mancanza di uno Stato degno di questo nome a far sorgere e a rafforzare l'"anti-Stato". E' proprio la mancanza di giustizia penale, amministrativa - e poi verremo alla copertura che viene data in questo decreto - ma soprattutto la mancanza di giustizia civile che fa ricorrere la gente, non solo i mafiosi, ma i cittadini all'arbitrato dell'"anti-Stato per avere giustizia. Quando questo non funziona o bisogna aspettare anni per avere giustizia, allora si ricorre a qualcun'altro che è più rapido e più giusto.

Ecco perché non possiamo accettare questa logica di depotenziamento dello Stato e dei suoi organi: polizia, giustizia civile, magistratura. E poi i poteri amministrativi delle autonomie locali: possiamo non affrontare ancora una volta questo discorso dello statuto speciale della regione Sicilia? Non è forse anche lì, in quello statuto speciale, che nascono molti dei problemi della connessione fra potere politico e criminalità mafiosa, visto che lì nascono dei poteri che non sono accettabili?

Allora, diciamo che questo è un gioco di inganno e ricatto della classe politica verso se stessa e verso i cittadini. Infatti la convinzione comune è quella di dare questi poteri, altrimenti la classe politica sarebbe responsabile dei prossimi delitti che le sarebbbero addebitati. E così questi poteri vengono concessi, tanto non succederà nulla. Non è possibile approvare delle leggi gravi e pesanti come i macigni per dire che tanto non succederà nulla; facciamo dei vulnus, delle ferite al disegno costituzionale di equilibrio dei poteri perché tanto diciamo che non succederà nulla e a Sica subentrerà qualcun'altro. Non credo si possa fare tutto questo.

Qual è la mistificazione, signor Ministro? L'Alto commissario viene giustificato dicendo che occorrono i poteri di coordinamento come è scritto nel titolo del disegno di legge, ma per trovare questo coordinamento bisogna arrivare ad un articolo dove si dice che per espletare le funzioni di coordinamento l'Alto commissario, nelle regioni Sicilia, Campania e Calabria (non sappiamo perché solo in quelle regioni, altro è dire che la mafia esiste a Palermo e a Milano, ma a Palermo ammazza in quel modo), previe intese con i prefetti delle province interessate ai problemi da trattare, può convocare apposite conferenze interprovinciali.

E' una barzelletta che il coordinamento siano le conferenze interprovinciali previe intese con i prefetti. Abbiamo presentato un emendamento per togliere queste "previe intese": è chiaro che il prefetto Sica sarà così gentile da fare una telefonata per dire che vuole organizzare una riunione nei locali della prefettura, ma scrivere in questo testo "previe intese" significa un'altra cosa e cioè che il potere di coordinamento è destinato a fallire perché ci saranno poteri che non si vorranno far coordinare come è già accaduto. Per quanto riguarda i poteri di coordinamento, che noi accetteremmo, essi non ci sono e non si sa individuarli, non si sanno definire perché forse le reazioni degli apparati, degli organi, dei corpi - chiamiamoli come vogliamo - sarebbero forti. Allora all'Alto commissario si concedono altre cose, i poteri eccezionali, quelli del testo unico di pubblica sicurezza come la facoltà di chiamare chiunque e interrogarlo, cioè lo si equipara a un questore o a un maresciallo di pubblica sicurez

za, insomma si concede un potere di polizia. Inoltre, si dice che può dare il proprio parere per le licenze di commercio, forse anche per le patenti di guida, vale a dire svolge tutti quei compiti riferendosi ai quali un anno fa la Commissione antimafia ha detto che, esercitati in tal modo dal commissario - non da questo, ma da un altro - si sono rivelati: "discutibili interpretazioni in materia di certificazioni. Tali interpretazioni, secondo il giudizio della maggioranza dei commissari, non agevolano la lotta alla mafia, intralciano le ordinarie attività economiche di più modesta rilevanza, possono trasformarsi in una forma di vessazione delle fasce più deboli della popolazione." Si è arrivati alla proposta di revisione della legge Rognoni-La Torre su tali aspetti e noi ora a questo superman diamo gli stessi poteri, come quello di emanare provvedimenti di confino.

Credo esista una contraddizione tra quanto si va a dire in giro, illudendo la gente, e le scelte che si operano, dando dei poteri che sono eccezionali - badate bene - non per la loro entità, ma perché fanno assommare in una persona poteri che spettano ad altri secondo i principi tradizionali della divisione dei poteri. Assommiamo in una persona poteri di polizia e poteri propri della magistratura, creando le premesse di conflitti pericolosi di cui non c'è bisogno, dato che già esistono situazioni di conflitto testimoniate per iscritto tra chi si occupa della lotta alla mafia: noi andiamo ad aumentarle.

