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Craxi Bettino - 7 luglio 1990
(II) RAPPORTO CRAXI SU DEBITO E CRESCITA DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO

(Bettino Craxi, nella sua qualità di rappresentante personale del segretario generale delle Nazioni Unite, ha predisposto il seguente rapporto sul debito e la crescita dei paesi in via di sviluppo nel dicembre 1989.)

RAPPORTO PRELIMINARE

* Questo rapporto è una sintesi del Rapporto Generale, attualmente in corso di edizione.

Indice

Introduzione e principali conclusioni

PARTE I

La grande sfida

CAPITOLO I

La crisi del debito e il sottosviluppo

SEZIONE I

Il debito, i ricchi, i poveri

SEZIONE II

Le origini e i fattori della crisi

CAPITOLO II

Gli elementi di analisi strutturale del debito e i fattori economici di ripresa dello sviluppo

SEZIONE I

I parametri quantitativi

SEZIONE II

I fattori di politica internazionale e domestica per la fuoriuscita dalla crisi

PARTE II

Le vie di uscita

CAPITOLO I

Le tecniche per la riduzione dell'onere del debito

SEZIONE I

La conversione del debito in azioni

SEZIONE II

La conversione del debito in altro debito

SEZIONE III

Il riscatto

CAPITOLO II

La finanza dello sviluppo. La nuova moneta, i nuovi mercati comuni regionali

SEZIONE I

La finanza dello sviluppo

SEZIONE II

Nuova moneta

SEZIONE III

I nuovi mercati comuni regionali

CAPITOLO III

Le riduzioni di debiti verso privati e verso creditori ufficiali

SEZIONE I

Il piano Brady

SEZIONE II

L'alleggerimento del debito con i creditori ufficiali

CAPITOLO IV

Suggerimenti per aree regionali e gruppi di Paesi

SEZIONE I

Africa Mediterranea e Subsahariana

SEZIONE II

America Latina e Caraibi

CONCLUSIONI

Strategia di alleviamento del debito rispetto alle diverse categorie di paesi debitori

SEZIONE II

Nuova moneta

1. Gli strumenti innovati di nuova finanza.

Le operazioni innovative di nuova finanza, a cui si dovrebbe indirizzare il flusso del finanziamento privato ai PVS (inclusi i paesi dell'Est Europa) - anche con incentivazioni pubbliche fra le quali spiccano le garanzie assicurative e i co-finanziamenti - si possono distinguere in tre gruppi :

A) Project financing

B) Commodity financing

C) Current business operations financing

Il primo gruppo di operazioni di nuova finanza riguarda la attuazione di progetti di investimento, che danno un reddito a cura di operatori dei paesi industriali.

Le formule che appaiono di maggiore interesse sono la BTO (Build Transfer Operate) e la BOT (build Operate Transfer). Entrambi comportano la gestione da parte dell'operatore estero, con il duplice vantaggio di esportare Knoz hoz tecnico e manageriale e di saldare assieme le due figure del "principal" e dell'"agent" della operazione (finanziaria) che - nel caso dei normali prestiti - sono separate.

E' importante, a questo fine, che le assicurazioni pubbliche accettino di assicurare, oltreché i prodotti, anche i progetti.

Il secondo gruppo di operazioni, riguarda sia il finanziamento da parte di investitori esteri di specifiche esportazioni di imprese B dei paesi in via di sviluppo, sia il credito industriale a favore di imprese dei PVS che svolgono attività di esportazione.

Il modello più interessante è quello delle merchant banks, che viene particolarmente praticato dagli operatori giapponesi e che è stato recentemente proposto dal Giappone per specifiche operazioni con imprese del Messico.

Il servizio che viene reso dalla banca estera a favore della impresa del PVS, in questo caso, non consiste solo nel credito, ma anche nell'assistenza tecnica, al fine di ottenere un prodotto esportabile e soprattutto nel servizio di commercio internazionale. In tal modo le imprese dei PVS anche di piccola dimensione, riescono a vendere sui grandi mercati internazionali.

Un altro modello interessante è quello dei commodities bonds.

Pur essendo obbligazioni che prevedono la restituzione del capitale sottoscritto e il pagamento di cedole nel periodo di godimento, sono legati ad un parametro di carattere reale mediante un meccanismo che può far variare il valore sia del capitale che delle cedole.

Tale parametro di riferimento è di solito il prezzo di una "commodity", cioè di una "merce di base" o "materia prima". E' ovvio che le materie prime minerarie si prestano assai meglio di altre a tale funzione di garanzia, ed anzi esse possono assolvere a tale compito anche restando in forma di riserva nel sottosuolo.

La funzione di parametro reale di riferimento e quella ulteriore di stock di garanzia potrebbero essere assolte anche da materie prime non minerarie, quali ad esempio il legname, o anche materie prime agricole non (facilmente) deperibili, come i cereali. Se si riusciranno ad ipotizzare e realizzare condizioni di efficacia della garanzia, mediante appositi strumenti legali e luoghi di stoccaggio, ogni tipo di commodity potrebbe dare luogo a questi bonds.

2. Gli investimenti diretti.

Gli investimenti diretti possono assumere varie forme, nella collaborazione con le forze economiche private e pubbliche dei paesi meno sviluppati. La impresa internazionale, può essere interamente estera oppure, per una quota del capitale proprio (equity), può essere finanziata da operatori economici locali. Oppure può assumere forme di economia mista con una impresa pubblica del PVS (ciò vale anche per l'Est Europa) o può essere una joint venture, fra operatori delle due aree geografiche.

Nell'impresa in cui il capitale con diritto di voto è tutto estero vi possono essere forme di collaborazione col capitale domestico mediante obbligazioni convertibili in azioni o mediante azioni preferenziali, che non hanno potere di voto, pur costituendo "equity".

Queste varie formule hanno un particolare interesse per fornire opportunità di rimpatrio del capitale fuggito all'estero.

La loro possibilità di svolgere un ruolo, sotto questo profilo, in misura notevole, dipende dal fattore tributario e valutario.

Il tema ha aspetti di equità molto delicati il cui apprezzamento va lasciato alle decisioni dei governi dei paesi in via di sviluppo.

In particolare sta ad essi valutare se convenga applicare agli utili distribuiti a connazionali o/e a soggetti residenti all'estero trattenute a titolo di imposta (final witholding) lasciando l'anonimato, o trattamenti di acconto non finale (provisional witholding).

