SOMMARIO: L'autore afferma che "né più né meno che per il pluriennale conflitto in Medio Oriente sulla questione palestinese, o per la crisi di un'Africa sempre più sprofondata nella fame e nella dittatura o ancora per i rischi nazionalisti che esplodono al centro e all'Est del nostro stesso continente anche la crisi del Golfo dimostra che il vuoto di Europa (di unione politica europea, di Stati Uniti d'Europa) è ormai un gravissimo vuoto di responsabilità politica, per noi stessi e per il nuovo equilibrio internazionale". Eppure continuiamo a rivolgere critiche e malumori irrazionali più verso gli USA e il loro ruolo di "gendarmi" che verso noi stessi, noi europei, ancor oggi incapaci di realizzare ciò che Altiero Spinelli predicava come indispensabile già vent'anni orsono.
(Il Giornale d'Italia del 16 agosto 1990)
Paradossale ma vero. L'incontrastata protagonista dello straordinario 1989, il continente che per due anni ha calamitato l'attenzione del mondo, la culla della civiltà finalmente libera dal muro e dalla guerra fredda, nella crisi del Golfo svanisce come un miraggio nel deserto.
Certo, nella forza multinazionale dai mille colori che si spinge verso la zona della crisi per svolgere un giustificato compito di polizia internazionale, non mancano le bandiere inglesi e francesi nonchè - un pò più arretrato nel Mediterraneo - il tricolore italiano.
Certo con la fine dell'equilibrio bipolare USA-URSS e il conseguente rischio di esplosione di una miriade di ingovernabili e pericolosi conflitti locali, è auspicabile che finalmente cresca quel ruolo di garante del diritto internazionale che sin dalle origini doveva spettare alle Nazioni Unite e ai suoi caschi blu, senza alcuna negativa supplenza (che tale sarebbe anche se europea). E infine certo non saremo noi, nonviolenti e disarmisti, a lamentare la brillante assenza del soggetto Europa da uno scacchiere bellico più di quanto ogni giorno non facciamo dinnanzi all'analoga assenza da decine di scenari politici.
Tuttavia, in termini di opinione pubblica, con la crisi del Golfo è apparso chiaro a molti e forse a tutti ciò che prima erano in pochi a denunciare. E la responsabilità - per una volta occorre riconoscerlo - non va ad una presidenza di turno italiana che ha tempestivamente attivato gli strumenti a sua disposizione. Il difetto è a monte, nell'assetto istituzionale di questa comunità europea, tanto povera di democrazia comunitaria al proprio interno quanto di omogenei e comuni strumenti di politica estera.
Sicchè, per l'ennesima volta, i telegiornali ci mostrano le consultazioni Baker-Shevardnadze senza alcun interlocutore europeo, la mobilitazione in ordine sparso dei dodici paesi della CEE a fronte della maggiore coesione dimostrata anche dalla Lega Araba, oltre alle consuete e impotenti lamentele verso il ruolo di "gendarme del mondo" assicurato dagli Stati Uniti.
Curioso: da un lato sappiamo perfettamente che l'ONU, in quanto tale, non potrebbe oggi permettersi un intervento fallimentare o privo di esito, pena una grave perdita di credibilità proprio nel momento in cui è necessaria l'assunzione e il consolidamento della sua nuova funzione. Dall'altro siamo perfettamente consapevoli che nel Golfo sono in gioco interessi cruciali forse più per gli stessi paesi europei che per gli Stati Uniti eppure continuiamo a rivolgere critiche e malumori irrazionali più verso gli USA che verso noi stessi, noi europei, ancor'oggi incapaci di fare - nonostante il corso tumultuoso della storia - ciò che Altiero Spinelli predicava come indispensabile già vent'anni fa.
L'esempio del Golfo, a ben vedere, altro non è allora che la prova del nove del vuoto di Europa (del soggetto unione politica europea, di Stati Uniti d'Europa) che è ormai un vuoto di responsabilità pericoloso per noi stessi e per l'equilibrio internazionale.
Fioccano altri casi. Da decenni il Medio Oriente è incendiato dal conflitto israelo-palestinese, che si consuma ai confini dell'Europa, ma in Europa non trova un solo punto di mediazione, una sola iniziativa di dialogo e di pace, quasi che tra Camp David e Mosca non ci sia nulla, salvo qualche incoronazione romana di Arafat. Davvero l'Europa non ha nulla da dire e da fare in Medio Oriente.
Dinanzi a noi, interlocutore naturale di domani, c'è un continente africano che sempre più sprofonda nella fame e nella dittatura. Mentre l'immigrazione africana acquista il peso di uno dei più gravi fenomeni sociali contemporanei, globalmente il paesi europei non riescono che a sviluppare verso l'Africa una sgangerata e scoordinata politica post-coloniale: ma sia essa muscolosa e giacobina come quella francese o mediocremente affaristica come quella italiana in Etiopia-Somalia il vuoto di Europa verso l'enorme potenzialità del continente Africa è palpabile.
E ancora: l'assenza di Europa porta alla grave responsabilità di non offrire un saldo punto di riferimento alle ventate autonomistiche che si sviluppano nel centro e nell'est del nostro stesso continente, trasformandole così in pericolose avventure nazionaliste e contribuendo ad un'immagine globale del continente che ricorda più le ingiallite carte geografiche del 1918 che le necessarie mappe del 2000.
Nel frattempo, inevitabilmente - fra un ministro dell'industria inglese dimissionato per aver detto ad alta voce ciò che decine di milioni di europei pensano e una Bundesbank che riempie il vuoto europeo nell'opera di conversione dell'assetto economico sovietico al libero mercato - cresce la diffidenza verso la legittima unificazione tedesca solo perchè manca un più alto progetto federalista e una più forte volontà politica di giungere in tempi rapidi agli Stati Uniti d'Europa, a quell'unione politica federale che è ormai indispensabile esigenza delle nostre società e del complessivo, nuovo equilibrio mondiale.
E' anche questa una riflessione che, a partire dalla crisi del Golfo, ci aguriamo possa aiutare una presidenza italiana che o saprà segnare qualche passo decisivo o avrà poco ruolo e poca storia.
Intendiamoci: nessuno è così ingenuo da ritenere che si possano fare gli Stati Uniti d'Europa come si fecero quelli d'America. Gli europei non hanno dinanzi a loro cinquemila chilometri di terra quasi disabitata e un altro oceano da scoprire. Nè hanno alle spalle un vuoto di storia, di identità, di tradizioni.
Ma oggi è davvero necessario ed attuale chiedersi che senso ha, ormai, l'assenza di una grande unione politica federalista europea con una moneta, una politica estera, una difesa finalmente comuni.
Con la crisi del Golfo, e forse grazie ad essa, ora tutto appare più nitido. Per il sogno europeo, l'utopia è davvero diventata realismo politico.
Giovanni Negri