Si dà inoltre all'Alto commissario un potere che a me sembra una sciocchezza. A me sembra assurdo scrivere in una legge che si dà all'Alto commissario il potere di libero accesso nelle carceri. E' una prerogativa che la legge penitenziaria dà ai parlamentari per andare a verificare l'applicazione della riforma: che c'entra con il coordinamento della lotta alla mafia il libero accesso alle carceri? Nulla. Si dice poi che, con le necessarie autorizzazioni, l'Alto commissario può arrivare a fare colloqui con i detenuti. Ho già detto in Commissione che tutto ciò mi sembra ridicolo, dato che qualunque cittadino può chiedere al magistrato o ad altri responsabili di avere un permesso per un colloquio con un detenetuto. Forse si pensa che, mandando nelle carceri il prefetto Sica, all'Alto commissario Sica, qualche ingegnuo detenuto o internato per reati di mafia si metterà a parlare - a me sembra difficile - e quindi, tempo poche ore, all'uscita del carcere si avrà la soluzione di un problema? Si spera di risolvere

così il problema della mafia, rendendo numerosi i colloqui del genere? Pensate sul serio che tali colloqui verranno accettati? Che senso ha questa norma?

Probabilmente la norma ha senso perché l'Alto commissario dovrà andare a parlare con i pentiti: questa è la ragione. Ma si tratta di un problema risolvibile con i permessi che oggi chiunque può chiedere ed avere. Inserire questa norma nella legge significa creare un alone di onnipotenza; un "alone" di onnipotenza, ma non la realtà. Però è un fatto grave, perché il passo successivo, senatore Pisanò, sarà quello che dice lei e la prossima volta - fra tre mesi, sei mesi, un anno - si dovranno aumentare ancora di più i poteri e alla fine si creerà una spirale che non ha nulla a che vedere con lo Stato di diritto. Lei ha anche detto che la mafia non si può combattere così; questa è chiarezza. C'è una contraddizione, invece, in chi afferma di non essere d'accordo, ma fa poi tutti i passi necessari per arrivare a quella soluzione. Ci arriva male, in ritardo e non c'è nulla di peggio di tali azioni compiute dai Crispi che da sinistra diventano "crispini".

(...) In base al nuovo codice di procedura penale, i detenuti devono essere custoditi nelle carceri. Eppure, con un articolo molto generico ma che dice tutto, affermiamo che l'Alto commissario può assumere iniziative per garantire le misure della sicurezza. Egli potrà anche stabilire che il detenuto va alloggiato in qualche altro luogo. Non sapremo più nulla al riguardo e quindi a quel punto i colloqui potranno essere svolti magari davanti a un caminetto, così saranno più facili. Non vorrei che con questo articolo si legittimasse a posteriori quanto è accaduto ad Ascoli Piceno.

La verità è che si spera in un miracolo, si spera cioè che Sica trovi un grande pentito, un nuovo Buscetta e proceda ad arresti clamorosi. Si è ormai convinti - pensate! - che senza un pentito non si batte la mafia e questo è un errore clamoroso. I pentiti fanno sempre credere che diranno qualcosa, ma quello che dicono è poi quasi sempre un'ovvietà. Sono convinto infatti che chi ha governato questo paese è responsabile di aver fatto crescere la mafia e le organizzazioni criminali, molto responsabile; anzi questi due poteri sono cresciuti assieme. Non ci possiamo accontentare delle banalità e delle ovvietà che ci vengono riferite e che sappiamo forse dal 1974. I pentiti dicono sempre una parte della verità. Anche Buscetta lo ha fatto, proprio sui politici; forse sapeva di più, ma proprio sui politici non dice quello che sarebbe più interessante. Ci prestiamo quindi al gioco di una parte della mafia per combattere un'altra parte quando ci affidiamo ai pentiti. Lo Stato deve scoprire i fatti in proprio, con una

propria capacità di intelligence, anzi - diciamolo in italiano - di intelligenza del fenomeno.

Invece noi costituiamo un nuovo servizio segreto. Signor Ministro, dobbiamo essere chiari: lei l'aveva proposto ma le polemiche (purtroppo i morti sono venuti dopo) hanno fatto cadere l'ipotesi del servizio segreto autonomo. In realtà, quello che è uscito dalla porta rientra dalla finestra quando si pensa ad un nucleo specializzato di personale del SISDE e del SISMI che risponde esclusivamente all'Alto commissario e al Ministro dell'Interno, sottraendolo così all'attuale logica dei servizi.

Quando, inoltre, si prevede e si scrive che ci saranno dei fondi riservati, di cui non ci sarà rendicontazione, è come se venisse organizzato un piccolo servizio. Il senatore Pisanò sa che già c'è stato un piccolo servizio che si chiamava affari riservati. Non vorrei che venisse seguita questa via perché già in Italia prolificano i servizi: SISDE, SISMI, l'ufficio I della guardia di finanza, i SIOS delle varie armi, dei carabinieri, l'UCIGOS. La legge n.801 sui servizi segreti dice che le attività di infomazione e sicurezza spettano soltanto al SISMI e al SISDE, ma in realtà le fanno tutti e gli altri continuano la loro attività. Il nostro paese non è un paese candido, ma è un paese di spie e spioni che si rincorrono e che si combattono facendo quelle cose che dovrebbero impedire o controllare. Il nostro paese ha vent'anni di storia e anche di stragi (non ci sono soltanto le stragi della mafia) in cui le responsabilità si intrecciano.