Per stimolare i rimpatri di capitali e i risparmi domestici occorrerebbe favorire i residenti dei PVS, dando loro un regime più vantaggioso che ai non residenti.

Le joint ventures fra operatori privati domestici e operatori esteri appaiono particolarmente appropriate per le piccole e medie imprese.

E' stato scritto - con particolare riferimento all'Africa - ma con portata più generale per gli LDC (1) che :

"A first step towards a balanced approach in favour of joint ventures" arises from the "learning by doing" issue. Most of the skills of the competitive inrirenment are built up through learning by doing. This implies that skills are specific to a productive unit or to take place. Consequently, if the pattern of technological innovation (i. e. learning) dependes on the level of skills already avaulable in the firm or in the country, also learning is localized".

"Local entrepreneurs often lack the right skills and values to enter the more sophisticated formal sector. Although the issue is also a matter of general schooling and training and of overall social transformation, experience in the modern sector seems to be a crucial requirement for formal activities".

(1) Giorgio Barba Novaretti Joint Ventures and autonomous

industrial development : the magic medicine. The case

of the Ivory Cost, University of Oxofrd QEH e

International Developmenti Centre, Luca d'Agliano, Torino, Aprile 1990.

SEZIONE III

I NUOVI MERCATI COMUNI REGIONALI

1. Gli esiti difficili dello Uruguay Round

Gli esiti dell'Uruguay Round sono molto incerti. Si rischia un blocco che, ove non provvisto di fuoriuscita, sarebbe molto preoccupante, per i rapporti Nord-Sud (oltreché più in generale). Tuttavia, bisogna riconoscere che alcune delle difficoltà, che in particolare si incontrano per l'agricoltura, le industrie ad alta intensità di lavoro di qualità non alta, i servizi tecnologici, riflettono il semplicismo delle ricette di puro liberismo generalizzato. I mercati agricoli, in un modo o nell'altro, vanno stabilizzati. Per quanto la Politica Agricola Comune della CEE sia criticabile, bisogna ammettere che, sotto il suo regime, si è sviluppata una produttività prodigiosa. Essa può esser oggi ridotta, perché è stata fruttuosa.

Ma una funzione utile la potrà sempre avere. Lo stesso discorso vale per il protezionismo agricolo USA. Non si afferma, del resto, che per le materie prime agricole dei LDC occorrono "fondi di stabilizzazione" e misure di assistenza più efficaci, per lo sviluppo della produttività e delle diversificazioni.

Studi dello IASA di Vienna mostrerebbero che l'attuazione integrale delle proposte di liberalizzazione USA accrescerebbe i prezzi mondiali dei prodotti agricoli di base e perciò peggiorerebbe, anziché migliorare la situazione di gran parte dei paesi agricoli meno sviluppati, in quanto importatori netti di cibo.

Del resto, una indiscriminata liberalizzazione, per i manufatti ad alta intensità di lavoro, senza controlli relativi al rispetto di regole ecologiche e di principi di non sfruttamento del lavoro a buon mercato nei paesi LDC, può rivelarsi fonte di una gara al degrado pericolosa.

Quanto alla liberalizzazione dei servizi ad alto contenuto tecnologico, essa è desiderabile e possibile purché si pongano principi di controllo dei poteri monopolistici, nei riguardi dei mercati deboli dei paesi LDC.

2. Verso nuovi mercati comuni regionali fra LDC e paesi

sviluppati.

Tutto ciò porta alla conclusione che appare più fruttuoso e più convincente puntare sullo sviluppo di aree regionali di "mercato comune", ciascuna configurata secondo le esigenze e le peculiarità locali, con apposite regole del gioco, anziché mirare a un indeterminato libero scambio cosmico.

Il recente progetto di aree di libero scambio USA - Messico appare assai più promettente del tentativo di puntare tutto sullo Uruguay Round.

Altri progetti simili dovrebbero essere intrapresi o approfonditi e portati a termine.

Il tempo delle grandi aree regionali sembra arrivato. Il debito dell'America Latina, dell'Africa, dell'Asia avrà una molto più facile soluzione se, accanto alla "nuova moneta" emergeranno le "new areas di mercato comune" in ciascuno di questi continenti, fra paesi industriali e paesi LDC che fanno parte della stessa grande regione.

CAPITOLO III

LE RIDUZIONI DI DEBITI VERSO PRIVATI E VERSO CREDITORI UFFICIALI

SEZIONE I

IL PIANO BRADY

1. Il piano Brady è un approccio coraggioso nella giusta direzione

Il piano Brady riconosce esplicitamente che occorre ridurre il debito bancario e che, per fare ciò, occorre un consistente intervento finanziario pubblico.

Riconosce che questa riduzione può convenire ai creditori oltreché ai debitori e, quindi, può essere raggiunta con un patto volontario fra tutti.

Riconosce anche che i paesi indebitati hanno bisogno di nuova moneta.

La lunga durata delle trattative del piano Brady e i suoi difetti hanno varie spiegazioni. Una prima sembra derivare dal fatto che fra le banche vi è, per ragioni contrattuali, una doppia interferenza reciproca (waiving). Da un lato esse, generalmente, in quanto membri di consorzi di prestito sono collegate dalla clausola di "sharing" che impone che ciascuna, nel caso ottenga un certo beneficio, lo ripartisca proporzionalmente fra tutte le altre.

Le banche sono di solito vincolate dalla clausola di "negative pledge" : non è possibile soddisfare un certo credito ottenuto successivamente, se prima non si è soddisfatto quello ottenuto precedentemente. Così si sono trasformate in un "cartello di creditori", paragonabile all'OPEC.

Il piano Brady ha cercato di spezzare tale cartello con la persuasione morale : ma - come osserva il Professor Dornbush - data la sua mancanza di un meccanismo istituzionale dotato di strumenti consistenti e capace di operare, come un cartello, mediante offerte di "tutto o niente" di carattere globale, ha dovuto adattarsi a un lungo negoziato, rassegnandosi a concessioni minori, rispetto agli intendimenti iniziali.

Si riconosce nei più diversi ambienti che il piano Brady è "underfunded" e che ciò non consente di attuare riduzioni della entità desiderabile, con la rapidità desiderabile, né di attrarre, ai paesi ad esso sottoposti e che si risanano, la nuova moneta nella misura voluta.

