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Bonino Emma - 2 marzo 1990
Aiuto!
Un appello, a chi ha il privilegio di sapere

Emma Bonino

SOMMARIO: Abbiamo mancato clamorosamente l'obiettivo di cinquemila iscritti che ci eravamo dati per febbraio. Solo 2.250 persone hanno fatto fiducia a se stesse. Non è in gioco la sopravvivenza di un apparato, ma "solo" delle lotte e degli ideali che solo il Partito radicale può affermare nella nostra società. E' in gioco "solo" la possibilità di far guadagnare alla politica un altro centimetro di democrazia, di libertà, di tolleranza. Chiediamo letteralmente aiuto - l'opera che viene prestata in favore di chi si trova in stato di pericolo - a coloro che hanno il privilegio di sapere, di conoscere. Abbiamo bisogno dell'ossigeno per consentire a questo organismo vivente, il partito radicale, di resistere il tempo necessario perché possa conquistare la possibilità di essere conosciuto e giudicato. Perché siamo certi che quando sarà consentito al progetto trasnazionale e transpartitico, alla proposta di riforma della politica di cui siamo portatori di essere conosciuta, la gente potrà e saprà riconoscersi, conq

uisterà la fiducia nelle proprie comuni speranze, riterrà urgente mobilitarsi.

Quanti dei pochi "privilegiati" che riceveranno questo giornale, queste informazioni, sceglieranno la solidarietà e il coraggio piuttosto che il silenzio?

(Notizie Radicali n.51 del 2 marzo 1990)

Con la mozione approvata dal Consiglio federale che si è svolto nei primi di gennaio a Roma, il Partito radicale si è appellato ancora una volta all'opinione pubblica perché sia garantita alla nostra società la vita di questa formazione, unica nel panorama politico internazionale.

Ma diversamente da tre anni fa quando ci rivolgemmo all'opinione pubblica perché almeno 10.000 persone impedissero, con la loro iscrizione, che il partito radicale venisse chiuso (non per sua volontà!), oggi dobbiamo invece far crescere un nuovo soggetto politico transnazionale e transpartitico che ha dimostrato, fin dai primi momenti, una straordinaria vitalità. Basta pensare all'entusiasmo con cui si sono formati gruppi radicali a Mosca, a Praga, in Yugoslavia e in generale nei paesi che stanno riconquistando la democrazia.

Ma poche centinaia di persone nel mondo non potranno mai farcela.

L'obiettivo di cinquantamila iscritti al Pr entro l'anno, fissato dal Consiglio federale di Roma, rappresenta dunque l'ossigeno, il sangue necessario per consentire che questo organismo così debole, così anomalo, così esposto alla malattia più grave della democrazia reale - l'impossibilità per i cittadini di conoscere per poter giudicare - possa resistere il tempo necessario perché arrivi il "farmaco" indispensabile per conquistare, con un atto di intelligenza e di volontà politica, la possibilità di essere conosciuto e giudicato.

Sì, perché siamo profondamente convinti che solo la "ignoranza", letteralmente la non conoscenza delle proposte del Pr, non consente al progetto transnazionale, alla proposta di riforma della politica di cui siamo portatori di affermarsi, di spingere la gente ad aver fiducia ed a mobilitarsi.

Ma intanto... Intanto ci sembra impossibile che non ci siano cinquantamila persone, di ogni possibile orientamento politico, con il gusto delle imprese difficili, che come per il divorzio, la giustizia, la lotta contro lo sterminio per fame nel mondo e contro tutti i totalitarismi abbiano la forza di andare controcorrente.

Ci sembra impossibile che non ci siano 20.000 compagni fra i 1.500.000 iscritti al Partito comunista italiano che con atto di generosità o d'interesse politici s'iscrivano a questa nuova internazionale nonviolenta e federalista. Sono a tal punto introvertiti da non vedere che la possibilità di successo del loro processo di abbandono del riferimento ideologico comunista e del loro progetto di trasformazione in partito democratico "tout court" deve essere ricercata essenzialmente fuori dal loro tradizionale mondo politico?

Ci siamo dati una tabella di marcia, necessariamente arbitraria ma indispensabile per consentire a noi stessi e agli altri di misurare la quantità d'ossigeno, di consensi, di risorse di cui ha bisogno, quotidianamente, il Partito radicale: 1.000 iscritti entro il 21 gennaio, 5.000 entro febbraio, 10.000 entro marzo e... 50.000 entro l'anno.

Il primo obiettivo dei mille iscritti è stato raggiunto di misura.

Mancato invece, clamorosamente, per quasi tremila iscritti, il secondo obiettivo di febbraio...

Alcuni compagni e amici non sembrano consapevoli della posta in gioco. Ci dicono che ormai da vent'anni, periodicamente, gridiamo "al lupo", aumentiamo la richiesta d'iscrizioni, annunciamo di non farcela.

E' vero. E' propio così. L'azienda radicale non ha rendite, posizioni di potere acquisite; come ogni famiglia o azienda sana e non corrotta deve fare sempre i conti con il denaro in cassa, con la domanda di democrazia che viene e che riesce a stimolare nell'opinione pubblica, con il consenso dei destinatari della sua politica che non sono cortigiani o sudditi, ma liberi cittadini. La prima volta fu nel 1971, quando nel congresso stabilimmo che la soglia minima per poter assicurare l'esistenza e la funzionalità del partito radicale era di mille iscritti.