Per questi motivi non credo che ci serva un servizio segreto in più. Quello che ci serve sono i poteri di intervento per un'analisi finanziaria nei santuari delle banche, delle società finanziarie, di intermediazione, della pubblica amministrazione. Questo potere deve essere esercitato ma non con quegli strumenti eccezionali ed illusori che abbiamo ricordato e che comunque mettono a repentaglio le garanzie ed i diritti di ciascun cittadino. La lotta alla mafia è un problema troppo serio per essere risolto con un'operazione spettacolo. Innanzitutto bisogna affrontare la questione della clandestinità del mercato della droga che favorisce i poteri delle organizzazioni criminali e rappresenta un nuovo nodo che ha fatto fare un balzo di potere alla mafia.

Certamente vi sono grandi responsabilità per aver convissuto con la mafia quando quest'ultima poteva essere più facilmente debellata, per averla fatta crescere come mafia dell'edilizia, e come mafia degli appalti, per averla adesso come nuovo potere, come una forza economica che certamente non è solo quella degli appalti per le opere pubbliche. Indubbiamente bisogna ricomprendere anche gli appalti, ma essi servono a legare molta gente nell'espressione del consenso. Servono a legare la popolazione ma non provengono per circa 30.000 miliardi all'anno - forse anche di più - dal mercato clandestino della droga. Ed è in questo campo che bisogna incidere.

Come è possibile incidere nel campo della droga? Si può farlo con la repressione se si è capaci; ma se si fallisce non è possibile continuare a far finta di nulla ed a far crescere questo mostro. Bisogna allora prendere in considerazione altre strade; anzitutto quella di tagliare alla radice il potere clandestino del mercato della droga; quella di rompere questo potere che, proprio a causa del proibizionismo crea un'enorme ricchezza che inquina le attività economiche e la democrazia del nostro paese.

E' questo, signor Ministro, il senso della nostra opposizione. Il problema si identifica nel costruire lo Stato, nel ricostruire e rafforzare lo Stato. Parlo dello Stato di diritto, delle regole, delle garanzie e delle certezze. Bisogna affermarlo nella coscienza dei cittadini, se è possibile di tutti i cittadini. Non bisogna mai far credere che lo Stato abbandona la trincea della democrazia; bisogna accettare il confronto con il livello della criminalità organizzata e della mafia. Non bisogna far credere a nessuno che lo scontro possa essere tra una persona ed un'organizzazione di tale forza. In questo caso lo scontro diventa impari: la sconfitta è inevitabile se l'immagine è questa. non esiste una persona che possa battere da sola un'organizzazione di tale imponenza. Se lo Stato delega ad una persona questa battaglia si prepara solo a quella cultura degli eroi che è il segno della sconfitta delle società.

Allora si potrebbe dire che, se è così difficile cimentarsi in questo confronto, diventa necessario pensare di abbandonarlo, ma questo non è possibile. Non è possibile perché è vero che la palma va al Nord, come ha scritto Leonardo Sciascia, ma in questo caso la palma ha i frutti avvelenati. Non è possibile abbandonare la battaglia, ma bisogna condurla senza retorica. Allo stesso modo senza retoriche - credo che qualcuno lo ricorderà meglio di me - ha combattuto Mauro Rostagno in Sicilia, a Trapani; egli sembrava il più disimpegnato, ma (come ha detto qualcuno) è morto come un bracciante o un sindacalista degli anni '50. Ad ognuno la sua parte, ma noi questa lotta la vogliamo fare tenendo fermo il rispetto delle regole e non facendo credere cose inesistenti, soprattutto non creando illusioni pericolose che ci porterebbero a gravi conseguenze per la convivenza libera e civile nel nostro paese.

CAPITOLO 4

L'ATTIVITA' "LEGALE" DELLA MAFIA

Si e' creduto, ormai una decina di anni orsono, che fosse sufficiente trasferire nella lotta alla criminalita' organizzata metodi di contrasto e di repressione che erano stati applicati nella lotta al terrorismo per ottenere gli stessi risultati che su quel fronte si erano registrati. Ad una analisi cosi' affrettata ed approssimativa, seguiva una pratica legislativa altrettanto superficiale e ancor piu' pericolosa. L'estendersi di una legislazione di tipo emergenziale e l'affermarsi di prassi giudiziarie noncuranti dei valori della certezza del diritto e delle garanzie del cittadino, hanno prodotto e continuano a produrre gravi episodi che, a partire dal noto caso Marino, hanno coinvolto polizia e magistratura con discredito delle istituzioni e conseguente minore capacita' delle stesse di porsi credibilmente come alternativa allo strapotere mafioso.