Altri paesi dovrebbero seguire il Giappone nel piano di riciclaggio che per dare mewwi al piano Brady. Oppure occorrerebbe utilizzare SDR dei paesi ricchi per accrescerne le risorse.

2. Difetti e difficoltà del piano Brady

La mancata garanzia sugli interessi (salvo per 18 mesi) riduce di molto lo enhancement delle obbligazioni, che era stato programmato. Si pensi che un prestito a 30 anni senza interessi - supponendo un tasso di mercato reale del 4% - tenuto conto del tasso di inflazione del 4% annuo, ha un valore presente di circa il 10% del suo valore nominale.

Un'ampia garanzia sugli interessi potrebbe portare a considerare convenienti riduzioni del debito a parità della percentuale della sua remunerazione o di questa a parità del suo capitale, anche del 50% : così come appare inevitabile per adeguare il peso del debito alla capacità di pagare di gran parte dei paesi fortemente indebitati dei paesi a medio reddito e dei paesi a reddito intermedio con un debito bancario notevole che, in termini reali non è superiore allo 1 - 2 % del PIL.

Una spiegazione dei tempi lunghi per l'accordo sta nel fatto che esso è collegato all'accettazione, in modo credibile, di un piano di risanamento economico - finanziario. Mancando una istituzione permanente preposta alla soluzione dei problemi del debito, il negoziato su questo si basa su una procedura una tantum, non su un supergioco, in cui una parte possa reagire negativamente alle mosse dell'altra, qualora questa non mantenga le sue promesse.

Il passaggio del tempo diventa, così, un elemento indispensabile dell'accordo . anche se, comunque, è impossibile concludere questo, quando il risanamento sia già avanzato, data la circolarità fra riduzione del debito e risanamento.

Un altro punto - segnalato dal mondo bancario - riguarda l'up-fronting, vale a dire l'apporto immediato della disponibilità delle risorse finanziarie che gli organismi multilaterali sono chiamati ad allocare, allo scopo di rendere possibili le operazioni di ristrutturazione, riguardanti i crediti delle banche.

Occorre notare che questo problema si pone, perché non esiste una "autorità" permanente, responsabile per le ristrutturazioni :

se essa vi fosse, non vi sarebbe bisogno, per le banche commerciali, di fare il "ponte". Il bridging sarebbe fra i compiti ordinari della "autorità" in questione.

Una quarta difficoltà del piano Brady nasce dalle distorsioni e difetti dei regimi, tributari e di contabilità e vigilanza bancaria relativi ai paesi in via di sviluppo.

In alcuni - Svizzera, Gran Bretagna, Germania, Francia - si consente la detrazione, ai fini della imposta sul reddito di ampie riserve sui crediti a rischio, al momento in cui sono costituite, in altri (Giappone, Italia, USA) non si concede la detrazione di tali riserve o la si ammette in modestissime percentuali, mentre si consente la detrazione delle perdite, quando realizzate sotto forma di vere perdite di capitale (capital losses).

Ciò anche se ai fini della vigilanza bancaria, e in certi paesi (USA), le riserve comportano l'abbattimento dei valori patrimoniali dei crediti per lo stesso importo; e - normalmente - generano, nella contabilità ordinaria, una riduzione dei profitti o, addirittura, delle perdite, tutte nello esercizio in cui si fa l'accantonamento.

Le banche del primo gruppo non sono interessate a operazioni che facciano emergere le perdite patrimoniali perché non ne hanno un beneficio fiscale, mentre il loro rischio è coperto comunque dalle riserve.

In Gran Bretagna e Francia le autorità di vigilanza consentono che questi crediti non siano svalutati sin che non vengono escussi senza esito. Perché dunque, accettare che essi vengano ufficialmente ridotti ?

Dove poi si ammette la detrazione fiscale delle perdite, ma non delle riserve - o solo in misura ridotta - per i crediti in questione, le banche non hanno sempre potuto cautelarsi con riserve molto grandi perché non le possono utilizzare per ridurre i profitti tassabili e generare un "dividendo tributario" che migliori il bilancio. Né possono ammortizzarle su più anni. Inoltre queste banche sono interessate a riduzioni di capitali, non di interessi perché queste seconde di solito (ma ora sembra vi siano mutamenti) non sono considerate perdite fiscali (tax losses).

Dalle distorsioni attuali si potrebbe uscire stabilendo che le detrazioni tributarie per le riserve possono essere molto più ampie, ma costituiscono solo un differimento di imposta (tax deferral).

Qualora dopo un certo periodo, poniamo 5 anni, tali riserve non siano state utilizzate, per coprire riduzioni dei crediti in questione o situazioni accertate di insolvibilità dei creditori, esse rientrerebbero nella tassazione.

Ciò potrebbe almeno applicarsi a sistemi fiscali come quello degli USA e del Giappone e ora dell'Italia che non ammettono (o non più in futuro) gli accantonamenti di riserve su crediti verso paesi a rischio.

Inoltre si dovrebbero consentire ammortamenti delle perdite riconosciute in un certo esercizio, ai fini contabili, quando tali perdite siano individuate per effetto di operazioni generali di riduzione e riconversione, come il piano Brady.

Nei paesi ove è ammessa solo la detrazione delle effettive perdite sui debiti bisognerebbe permettere anche la detrazione della perdita finanziaria capitalizzata dovuta alle riduzioni degli interessi, per assicurare la neutralità fiscale (tax neutrality) fra le varie opzioni del piano Brady e accrescerne la convenienza complessiva. Analogamente, si dovrebbe fare per gli oneri di riserve che derivano dalla opzione di "nuova moneta".

E' chiaro che chi sceglie l'opzione della riduzione di capitale (poniamo del 35% come nel "menu messicano") ha un beneficio immediato di deduzione fiscale. Perde però il beneficio della collateralizzazione per la quota di riduzione del capitale, senza poterla recuperare sugli interessi. Chi sceglie l'opzione della riduzione degli interessi perde il beneficio della deduzione fiscale, ma conserva la collateralizzazione piena del "principale" credito. Chi sceglie l'opzione della "nuova moneta" non ha (quasi) beneficio fiscale (in USA o Giappone) e non ha nessuna garanzia equivalente a una collateralizzazione.

Così questa opzione è una cenerentola. Occorrerebbe assicurare neutralità fiscale e di garanzie per tutte le opzioni.

