(Bettino Craxi, nella sua qualità di rappresentante personale del segretario generale delle Nazioni Unite, ha predisposto il seguente rapporto sul debito e la crescita dei paesi in via di sviluppo nel dicembre 1989.)
RAPPORTO PRELIMINARE
* Questo rapporto è una sintesi del Rapporto Generale, attualmente in corso di edizione.
Indice
Introduzione e principali conclusioni
PARTE I
La grande sfida
CAPITOLO I
La crisi del debito e il sottosviluppo
SEZIONE I
Il debito, i ricchi, i poveri
SEZIONE II
Le origini e i fattori della crisi
CAPITOLO II
Gli elementi di analisi strutturale del debito e i fattori economici di ripresa dello sviluppo
SEZIONE I
I parametri quantitativi
SEZIONE II
I fattori di politica internazionale e domestica per la fuoriuscita dalla crisi
PARTE II
Le vie di uscita
CAPITOLO I
Le tecniche per la riduzione dell'onere del debito
SEZIONE I
La conversione del debito in azioni
SEZIONE II
La conversione del debito in altro debito
SEZIONE III
Il riscatto
CAPITOLO II
La finanza dello sviluppo. La nuova moneta, i nuovi mercati comuni regionali
SEZIONE I
La finanza dello sviluppo
SEZIONE II
Nuova moneta
SEZIONE III
I nuovi mercati comuni regionali
CAPITOLO III
Le riduzioni di debiti verso privati e verso creditori ufficiali
SEZIONE I
Il piano Brady
SEZIONE II
L'alleggerimento del debito con i creditori ufficiali
CAPITOLO IV
Suggerimenti per aree regionali e gruppi di Paesi
SEZIONE I
Africa Mediterranea e Subsahariana
SEZIONE II
America Latina e Caraibi
CONCLUSIONI
Strategia di alleviamento del debito rispetto alle diverse categorie di paesi debitori
PARTE I
LA GRANDE SFIDA
INTRODUZIONE E PRINCIPALI CONCLUSIONI
1. Le raccomandazioni che seguono partono dalla situazione esistente e da quanto viene già fatto per ridurre l'onere dell'indebitamento dei Paesi in via di sviluppo per suggerire possibili estensioni delle misure in vigore e nuove proposte.
Il dato di partenza è che l'onere del debito rappresenta un peso spesso considerevole per molti Paesi in via di sviluppo e un ostacolo non indifferente alla loro crescita economica e sociale. Di qui la necessità di proseguire sulla strada già intrapresa dai Sette nei precedenti Vertici per l'alleggerimento del debito dei PVS, al fine di commisurare lo sforzo alla loro capacità di pagare e porre pertanto le condizioni dello sviluppo futuro.
2. I principi ispiratori sono :
1) Il problema, dal punto di vista della fuoriuscita dalla crisi dei paesi e delle regioni ove si concentra il peso del debito, è sistematico e va affrontato in modo sistemico coinvolgendo tutti i creditori - non solo banche, ma anche Governi e organismi multilaterali - nonché tutte le istituzioni erogatrici di nuova finanza.
2) Il Piano Brady va rafforzato con maggiori risorse e con una gestione coordinata mediante una agenzia in seno alle IFI, con l'aggiunta delle banche regionali interessate per ogni "grande area".
3) Sulla scia delle decisioni di Toronto (opzione A) e di Parigi, un ulteriore alleggerimento dell'onere, differenziato a seconda del livello di sviluppo e di indebitamento delle diverse categorie di PVS. Tale alleggerimento viene ottenuto con il riscadenzamento del debito su un lungo periodo (40 o 30 anni) e l'applicazione di tassi di interesse con diverso grado di concessionalità secondo la categoria dei Paesi;
4) Solo per i Paesi più poveri (gruppo "IDA-only") un annullamento del servizio del debito limitato peraltro ai crediti di aiuto;
5) In tutti i casi, al fine di rafforzare le riduzioni sui debiti bilaterali conversione di pagamenti per interessi in fondi di contropartita in valuta locale indicizzata, per finanziare progetti di sviluppo e tutela ambientale e di valorizzazione del capitale umano;
6) Definizione di una nuova "fascia intermedia" non solo ai fini della graduazione e concessione prioritaria di misura concessionali tipo Toronto, di riscadenzamento a tassi di interesse ridotti, come indicato al punto 4, ma anche ai fini di operazioni di finanziamento concessionale multilaterale.
7) Impegno a garantire un adeguato flusso di risorse pubbliche e private in favore dei PVS, al fine di creare le condizioni per lo sviluppo futuro. In quest'ottica va ribadito l'obiettivo dello 0,7% del PNL per l'aiuto pubblico allo sviluppo dei Paesi industrializzati, che è stato riconfermato nel consiglio Ministeriale del DAC del 14.5.90;
8) Riaffermazione dell'approccio caso per caso e della distinzione fra le diverse categorie dei debiti: crediti di aiuto; crediti con garanzia pubblica; crediti nei confronti delle Istituzioni Finanziarie Internazionali; crediti privati. In questo contesto, viene ribadito il principio che i debiti nei confronti delle Istituzioni Internazionali mantengono caratteristiche "privilegiate", peraltro rafforzando i loro strumenti concessionali;
9) Necessità che i PVS - inclusi i paesi dell'Est europeo - adottino rigorose politiche di aggiustamento interno concordate con le IFI. Le misure di aggiustamento devono tuttavia avere carattere di selettività, orientate a favorire la crescita ed a proteggere in particolare le fasce della popolazione meno favorite;
10) Esigenza di acquisire - tramite appropriati incentivi e coordinamenti - un più attivo sostegno delle Banche per la riduzione dell'onere degli interessi dei debiti di natura privata; miglioramenti fiscali e contabili nelle legislazioni dei Paesi industrializzati a favore delle banche creditrici impegnate nelle riduzioni e nella nuova finanza.
Accenno viene fatto alla possibilità di aumentare le risorse delle IFI, anche con l'impiego di SDR accreditati ai Paesi industriali e da questi utilizzati per finanziare fondi da impiegare per le operazioni del piano Brady; in particolare per accrescere le riduzioni e facilitazioni sugli interessi e per il "bridging";
11) In molti paesi indebitati dotati già di una struttura industriale o ricchi di risorse naturali, andrebbero incoraggiate ulteriormente le operazioni di "swap", con la costituzione di società miste e la partecipazione dei capitali stranieri nelle società statali privatizzate, nonché operazioni tipo B.T.O. (Build Transfer Operate) e B.O.T. e commodity bonds includendole fra quelle dotate di garanzia pubblica.
Andrebbero anche considerate formule innovative, come per esempio il pagamento in buoni in valuta locale indicizzati sulle merci di esportazione di una quota del servizio del debito con facoltà di impiegarli per acquisto di azioni e altre proprietà ("debt-equity service swap");
12) Riconoscimento dello sforzo particolare che deve essere fatto per i Paesi dell'Est, per sostenerli con finanziamenti nella fase di transizione onde attuare un rapido globale passaggio verso l'economie di mercato, senza gravi turbative sociali.