E' mancata la capacita' di comprendere il fenomeno della criminalita' organizzata, il contesto sociale ed economico in cui opera e si rafforza; non si e' neppure saputo fare, ormai dopo dieci anni, un bilancio dell'uso degli strumenti eccezionali che la legislazione emergenziale ha messo a disposizione delle forze di polizia e della magistratura. In questi anni il fenomeno criminale si e' evoluto anche in relazione ai nuovi strumenti della lotta alla mafia e questa capacita' di adeguamento e' apparsa spesso maggiore della capacita' degli organi dello Stato di comprendere le modificazioni. Si e' prodotta quindi una situazione in cui gli strumenti legislativi sono ormai divenuti armi spuntate per una efficace lotta contro la criminalita' organizzata che ha saputo predisporre le piu' efficaci contromisure, ma agiscono potentemente e spesso indiscriminatamente su settori della societa' non implicati in fenomeni di mafia ma che vivono in zone ad alta densita' mafiosa. In queste zone la vita economica, qualu

nque libera attivita' che abbia il sia pur minimo riflesso economico viene condizionata dalle strettoie che la legislazione emergenziale ha creato. La logica conseguenza di questo stato di cose e' che, lungi dal diminuire, il potere mafioso si estende e si rafforza in quelle zone poiche' attraverso di esso, e non altrimenti diviene possibile operare sul mercato. Il meccanismo, ben noto, merita di essere brevemente illustrato. In un tessuto economico gia' di per se' debole, l'impresa non mafiosa del Mezzogiorno deve fare i conti con una situazione che la penalizza fortemente rispetto ad una qualsiasi impresa concorrente del Nord: la mancanza di adeguate infrastrutture, la penuria di personale specializzato, la diffusa corruzione tra gli amministratori locali, la generale corruzione tra i dipendenti di uffici ed enti e della amministrazione periferica dello Stato; a questo si aggiungono le lungaggini burocratiche connesse al vaglio della "non mafiosita" dell'impresa. Per ultimo vanno aggiunti i maggiori cost

i di qualsiasi relazione con gli istituti di credito che, sia per il "rischio mafia", sia per la innegabile maggiore tranquillita' degli investimenti in altre zone d'Italia, sono estremamente restii nell'accordare crediti e, quand'anche lo fanno, gravano queste operazioni di interessi e di oneri sicuramente non adottati ad esempio in Piemonte o in Lombardia.

Viceversa l'impresa mafiosa non soffre, se non in misura del tutto sopportabile, di questi inconvenienti. Questa si giova di un tessuto di complicita' che le consente di superare ogni ostacolo burocratico compresa la certificazione di "non mafiosita'". Certo, e' stato necessario un adeguamento alla nuova realta': sono cambiati i soggetti titolari, sono cambiate le sedi ed i marchi di impresa, ma e' rimasto intatto il potere intimidatorio dei veri padroni. Connivenze, complicita', ma anche disponibilita' di enormi capitali non gravati dal peso di interessi esosi hanno reso queste imprese imbattibili sul piano della concorrenza anche in mancanza di capacita' imprenditoriali o di tradizioni mercantili anche in quei settori in cui tali qualita' sono essenziali.

Si considerino anche le aperture di credito di cui queste imprese godono anche in assenza di ogni garanzia (a dimostrazione di cio' e' sufficiente citare il clamoroso caso della Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania).

L'intero contesto economico di larghe zone del Mezzogiorno e' investito dal prevalere delle imprese e del capitale mafioso. In Calabria, ed in particolare nella provincia di Reggio Calabria, il mercato dei beni di consumo e' dominato dalle produzioni provenienti dal resto d'Italia poiche' in loco non si produce quasi nulla e le poche produzioni sono legate ad una agricoltura povera e sempre piu' assistita. In questi ultimi anni si e' verificata un'espansione del mercato dei beni di consumo per opera di operatori, legati alla criminalita' organizzata, che hanno aperto nuovi e numerosi esercizi commerciali operando spesso in esclusiva per grandi imprese del Nord. Sempre di piu' il commercio e' cosi' andato in mano a commercianti che sono legati alla 'ndrangheta e che scoraggiano i concorrenti in ogni modo, ovviamente anche con l'intimidazione.

Il fiorire di tanti nuovi esercizi ha coinciso, in Calabria, come in Sicilia, con l'apertura di nuovi sportelli bancari da parte delle grandi banche del Centro e del Nord e con l'acquisizione da parte di queste delle numerose banche private diffuse sul territorio. Una indagine seria e documentata sul significato di questo proliferare di sportelli bancari in zone di mafia non e' stata ancora avviata mentre e' urgente che questa sia svolta anche per sgombrare il campo dai giudizi sommari di chi ritiene probabile il coinvolgimento di questi istituti nel riciclaggio del denaro proveniente da attivita' illecite.

