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Ferrajoli Luigi - 27 gennaio 1990
Una legge incostituzionale

SOMMARIO: L'intervento di Luigi Ferrajoli alla seconda sessione del Secondo Congresso del CORA. L'autore, magistrato, analizza la legge sulla droga in discussione alla Camera dei Deputati, evidenziandone i numerosi aspetti propriamente incostituzionali.

La legge contro la droga proposta dal governo non è solo allarmante per gli effetti disastrosi che rischia di innescare: il rafforzamento del monopolio criminale della droga, l'ulteriore clandestinizzazione dell'uso della droga, l'inutile carico di sofferenze con cui essa aggraverà la già sofferente condizione dei tossicodipendenti. Essa è anche un documento inquietante per la disinvoltura con cui travolge fondamentali principi di civiltà, molti dei quali sono sanciti dalla costituzione repubblicana.

La prima violazione è quella recata dalle cosiddette "sanzioni amministrative" istituite dall'art.14 al monopolio giurisdizionale dell'attività giudiziaria sancito dall'art.102 della Costituzione. L'applicazione per tre volte di tali sanzioni a chi detiene una quantità di droga inferiore alla dose media giornaliera ha infatti l'effetto di produrre la metamorfosi del medesimo illecito, se commesso per la quarta volta, in illecito penale. E rappresenta perciò una specie di presupposto o elemento costitutivo del reato di detenzione di droga rimesso al giudizio penale. E' chiaro tuttavia, che su questo presupposto il giudice non ha nessun potere di accertamento. Come potrà egli verificare che le precedenti infrazioni sono state effettivamente commesse? Come potrà, di fronte alla mera certificazione burocratica delle sanzioni precedentemente inflitte, riparare o supplire alla mancanza delle garanzie di difesa e in generale delle garanzie processuali che presiedono al corretto giudizio? Di più. Questo contorto e f

ino ad oggi inedito meccanismo viola anche l'art.101 della Costituzione sull'indipendenza della funzione giudiziaria. E' infatti evidente che il giudice è da esso ridotto a passacarte dell'amministrazione, ultimo anello di una catena burocratica, chiamato ad avallare in bianco l'arbitrio amministrativo.

D'altra parte questo medesimo articolo 14 viola un secondo principio costituzionale: la riserva di giurisdizionalità in materia di libertà personale sancita dall'art.13 della Costituzione. Delle cosiddette "sanzioni amministrative" previste dal nuovo art.72 per la detenzione di dosi di stupefacenti "non superiori a quella media giornaliera" - la sospensione della patente e del passaporto o del porto d'armi e il divieto di allontantarsi dal comune di residenza - quest'ultima incide infatti sulla libertà personale. E contraddice perciò il principio, enunciato dall'art.13, secondo il quale "non è ammessa forma alcuna di ... restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria".

C'è poi un terzo profilo d'incostituzionalità, che è forse il più grave, e che riguarda la norma più paradossale ed ingiusta della legge. L'art.13 prevede l'incredibile pena da 8 a 20 anni di reclusione non solo per chi "coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, esporta o procura ad altri". ma anche per chi "acquista" o "riceve a qualsiasi titolo" o comunque "detiene" droga in quantità superiore alla dose giornaliera. E' evidente che una simile norma contrasta con il principio di uguaglianza stabilito dall'art.3 della costituzione. La corte Costituzionale ha sempre affermato che situazioni diverse non possono essere trattate in modo uguale e che solo una "ragionevole" analogia può giustificarne la parità di trattamento. Ebbene: come può considerarsi ragionevole l'irrogazione della medesima pena a chi produce o vende e a chi semplicemente detiene stupefacenti anche solo per uso personale? Una simile aberrazione, presente in verità

anche nella legge vigente che punisce l detenzione di quantità "non modiche" di droga, si spiega con la presunzione che tale detenzione sia in realtà destinata allo spaccio, la struttura del reato è quella del reato di sospetto: nel sospetto che la droga detenuta in eccesso, cioè in misura superiore a quella d'uso giornaliero, sia destinata allo smercio, la si punisce al pari dello smercio, anche se di questo non esiste la prova. In altre parole, per eludere l'onere della prova dello spaccio e semplificare il lavoro giudiziario, si è costruita una figura di reato che rende automatica la repressione parificando detenzione e spaccio.