Al fine del contenimento del debito passato, attenzione dovrebbe essere data ad operazioni di conversione del debito in partecipazione in imprese privatizzate ("debt-equity swap") con la costituzione di società miste ed alle formule innovative già richiamate. Nel quadro della sburocratizzazione di tali economie, debito privato anziché pubblico dovrà essere fornito, nella politica di "nuova moneta".
3. Il vincolo dei costi per i bilanci pubblici delle concessioni sui crediti bilaterali è quello dello 0,1 del PIL dei paesi industriali : che fa passare dallo 0,35% allo 0,45% la percentuale dell'aiuto pubblico allo sviluppo sul PNL dei Paesi industrializzati.
Nell'ottica di favorire programmi di sviluppo, particolare importanza dovrebbe essere data alla costituzione ed al rafforzamento delle Banche Regionali.
Dopo la recente costituzione delle BERS, si suggerisce l'opportunità di una Banca per il Mediterraneo (sul modello operativo della Overseas Finance Corporation giapponese), che permetta la valorizzazione delle risorse della zona, il rilancio dei Paesi rivieraschi, e per questa via anche la soluzione di problemi acuti come l'aumento demografico e le spinte emigratorie.
CAPITOLO I
LA CRISI DEL DEBITO E IL SOTTOSVILUPPO
SEZIONE I
IL DEBITO, I RICCHI, I POVERI
1. Perché il problema del debito ci riguarda tutti
Spesso si afferma che il problema del debito dei paesi in via di sviluppo è oramai solo un loro problema, non è più un problema che possa riguardare i paesi industriali, dal punto di vista economico. Ciò perché la crisi del sistema bancario internazionale oramai - dopo gli elevati accantonamenti a riserva per questi debiti - non è più un pericolo reale.
Ma come è stato osservato il problema del debito del Terzo Mondo è, per le nazioni industriali avanzate, in generale un problema di sicurezza nazionale. Il traffico della droga, l'immigrazione dai paesi oppressi dal debito incapaci di crescere, il rischio ambientale, lo squilibrio del commercio e le connesse difficoltà di procedere alla liberalizzazione di esso, l'instabilità politica sono esacerbate dall'insoluta e aggravata paralisi debitoria
Inoltre, dovrebbe essere una preoccupazione comune quella della delicata situazione in cui si trovano le grandi istituzioni finanziarie multinazionali - Banca Mondiale e Fondo Monetario - a causa della crisi debitoria dei paesi in via di sviluppo e dell'Est.
Il finanziamento della Banca Mondiale avviene con prestiti emessi sul mercato, per un importo multiplo del capitale proprio.
Una crescente dei prestiti della Banca Mondiale è fatta a paesi indebitati, non per investimenti, ma per consentire di pagare il servizio dei prestiti, sotto il nome di SAL (Structural Adjustment Lending = prestiti per l'aggiustamento strutturale).
Quella dei nuovi prestiti ai paesi indebitati può essere una trappola da cui non è facile uscire senza una azione sistemica che coinvolge tutti. Se la Banca Mondiale fa questi prestiti aggrava i suoi rischi globali, ma se non li fa, aggrava le condizioni di paesi debitori, quindi viene meno al proprio ruolo ed accresce il rischio di non essere ripagata, sui prestiti in essere.
Quanto al Fondo Monetario Internazionale, conviene osservare che mentre i paesi industriali hanno sempre meno bisogno dei suoi prestiti, per i propri processi di aggiustamento, si accresce il suo monte di prestiti ai paesi in via di sviluppo, del Sud del Mondo e dell'Est Europeo.
I suoi prestiti servono talora - come quelli della Banca Mondiale - a mascherare la incapacità di pagare i precedenti.
D'altra parte, alcuni paesi oberati da un debito che li pone sotto la soglia della sopravvivenza e ne minaccia la disintegrazione, non pagano. Nè sono in grado di rispettare condizioni di risanamento. Il Fondo Monetario, così, non è in grado di concludere i loro programmi di aggiustamento. Questi paesi, ora, sono fuori dai meccanismi di finanziamento internazionale (assicurazioni all'esportazioni dei vari paesi industriali, credito estero privato etc.) e la loro situazione peggiora.
Il recente aumento delle quote del FMI è stato giustificato dal Gruppo dei 7 come un mezzo per provvedere nuovi mezzi ai PVS e per l'alleggerimento del peso del loro debito. Ci auguriamo che questo suggerimento venga seguito. Ma non dimentichiamo che senza finanza concessionale - come una emissione speciale di SDR da accreditare ai paesi industriali quale contropartita di un debito di essi a un Fondo per il rafforzamento delle politiche di alleggerimento del debito - la funzione del Fondo Monetario nei riguardi della crisi del debito del Sud e ora dell'Est diventa molto delicata.
I creditori di ultima istanza possono svolgere il loro ruolo se hanno un potere monetario - un signoraggio superiore - di ultima istanza.
Una cosa emerge dal panorama di interdipendenze, riguardanti il debito dei paesi meno sviluppati : cioè che esso non è affatto una questione di concerno solo per i paesi debitori, le loro istituzioni finanziarie pubbliche e private, la loro popolazione. E' una questione che ci coinvolge tutti e che rischia di portare i paesi industrializzati e le istituzioni multilaterali da loro create e, con larga maggioranza gestite, in un tunnel, per difetto di volontà di innovazione finanziaria e di volontà di azione comune, proprio in un epoca in cui i "dividendi della pace"
possono dare i più larghi frutti.
2. Gli squilibri fra ricchi e poveri del mondo.
Il problema del debito che stiamo considerando non è un problema normale di rapporti fra creditori e debitori, ma un problema di confronto fra esseri umani fortunati ed esseri umani sfortunati. Su un versante 800 milioni di persone, sull'altro 4 miliardi, dei quali gli oppressi o in pericolo d'esser oberato dal debito sono quasi un miliardi.
Quasi il 70% del reddito mondiale è prodotto e goduto dal 15% della popolazione . I paesi del Terzo Mondo, che hanno il 76% della popolazione mondiale, hanno meno del 20% del reddito mondiale.
Al loro interno i paesi poveri, che hanno la metà abbondante della popolazione mondiale, hanno solo il 5,6% del reddito mondiale.
Nel 1987 mentre il reddito pro capite dei paesi poveri del Terzo Mondo ( 2,8 milioni di persone ) era di 290 dollari pro capite, quella dei paesi avanzati ad economia di mercato era di circa 14,5 mila dollari, ossia 50 volte. Un Etiope nel 1987 disponeva di media , di 130 dollari, uno svizzero di oltre 21 mila dollari, ossia oltre centosessanta volte.
Nei paesi poveri dell'Africa, dell'Asia, de Sud America la dotazione di calorie al giorno pro capite è di 2385 (era di meno di 2 mila nel 1965!), nei paesi industriali è di 3375.
L'aspettativa di vita è di 47 anni in molti paesi dell'Africa nera e si riduce a 41-42 in Sierra Leone e Guinea. Nei paesi ricchi dell'Occidente, l'aspettativa di vita è di 77 anni.