Nell'agricoltura, settore in cui la presenza della mafia e' tradizionale e radicata, si e' registrato in questi ultimi anni un rapido ammodernamento delle strutture d'impresa, l'applicazione di nuovi sistemi colturali e di tecnologia aggiornata nelle varie fasi della lavorazione dei prodotti. Cio' ha riguardato in massima parte le imprese agricole di grandi dimensioni, mentre per la gran parte degli agricoltori singoli tale processo e' risultato impossibile per la difficolta' di accesso al credito (per i motivi di cui si diceva) e per l'inadeguatezza dei terreni che non rendevano possibile un intervento di riconversione delle colture e sconsigliavano perche' antieconomico l'acquisto e l'uso di nuove macchine.

L'agricoltura meridionale e' quindi rimasta in larga parte ancorata a vecchi metodi di lavoro e non e' riuscita a migliorare significativamente la produttivita' per ettaro di terreno coltivato. Dunque solo in grandi aziende si sono applicati metodi di coltivazione innovativi ottenendo cosi' risultati di concorrenzialita' nei confronti della produzione di altri paesi. Una menzione particolare merita l'aumento di aree coltivate in serra, che ha richiesto investimenti ingenti.

CAPITOLO 5

MAFIA E PROIBIZIONISMO

Se ha ragione il sottosegretario di Stato degli Stati Uniti George Shulz che sostiene che non si giungera' "a nessun risultato sino a quando la criminalita' non verra' separata dal commercio della droga e dagli incentivi che da questo derivano", allora tutte le ragioni dell'antiproibizionismo sono piu' che mai valide e vincenti rispetto al fenomeno della mafia. Infatti constatando, come facevamo nel capitolo precedente, lo strettissimo intreccio che esiste soprattutto nel nostro Paese tra mafia, imprenditoria e politica, dobbiamo rilevare che questo ha trovato linfa vitale dagli enormi guadagni che derivano dal traffico della droga controllato appunto dalle famiglie mafiose. Un elementare riscontro di tutto cio' sta proprio nell'enorme e sproporzionato numero di banche e societa' finanziarie presenti in alcune zone del nostro Paese ove il fenomeno mafioso e' particolarmente radicato: basti per tutti citare l'esempio di Trapani dove esiste in proporzione alla popolazione una percentuale di sportelli ban

cari superiore a Ginevra e Zurigo. La mafia dunque non e' soltanto l'organizzazione che garantisce in larga misura il transito della droga nel nostro Paese e che direttamente provvede a fornire altri gruppi criminali, ma e' anche l'organizzazione che piu' direttamente organizza il reinvestimento dei guadagni in attivita' lecite, soprattutto legate agli appalti pubblici ottenuti attraverso la corruzione attuata a tutti i livelli.

La liquidita' offerta dal traffico della droga necessita una particolare attenzione della sua gestione e lo Stato appare totalmente inadeguato al controllo di questa. Negli stati Uniti, ad esempio, si e' vietata l'emissione o la vendita di assegni bancari, assegni circolari, assegni di viaggio o vaglia, per un valore superiore a 3000 dollari, tranne che per il caso di pagamento di clienti o fornitori. Il Ministero del tesoro puo' inoltre chiedere la conservazione di ogni documento necessario per prevenire eventuali evasioni da parte delle istituzioni finanziarie che sono sottoposte ad ammende pesanti nel caso di inadempienza. in Italia, al di la' di ogni altra considerazione sul nostro sistema bancario che appare inadeguato financo rispetto ai piu' normali traffici internazionali e che consente margini di autonomia e "riservatezza" assolutamente incontrollabili (si ricordi il caso della BNL di Atlanta), la latitanza delle istituzioni su elementari provvedimenti, di fatto e' complice con alcune attivit

a' mafiose: cogliamo a tale proposito l'occasione per sostenere ancora una volta che non contingentamento delle somme depositabili sui libretti di risparmio al portatori si presta ad azioni illegali (corruzioni, tangenti, pagamenti in nero etc.) di fronte alla quale il no-comment del Ministero del Tesoro e' inammissibile.

E' impossibile stabilire quanti dei cinquecento miliardi di dollari valutati dal Senato degli Stati Uniti come utile derivante dal traffico della droga, sia gestito direttamente dall'organizzazione mafiosa, ma certo e' che la cifra non solo consente affari colossali ma anche il condizionamento delle istituzioni, della politica e dell'amministrazione dello Stato.

A fronte di tutto cio' i 355 chili di eroina ed i 435 di cocaina sequestrati dalle forze dell'ordine italiane nel primo semestre '88 appaiono come una inezia incapace di scalfire il grande traffico della mafia; i risultati ottenuti dalle forze impegnate nei servizi antidroga sono a fronte del traffico reale talmente irrilevanti da poter essere considerati poco piu' di un semplice imprevisto od incidente. L'enorme potere economico della droga condiziona anche la gestione dei territori e delle aree urbane secondo dei precisi canoni mantenuti sulla base della violenza e della criminalita': si consideri che nel periodo storico della mafia, quella di Al Capone, in una vasta area come quella di Chicago, si sono registrati "soltanto" 80 morti compresi quelli della strage di San Valentino, mentre nel solo '89 in un'area come quella di Los Angeles sono morte 250 persone per fatti legati al traffico degli stupefacenti.