Il risultato di questa operazione è evidentemente una vistosa ingiustizia, almeno per chi pensi che lo spaccio di droga è incomparabilemente più grave del suo uso e che la differenza tra le due cose è la stessa che passa tra procacciatori di morte e loro vittime.. Senza contare gli effetti criminogeni di una simile norma: innanzitutto, per non incorrere in un reato punito da 8 a 20 anni il tossicodipendente dovrà procurarsi la droga giornalemnte, con conseguente rafforzamento del potere di ricatto dei trafficanti ed incremento della piccola delinquenza dei furti e degli scippi: in secondo luogo, essendo prevista la stessa pena per la detenzione e per lo spaccio verrà meno qualunque funzione deterrente nei confronti dello spaccio, e ne risulterà addirittura incoraggiata la trasformazione dei tossicodipendenti in piccoli spacciatori. Del resto la figura del tossicodipendente che detiene per uso personale una sola dose giornaliera è una figura ideale, dato che le dosi continueranno di fatto ad essere spacciate

e detenute, nelle quantità imposte dalla logica del mercato.

Un quarto aspetto d'incostituzionalità della legge è rappresentato d'altra parte dal contrasto tra il congegno punitivo apprestato dall'art.13 e i principi di stretta legalità delle pene e di soggezione dei giudici alla legge stabiliti dagli artt.25 e 101 della Costituzione. La previsione della pena draconiana "da 8 a 20 anni" per chi spaccia e insieme per chi detiene droga in quantità superiore alla dose giornaliera è infatti accompagnata dal potere del giudice di ridurre la pena ad un anno "per qualsiasi circostanza inerente alla persona del colpevole": in altre parole a sua totale discrezione. E' inoltre prevista la diminuizione della pena di altri due terzi per chi confessa o collabora con l'accusa. Ciò significa che la pena potrà di fatto oscillare tra 4 mesi (suscettibili ovviamente di sospensione condizionale) e 20 anni, secondo lo schema premoderno delle pene arbitrarie; e che la giurisdizione in materia di droga diverrà il luogo della discrezionalità più totale e degli abusi più incontrollati.

Da ultimo la stretta legalità penale e la soggezione dei giudici alla legge risultano svuotati dalla totale incertezza del confine che separa l'illecito amministrativo e il delitto (punito da 8 a 20 anni). Questo incerto confine è infatti tracciato, nell'art.14, dalla figura della "dose media giornaliera". Che significa "dose media giornaliera"? Chi ne determinerà la misura? E' chiaro che se questo potere fosse demandato a circolari o a direttive amministrative, un elemento del reato sarebbe rimesso, anziché alla legge, alla pubblica amministrazione, con conseguente violazione del principio di legalità penale. E poi: questa misura è prima ancora che determinata determinabile? Non è forse vero che essa varia a seconda dei soggetti e delle circostanze? E come è possibile che la condanna di un cittadino a una pena che può raggiungere i 20 anni sia affidata a un così incerto, discutibile e sempre fallace dosaggio?

Ma questa legge non viola soltanto specifiche norme costituzionali. Essa contraddice lo spirito stesso della costituzione, travolgendo elementari principi di civiltà giuridica: il principio liberale della non punibilità degli atti contro se stessi, essendo ciascuno sovrano del proprio corpo; quello della dignità della persona e della sua immunità da interventi e da trattamenti sanitari di tipo più o meno coercitivo; la fonte di legittimazione medesima, infine, dell'intervento penale dello Stato, il quale si giustifica solo se è idoneo a prevenire violenze e sofferenze maggiori di quelle che si producono in sua assenza. E' infatti lecito prevedere che una legge come quella in discussione, mentre non a prevenire e quindi a ridurre in maniera significativa l'uso personale delle droghe, finirà unicamente per accrescerne le forme clandestine e quindi il carico di sofferenze ad essa connesso: sottraendo i tossicodipendenti alla solidarietà del loro ambiente, rendendone impossibile la cura e l'assistenza pubblica e

abbandonandoli al mondo della delinquenza. Sotto questo aspetto la legge appare il prodotto di un affidamento magico e primitivo alle funzioni simboliche del diritto penale, o peggio di un loro uso demagogico e spregiudicato, cinicamente indifferente agli enormi costi di violenze e di sofferenze pagati all'illusione repressiva da esse alimentata.

 
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