Mentre in USA solo 7 bambini su 100 nascono sotto peso, ciò accade in Nigeria a 1 bambino su 4 e in India a 1 su 3.
La mortalità materna per ogni 100.000 abitanti è di 9 madri negli USA, di 1500 in Nigeria e di 500 in India!
La mortalità infantile è del 7,6% nei paesi a basso reddito, dello 1% nei paesi industrializzati, dello 0,7 ossia di un decimo in Svizzera.
Del resto, nei paesi poveri in via di sviluppo (o sotto-sviluppo) vi è sono un medico ogni 5400 abitanti e nei paesi industriali 1 ogni 470.
I paesi così detti in via di sviluppo, dato il loro modesto grado di evoluzione economica, sono dei nani, di fronte ai giganti del commercio mondiale, costituiti dai paesi industrializzati e dalle loro multinazionali.
Nel 1987 su un totale di esportazioni di 2390 miliardi di dollari e di importazioni di 2478 miliardi (la singolare circostanza per cui le esportazioni sono meno delle importazioni anche se - per l'identità di flussi - dovrebbero esser lo stesso ammontare, in buona parte si spiega con evasioni fiscali e valutarie) i paesi dell'Africa Subsahariana, che hanno ben 440 milioni di abitanti, figurano con una esportazione di soli 28 miliardi e un'importazione di 32 : circa 1,5% di quello dei paesi industrializzati. Non fa meraviglia che le ragioni di scambio, fatto 100 il 1980, per i paesi della Africa Subsahariana fossero lo 84% nel 1987 mentre quelle dei paesi industrializzati erano il 97%.
Per i paesi dell'America Latina e dei Caraibi che pure si classificano fra quelli a medio reddito, con una popolazione di 400 milioni di abitanti, il commercio estero complessivo era il 4% circa di quello dei paesi industrializzati.
I termini del commercio di quest'area nell'89 erano addirittura il 76% di quelli del 1980. Ed essa genera nel 1989 un surplus di 25 miliardi a favore dei paesi ricchi . cifra, per essi modesta, ma enorme per l'America Latina e i Caraibi il cui investimento lordo globale assomma, in tale anno a 130 miliardi.
L'affermazione che i paesi in via di sviluppo, in particolare quelli più poveri dell'Africa e quelli dell'America Latina sono dipendenti, per il loro commercio, dai paesi industrializzati, non può essere contestata.
Questa dipendenza risulta ancorpiu' evidente quando si considera ciò che questi paesi esportano: soprattutto commodities primarie e materie; ed importano: soprattutto prodotti finiti ed alta tecnologia.
L'enorme divario di reddito fra economie dei paesi industrializzati ed economie dei paesi sottosviluppati fa si che le decisioni (o indecisioni) delle prime si ripercuotono sulle seconde, senza che queste possano esercitare un influenza rilevante.
Dal punto di vista del problema del debito dei paesi in via di sviluppo esercita una enorme importanza la variazione che vi è stata, negli anni '80, nel tasso di interesse reale.
Il tasso di interesse di lungo passo dei sette maggiori paesi industrializzati per tutti i decenni successivi alla seconda guerra mondiale non ha mai superato il 4% ed è stato sovente vicino a zero o negativo. Nella prima metà degli anni '80 i tassi di interesse reali sono balzati al di sopra del 5% e, specialmente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, sono saliti anche al di sopra del 10%. Ciò è stato causato, dalle politiche monetarie restrittive adottate, un po' dovunque, nei paesi industrializzati, per supplire a carenze della politica fiscale e, in alcuni di essi, a causa di scelte deliberate, di natura deflazionistica, rivolte a spezzare, mediante la disoccupazione, la rigidità verso il basso dei salari.
La politica dei redditi avrebbe potuto, come in Svezia e - in un certo periodo - in Italia, evitare il ricorso alla creazione di disoccupazione, per attuare le modifiche rivolte a contenere le irrazionalità salariali nei paesi industrializzati. Ma per lo più venne scelta, per una decisione deliberata o per supplenze, la politica monetaria.
L'OECD, per il periodo successivo alla prima metà degli anni '80, spiega il sostenuto livello dei tassi di interesse reali, con il persistere dei disavanzi di bilanci di alcuni importanti paesi industrializzati e avanza l'ipotesi che fra le cause dell'alto tasso reale vi siano la riduzione dei tassi di risparmio nei paesi industrializzati (che è un dato di fatto) e l'aumento di rendimento degli investimenti dovuto ad accresciuta produttività in tali paesi, il quale indurrebbe ad investire, anche quando il costo dei denaro sia alto.
Si tratta di fenomeni dei paesi industrializzati che si ripercuotono sulla modesta massa di accumulazione di capitali, di investimenti e di prodotto dei paesi in via di sviluppo, senza che questi possano, su ciò, esercitare una apprezzabile influenza.
SEZIONE II
LE ORIGINI E I FATTORI DELLA CRISI
1. Le cause della crescita patologica del debito. Responsabilità
ed errori dei paesi industrializzati. Colpe ed errori nei
paesi in via di sviluppo.
Il debito esterno dei paesi in via di sviluppo è oramai un totale enorme. Esso è cresciuto rapidamente dal 1980 al 1990.
Secondo lo FMI, il debito è oramai di quasi 1200 miliardi. Secondo la Banca Mondiale è sui 1150.
La proiezione al 1990 indica una crescita a 1246.
All'inizio del decennio, l'importo era sui 600 miliardi.
Il flusso dei pagamenti per interessi e ammortamenti, del pari ha subito una rapida ed imponente crescita. Dai circa 90 miliardi del 1980 si è ora attorno a 160 con un previsione di 175 per il 1990.
Si tratta di obblighi magari fronteggiati capitalizzando gli arretrati dovuti. Così il totale del debito cresce di continuo.
Si deve osservare che in buona parte il problema del debito esterno è un problema di debito pubblico, che i paesi meno sviluppati si sono trovati ad affrontare, in relazione al disavanzo del bilancio del settore pubblico complessivo (inclusivo cioè del saldo di imprese pubbliche spesso in perdita per inefficienze di gestione).
Non necessariamente a ciò si collegavano investimenti pubblici.
In ogni caso il loro rendimento doveva confrontarsi con il costo di questo debito : poiché il tasso di interesse stipulato era, nella gran parte dei casi, un tasso variabile, la sua rapida ascesa rese antieconomici molti progetti.
Spesso gli investimenti pubblici sono stati devoluti a progetti dotati di scarsissima redditività : il che non sarebbe successo, o non nella stessa misura, se anziché dall'economia di stato burocratica finanziata con debito pubblico, essi fossero stati intrapresi da imprese, private o pubbliche, dotate di autonomia manageriale e responsabilità di bilancio e patrimoniale, mediante finanziamenti specifici. In parte, la bassa produttività è dipesa dagli errati regimi economici, fondati sull'imitazione dei modelli collettivistici sovietici, cubani, cinesi, etc. e su una pianificazione burocratica.