3. La nuova moneta e il piano Brady

E' illogico che una vasta ristrutturazione, con garanzie sul credito residuo, non si rifletta positivamente sul rischio-paese e, quindi, sugli obblighi di accantonamenti per i nuovi prestiti.

Se accanto al debito bancario si convertono gli altri debiti, la capacità di pagare, a parità di percentuale di sconto unitario, si accresce e il rischio assicurativo, per i titoli risultanti dalla conversione per i nuovi prestiti si riduce.

Un altro punto riguarda il cofinanziamento, da parte della nuova Expanded Cofinancing Operation (ECO) della Banca Mondiale. Ad essa dovrebbero potere accedere sia il paesi, come la Colombia, che non hanno ancora ristrutturato il loro debito, sia i paesi come il Messico e il Cile (e in futuro altri come il Venezuela e l'Uruguay) che abbiano concluso gli accordi del piano Brady, avendo aderito alle condizioni - in termini di risanamento economico - che di tale piano sono il normale presupposto.

Nei miei colloqui - con le principali banche del mondo che hanno crediti con i PVS - ho accertato che vi è un gruppo di banche importanti, di varie nazioni industriali, che vogliono continuare

a operare nei paesi in via di sviluppo: in particolare in America Latina ed Asia. La Citibank afferma, con orgoglio, di essere interessata ad operare anche in Africa, sola fra le grandi banche.

E' giusto, si afferma, che vengano forniti incentivi, a chi fa tale scelta, per lo sviluppo dei PVS. Fra di essi vengono specialmente menzionati dal mondo bancario : "trade-finance facilities, own lending project financing new money bonds, (per i quali occorrerebbero le garanzie assicurative pubbliche) e cofinancing con la World Bank e con Banche regionali di sviluppo, come la Inter-American Development Bank.

4. Suggerimenti per il rafforzamento del piano Brady

L'Economic Commission of Latin America and Carribeans, dopo avere osservato che il piano Brady è "uncoordinated" arguisce che, per le banche, l'incentivo a rinunciare alle proprie pretese non è molto forte e così vi è la tendenza a tirarsi indietro, "There is no substitute for a coherent institutional framework that makes each country's offer of debt reduction-within the context of an officially supported adjustment program one that most banks cannot refuse".

"The framework must include incentives for good social beheviours and sanctions for anti-social free-riding. The Brady Plan lacks such a coherent structure" (1).

Banca Mondiale e IFM, nel loro rapporto congiunto dei primi risultati del Piano Brady, riconoscono che si sono, sin qui, conclusi meno accordi di quelli originariamente previsti. E' desiderabile che le lungaggini dei negoziati siano superate - essi osservano - ma occorre che ciò non comprometta i programmi di aggiustamento; non aumenti la vulnerabilità dei paesi al cui debito è stato ristrutturato di fronte a future, avverse situazioni, non comporti un indebito spostamento di onere fra creditori privati e ufficiali. D'altro canto - proseguono i due organismi - i governi non hanno fatto uno sforzo comparabile a quello chiesto alle banche, per i crediti ufficiali verso i paesi a medio reddito fortemente indebitati, mentre per i più poveri lo stesso programma di Toronto appare inadeguato.

(1) ECLA Options to reduce the debt burden, Santiago, Chile, 1990

Occorre che i fondi per la ristrutturazione del debito siano aggiunti a quelli degli organismi multinazionali.

I paesi debitori - d'altro canto, sostengono Banca Mondiale e IMF - dovrebbero anche loro incoraggiare, anziché scoraggiare, l'investimento estero diretto, il finanziamento da parte di banche commerciali di specifici progetti e operazioni commerciali, il rimpatrio dei capitali fuori-usciti.

Ciò comporta l'adozione di "market oriented reform measures, including the provision of timely rempatriation of dividends, development of local capital markets, the full protection of domestic courts in case of private default, and the elimination of financial repression and unfair taxation practices"; e di provvedere incentivi per la rapida conclusione dei negoziati e per il successivo rispetto dei loro termini.

Per il rafforzamento del piano Brady - specialmente in relazione a paesi la cui crisi debitoria è più difficile e la cui economia ha meno capacità immediate del Messico e del Venezuela - sembrano doversi raccomandare :

a) la neutralità delle opzioni mediante collateralizzazioni (o altre garanzie) equivalenti sul capitale, sugli interessi, sulla nuova moneta e mediante regimi fiscali equivalenti;

b) l'accrescimento dei mezzi per incentivare le riduzioni così da arrivare sino al 50% (calcolato sugli interessi a parità di capitale o sul capitale a parità di tasso di interesse);

c) il pagamento di una quota degli interessi (es. lo 1% del capitale originario) in "buoni" in moneta locale indicizzati spendibili in proprietà azioni merci;

d) l'istituzioni di un comitato di coordinamento ufficiale di una "agenzia" entro le IFI, affiancata - in ciascuna area - dalle banche regionali di sviluppo interessate, con mezzi per finanziare o cofinanziare collaterali, bridging, riscatti, nuova moneta;

e) recepimento dell'efficacia del piano Brady dopo l'accordo del singolo paese, mediante modifica (riduzione) degli obblighi di riserve per i prestiti a paesi che ne hanno firmato l'accordo e ripristino delle assicurazioni pubbliche alle esportazioni e investimenti.

SEZIONE II

L'ALLEGGERIMENTO DEL DEBITO CON I CREDITORI UFFICIALI

1. Il programma di Toronto.

Il programma di Toronto applicato dal Club di Parigi - sulla base degli accordi del G 7 di Totonto finalizzati a Berlino alla riunione annuale del 1981 della Banca Mondiale dello IMF - relativo alla ristrutturazione dei debiti dei PVS nei confronti dei governi dei paesi ricchi è insufficiente. Mentre il piano Brady si rivolge alle banche commerciali per promuovere consistenti riduzioni nel peso dei debiti nei loro confronti da parte di tutti i paesi severamente indebitati, il programma di Toronto si rivolge ai governi solo in rapporto alle nazioni più povere fortemente indebitate, lasciando fuori sia quelle povere mediamente indebitate sia quelle a reddito medio e medio basso anche se fortemente indebitate.

D'altre parte i limitati benefici applicati dal Club di Parigi non vengono dati per tutti i debiti verso istituzioni ufficiali bilaterali, ma solo per quelli di carattere non concessionale verso gli stati. I debiti concessionali verso gli stati non subiscono alcuna ristrutturazione, né la subiscono i debiti non concessionali bilaterali verso istituzioni ufficiali diverse dagli stati.

