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Detenuti Carcere Rebibbia - 28 giugno 1990
Carcere: Ne colpiscono cento per rieducarne uno

SOMMARIO: Questo è il testo della lettera aperta in difesa della Legge Gozzini inviata il 28 giugno 1990 dai detenuti di Rebibbia-penale al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, al Presidente del Consiglio, a deputati e senatori, a magistrati e forze di polizia, a sindaci e organi di informazione.

(Notizie Radicali n.55 del 10 luglio 1990)

Ventilare ipotesi di modifica alla "Gozzini" vuol dire creare smarrimento nei soggetti detenuti e per ciò stesso affievolire la loro fiducia nelle istituzioni dello Stato ed alimentare l'evasione.

Non si può tacere che detenuti per sequestro non hanno rispettato il rientro dal permesso-premio, beffandosi della Legge e della fiducia loro accordata; ma sarebbe davvero un capestro non punire quell'1 per condannare tutti gli altri detenuti, che non hanno colpa, alle tenebre della disperazione, portandoli fuori dal controllo delle Istituzioni.

Tanto più che quell'1% danneggia proprio chi rispetta quelle regole: gli altri detenuti, creando allarme nell'opinione pubblica.

Provvedimenti estemporanei sarebbero il "tradimento" dello Stato nei confronti di quelle persone detenute che in tutta coscienza e con tutta la buona volontà di cui sono capaci, con enormi sacrifici materiali e psicologici, hanno profuso tutto il loro impegno nella risocializzazione per uscire dal "tunnel".

Più corretto sarebbe punire chi ha infranto la fiducia che gli era stata concessa, prevedendo per questo tipo di evasione pene severissime, e non certo chi le regole le rispetta.

Attentare alla "Gozzini" - una legge civile - vuol dire ributtare tra le braccia della mafia e della criminalità organizzata migliaia di persone ora detenute per un reato.

Questo perchè, con la "Gozzini", escluso giustamente chi ha legami con la criminalità organizzata e chi non partecipa all'opera di rieducazione, la stragrande maggioranza di chi ha commesso un reato si trova in uno stato di partecipazione all'opera di rieducazione svolta dalle istituzioni che sono rappresentate da Magistratura di Sorveglianza, Direzione Generale e Direzione degli Istituti, attraverso l'impegno di psicologi, educatori, assistenti sociali, agenti di custodia, nonchè degli organi di polizia, per portare avanti o completare un programma individuale di risocializzazione e di rieducazione presso la società civile, principalmente attraverso il lavoro.

E' vero che sulla totalità l'1 - 1,5% dei soggetti, non tenendo fede ai programmi rieducativi e alle proprie responsabilità, si rende immeritevole di taluni benefici, ma è altrettanto vero che il 99% circa dei soggetti segue scrupolosamente il programma di rieducazione per il reinserimento nella società.

Questi sono i termini.

E ci si chiede: si deve punire l'1 che ha sbagliato o i 99 che rispettano le regole e le leggi?

NON SIA LO STATO AD UCCIDERE LA SPERANZA

Una simile eventualità, ed è questo il punto, toglierebbe dalle mani dello stato e delle sue istituzioni migliaia di persone, per ributtarle in quelle accoglienti della criminalità organizzata; mentre, proprio nel momento del recupero di dette persone, lo Stato, fa venire meno la linfa alla criminalità stessa, sottraendo ad essa il primo degli elementi che la costituiscono, con evidente e ragguardevole utile per la società tutta, che avrà saputo ricondurre sotto le sue regole membri che avevano sbagliato.

Questo è il grido e il messaggio per la società civile, affinchè sappia difendere la realtà carceraria attuale, che vuol dire emarginare la criminalità organizzata e recuperare, attraverso il lavoro e il permesso-premio, quanti pagano il loro debito.

Chi difende lo spirito della legge non vuole il rinfoltimento delle fila della mafia e della criminalità organizzata, e vuole che il carcere sia il momento della rieducazione e del recupero e non l'università del crimine.

 
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