D'altro canto, spesso, questo debito esterno serviva per finanziare il disavanzo delle bilance dei pagamenti, che - in parte - si collegava al disavanzo del bilancio del settore pubblico, in parte emerse in conseguenza della caduta dei prezzi delle materie prime, che molti paesi speravano fosse solo un fenomeno passeggero.
La causa prima dello anomalo sviluppo del debito esterno dei paesi meno sviluppati consiste nella assenza di regole di costituzione monetaria e fiscale internazionale a questo riguardo. Non è stata disposta nessuna regola, circa la possibilità di emissione di debito pubblico internazionale, nella forma anomala di credito bancario; nè - tanto meno - in quella, assai insidiosa, del finanziamento a tasso variabile di mercato internazionale, in valute estere con cambio fluttuante.
Il rapido sviluppo di tale prassi, negli anni '70, fu dovuto essenzialmente al fatto che banche, operanti sul mercato dell'eurodollaro e in genere delle xenovalute, si trovarono, a un certo punto, congestionate di petrodollari.
Le banche dei paesi sviluppati si ingaggiarono in una corsa frenetica a prestare, sospinte dall'abbondanza di denaro da investire, dalle ottime condizioni che potevano ottenere, con prestiti a tasso variabile, non trattenute dai propri controllori domestici, che esse erano portate, piuttosto, a considerare come garanti di ultime istanze. I dirigenti bancari non operarono secondo una prospettiva di lungo periodo, in quanto furono sospinti soprattutto dallo stimolo a presentare bilanci vantaggiosi nell'immediato.
Una attitudine simmetrica si potè trovare nei governi che si indebitarono e, in tal modo, ottenevano un sollievo immediato, passando il problema a coloro che, in futuro, sarebbero venuti al loro posto.
D'altra parte, assieme all'alta spesa pubblica, vi era e vi è una bassa pressione fiscale. Ciò è dovuto sia alle resistenze delle classi possidenti o/e burocratiche alla tassazione delle proprietà e dei consumi opulenti di beni (per lo più) di importazione, sia al fatto che il dirigismo collettivista e il vincolismo determinano un inaridimento delle basi imponibili dei ceti proprietari e imprenditoriali, senza generare un corrispondente incremento del benessere delle masse che permetta un importante fiscalità e para fiscalità a loro carico. La superficiale imitazione dei modelli tributari dei paesi industriali avanzati assieme alla estesa corruzione, hanno favorito l'evasione e l'inefficienza fiscale.
L'alto tasso di crescita della popolazione si combinava alla erosione del risparmio dovuta al pubblico disavanzo, nel generare una pressione all'indebitamento.
Per tutti i paesi oggi indebitati, generose garanzie furono concesse dagli organismi pubblici di assicurazione dei paesi industriali, desiderosi di assicurarsi lucrose forniture e commesse di grandi e medi lavori.
In mancanza di regole internazionali di costituzione monetaria e fiscale, il singolo operatore pubblico o privato prestava, senza conoscere quanto altri avessero già prestato o volessero ancora prestare. Sinché qualcuno avesse fatto credito a questi paesi, sulla base delle loro risorse naturali, in particolare di petrolio, i vecchi debiti potevano essere pagati con nuovi prestiti. Ma la spirale che così si generava non poteva esser senza fine. Le "bolle" a un certo punto, si sono sgonfiate.
Ma mentre per le conseguenze del calo del dollaro nel 1986 e per la caduta delle Borse Mondiali nel 1988 sono stati posti in essere generosi ammortizzatori finanziari, così non è accaduto per l'eccesso di credito, che è stato concesso sul finire degli anni '70 ai paesi meno sviluppati.
Al contrario nessuna considerazione delle ripercussioni su di essi, è stata posta nel mondo industrializzato, quando agli inizi degli anni '80 si è dato luogo alle politiche di restrizione monetaristica e di alto tasso di interesse.
2. La crisi.
Se le cause di fondo del debito risiedono negli errori che abbiamo passato in rassegna prima, quelle della crisi successiva si collegano in misura considerevole, alle reazioni che misure di deflazione e svalutazione troppo severe comportano; alla non credibilità di misure prese e poi dismesse, per la debolezza del quadro politico; alle inflazioni generate da liberalizzazioni e svalutazioni troppo massicce e rapide : al declino della crescita del PIL e al connesso declino della capacità dello stato di fronteggiare il servizio del debito con entrate, e della economia di fornire mediante lo export le risorse valutarie corrispondenti.
Il peso del debito generando insolvenze insolvenze ha generato anche la riluttanza delle banche a concedere nuovi prestiti. Questa logica preoccupazione è stata esasperata da due ordini di fenomeni, che hanno agito con un intreccio perverso : i crescenti accantonamenti precauzionali e le quotazioni del mercato secondario, in discesa.
3. Accantonamenti prudenziali e loro interazione con le quotazioni sul mercato secondario.
L'elevato livello degli accantonamenti prudenziali è stato compiuto dal sistema bancario internazionale a fronte di questi debiti, sulla base di regole fiscali e bancarie che, nel complesso favoriscono tali accantonamenti e agiscono perversamente sia sulla convenienza a concedere riduzioni di vecchi debiti e sia su quella di nuovi prestiti. Si trattò di una spirale.
Gli accantonamenti massicci da parte delle banche leader hanno evidenziato la convinzione che certi paesi non fossero più solvibili. Ciò ha bloccato i prestiti verso di loro. E questo li ha resi ancor meno solvibili. Ciò ha fatto cadere le quotazioni del loro debito sul mercato secondario, bloccando ulteriormente la loro credibilità, in rapporto a nuovi prestiti.
Questo ha rafforzato da parte dell'autorità di vigilanza bancaria, la richiesta che si seguisse la prassi di massicci accantonamenti prudenziali per i nuovi prestiti a questi stessi paesi. Ciò naturalmente, ha posto una grossa pietra sulle concessioni di crediti ordinari di tipo tradizionali.
4. Il declino della crescita del PIL dei paesi indebitati.
Il tasso di crescita del PIL e dell'export dei paesi fortemente indebitati sono bassi, in contrasto con quelli degli altri PVS. E l'import decresce anziché aumentare, come negli altri PVS.
(TAV. 1)
__________________________________________________________________
Paesi fortemente indebitati Tutti gli altri PVS
senza crisi del debito
-----------------------------------------------------
a medio poveri
reddito
------------------
Tasso di
crescita
PIL 82-89 1,4 0,8 6,4
Percentuale
investimenti
su PIL
(82 - 89) 19,8 13,1 27,5
Tasso di
crescita
export
(82 - 89) 4,9 1,1 8,3
Tasso di
crescita
import
(82 - 89) - 0,2 - 6,8 + 5,5
------------------------------------------------------------------Fonte . FMI
N.B. i tassi di crescita sono in termini reali.
La crescita dell'export nei paesi che ora non hanno la crisi del debito è resa possibile dall'alto investimento; questo è reso possibile dall'economia seria che fa affluire finanziamenti, ma anche dalla dinamica positiva dello export e dal minore servizio del debito.
