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Stanzani Sergio - 2 maggio 1990
Diritto d'informazione e pubblicità
di Sergio Stanzani

SOMMARIO: Nell'esprimere un parere a proposito del disegno di legge "Mammì" sulla concentrazione dei mezzi d'informazione, Sergio Stanzani ricorda che il Partito radicale presentò nel 1985 una proposta di legge organica sul sistema radiotelevisivo che, fra l'altro escludeva l'inserimento della pubblicità nei programmi del servizio pubblico. Infatti col porre la RAI-TV nella condizione impropria di dover reggere al confronto diretto con i privati, il servizio pubblico si sarebbe sempre più allontanato dalle proprie finalità: essere cioè garanzia effettiva del diritto del cittadino alla informazione, anche nei confronti della informazione di parte, preclusa al pubblico e non al privato.

Ma oggi la situazione del sistema televisivo è deteriorata a tal punto da non consentire più interventi organici.

Stanzani, precisando che i limiti all'inserimento della pubblicità nei film colpirebbero l'emittenza televisiva locale e non le televisioni di Berlusconi, afferma, a proposito del disegno di legge Mammì, che una regolamentazione del settore è sempre preferibile all'attuale situazione di caos.

("Millecanali" 2 maggio 1990)

Al momento in cui rispondo alla vostra richiesta di esprimere un parere sull'argomento, devo ancora approfondire con la dovuta attenzione l'esame del testo del Disegno di Legge approvato dal Senato, in vista del dibattito che si terrà alla Camera in queste settimane per l'approvazione definitiva.

Ritengo, tuttavia, utile ricordare che già nel 1985 il Partito Radicale presentò alla Camera dei Deputati una proposta di legge, organica e completa, per la regolamentazione del sistema radiotelevisivo, pubblico e privato.

Un elemento caratterizzava in termini peculiari e significativi quella proposta: era il risultato di una elaborazione, attenta ed approfondita, prodotta congiuntamente da tre emittenti televisive locali - una di area democristiana, una di area comunista ed una di area radicale - con l'apporto di tecnici di indiscussa e comprovata fama. I parlamentari radicali ritennero doveroso farsi tramite di questa proposta per consentire al Parlamento di avvalersi di un contributo del tutto estraneo agli interessi preminenti, altamente qualificato per conoscenza diretta della realtà e per competenza tecnica e professionale.

Non sapevamo di partire con questa iniziativa da presupposti ben diversi dalle posizioni che portarono successivamente le altre forze politiche ed il parlamento alla approvazione del decreto detto impropriamente "Berlusconi" e che, in realtà e per verità, fu il prezzo pagato ai "gruppi privati" (e non solo alla FININVEST) per consentire al sistema politico, ai partiti, di sancire, per legge, una rozza e brutale spartizione del servizio pubblico - della RAI-TV - fra DC, PSI e Partito Comunista.

La proposta delle tre emittenti locali fu giudicata "scandalosa" per la impostazione "troppo completa, precisa e dettagliata" nello sviluppo normativo.

Scandalosa perché "osava" escludere l'inserimento della pubblicità nei programmi del servizio pubblico, assicurando per legge alla RAI-TV un adeguato finanziamento a carico esclusivo dello Stato. Da parte del sistema politico, del regime dei partiti, si giudicava offensivo ritenere - come era convinzione dei proponenti - che col porre la RAI-TV nella condizione impropria di dover reggere al confronto diretto con i privati, il servizio pubblico si sarebbe sempre più allontanato dalle proprie finalità: essere cioè garanzia effettiva del diritto del cittadino alla informazione, anche nei confronti della informazione di parte, preclusa al pubblico e non al privato.

Per di più non si voleva ammettere che, col consentire alla RAI-TV di sottrarre al mercato una parte molto rilevante delle risorse finanziarie dovute alla pubblicità, si sarebbe precluso - dati alla mano - ad altri gruppi privati di entrare nel settore, fare concorrenza alla FININVEST e contenerne la tanto temuta preminenza, con il risultato di determinare e consolidare la situazione attuale di duplice monopolio, nel pubblico e nel privato.

Scandalosa nonché espressione di interessato cedimento a Berlusconi fu considerata, a sinistra e da sinistra, una proposta di legge che riconosceva all'imprenditore privato in ambito nazionale una sola rete, inducendolo anche a raccogliere pubblicità nazionale per le emittenti locali riunite in circuito, poiché senza questo apporto - singolarmente, a ciascuna di esse negato - non erano e non sono in condizione di esistere.

"Troppo completa, precisa e dettagliata", fu l'altro argomento contrapposto alla proposta presentata dei parlamentari radicali. E' un argomento che nascondeva - e nasconde ancor oggi - da un lato, la insufficiente conoscenza dei problemi posti da un argomento così delicato e complesso e, dall'altro, la volontà di mantenere per quanto possibile una situazione indeterminata, affidata alla discrezionalità dell'autorità di "governo" che consentisse e consenta ai partiti di gestire in condizioni ottimali la contrapposizione tra la RAI-TV e la FININVEST, usufruendo dei massimi vantaggi da parte di entrambi.

Questi precedenti segnano un orientamento del quale sono tuttora convinto e che, certamente, si contrappone a quello, per convinzione o necessità, seguito dal Governo.

Il Disegno di Legge approvato dal Senato, infatti, non può più prescindere dalla situazione determinata in tutti questi anni dalla irresponsabilità dolosa dei partiti, e ciò costituisce un vincolo tale da impedire una soluzione organica, capace di imporre al settore un adeguamento ordinato e coerente con l'interesse generale del Paese.

E' altresì vero che gran parte delle opposizioni al progetto riflettono la difesa di interessi, pubblici o privati, ben precisi e individuati o costituiscono gli ultimi colpi di coda di posizioni che per limiti storici sono state incapaci, anche in termini culturali, di stabilire un corretto rapporto tra pubblico e privato e hanno trasferito nel primo la ragione del proprio preminente interesse e nel secondo hanno riversato il risentimento per la propria incapacità e il proprio insuccesso.

Insuccesso, o meglio sconfitta, in grandissima parte dovuta proprio a queste posizioni e che costituisce, purtroppo, una grave perdita, un danno forse irreparabile per tutti, per il Paese, per la democrazia.

Ne sono una riprova l'accanimento, la rabbia, il livore con i quali si è giunti a precludere ai privati, richiamandosi - come pretesto - a valori disattesi e contraddetti per primi da quegli "autori" che li hanno tanto conclamati, l'inserimento degli spot pubblicitari nei film, con il solo risultato certo e indiscutibile - se tale norma non sarà rimossa - di affossare definitivamente l'emittenza locale e non, come si dice e si vorrebbe, Berlusconi e la Fininvest. Sono anche espressione di una logica punitiva alcuni aspetti normativi relativi alle sponsorizzazioni e che poco mi pare abbiano a che fare in termini concreti con i problemi del settore.

Al ministro Mammì ritengo fin d'ora di dover dare atto di aver introdotto nel disegno di legge, dovendo accettare lo stato di fatto di tre reti consentite all'imprenditore privato in ambito nazionale, norme che pongono limiti al processo di concentrazione dei mezzi di informazione nelle mani dei grandi gruppi economici.

E con Mammì, per concludere, non c'è che d'augurarsi che sia pur sempre meglio una legge, seppur certamente non la migliore, che il permanere della situazione attuale.

 
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