Ci pare utile fare oggi un'osservazione, che potremmo definire inedita, strettamente legata al margine di impunibilita' che verrebbe sancito con la nuova legge sulla droga in discussione alla Camera e che potrebbe direttamente essere gestito dalle organizzazioni mafiose e camorristiche. gli unici non punibili resteranno i minori di anni 14 che gia' in alcune zone come Napoli e Palermo, provvedono allo spaccio delle sostanze stupefacenti.

Con la nuova legge avremo un acuirsi di questa tendenza che verra' ulteriormente legata al fenomeno della tossicodipendenza (uno spacciatore tossicodipendente e' piu' "fidato") e al fenomeno dell'immigrazione dei Paesi Nord-Africani (cosi' come per i pomodori, anche per la droga una persona di colore viene pagata meno).

Abbiamo gia' accenni preoccupanti di questo fenomeno dall'osservazione di alcuni istituti carcerari minorili come ad esempio quello di Casal del Marmo di Roma, dove ad esempio, nello scorso anno, oltre il novanta per cento delle persone detenute erano state arrestate per reati legati alla droga ed oltre il cinquanta per cento di queste erano provenienti da paesi come la Tunisia ed il Marocco. In un prossimo futuro, dunque, mafia e camorra potranno garantire attraverso le "porte" di Napoli e Palermo una manovalanza clandestina e minorile destinata al piccolo spaccio.

In considerazione anche del naturale aumento dei prezzi delle sostanze stupefacenti in conseguenza dell'introduzione di

norme piu' repressive, il risparmio derivante dal minor costo

dello spaccio creera' un'ulteriore aumento di reddito.

Non fosse che per i suddetti argomenti, un'efficace e dunque vincente lotta alla mafia non puo' che avvenire soltanto attraverso l'avvio di una seria e coerente politica antiproibizionista che mettendo al bando inutili crociate riesca, come ha sostenuto Shulz, a separare la criminalita' dagli incentivi del traffico della droga.

CAPITOLO 6

CONCLUSIONI

"La mafia e' una associazione per delinquere, con fini di illecito arricchimento per i propri associati, che si pone come intermediazione parassitaria e imposta con mezzi di violenza, tra la proprieta' ed il lavoro, tra la produzione ed il consumo, tra il cittadino e lo stato": questa e' la definizione di sintetica esattezza data da Leonardo Sciasca della mafia, e in un articolo apparso nel Corriere della Sera il 15 settembre 1982 in una dura polemica con Giorgio Bocca che in questi giorni conferma la sua incapacita' di comprensione e la sua pervicacia nell'aggressioneverso chi ha opinioni diverse, aggiungeva: "Dopo piu' di vent'anni, quel che vedo di cambiato e' questo: che in fatto di droga la mafia non e' piu' intermediaria ma produttrice: e che nell'intermediazione tra il cittadino e lo stato, e nel servirsi lei stessa dello stato, nello stare dentro lo stato, non gode della stessa sicurezza di cui godeva prima. Ed e' soltanto questa ipotesi che spiega la qualita' eversiva dei delitti di mafia degl

i ultimi anni".

Ho riportato questo pensiero di Sciascia per sottolineare la differenza fra chi cerca la verita' su un fenomeno e chi fa solo retorica e propaganda, senza accettare il ricatto che cosi' facendo si farebbe il gioco di qualcuno o addirittura si stabilirebbe una "alleanza oggettiva" con la Mafia.

Ho gia' detto come di fronte all'imponenza del commercio della droga e agli ingenti guadagni che da esso scaturiscono noi avremmo il dovere per onesta' intellettuale e per l'urgenza dell'esplicarsi degli effetti negativi sulla democrazia, di affermare una logica diversa, che non e' quella di pensare di vincere la guerra alla droga, stante il fatto che nessun paese al mondo l'ha vinta, facendo ricorso a misure protezionistiche e proibizionistiche, bensi' quella di tagliare alla radice la possibilita' di arricchimento da parte delle organizzazioni criminali.

Condivido pienamente la necessita' di una nuova normativa sugli appalti che deve riguardare tutto il Paese e non solo alcune regioni. La bussola che ci deve guidare e' quella di mettere in campo una normativa che consenta all'Italia di applicare la direttiva CEE sugli appalti, garantendo l'assegnazione dei lavori, al prezzo piu' giusto, ad imprese che siano veramente tali perche' hanno competenze e capacita', proprieta' dei mezzi di lavoro e un congruo numero di manodopera alle proprie dipendenze. Queste sono le condizioni di base per eliminare il meccanismo dai sub-appalti che costituisce una ulteriore forma di inquinamento.