Il rendimento degli investimenti, nei paesi in crisi debitoria, è molto più basso che in quelli che tale crisi (ora) non hanno.
Chiaramente, vi sono differenziali di efficienza economica, che in parte dipendono dalle affannosità economiche dei paesi oppressi dal debito e dall'alta inflazione.
Il debito estero, nei paesi fortemente indebitati - come notato - agisce negativamente, in due modi, su tale tasso di accumulazione : tramite il fatto che si deve comprimere la domanda interna e quindi l'investimento domestico, per generare un surplus nella bilancia del commercio estero; e tramite la riluttanza delle banche e delle stesse istituzioni ufficiali a provvedere nuovi crediti.
Chiaramente esiste un limite economico alla possibilità di pagare. Nel caso di una impresa oppressa da debiti, che essa non è più in grado di pagare, il fallimento o un concordato preventivo, può spesso consentire di riprendere l'attività economica, con risorse fresche, pagando anche la parte dei vecchi debiti, rimasta in essere dopo il concordato.
Analogamente, come è stato osservato da Jeffrey Sachs, dovrebbe valere nel caso dei debiti delle nazioni verso le banche, le istituzioni ufficiali internazionali, gli altri stati.
Ma non esiste una costituzione finanziaria internazionale che stabilisca una tale regola. Nè il singolo creditore ha interesse a concedere, motu proprio, al debitore uno sconto consistente, sul proprio credito e nuovi prestiti per rimettersi in marcia.
Ciò aumenta, in genere, la capacità di pagamento del debitore, per tutti i suoi prestiti, compresi quelli con altri creditori, generando "economie esterne" a loro favore. Quello che al complesso dei creditori sarebbe vantaggioso, non lo è per il singolo.
Privo di una adeguata costituzione economica e monetaria internazionale, il mercato fallì alla fine degli anni '70 e agli inizi degli anni '80, quando furono dati e presi un cumulo di prestiti, che oltrepassavano la capacità di pagare. E per un altro difetto della costituzione economica e monetaria internazionale, il mercato rischia di fallire una seconda volta, alla fine degli anni '80 : quando - considerando le prospettive - alla comunità dei creditori converrebbe fare un grosso sconto ai debitori e metterli nelle condizioni finanziarie di pagare. ma ciò non avviene spontaneamente perché quello che appare conveniente alla comunità nel complesso, non lo è per il singolo preso per conto proprio.
Chiaramente occorre una istituzione dotata di incentivi e disincentivi per realizzare gli accordi collettivi che, spontaneamente, tendono a verificarsi o si verificano in misura inadeguata.
Ma ciascuno deve fare la sua parte.
5. Alcuni paesi sono usciti dalla crisi.
Non si può ignorare che alcuni paesi asiatici - che all'inizio degli anni '80 avevano un alto debito estero - grazie a un elevato tasso di risparmio, a un connesso elevato investimento produttivo diversificato, a un regime economico favorevole all'imprese e a comportamenti monetari e fiscali prudenti, sono riusciti a ridurre l'onere di tale debito, grazie all'aumento delle esportazioni e al rendimento del capitale domestico, reinvestito dai loro operatori sui mercati domestici.
Anche paesi come il Cile e l'Uruguay sono riusciti a "ristrutturarsi" e a ritrovare - sia pure a fatica e dopo errori dovuti a terapie eccessive che sono costati "lacrime e sangue" inutili - la via della crescita e dell'afflusso di capitali, assieme allo sviluppo della democrazia.
Dunque, anche dalla crisi del debito si può uscire, quando l'economia pubblica e quella di mercato funzionino correttamente e si sia disposti a fare sacrifici.
CAPITOLO II
GLI ELEMENTI DI ANALISI STRUTTURALE DEL PROBLEMA
DEL DEBITO E I FATTORI ECONOMICI DI RIPRESA DELLO SVILUPPO
SEZIONE I
I PARAMETRI QUANTITATIVI
1. Rapporto fra servizio del debito, PIL ed export.
Quando le due percentuali del servizio del debito su reddito nazionale e su esportazioni sono elevate indicano un problema grave.
Un servizio del debito che costituisce una parte consistente del reddito nazionale implica una asportazione netta di risorse dai consumi e dagli investimenti domestici. E, quindi, in ogni caso, una diminuzione dei mezzi a disposizione della comunità nazionale nel presente o/e nel futuro che è tanto più gravosa quanto più basso è il livello del reddito medio e quanto più sperequata la distribuzione del reddito.
Gran parte del debito dei paesi in via di sviluppo è debito pubblico. Ciò implica un problema per la finanza pubblica : che, per finanziarlo, dovrà o aumentare le imposte o ridurre le spese oppure emettere altro debito, o trasferire il disavanzo con l'inflazione, sull'assieme dell'economia.
Se il servizio del debito è una quota troppo elevata delle esportazioni, per onorarlo bisognerà comprimere le importazioni con misure tributarie restrittive, freni monetari della domanda di credito e altre meno sane misure (quote su importazioni e sul credito, dazi di importazione ecc: e ciò si rifletterà sul tenore di vita e sull'investimento, ponendo in pericolo la stabilità politica e sociale e il processo di crescita economica e la occupazione.
La via di stimolare esportazioni e migliorare il saldo commerciale svalutando di continuo la moneta, se non accompagnata da misure macroeconomiche restrittive interne adeguate ed incontra bassa elasticità dei salari e prezzi reali può generare inflazione da costi e da domanda tanto più alti quanto più le importazioni ed esportazioni sono anelastiche.
2. Rapporto fra stock del debito, PIL ed export.
Anche i rapporti stock del debito-reddito nazionale e stock del debito-esportazioni - dato che i prestiti vanno rimborsati - appaiono indici significativi a sè stanti rispetto ai rapporti fra interessi del debito e reddito nazionale e esportazioni.
3. Rapporto fra tasso di interesse e tasso di crescita
del PIL e dell'export.
Nella letteratura finanziaria specializzata sono comparsi, in questi anni, due importanti teoremi che, sia pure con varie clausole di coeteris paribus, appaiono fondamentali, per giudicare della capacità di pagare il debito e per stabilire le politiche idonee ed affrontare in modo non episodico e transitorio, ma globale e incisivo, il problema.
Il primo teorema afferma che, affinché il problema del debito possa trovare una soluzione spontanea, man mano che il tempo passa, occorre, come condizione necessaria ma non sufficiente, che il tasso di crescita del prodotto lordo del paese indebitato misurato nella moneta in cui il debito è denominato, sia mediamente superiore al tasso di interesse che si esprime in tale moneta. E' ovvio che, se non si fanno nuovi debiti, salvo quelli derivanti da un accumulo di interessi non pagati, lo stock del debito in questo caso, diventerà una percentuale via via minore del prodotto lordo del paese indebitato.