Infine alcuni governi creditori finanziano questa ristrutturazione con i fondi degli aiuti allo sviluppo così riducendo la addizionalità dell'impegno di Toronto.

L'opzione 1 di Toronto appare quella più logica, per risolvere il problema della difficoltà o impossibilità di pagare perché contiene la riduzione dell'onere degli interessi. Ma anche essa è suscettibile di critiche. Innanzitutto, tale riduzione non è adeguata per i paesi poveri. Infatti essa è della metà o del 3,5% a seconda della percentuale più piccola. Se si parte da un tasso di interesse del 9 - 10%, la riduzione è solo del 3,5% ossia a un livello paragonabile a quello del piano Brady : livello che appare già insufficiente per fare uscire dalla crisi i paesi a medio reddito fortemente indebitati. A fortiori ciò vale per i paesi poveri fortemente indebitati.

D'altra parte, nel caso del piano Brady, il programma iniziale implicava una riduzione più ambiziosa.

Ma occorrendo il consenso delle banche commerciali, le ambizioni sono state ridimensionate, anche per tenere conto dell'equilibrio finanziario delle banche più esposte.

Nel caso dei debiti verso i governi, questo argomento non vale. Sulle loro finanze, il debito verso i PVS è una posta esigua. Nel caso dei debiti dei paesi più poveri lo sconto del 3,5% è veramente troppo poco dal punto di vista distributivo, oltreché nel profilo strettamente economico, della capacità di pagare. Inoltre l'accrescimento delle maturità produce, per il periodo successivo, una concentrazione di oneri che rende difficile la fuoriuscita dalla crisi e pone la premessa per una nuova ristrutturazione.

Più in generale, l'accumulazione di oneri del debito nel futuro toglie ai paesi poveri indebitati l'accesso al credito commerciale e per gli investimenti, ostacolandone quel ritorno al mercato che i piani di aggiustamento generalmente considerano fondamentale.

Il punto debole di tutte le opzioni di Toronto, come si vede agevolmente dal diagramma qui riportato, è proprio nell'accrescimento dell'onere futuro del servizio del debito.

Un grosso limite del piano di Toronto è di includere solo i paesi creditori che sono rappresentati dal Club di Parigi, cioè quelli occidentali più il Giappone : ciò comporta l'esclusione, fra i creditori, dei paesi arabi esportatori di petrolio.

Questi a cominciare dall'Arabia Saudita (che dedica agli aiuti allo sviluppo il 2,75% del PIL) svolgono un ruolo molto importante nel finanziamento dei PVS, con particolare riguardo ai paesi africani e a quelli arabi del Medio Oriente non esportatori di petrolio.

Le banche regionali dei paesi arabi esportatori di petrolio sono molto importanti.

2. Le facilitazioni del FMI.

Il FMI alla fine del 1987 ha istituito lo ESAF (Enhanced Structural Adjustment Facility) per aiutare i paesi a basso reddito con problemi protratti di bilancia dei pagamenti ad aggiustare le loro politiche e realizzare, nel medio termine, processi di crescita migliori. Questo programma si è aggiunto alla SAF (Structural Adjustment Facility) stabilito nel marzo del 1986.

I due programmi, assieme, provvedono circa 12 miliardi di dollari (11,7) in crediti a 10 anni, al tasso di interesse altamente concessionale dello 0,5 con un periodo di grazia di cinque anni, a paesi a basso reddito, sovratutto in Africa (circa 2/3 ESAF e 1/3 SAF).

Senza questo sostegno e quello degli interventi speciali della Banca Mondiale di cui si è visto nella I Parte, il quadro anziché molto drammatico, sarebbe stato tragico. Ma si tratta di azioni parziali non sufficienti. Infatti esse, comunque, non affrontano direttamente il problema del peso del debito in essere.

Il fatto che la Facility non affronti direttamente il problema del debito, ovviamente, riflette difficoltà tecniche del FMI. Riflette anche filosofie eccessivamente rigide di alcuni dei paesi che nel Fondo hanno un ruolo particolarmente importante.

Considerazioni analoghe valgono per i crediti della Banca Mondiale. La estensione e l'approfondimento della concessionalità, ovviamente, presuppongono che le IFI ottengano mezzi concessionali da devolvere a scopi separati da quelli tradizionali, ma considerati non anomali.

Il problema dell'alleggerimento dei debiti verso il FMI e Banca Mondiale e i relativi arrears - così come quello del debito bilaterale - non riguarda solo i paesi poveri, riguarda anche quelli a medio reddito e - ancor più - quelli a reddito intermedio.

Una parte dei crediti sono stati concessi dalla Saudi Bank for Development, a tassi agevolati fra l'1 e il 4% sulla base di un "fondo di rotazione" di 6 miliardi di dollari che si riconduce al suo fondo di dotazione di pari ammontare. I crediti in questione - già altamente concessionali - non possono essere ristrutturati, pena un danno all'operatività di questo fondo.

Tuttavia un'altra parte importante dei crediti della Arabia Saudita e degli altri paesi arabi, fatti dai Governi, con tecniche diverse potrebbero essere inclusi nelle ristrutturazioni qui suggerite. D'altro canto, le istituzioni regionali finanziate dai paesi arabi - come la Saudi Bank - possono svolgere un ruolo interessante.

Cap IV

Suggerimenti per aree regionali e gruppi di Paesi

Sez. I

Africa Mediterranea e Subsahariana

1. I paesi intermedi dell'Africa mediterranea

Il problema del debito dell'Africa - 250 miliardi circa - si articola in due parti : quello dei paesi dell'Africa mediterranea (circa 105 miliardi) e quello dei paesi dell'Africa subsahariana (circa 145).

Il debito dei paesi mediterranei riguardo paesi che sono ufficialmente classificati come paesi a medio reddito perché superano i 500 dollari pro-capite e il cui reddito va dai meno 600 dollari dell'Egitto ai poco più di 600 dollari del Marocco, ai circa 1200 della Tunisia, ai 2700 dell'Algeria e - presumibilmente - della Libia.