Il motivo di fondo per cui va fatta una grande opera di bonifica in questo settore non e' solo per impedire l'acquisizione di utili alle organizzazioni criminali, ma soprattutto per evitare che la mafia mantenga e rafforzi il ruolo di crocevia per la distribuzione di tangenti ai partiti con le inevitabili collusioni e che stabilizzi il suo legame con il territorio apparendo dispensatrice di lavoro rafforzando così un consenso diffuso o quanto meno una neutralità di massa.

Per quanto riguarda il riciclaggio, ritengo in linea di massima condivisibili l'analisi e le richieste finali della relazione di maggioranza. Voglio solo aggiungere che le finanziarie devono essere sottoposte a controlli che non attengono al riciclaggio ma al regolare funzionamento delle societa'.

Nella banca, a differenza del cambia-valute, seppure con grossi limiti, c'e' sempre l'informazione. Infatti deve rimanere traccia dei vari passaggi sia per le operazioni con assegni sia per contanti sopra i dieci milioni.

Il problema e' come si utilizzano gia' oggi le informazioni che esistono e come si evitano i rischi di indagine a tappeto che ingiustamente coinvolgono persone estranee alle attivita' illecite.

Il prof. Gustavo Minervini ha paventato in un articolo (Il Mattino, 17 maggio 1989) che alcune richieste configurerebbero una sorta di militarizzazione della societa' sia pure per la buona causa della lotta alla criminalita' organizzata. Testualmente affermava: "Sia permesso un dubbio irriverente: che le autorità di polizia, non riuscendo ad identificare gli autori dei delitti della criminalita' organizzata, e magari gli stessi luoghi di commissione dei delitti (per esempio delle raffinerie di eroina), puntino tutto sull'individuazione dei luoghi di emersione dei proventi di tali delitti e dei relativi operatori. Ma in tempi di investimenti quasi esclusivamente mobiliari, e di rapidissima circolazione dei relativi valori, questo tentativo - di afferrare i delitti della criminalita' organizzata per mezzo della coda dell'individuazione degli investimenti - appare operazione investigativa di massa scarsamente promettente. Forse e' vero il contrario? E' ben per questo che chiediamo il resoconto decennal

e dell'unica schedatura di massa gia' esistente".

In altra sede lo scrivente ha sollevato il problema di un' inaccettabile difesa dell'anonimato, con riferimento specifico all'utilizzo dei libretti bancari al portatore che risultano essere particolarmente adatti per scopi delittuosi, o comunque di non trasparenza. Ribadisco anche qui la necessita' di una indicazione di indirizzo specifico per non limitarsi a parlare genericamente di economia delle tangenti o di economia criminale.

Il suggerimento che appare nella relazione di maggioranza in favore della segnalazione (a chi? alla Banca d'Italia o alla Magistratura?) dei casi dubbi o sospetti come causa esimente di qualsiasi responsabilità da parte dell'operatore bancario o finanziario mi pare pericolosa e impraticabile.

Infine, per quanto riguarda la questione del riciclaggio, e' importante che il Magistrato abbia la possibilita' di scoprire le tracce della nominativita' delle operazioni e per questo si potrebbe prevedere normativamente che i moduli dei versamenti siano comprensibili, generalizzando l'uso di lettori ottici per assegni e banconote che già alcune banche utilizzano.

Forse occorre avere la consapevolezza che la pretesa di intervenire sull'utilizzo del denaro di provenienza illecita o da attivita' illecite e' gia' oggi difficile e che già dal luglio di quest'anno e ancor più dopo il '92 con la liberalizzazione totale dei movimenti dei capitali sara' ancora piu' arduo e che quindi occorre incidere sul meccanismo iniziale di accumulazione e non a valle del processo criminale.

Vicende come quella delle truffe AIMA, consentono di affrontare il nodo delle amministrazioni locali. Il Presidente della regione siciliana, Rino Nicolosi, alcuni mesi addietro, dichiarò che le USL forniscono "piattini" per la mafia. E' questa l'ennesima denuncia che conferma l'esistenza di una ragnatela di relazioni, interessi, concessioni di lavoro e controllo della dinamica economico-sociale locale.

L'indagine su Catania che viene presentata in allegato dimostra chiaramente le responsabilità della classe dirigente nella non risoluzione dei problemi sociali e culturali di una comunità.

E' un problema aperto quello della presenza della mafia nelle amministrazioni locali, infatti la realta' attuale e' resa piu' drammatica dalla concomitante presenza di complicita' e connivenze dei partiti con le organizzazioni criminali e di mancanza di egemonia dei partiti stessi sulla societa'.

La crisi della politica, il connubio nefasto di politica-affari, ha alla fine reso piu' deboli, perche' piu' simili a chi doveva contrastare, i partiti.

La necessita' di restituire senso dello Stato e della democrazia in importanti regioni del nostro Paese, riguarda tutti, cittadini e partiti, societa' civile e ceto politico per battere non solo il rapporto tra mafia e politica ma anche il nesso tra mafia e partiti.