Il secondo teorema afferma che affinché il problema del debito, man mano che il tempo passa, possa risolversi automaticamente, occorre come condizione necessaria che il tasso di crescita delle esportazioni nette (saldo delle esportazioni sulle importazioni) cresca più del tasso di interesse. Se anche tutti gli interessi non vengono pagati o sono fronteggiati con rinnovo del debito esterno, l'incremento del debito sarà minore di quello delle esportazioni e le percentuali del servizio del debito sulle esportazioni degli interessi sulle esportazioni si ridurranno.
Tenendo presenti questi due teoremi si può comprendere perché negli anni '80 il problema del debito si è aggravato. Infatti mediamente il tasso di interesse ha superato il tasso di crescita del PIL e il tasso di crescita delle esportazioni è stato inferiore al tasso di interesse per i paesi in via di sviluppo che ora hanno problemi.
4. La curva di Laffer e il rapporto fra tasso di interesse
e prodotto pro capite.
Un ulteriore teorema, si collega alla c.d. "curva di Laffer" della capacità di pagare, che mette in relazione il debito con il tasso di interesse su esso corrisposto.
Quando il tasso di interesse è nullo anche il debito risulterà nullo (supponendo assenza di debito preesistente) e quindi ci si trova nel punto A della curva. Se il tasso di interesse fosse altissimo come è X, si potrebbe pensare ad una situazione in cui il reddito disponibile - sotto il peso del debito - sia nullo, e sia quindi impossibile porre gli interessi.
Nei punti intermedi da A a B, i paesi creditori potrebbero attendersi un certo livello di pagamenti del loro credito. In particolare si attenderanno che la curva salga a partire dal punto A man mano che il tasso di interesse aumenta a valori superiore. Ad un certo punto, però un interesse eccessivo riduce la capacità di pagare e la curva dovrà però necessariamente cambiare inclinazione sino a raggiungere il punto B.
Concretamente si può pensare che il sistema economico dei paesi in via di sviluppo si trovi in una situazione alla destra del punto di massima C e che quindi una riduzione del saggio di interesse migliora la situazione sia per i debitori che per i creditori.
Il livello C di tasso di interesse ottimo, va determinato paese per paese, a seconda delle variabili che si ritengono più rilevanti nel caso concreto, ma il principio guida generale, microeconomico, è quello del rapporto fra produttività e tasso di interesse, che - in un quadro semplificato - si riconduce al rapporto macroeconomico fra tasso di interesse e tasso di crescita del PIL pro capite.
SEZIONE II
I FATTORI DI POLITICA INTERNAZIONALE E DOMESTICA
PER LA FUORIUSCITA DALLA CRISI
1. Crescita sostenuta del PIL e dell'export.
L'esame dei teoremi e dei parametri riguardanti le situazioni di crisi connesse al debito, suggerisce le strategie per la soluzione.
La crescita sostenuta in un singolo paese, specie se è un paese in via di sviluppo, è destinata a un corto respiro.
Occorre una crescita generalizzata.
Secondo, occorre che il problema del debito dei paesi in via di sviluppo sia correlato, in via generale e specifica, all'espansione delle possibilità di esportazione e alla stabilizzazione dei prezzi dei beni e servizi che tali paesi esportano.
2. Contenimento dei tassi di interesse e aumento del risparmio
interno.
Gli anni '80 sono stati - come si è visto - una decade di alti tassi di interesse.
occorre che gli anni '90 non siano una decade di alti tassi di interesse e, perciò, che l'inflazione venga combattuta, anziché con lo strumento monetario, con un attacco alle sue radici reali, mediante sane politiche fiscali e coraggiose politiche dei redditi.
Occorrono nei paesi indebitati misure e regole di sana finanza e di seria economia di mercato per accrescere il loro tasso di risparmio, attrarre l'investimento domestico, ridurre la pressione del fabbisogno pubblico sul risparmio, accrescere il rendimento degli investimenti e creare un quadro di certezze politiche e istituzionali. Ciò per consentire una crescita del prodotto nazionale più sostenuta.
Ma occorre rispettare il principio di autodeterminazione dei paesi in via di sviluppo a concepire il più possibile questi mutamenti secondo il trinomio :
- incentivazione
- cooperazione
- gradualismo.
L'"aggiustamento" non può trascurare il lato umano; non va visto in termini ideologici, va mirato alla apertura e modernizzazione reciproca fra paesi debitori e paesi industriali.
3. Nuova moneta e maggiori aiuti allo sviluppo.
Occorre che la politica della crescita sia sorretta, nei continenti del sottosviluppo, da maggiori sforzi dei paesi occidentali e dei loro organismi, nelle loro politiche di aiuti pubblici per lo sviluppo, portandoli gradualmente a quello 0,70 del PIL che il DAC giudica necessario.
Ci si può trovare in un circolo vizioso, se non si considerano, nel programma collegato alla riduzione del debito, interventi immediati di nuovi mezzi finanziari che consentano di riavere o ravvivare il processo di crescita. In questo campo, hanno un importante ruolo le assicurazioni pubbliche del credito commerciale, in relazione a finanziamenti di istituzioni bancarie, rivolte agli investimenti e alle esportazioni, oltreché le Banche Regionali e le Istituzioni Multilaterali. Queste, ovviamente, per procedere in queste iniziative hanno bisogno, a loro volta, di risorse con elementi di contributo a fondo perso, accanto a quelle puramente bancarie.
Tutto ciò implica un chiaro impegno politico : per quanti sforzi di tecnica e di ingegneria finanziaria si possano immaginare, alla fine occorre che il contribuente del mondo industrializzato, in una forma e nell'altra, sia coinvolto.
4. Norme fiscali e contabili favorevoli ai LDC per debito e
nuova moneta.
Queste considerazioni portano ad un ultimo aspetto dell'approccio sistemico : quello delle norme fiscali, di contabilità e di controllo delle autorità di vigilanza bancaria, per favorire, anziché ostacolare atti di riduzione del debito dei paesi in via di sviluppo, sia per assicurare alle forme di nuova finanza un regime vantaggioso.
PARTE II
LE VIE DI USCITA
CAPITOLO I
LE TECNICHE PER LA RIDUZIONE DELL'ONERE DEL DEBITO
SEZIONE I
La conversione del debito in azioni
("debt to equity swap")
Le istituzioni dei paesi indebitati sono molto diverse e diversi i loro stadi di sviluppo. Ma - in generale - i debt for equity swaps connessi alle privatizzazioni anche parziali e ai progetti di rilancio di imprese locali, dovrebbero esser visti nel contesto di una "politica industriale" (nel senso ampio di politica dei settori produttivi) modernizzatrice oltreché quale mezzo per attuare seri elementi di liberalizzazione, deregolazione, sburocratizzazione dell'economia.
Non è soltanto o tanto l'afflusso di capitali, per la eliminazione di debito estero, che - sotto questo profilo - preme, quanto la saldatura della politica di ristrutturazione del debito con quella del risanamento economico.
Uno studio della Banca Mondiale mostra che gli investimenti di conversione di debito in azioni hanno particolarmente favorito le imprese operanti nei settori della esportazione. L'investimento estero (almeno in società miste o in società commerciali), stimola la riduzione delle barriere alla importazione nei paesi industrializzati.