Ma Egitto, Marocco, Tunisia invece appartengono alla categoria di paesi - con reddito fra i 500 e si 1300 dollari - che ritengo di dover classificare come "intermedi" fra quelli definiti come poveri e a quelli a medio reddito. Ritengo che il "gruppo dei sette" debba riconoscere l'esistenza di questa categoria, come distinta da quella dei paesi a medio reddito, ai fini della strategia dell'alleggerimento del peso del debito e della provvista di nuovi mezzi finanziari (accentuatamente o discretamente) concessionali per la crescita economica e sociale.

Ciò comporta di ampliare la lista dei paesi beneficiari del programma di Toronto ed adattare questo schema alle più vaste esigenze che si pongono, in una concezione sistemica. Comporta, altresì, una considerazione ad hoc, mediante sportelli concessionali, da parte delle IFI (Fondo Monetario e Banca Mondiale). Comporta - infine - particolari riflessioni riguardanti le politiche di aiuto allo sviluppo.

2. La banca di sviluppo Mediterranea e la nuova finanza.

I debiti e lo sviluppo dei paesi dell'Africa mediterranea sono un problema di comune interesse dell'Europa e dell'Africa. Una banca regionale di sviluppo, che possa operare sull'esempio della Banca Interamericana di Sviluppo e della Overseas Development Corporation del Giappone, appare indispensabile per canalizzare a questi paesi nuove risorse finanziarie per gli investimenti infrastrutturali e per sorreggere, con garanzie assicurative e co-finanziamenti, gli investimenti produttivi.

Per i paesi a medio reddito come l'Algeria e la Libia, il problema è soprattutto quello della nuova finanza e del recepimento, da parte delle assicurazioni pubbliche e delle banche dei paesi industriali (in particolari di quelli europei), delle nuove formule innovative di finanziamento, diverse dai prestiti tradizionali.

3. Le riduzioni dei debiti ufficiali per i paesi intermedi.

Problemi aggiuntivi, si presentano per il Marocco, la Tunisia, e soprattutto l'Egitto, i cui debiti sono per gran parte con i governi e le IFI. Una parte del debito dell'Egitto - 10 miliardi - è debito militare soprattutto con gli USA. Esso originariamente era di 4,5 miliardi, nati da forniture per la difesa di interesse comune.

Su questi 4,5 miliardi l'Egitto si è trovato un onere per interessi del 14% che - con gli arretrati - ha portato il debito a 10 miliardi. Questo è un caso abnorme, che richiede una soluzione altamente concessionale del tutto particolare.

In linea generale, sarebbe opportuno procedere a una sostanziale riduzione dei crediti pubblici o con garanzia pubblica bilaterale dei paesi a reddito intermedio, portandone le scadenze a 30 anni e riducendone gli interessi, sino a un massimo del 60% con devoluzione di un quarto del restante onere a impegni per l'ambiente, la formazione del capitale umano, l'infanzia, la crescita. Mi sembrano meritevoli di considerazioni, in particolare, progetti ambientali che interessano l'area mediterranea e a programmi di istruzione professionale, in relazione alla forza lavoro emigrata.

4. Le politiche di risanamento

E' assai importante attuare con decisione le politiche di risanamento interno. Spesso si tratta di attuare miglioramenti delle entrate pubbliche e di eliminare e di modificare innumerevoli regolamentazioni di dirigismo corporativo e forme di collettivismo e paracollettivismo puntando su una decisa modernizzazione delle strutture di mercato.

Ma i processi di aggiustamento debbono essere selettivi. Non si può chiedere a un paese, che vive di solo granturco di raddoppiare il prezzo del granturco : poche centinaia di milioni di dollari contro la sopravvivenza.

5. Debito e sottosviluppo

Consideriamo, dunque, il debito dell'Africa subsahariana che scende ormai a 145 miliardi di dollari.

Si parla molto in questo periodo di etica economica e di etica degli affari. Mi pare che una riflessione etica su questo debito si imponga.

Per i paesi poveri, il pagamento pieno di questi interessi e ammortamenti implica di sacrificare bisogni essenziali : aprendo il tragico e irresolubile dilemma se tagliare il già basso investimento o incidere su rifornimenti di beni essenziali per il consumo, che sono già mediamente al di sotto della soglia della sopravvivenza.

Nell'Africa subsahariana, nel periodo 1980-'86, sotto il gravame di questi prestiti, il prodotto lordo è disceso pro capite del 3,1%, mentre i consumi diminuivano del 2,4% e le esportazioni si riducevano del 2,1% annuo in termini reali così peggiorando il rapporto fra servizio del debito ed esportazioni.

Le importazioni, a causa del peggioramento delle ragioni di scambio (del 13%) che ne rialzava il prezzo, scendevano ancora di più : ossia del 7,5 annuo, tagliando - assieme - nuovi investimenti, manutenzioni e consumi.

La esiguità della crescita dipende anche dalle ripetute calamità naturali e dalla caduta dei prezzi delle materie prime, che costituiscono la gran parte delle esportazioni di questi paesi.

L'afflusso di risorse complessivo, grazie agli aiuti a fondo perso e ai prestiti bilaterali e multilaterali, costituisce il 7,3% del PIL di cui però la quota devoluta a investimento è solo il 2,3%. Ne viene un preoccupante declino della accumulazione di capitali dal 21% al 17,5% fra l'inizio e la fine degli anni '80.

Ormai, il problema della economia dei paesi subsahariani, senza drastici tagli a loro debito e misure eccezionali di concessionalità di FMI e Banca Mondiale, appare irresolubile.

6. La remissione del debito verso creditori ufficiali per i paesi

poveri

Per i paesi più poveri - IDA eligibili - sulla scia di quanto deciso dall'Italia e dalla Francia, un dovere etico impone di procedere alla cancellazione del servizio di questi crediti, imputando la perdita al bilancio pubblico di ciascuno degli anni cui esso sarebbe affluito.

Quanto ai creditori bilaterali verso paesi poveri non IDA eligibili, propongo una conversione in crediti quarantennali a bassissimo tasso di interesse come l'1%, il cui servizio affluirà a fondi di contropartita in valuta locale indicizzata per finanziare progetti di sviluppo, di tutela ambientale (come la tutela della foresta equatoriale e la lotta contro la desertificazione) e di valorizzazione del capitale umano. Per i paesi a medio reddito, le riduzioni dovrebbero essere minori. Nel complesso, potrebbero essere così "rimessi" 3,2 miliardi di interessi mentre i restanti 800 milioni affluirebbero, assieme agli ammortamenti, a fondi di contropartita per le finalità di cui sopra.