Il ragionamento era semplice. Ma solo oggi ne possiamo apprezzare la coerenza: al Partito radicale, solo al Partito radicale spettano compiti e battaglie infinitamente sproporzionate alle sue forze. Si trattava di difendere la legge sul divorzio strappata ai riluttanti partiti laici e che allora veniva messa in discussione non solo dal referendum clericale ma soprattutto dall'arrendevolezza dei partiti che l'avevano votata. Erano disposti a tutto pur di evitare lo scontro politico con il "mondo cattolico". Si trattava di aprire la campagna per la legalizzazione dell'aborto.

I mille iscritti arrivarono e il Partito radicale ebbe la forza di portare il paese alla grande vittoria divorzista del 13 maggio 1974, d'imporre il confronto sull'aborto.

A 19 anni di distanza, quelle stesse considerazioni sarebbero attualissime, immediatamente comprensibili se potessero essere ascoltate. Come allora il carniere delle iniziative è pieno. Come allora enorme è la sproporzione fra gli obiettivi che il Partito radicale, solo il Partito radicale, può realizzare e le sue risorse: la battaglia per la riforma della politica e del sistema elettorale in Italia, la lotta transnazionale contro il nuovo totalitarismo che oggi si maschera dietro il proibizionismo delle droghe, la creazione effettiva di una internazionale federalista, nonviolenta capace di dare risposte positive ai nuovi problemi dell'est europeo e a quelli vecchi del sud affamato...

Sono propositi velleitari, utopistici? Ci siamo ormai abituati a sentirlo ripetere periodicamente, da quando in quattro gatti abbiamo aperto in Italia il fronte dei diritti civili, la pratica della nonviolenza, lo scontro contro la partitocrazia. Ma anche quando lo stesso linguaggio radicale è entrato nell'uso comune della gente, nessuno dei tanti cacadubbi ha avuto la forza di riconoscere la sua miopia. Oggi sono più prudenti di fronte alle due parole chiave della sfida radicale, transnazionale e transpartitico. La "ragionevole follia" della rifondazione come soggetto non più legato agli schemi tradizionali della politica nazionale e partitica viene accolta con maggiore prudenza da chi si rende sempre più conto che la democrazia sarà sempre più impraticabile in Italia senza mettere in discussione il meccanismo elettorale e la stessa forma partito; che al processo di internazionalizzazione delle decisioni politiche e di degrado dei parlamenti nazionali non può più essere data una risposta meramente difensiva

. Bisogna insomma dotare le nuove istituzioni sovranazionali di tutti i meccanismi di controllo e di garanzia parlamentari se non si vuole consentire che il potere venga trasferito ad istituzioni pericolosamente antidemocratiche.

Ma nonostante questi riconoscimenti sembra che queste battaglie, questa difesa testarda dei valori della democrazia e del diritto, della vita non valgano 182.500 lire, il costo della tessera radicale. Non è evidentemente in questione il costo della tessera. Per molti 182.500 rappresentano veramente il superfluo, meno di un abbonamento al cinema, al teatro, alla palestra o di qualche messa in piega dal parrucchiere. Infatti solo coloro a cui costa sacrificio, ai pensionati o agli studenti, sanno riconoscere il valore della tessera radicale, di questa specie di assicurazione contro il furto di democrazia, di speranza nel cambiamento e nella possibilità di migliorare la qualità della vita, per tutti.

Allora?

Come nel 1972, come nel 1987 ricordiamo ai pochi che riusciamo a raggiungere che il Partito radicale non è, per fortuna, un ente parastatale che sopravvive a prescindere dalla sua utilità e dal consenso. Diversamente dagli altri partiti non abbiamo e non vogliamo avere centinaia di migliaia di dipendenti nei comuni, nelle provincie, nelle regioni, nelle Usl, nei ministeri o in generale nelle istituzioni pubbliche che per vivere devono, a tutti costi, far sopravvivere il partito grazie al quale hanno trovato lavoro. Nessun assessore, nessun consigliere comunale o regionale perderebbe il posto per la chiusura del partito. Sei compagni in tutto, il minimo essenziale per far funzionare l'amministrazione e il tesseramento, sono gli unici "dipendenti" del partito. Siamo quindi in grado di chiudere senza mandare sul lastrico nessuno. In ogni caso, magari personalmente, ci faremmo carico di questi sei compagni.

Non è in gioco quindi, sia ben chiaro, la sopravvivenza di nessuno, ma "solo" delle lotte e degli ideali del partito. E' in gioco "solo" la possibilità di far guadagnare alla politica un altro centimetro di democrazia, di libertà, di tolleranza.

Vale qualcosa questo per voi? Vale 182.500 lire?

Care compagne e cari compagni, nel 1972 l'obiettivo fu raggiunto. Mille persone risposero facendo fiducia innanzitutto a sé stesse.

E nel 1990? Ancora una volta è da voi e con voi, che avete il privilegio di sapere e anche la responsabilità di far sapere, che ci aspettiamo risposte su come e se andare avanti.

Quanti di coloro che ricevono questo giornale, della minoranza che ha il privilegio di sapere, sceglierà la solidarietà piuttosto che il silenzio?

 
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