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Teodori Massimo - 2 marzo 1990
Il referendum
Massimo Teodori

SOMMARIO: Un referendum che può essere una bomba; una vicenda referendaria, anzi, che una volta aperta non potrà lasciare le cose come prima, comunque vada - dice Massimo Teodori in questo articolo, in cui illustra i contenuti e gli scopi del referendum per la trasformazione in senso uninominale all'inglese della legge elettorale del Senato italiano.

(Notizie Radicali n.51 del 2 marzo 1990)

Una bomba senza precedenti sta per esplodere sotto il sistema politico italiano. Quegli equilibri politici fondati sulla grande molteplicità di partiti che hanno affidato alla rappresentanza proporzionale ad ogni livello -dalle circoscrizioni ai comuni, dalle province alle assemblee regionali, per culminare nel Parlamento con entrambe le Camere- la sopravvivenza e la autoperpetuazione, probabilmente sono avviati al definitivo tramonto. Infatti nel mese di gennaio è stato depositato il referendum per abrogare alcune norme della legge elettorale del Senato, in modo tale che l'attuale sistema apparentemente uninominale ma sostanzialmente proporzionale su base regionale sia trasformato in un sistema uninominale all'inglese per i tre quarti dei seggi da distribuirsi nel territorio nazionale mentre per l'altro quarto vi è un recupero proporzionale regionale.

Del comitato promotore che ha preso l'iniziativa ed ha depositato in Cassazione il quesito fanno parte, tra i molti, i parlamentari Dc Segni, Zamberletti, Riggio, Lipari e Rivera, i liberali Baslini, Biondi e Valitutti, i repubblicani Dutto e Gavronski, Massimo Nicolazzi del Psdi insieme con Giovanni Negri, uomini delle organizzazioni cattoliche come De Matteo (ACLI) e Monticone (FUCI), intellettuali cattolici come Scoppola, verdi come Lanzinger, i comunisti Barbera e Bordon, gli indipendenti di sinistra Pasquino e Bassanini, intellettuali e accademici quali Barile, Giannini, Galli dela Loggia, Panebianco e Veca, l'industriale Morganti ed infine un folto gruppo di radicali (Calderisi, Rutelli Spadaccia, Teodori) capeggiati da Pannella da sempre partigiano del sistema elettorale all'inglese.

A chi si chiede perché mai la legge elettorale sottoposta a referendum sia solo quella del Senato, deve rispondersi che lavorando di forbici e non di colla (dato il carattere "abrogativo" del referendum secondo la Costituzione) la possibilità di trasformare il proporzionale in uninominale risiede solo nell'attuale sistema del Senato. Per la Camera alcune persone di origine cattolica, democristiana e comunista hanno voluto depositare la richiesta di un secondo referendum abrogativo riguardante la riduzione della possibilità di espressione di preferenze da alcune (3 o 4) ad una. Una proposta che è stata ritenuta dai radicali inopportuna sia nel merito sia per il suo carattere marginale e quindi deviante di fronte alla nettezza della proposta per il Senato. Infine è in predicato la richiesta di un terzo referendum riguardante l'estensione del metodo maggioritario per l'elezione dei consigli comunali dei comuni fino a 5000 abitanti, come è oggi, a tutti i comuni.

Il referendum per il quale si cominceranno a raccogliere le firme nel prossimo aprile sottopone ai cittadini prima ed agli elettori poi una alternativa fondamentale: sistema proporzionalistico con la conseguente perpetuazione di tanti partiti che sopravvivono indipendentemente dalle ragioni ideali e politiche su cui sono basati, oppure sistema bipolare con la ridifinizione delle regole stesse della democrazia attraverso la scelta di un sistema elettorale che rappresenta lo strumento più diretto per la riforma politica in quanto impone il ripensamento stesso dei partiti e nei partiti.

Da anni ormai non solo noi radicali ma anche tutti coloro che da ogni orizzonte sono pensosi della sorte della democrazia, riteniamo che il cuore della crisi stia proprio nel suo meccanismo di rappresentanza proporzionalistica, all'origine sia della mancanza di ricambio e di alternativa, sia della degenerazione partitocratica e spartitoria che contraddistingue più di ogni altro il "caso italiano".

Ebbene, con il meccanismo che si sta mettendo in moto si colpisce proprio questo punto nodale mettendo in causa la trasformazione di quel sistema elettorale che anni ed anni di dibattiti scientifici, discussioni nella pubblica opinione ed iniziative parlamentari (comprese la Commissione speciale per le riforme istituzionali già presieduta da Aldo Bozzi) non sono riusciti ad intaccare. Il fatto è che vere riforme radicali non possono essere causate da quegli stessi protagonisti (i partiti innanzitutto, ed un settore della classe politica di gran parte delle forze) che beneficiano delle regole del gioco esistenti dell'attuale sistema elettorale. Solo con una scossa esterna -come del resto la storia dei paesi occidentali dimostra ampiamente- si possono cambiare le regole e si può mettere in moto una vera e propria riforma politica.

L'appello al popolo tramite referendum, pur se iniziato da una porzione minoritaria della stessa classe politica, rappresenta quel movimento esterno che in ogni caso costringerà le cose a mutare. Si dovrà, a nostro avviso, arrivare fino in fondo e cioè dopo la raccolta delle firme tenere il referendum popolare perché proprio esso determinerà il fatto nuovo e necessario scatenante la riforma politica.

Certo di ostacoli se ne frapporranno molti, dalla metastasi che si ripete periodicamente dello scioglimento anticipato delle legislature (per questo referendum le firme si raccoglieranno nella primavera del 1990 mentre il voto dovrebbe essere nel 1991 salvo che vi siano elezioni anticipate), alle eventuali decisioni strumentali della Corte Costituzionale fino ad eventuali modifiche alla legge elettorale per via parlamentare.

Tuttavia, senza volere qui né ignorare né esorcizzare queste evenienze, il corso della politica per quel che riguarda le sue regole essenziali ed il suoi meccanismi elettorali non sarà, dopo questa richiesta di referendum, quello che era prima. Quel che partiti e gruppi dirigenti non avevano voluto mettere all'ordine del giorno delle cose da mutare, è stato imposto da un gruppo di persone proveniente dai più diversi ed anche conflittuali orizzonti politici, tutti uniti attraverso gli schieramenti con la consapevolezza che senza cambiare le regole nel senso uninominalistico e quindi bipolare, sarà la democrazia stessa ad affondare.

 
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