Cinque miliardi in meno di servizio del debito, da scontare per 3,5 dai bilanci pubblici e per 700 milioni ciascuno da quelli delle banche e delle istituzioni multilaterali, sono poca cosa per le finanze dei ricchi. Sono la sopravvivenza per i poveri e aprono la strada alla loro possibilità di attingere maggiori mezzi per quella crescita al 6% del PIL che è ritenuta possibile ed è indispensabile.

Accanto alla economia della matematica finanziaria, occorre fare almeno un piccolo posto alla economia del cuore : se non si vuole che il ricettario dei paesi ricchi per i paesi poveri, con i suoi solenni principi sulla democrazia e sui diritti dell'uomo, appaia una gelida ipocrisia.

Cap IV

Sez II

America Latina e Caraibi

1. Trasferimenti dell'America Latina e Caraibi ai paesi sviluppati

L'America Latina e i Caraibi è il solo continente in via di sviluppo che, da quasi un decennio, dia un trasferimento di risorse ai paesi ricchi.

Dai 10 - 11 miliardi di afflusso netto nell'America Latina e Caraibi del 1980 e del 1981 si è passati a un deflusso di 18 nel 1982, di 31 nel 1983 e così via, sino al deflusso di 25 nel 1989. L'importo sarebbe stato assai superiore se - per effetto della "fatica del debito" - non si fossero accumulati grossi arretrati per interessi: una patologia allarmante che aggrava i problemi e complica le soluzioni.

America Latina e Caraibi hanno trasferito dal 1982 ai paesi ricchi ben 231 miliardi di dollari di flussi finanziari netti. I pagamenti per ammortamenti e interessi dal 1982 all'89 sono stati di 382 miliardi, pari a quasi quattro anni di export.

Il debito che era di 340 miliardi nel 1982 - per il gioco degli interessi composti sugli arretrati - è diventato di 416 miliardi nel 1989.

Se anziché deflazionare il tasso di interesse (Libor Plus) dovuto da questi paesi alle banche estere con l'indice dei prezzi dei paesi industriali, lo si deflaziona con il prezzo unitario in valute internazionali delle esportazioni dell'America Latina e dei Caraibi si trova, per gli ultimi nove anni, un tasso reale che oscilla fra il 25 e il 10%.

Il surplus necessario per il servizio del debito estero è stato conseguito essenzialmente con la compressione delle importazioni mediante le svalutazioni, le strette monetarie e le riduzioni degli investimenti e dei salari reali. In genere il servizio del debito non è stato finanziato dal bilancio, se non in misura limitata. E' stato finanziato con l'espansione monetaria mentre il risparmio emigrava all'estero.

Il tasso medio di inflazione dell'America Latina è balzato dal 57% del dicembre del 1981 al 994% del dicembre del 1989 con punte del tremila % ed oltre in Argentina, Nicaragua e Perù mentre il Brasile era al 1.500% e l'Uruguay e il Venezuela fra l'80 e il 90%.

Altri Paesi come il Cile e il Messico, sono riusciti a domare l'inflazione galoppante. Molti stati, inoltre, sono riusciti a tornare alla democrazia. Non pochi stanno adottando politiche economiche meno incoerenti e politiche fiscali meno permissive di quelle degli anni passati.

2. Debito e sottosviluppo

L'America Latina ed i Caraibi hanno immense risorse, che il peso del servizio del debito ha impedito di valorizzare. Nel decennio '80 il prodotto lordo globale è cresciuto solo del 1% annuo e quello pro capite, per conseguenza, è decresciuto dello 0,8% annuo : quasi del 10% nel decennio.

La spiegazione di ciò si trova nella compressione degli investimenti, derivanti dal grande salasso finanziario che ho menzionato. La perdita di crescita però non si misura solo sul capitale direttamente perduto con tale salasso. Ad esso si aggiunge il vuoto deflazionistico, causato dalla compressione della domanda interna attuata per generare il surplus commerciale e l'effetto disincentivante sul risparmio e sull'accumulazione produttiva dovuti alle incertezze nell'orizzonte finanziario e alle politiche distorsive che i governi indebitati hanno spesso adottato, a volte per necessità, a volte per errori ideologici ed operativi.

La mancata crescita ha intaccato la capacità di pagare. La crisi si è avvitata su se stessa.

3. Un piano di riciclaggio e riduzione

Per il complesso dell'America Latina e Caraibi ritengo che si debba porre, come obiettivo sistemico, un piano di riduzione e riciclaggio tale da azzerare e successivamente invertire, grazie ad apporti pubblici e privati, l'attuale deflusso finanziario di 25 miliardi di dollari annui. Ciò senza per altro generare un nuovo fardello di debito bancario ufficiale, quindi percorrendo vie diverse e diversificate per la "nuova moneta" : dall'investimento diretto, al cofinanziamento fra operatori pubblici e privati su specifici progetti, alle formule di nuova finanza come il BTO e il BOT al credito su derrate (commodity credit), ai finanziamenti bilaterali e multilaterali gratuiti ed altamente concessionali per opere pubbliche e per formazione di capitale umano, al rientro di capitali dall'estero.

Il Gruppo dei 7 deve investirsi di questo problema di trasferimenti dell'America Latina come in genere di una rinnovata attenzione alla relazione fra problema del debito e problema della ripresa dello sviluppo dei paesi meno sviluppati.

Il piano di riduzione e riciclaggio che occorre per risollevare l'America Latina ed i Caraibi dalla crisi e metterli in condizione di crescere secondo le proprie capacità ha bisogno di quattro pilastri.

Innanzitutto, i governi, per i crediti ufficiali bilaterali dovrebbero praticare per i paesi a medio reddito riduzioni e alleggerimenti paragonabili a quelli che le banche commerciali hanno accettato come necessari, con il Piano Brady. Il programma va rafforzato anche con conversione di parte del servizio del debito in fondi di contropartita, pagati in valuta domestica indicizzata, a favore dell'ambiente, dell'infanzia, del capitale umano, della crescita. Per i paesi intermedi vale il suggerimento appena fatto per quelli dell'Africa. Un paese ove il problema è particolarmente acuto, a causa della elevata entità del debito verso creditori ufficiali è la Giamaica.