I debt for equity swap potrebbero, dunque, essere gli avamposti di flussi di "nuova finanza" verso le iniziative economiche dei paesi indebitati e di nuovi flussi esportativi da parte di essi.
SEZIONE II
La conversione del debito in altro debito
(debt to debt conversion)
1. Dal tasso variabile al tasso fisso
Fra le operazioni di ristrutturazione che comportano un alleviamento acquistano particolare rilevanza quelle che mirano a contenere la onerosità del tasso di interesse Libor plus, spesso contrattato quando i prezzi delle materie prime dei paesi indebitati erano migliori per loro o quando il tasso di interesse reale di mercato era meno alto.
Tuttavia un semplice passaggio dal Libor plus ad un tasso di interesse fisso, se questo non è concessionale, rischia di non dare alcun vantaggio o di darlo in misura non adeguata alla soluzione del problema della capacità di pagare dei debitori.
Le ristrutturazioni che avvengono in periodi di picco dei tassi di interesse potrebbero dare luogo a tassi fissi che, nei periodi contrari, sono più alti del tasso di mercato.
Una soluzione a questo problema è quella di un tetto al tasso variabile. Essa, tuttavia, dà un vantaggio limitato, per quanto riguarda le flessibilità verso il basso, quando il tetto non sia posto a un livello notevolmente scontato, come ad esempio il 6%.
In un mondo di tassi di interesse oramai anomali da un decennio, con prospettiva di alti tassi almeno sino al duemila, di fronte a paesi con basso tasso di crescita del PIL e dell'export, un'altra misura che si può giustificare è il collegamento con i prezzi delle materie prime d'esportazione : questi paesi hanno condizioni favorevoli, nei termini del loro commercio (terms of trade) sul mercato mondiale, la loro capacità di pagare inevitabilmente si riduce.
2. L'accantonamento degli interessi e il pagamento degli
interessi in moneta locale indicizzata.
Vi sono due forme di conversione del debito, che - di per sè - non sembrano comportare alcun mutamento dei suoi termini e che - pure - potrebbero essere vantaggiose per i debitori. E ciò con un costo limitato per i creditori che può essere compensato dalla diminuzione del rischio di insolvenza, posto che un numero sufficientemente elevato di creditori aderisca allo schema. La prima di tali operazioni - suggerita dal Prof. Dornbush (1) - è l'accantonamento degli interessi, che non vengono pagati, in un conto a carico del debitore, senza indennità di mora e solo con un basso onere, per la dilazione così accordata.
(1) Nel nostro seminario di Cernobbio del 18 maggio 1990.
La seconda consiste nel pagamento di una quota almeno del servizio del debito in moneta locale.
La prima formula - come sostiene il Prof. Dornbush - ha senso, per altro, solo se il paese in questione ha una sostanziale capacità di pagare nel lungo termine e se, ogni anno, esso riesce, magari con l'aiuto di Istituzioni internazionali, che lo finanziano a tasso agevolato, a riscattare una parte del suo debito sul mercato secondario, in misura superiore allo accumulo di interessi non pagati.
Per agevolare la capacità di pagare si può prospettare un altro schema, consistente nel consentire che parte del pagamento avvenga in buoni (bills) espressi in moneta locale indicizzata a un paniere di commodities che sono oggetto del commercio internazionale del paese considerato.
L'indicizzazione è indispensabile, innanzitutto per evitare che tramite artificiosi tassi di cambio i creditori ricevano dei valori deprezzati. Inoltre occorre evitare che l'inflazione vanifichi queste somme, prima che possano essere investite localmente in properties o commodities o in servizi e beni intermedi per attività locali, che interessano al creditore (ad esempio servizi inerenti il commercio internazionale).
Bisogna ammettere che questo schema ha dei limiti e che perciò è molto interessante solo come misura parziale.
Solo così si potrà far in modo che possa essere finanziata con emissione di debito interno non inflazionistico.
La tutela legale di questo diritto, ovviamente, deve essere piena, per consentire al creditore di far valere il suo potere di acquisto. Occorre anche che non vi siano troppi titoli di tal genere, per permettere ai creditori di trovare soddisfacenti contropartite e per non turbare l'economia locale con flussi troppo grandi di investimenti e acquisti esterni.
Per garantire il pagamento di queste somme si può anche pensare di devolvervi l'introito di particolari proventi tributari. Se si tratta di importi circoscritti, come nella ipotesi appena considerata, ciò non dovrebbe essere impossibile.
SEZIONE III
Il riscatto (buy back)
1. Il riscatto deve essere immediato
Il riscatto (buy back) volontario del debito estero da parte dei paesi debitori, quando la sua quotazione sul mercato secondario è bassa, può risultare una operazione molto allettante. Ma se è ampliata e protratta, l'operazione si rivela auto-defettiva (self defective) in quanto man mano che vi sono compratori istituzionali del debito, sul mercato secondario, questo sale di prezzo. D'altra parte un paese che decide il riscatto, sul mercato secondario, del proprio debito, si trova nella tentazione di tenere comportamenti contraddittori, dal punto di vista dell'attrazione di nuova moneta.
Invero, un paese indebitato che, di fronte alle difficoltà di pagamento, attua una moratoria di fatto del proprio debito, scoraggia l'afflusso di nuovi prestiti, ma deprime i corsi sul mercato secondario, agevolando i riscatti dei propri debiti ivi quotati.
Dunque, il riscatto dovrebbe essere attuato per grandi blocchi, con operazioni concordate una volta per tutte, il cui prezzo sia prefissato e - possibilmente - venga concordato sulla base di indicatori oggettivi, allo scopo di dare una logica, non tanto di mercato, ordinario quanto - appunto - di concordato.
Il riscatto, come la conversione in azioni di cui si è visto il consenso delle banche creditrici, cui compete accettare che qualcuno, sul mercato secondario, comperi il loro credito, dando loro o il prezzo in questione o una cifra presumibilmente simile. Si possono sviluppare comportamenti di free rider da parte di banche che aspettano che - a causa dei riscatti, praticati su debiti con altre banche il prezzo salga. Per evitarli occorrerà che i prezzi di acquisto offerti vengano bloccati, a livelli predeterminati.
Anche per questa ragione un concordato con criteri oggettivi dunque, appare l'unica via percorribile per un riscatto su larga scala.
2. Il riscatto da parte dei paesi a basso reddito o reddito
intermedio ha bisogno di assistenza finanziaria bilatera-
le o multilaterale
Il riscatto è - quasi sempre - un'operazione di finanza pubblica, perché la gran parte dei debiti è stata contratta dai governi centrali e le altre istituzioni di finanza pubblica o da imprese pubbliche garantite dai governi. Esso, dunque, ha bisogno di un finanziamento pubblico.
Allo scopo di effettuare il buy back, il singolo governo può venire assistito da un prestito di una qualche istituzione internazionale : ciò che non crea una pressione inflazionistica eventuale in relazione al servizio del debito. Si tratta di una pressione solo eventuale : infatti essa si ha solo nella ipotesi che il paese in questione non onorasse in nessuna percentuale il proprio nuovo debito e questo venga escusso, in valuta locale, globalmente.