"Respingere quello che con disprezzo viene chiamato "garantismo" - e che e' poi un richiamo alle regole, al diritto, alla Costituzione - come elemento debilitante nella lotta alla mafia, e' un errore di incalcolate conseguenze. Non c'e' dubbio che il fascismo poteva nell'immediato (e si puo' anche riconoscere che c'e' riuscito) condurre una lotta alla mafia piu' efficace di quella che puo' condurre la democrazia: ma era appunto il fascismo.... Ma la democrazia non e' impotente a combattere la mafia. O meglio: non c'e' nulla nel suo sistema, nei suoi principi che necessariamente la porti a non poter combattere la mafia, a imporle una convivenza con la mafia. Ha anzi tra le mani lo strumento che la tirannia non ha: il diritto, la legge uguale per tutti, la bilancia della giustizia. Se al simbolo della bilancia si sostituisse quello delle manette - come alcuni fanatici dell'antimafia in cuor loro desiderano - saremmo perduti irrimediabilmente, come nemmeno il fascismo c'e' riuscito."

Queste le parole di uno degli ultimi interventi di Sciascia sulla mafia. Oggi anche a molti che lo misero al bando, forse pesera' il suo silenzio, non piu', purtroppo, volontario.

La crisi dell'"Antimafia" (uso dei pentiti, Alto Commissario, Palazzo della Giustizia di Palermo) è così evidente che non puo' essere sottovalutata, proprio perche' compito precipuo e istituzionale della Commissione Antimafia dovrebbe essere quello di controllare gli effetti derivanti dall'applicazione di una legislazione speciale, rilevando le eventuali lesioni dei diritti dei cittadini, degli abusi di chi e' preposto alla lotta contro le organizzazioni criminali, della verifica delle possibili conseguenze deleterie della legislazione antimafia e della sua applicazione.

Ma la parte assolutamente carente della relazione della maggioranza, e per molti versi anche della relazione dei comunisti e della sinistra indipendente, e' quella che riguarda non la "mafia" nei suoi molteplici aspetti e le altre forme di criminalita' associata, ma precisamente l'"Antimafia", e cioe' il funzionamento degli organismi preposti a lottare la mafia e l'applicazione e l'uso della legislazione varata allo stesso scopo dal Parlamento. E' questo, del resto, l'unico senso accettabile dell'appello tanto richiamato, e spesso a sproposito, del Capo dello Stato. Non una astratta e retorica domanda sulla "guardia" dello Stato, e se e' alzata o abbassata, ma una serie di quesiti concreti e precisi: la legislazione antimafia, a cominciare dalla legge Rognoni-La Torre, ha funzionato, ha dato risultati concreti, funziona ancora, va emendata, va soppressa? Funziona, ha funzionato, che risultati ha dato l'Alto Commissariato? Funzionano, e che risultati hanno dato, i cosi' detti pool antimafia, a cominciar

e da quello piu' famoso e piu' decantato di Palermo e del suo leader il giudice, ora sostituto procuratore Giovanni Falcone? Funzionano, hanno dato risultati concreti e duraturi i teoremi e i sistemi inventati e messi in essere da questi "pool", e soprattutto da quello di Palermo: il grande "collettore" che fagocita centinaia e centinaia di processi di mafia o presunti tali, le maxi istruttorie, le requisitorie di rinvio a giudizio per centinaia e centinaia di imputati , i maxi processi; la caccia, la fabbrica e la gestione dei cosi' detti "pentiti" "prestati" all'estero e che non tornano piu' nelle carceri italiane, e quelli che ritornano a sorpresa e sono lasciati liberi di esercitare le loro vendette; i "pentiti" contesi a colpi di "regali" in danaro o in natura di sostanziale impunita' tra questo o quel magistrato, tra questo o quel pool e l'Alto Commissariato; le rivalita' e le lotte intestine tra i corpi di polizia, piu' o meno speciali, e gli uffici giudiziari e i loro dirigenti, lotte di cosche di

"Antimafia" che ormai hanno poco da invidiare agli scontri tra le cosche mafiose, e cosi' via...

Se e' questo cio' che il Capo dello Stato voleva sapere - ed e' certamente questo cio' che deve sapere il Parlamento - la Commissione ha il dovere di rispondere con chiarezza che tutto questo meccanismo, e non solo la legge Rognoni-La Torre e l'Alto Commissariato, e' in crisi e che questa crisi e' irreversibile, e non si tampona con qualche emendamento alla legge, con qualche potere in piu' o meno all'Alto Commissariato, con qualche trasferimento di magistrati in odore di "Corvi", e tanto meno insistendo, ed esasperandolo, con il meccanismo delle leggi speciali e dei magistrati speciali. Al contrario, e' urgente tornare alla legge e ricondurre nella legge i "commissari", alti o bassi che siano, i "pool", per esclusivi che si proclamino, i singoli magistrati, per specialisti che si vantino, e i criminali, per "pentiti" che si professino. E per quanto ci compete come commissione parlamentare, occorre tornare a porre in primo piano l'indagine e lo studio sulle istituzioni preposte alla lotta alla crimina

lita' e sul loro funzionamento.

 
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