Occorre un secondo pilastro. Le IFI hanno un saldo fra erogazioni e pagamenti con l'America Latina che è attualmente attorno allo zero. Occorre che esso diventi positivo, grazie a sportelli e strumenti speciali simili a quelli adottati per i paesi più poveri, anche se, di solito, a condizioni di concessionalità meno accentuate. Ciò per sorreggere i processi di aggiustamento, finanziare i delicati periodi di transizione alle liberalizzazioni e quelli conseguenti alla conclusione dell'accordo del piano Brady.

Il terzo pilastro è quello delle risorse pubbliche per finanziare, in termini concessionali le infrastrutture e incentivare le iniziative di "nuova Moneta" delle forze del mercato, nella produzione e nella diversificazione delle esportazioni.

Il quarto pilastro è il rifinanziamento e rafforzamento del piano Brady : Brasile ed Argentina, per tacere dell'Equador e del Perù, della Bolivia che appartengono alla fascia intermedia, non possono trovare sollievo in un piano Brady conchiuso nei termini del Messico, o secondo le proposte negoziate per il Venezuela. Occorre che siano più consistenti gli incentivi per la riduzione degli interessi, oltreché parificare la convenienza di questa opzione a quella di riduzione del capitale. In tale quadro va anche esaminata la possibilità che, per certi paesi, una quota degli interessi sia versata in Buoni in valuta locale indicizzati, convertibili alla pari in proprietà in loco. Occorrono incentivi per accelerare la conclusione degli accordi e per migliorare l'attrazione della opzione per la nuova moneta e mezzi di finanziamento "altamente" concessionale per le operazioni di riscatto (buy back) che, in certi casi estremi, sembrano la migliore soluzione, e in altri servono per allargare il quadro delle opzioni.

4. Ciascuno deve fare la sua parte.

Ma anche i paesi latino americani devono fare la loro parte. La debbono fare i governi - soprattutto quelli dei paesi a medio reddito - adattandosi alla impopolarità di nuove imposte, perché il loro debito esterno è, in larga misura, un problema di disavanzo del bilancio pubblico domestico. La debbono fare i potentati pubblici, adattandosi a formule di economia mista manageriale e a privatizzazioni. La devono fare le classi ricche e borghesi investendo nel proprio paese anziché all'estero; la debbono fare tutti pagando le imposte e le tariffe pubbliche e rinunciando al populismo.

La ripresa della crescita dell'America Latina è un interesse comune di tutti noi sia in rapporto agli equilibri politici, economici, sociali internazionali, come in rapporto a malanni quali quello della droga, delle migrazioni disordinate, della distruzione dell'ambiente, causati o aggravati dalla pressione del debito e del connesso sottosviluppo.

Dopo il decennio perduto degli anni '80 i cittadini dell'America Latina e dei Caraibi hanno dunque titolo a un decennio di speranza e di progresso negli anni '90.

Con il nostro aiuto, ma anche aiutandosi da sè, in un clima di costruttiva cooperazione istituzionale.

CONCLUSIONI

STRATEGIA DI ALLEVIAMENTO DEL DEBITO RISPETTO

ALLE DIVERSE CATEGORIE DI PAESI DEBITORI

I suggerimenti sin qui esposti possono essere sintetizzati come segue :

1. REMISSIONE PER I PVS POVERI :

a) Remissione totale del servizio del debito dei crediti di aiuto

per i Paesi "IDA only";

b) Conversione dei crediti di aiuto e dei crediti pubblici bilaterali per i Paesi "non IDA only" in crediti quarantennali a

tasso di interesse "tipo IDA", con la possibilità di convertire

le residue quote del servizio del debito in fondi di contropartita in valuta locale indicizzata per finanziare progetti

di sviluppo, di tutela ambientale e di valorizzazione del

capitale umano.

c) Ampliamento delle facilities delle IFI per i paesi poveri riducendone le attuali limitazioni.

2. RIDUZIONE DELL'ONERE DEL DEBITO PER LA NUOVA FASCIA INTERMEDIA

(500 - 1300 dollari pro capite) :

a) Conversione dei crediti pubblici bilaterali (crediti di aiuto

e con garanzia pubblica) per i Paesi fortemente e mediamente

indebitati in crediti trentennali a tasso di interesse fortemente concessionali, con la possibilità di costituire fondi

di contropartita in valuta locale come nel punto 1b);

b) Rafforzamento del "Piano Brady" per i crediti privati, con

maggiori fondi a disposizione delle IFI per facilitazioni

sugli interessi e per assicurare l'indifferenza fra le operazioni di riduzione sul capitale e gli interessi e accrescere

la riduzione dell'onere almeno al 50%. Altre misure dovrebbero riguardare iniziative di "bridging" finanziamenti di

riscatti, pagamenti in moneta locale indicizzata e miglioramenti fiscali e contabili a favore delle Banche creditrici

impegnate nelle operazioni di riduzione e di nuova moneta.

c) Finanziamenti concessionali da parte delle IFI;

d) Sviluppo del ruolo banche regionali con prestiti forzatamente concessionali per gli investimenti;

3. ALLEGGERIMENTO PER I PVS A MEDIO REDDITO (da 1300 a 6000

dollari procapite) :

a) Conversione dei crediti pubblici per i Paesi maggiormente e

mediamente indebitati in crediti trentennali a tassi di interesse concessionali, con la possibilità di costituire

fondi di contropartita come nel punto 1b);

b) Rafforzamento del "Piano Brady" per i crediti privati, secondo le modalità del punto 2b;

c) come 2c - d con minori concessionalità.

4. ALLEGGERIMENTO PER I PAESI DELL'EUROPA DELL'EST PER I FINANZIAMENTO DELLA TRANSIZIONE

a) Conversione dei crediti pubblici per i paesi fortemente e

moderatamente indebitati secondo le modalità di cui al punto 3a); per gli altri paesi riscadenzamenti ultratrentennali;

b) Applicazione del "Piano Brady" rafforzato per i crediti privati,

per i paesi fortemente o moderatamente indebitati, con particolare riferimento alle modalità di nuova finanza di cui alla

introduzione;

c) Strumenti di nuova moneta multilaterali ("Gruppo dei 24",

BERS) per sostenere la fase di transizione ed il rapido

passaggio verso l'economia di mercato, nonché per avviare

investimenti infrastrutturali in alcuni settori chiave.

5. APPLICAZIONE DEGLI STRUMENTI DI NUOVA FINANZA PER TUTTI I PAESI,

con particolare riferimento a BOT e BTO e commodity bonds ( da

assistere con garanzie assicurative pubbliche).

 
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