Se il paese ritiene di trovarsi sufficientemente vicino al ritorno all'affidabilità, il riacquisto del debito con forte sconto sul mercato secondario non appare desiderabile perché tale pratica sancisce in qualche modo lo stato di insolvenza del paese indebitato.
Nei paesi che sono lontanissimi dal ritorno alla affidabilità in cui un governo "stimabile" succede, dopo un trauma politico (es. elezioni generali, che seguano il ritorno alla democrazia) a un governo che aveva perso interamente la sua reputazione, esso si trova di fronte a una scelta strategica delicata.
Se ripudia interamente il debito dei predecessori, crea un precedente negativo.
E' più saggio che esso si dichiari disponibile a un riscatto, commisurato alla sua capacità di pagare e al valore che, con il precedente governo, il debito aveva raggiunto sul mercato secondario, magari maggiorato di qualche punto percentuale, se la quotazione era influenzata molto più da comportamenti strategici che dall'oggettiva incapacità di pagare.
Ma se fosse impossibile fare il riscatto tutto in una volta, il risultato sarebbe quello di far aumentare, nell'immediato e per vari anni, il valore di mercato del debito residuo.
Ove non assistito da finanziamenti che consentano operazioni globali - il riscatto, dunque, potrebbe risultare più vantaggioso per i creditori e per i debitori.
L'assistenza di organismi finanziari multilaterali o bilaterali appare un ingrediente essenziale per il successo di queste operazioni per :
- a) assisterle finanziariamente;
- b) assicurare la globalità;
- c) stabilire che il riscatto, pur avvenendo gradualmente nel
tempo, ha un prezzo di riferimento che è quello della epoca
iniziale del negoziato globale.
CAPITOLO II
LA FINANZA DELLO SVILUPPO. LA NUOVA MONETA.
I NUOVI MERCATI COMUNI REGIONALI
SEZIONE I
La finanza dello sviluppo
1. I trasferimenti fra paesi ricchi e paesi sottosviluppati
Sino al 1983 i paesi meno sviluppati erano beneficiari di trasferimenti netti privati di risorse finanziarie. Da tale anno si delinea una drammatica inversione di tendenza : nello '84 essi - per vie di mercato - trasferiscono complessivamente diecimila miliardi di dollari ai paesi sviluppati. Nello '85 tale flusso di trasferimenti annuali arriva ai 20 mila miliardi, per sfiorare i 30 mila nell'anno successivo e portarsi poi verso i 40 mila.
I trasferimenti dovuti agli aiuti allo sviluppo, in tal modo, vengono completamente annullati e, da ultimo, emerge - anche tenuto conto di questi - un saldo negativo a carico dei paesi meno sviluppati, che sfiora i 10 miliardi di dollari in termini di cassa ed è molto superiore in termini di competenza.
Difficilmente si potrà evitare che si ripresentino problemi di debito estero dei paesi a basso reddito, a reddito intermedio e anche a medio reddito se la politica degli aiuti allo sviluppo rimarrà confinata alle attuali modeste percentuali. Queste finiscono a contrapporre in modo drammatico grants e credito agevolato; esigenze di aiuto ai paesi poveri e a quelli a medio reddito, esigenze di finanziamento straordinario delle IFI (Banca Mondiale e su un altro piano FMI) ed esigenze di maggior finanziamento e espansione del numero e dello ambito di azione delle Banche Regionali di sviluppo; esigenza di sostegno al processo di crescita dei paesi del Terzo Mondo e esigenze di sostegno alla transizione all'economia di mercato dei paesi ex comunisti: esigenze di intervento per paesi a medio reddito che hanno avuto o rischiano di avere gravi problemi di indebitamento e quelle di finanziamento ai paesi a basso reddito che in tali problemi non sono incorsi, grazie alla loro maggiore parsimonia e capacità di gestion
e dei propri processi economico-sociali.
D'altra parte, occorre accogliere il principio che merita aiuto solo che fa gli sforzi di propria competenza per risolvere i problemi, sin dove è possibile, con le risorse dei propri contribuenti e dei loro risparmiatori.
L'espressione "sin dove è possibile" comporta di non dimenticare il rispetto dei diritti umani fondamentali, che sono alla base dei principi di civiltà a cui aderiscono le nostre nazioni democratiche.
Inevitabilmente, la adozione di questi principi, per la soluzione dei problemi qui in esame, comporta di accrescere la quota sul PIL degli aiuti allo sviluppo, rispetto allo attuale 0,35% portandoli via via verso lo 0,75%, che il DAC, nelle sue riunioni a livello di governi, continua a dichiarare necessario.
Ogni 0,1% sul reddito attuale dei paesi ricchi, - considerando il prodotto lordo probabile del 1991 - è di 16,5 miliardi di dollari.
Accanto ai 16,5% relativi alle "perdite di bilancio" dovute alle riduzioni di crediti ufficiali bilaterali, di cui si vedrà, con un aiuto allo sviluppo dello 0,7% - così come richiesto dal DAC anche il 14.5.1990 - si disporrebbe di altri 40 miliardi di dollari annui.
Lo 0,1 comunque, attivando finanze concessionali, potrebbe mobilitare almeno 30 miliardi annui di capitali.
L'attuazione del Piano Brady, disponendo di una parte di questo flusso sarebbe molto facilitata.
Lo stesso ragionamento vale per i nuovi investimenti.
2. Una costituzione internazionale del debito pubblico.
Il vero debito pubblico non può essere costituito da prestiti bancari, di cui non è facile conoscere l'importo da parte dei terzi. Deve essere costituito da titoli negoziabili. E la sua emissione, a livello internazionale, deve essere sottoposta a limiti, basati su parametri oggettivi, che evitino il ripetersi dei fenomeni patologici del passato.
E' diverso il debito che un paese contrae non in relazione al suo bilancio nel complesso, ma in rapporto a specifici progetti di investimento. In tale caso, occorrerà considerare la redditività finanziaria del progetto e quella economica collettiva. Se vi è la seconda ma non la prima, l'emissione di debito internazionale, anche mediante titoli a condizioni di mercato appare una formula molto rischiosa, per un paese con una debole fiscalità, anche se esso è dotato di una buona capacità di esportazione.
Occorre che, a questo riguardo, si ampli il ruolo delle istituzioni regionali di sviluppo, con formule concessionali, come quelle praticate dalle Overseas Financial Corporation del Giappone (durata a 30 anni, tasso fra lo 1 e il 3% - notevole periodo di grazia - ).
Bisogna anche esplorare la possibilità che al servizio del prestito, siano destinati proventi di specifiche imposte.
Per quanto riguarda gli investimenti di imprese pubbliche che hanno una redditività, il finanziamento internazionale dovrebbe svolgersi soprattutto con formule che consentono al finanziatore di ottenere, direttamente, il servizio del proprio credito, senza impegnare lo stato del debitore.
Di ciò si vedrà fra poco, in relazione agli strumenti di nuova finanza.