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Rutelli Francesco - 21 agosto 1990
Ma io penso che la presenza americana nel Golfo sia giusta

SOMMARIO: Alcuni esponenti del PCI giudicano la presenza statunitense nel Golfo Persico in modo negativo. In realtà, gli Stati Uniti "meritano di essere ringraziati, e non sgridati" per aver salvaguardato gli interessi dell'interà comunità internazionale. Né va dimenticata la compartecipazione di aziende italiane ai tentativi di realizzare l'atomica irachena, la tangente da 160 miliardi pagata per la fornitura della flotta italiana all'Irak, il ruolo della Bnl nei finanziamenti ai paesi del Golfo in guerra. Non è il momento di lavarsi le mani: il dramma impone alla politica italiana di programmare da capo la cooperazione Nord-Sud, la diversificazione degli approvvigionamenti, il risparmio e l'efficienza dell'energia.

(L'Unità del 21 agosto 1990)

Consentitemi una domanda diretta e un po' brutale: come mai l'Unione Sovietica giudica la presenza statunitense nel Golfo Persico in modo più positivo che non alcuni autorevoli esponenti del Partito comunista italiano? Il vice responsabile esteri del Pcus, inviato di Gorbaciov in Medio Oriente, Karen Butenz, ha dichiarato in un'intervista a questo giornale (17 agosto): "Il problema non consiste nella presenza o meno dei soldati Usa nella regione e, d'altra parte, l'Arabia Saudita aveva tutto il diritto di porre la questione della propria difesa, quanto piuttosto in un'iniziativa dell'Onu e nella ricerca, fino all'ultimo, di una soluzione politica della crisi". Un gruppo di personalità del "no" ha invece riaffermato, tra l'altro, che gli Usa "si arrogano la funzione di braccio armato della comunità internazionale" e si stanno "attrezzando alla soluzione violenta". Posso comprendere che le superficiali raffiche di dichiarazioni del ministri De Michelis suscitino quantomeno sconcerto; che un certo ruolo da Bali

lla dell'intervento militare svolto da alcune forze minori del governo susciti irritazione. Ma la scena politica italiana appare in preda ancora una volta ad una sindrome di Ponzio Pilato, con un condimento di antiamericanismo a sinistra, che mi pare il sintomo più grave di un'ideologia dura a morire. Per questo, la politica del "tuttavia" ("Saddam ha compiuto un atto inammissibile; tuttavia...") appare oggi un assurdo. Infatti: 1) è difficile sostenere che l'Occidente, gli Usa in particolare, dopo avere clamorosamente sbagliato la previsione sull'effettiva propensione di Saddam Hussein all'annessione del Kuwait, avrebbero dovuto ignorare anche la dislocazione di decine di migliaia di iracheni in armi al confine dell'Arabia Saudita; 2) una presenza armata multilaterale sotto l'egida delle Nazioni Unite costituisce un'operazione di immane complessità politica, oltre che operativa, i cui tempi erano manifestatamente incompatibili con la necessità di impedire nuovi fatti compiuti nel Golfo ed assicurare il risp

etto effettivo dell'embargo (sempre sull'Unità, una corrispondenza da Pechino sottolineava proprio ieri le grandi difficoltà e reticenze tra i paesi asiatici nell'attuare l'embargo e consentire all'invio della forza multinazionale Onu); 3) una pressione diretta era evidentemente necessaria, giacché fin dal primo momento è stata chiara l'utilizzazione degli oltre 10mila occidentali a Baghdad e nel Kuwait come degli ostaggi nel gioco al rialzo di Saddam Hussein.

Gli Stati Uniti meritano dunque di essere ringraziati, e non sgridati, per aver salvaguardato in questa circostanza non solo i propri formidabili interessi politici ed economici nazionali, ma anche interessi incomprimibili dell'intera comunità internazionale (e, se non dispiace, dell'Italia). Su questi presupposti, è il caso di formulare un paio di rotondi "tuttavia". Il primo, di natura retrospettiva, dato che l'assunzione della responsabilità odierna non può cancellare le precise responsabilità di ieri. Ricordo di avere denunciato ormai dieci anni fa la compartecipazione di aziende del nostro paese ai tentativi di realizzare l'atomica irachena (ci pensò poi l'aviazione israeliana a bombardare, nell'81, il reattore "Osirak" e le relative "Hot Cells" di produzione italiana); ricordo l'azione politica e giudiziaria avviata dal radicale Roberto Cicciomessere sulla vicenda della tangente da 160 miliardi pagata a trafficanti di armi e droga per la fornitura della flotta italiana all'Irak; ricordo di non essere r

iuscito a porre ai voti una mozione parlamentare con cui si chiedeva al governo di attivare in sede Onu le procedure previste per condannare l'Irak per l'uso di armi chimiche; ricordo l'iniziativa ante litteram del deputato verde Sergio Andrei a proposito del ruolo della Bnl nei finanziamenti ai paesi del Golfo in guerra. Queste vicende non valgono a testimoniare una "coerenza minoritaria": testimoniano l'incapacità di governi e di ministri che hanno macroscopicamente sbagliato giudizi e comportamenti nei confronti del dittatore di Baghdad. E se qualcuno può clinicamente difendere la protezione a lui accordata nella guerra contro Khomeini come una difesa dello "stallo" tra i contendenti (con il vantaggio dei lucrosi affari di quegli anni ed il piccolo neo di un milione di morti, cui abbiamo contribuito), nessuno può sostenere la mancanza di indizi circa il delirio di potenza di Saddam Hussein, frenetico cercatore dell'arma atomica e criminale utilizzatore dell'arma chimica. Un altro limite va posto all'inizi

ativa italiana, per raccordarla a due priorità: la pregiudiziale cooperazione europea (è un grave scacco per De Michelis la liberazione dei cittadini di alcuni paesi della Comunità e il sequestro dei cittadini appartenenti ad altri paesi membri), l'operatività nel quadro Onu (accelerando la verifica di una presenza militare multilaterale che consenta l'attuazione dell'embargo ed una più ampia pressione diretta nel Golfo sostituendo il "blocco" Usa).

L'assenza di queste condizioni non potrà comunque essere occasione per lavarsi le mani, anche se occorrerà definire assai bene le caratteristiche di una presenza navale italiana (oggi solo decorativa sul piano militare, a fronte dell'ottantina di navi già schierate) e delle responsabilità di decisione nell'area del conflitto, in parallelo al rafforzamento del dialogo con i paesi arabi che stanno reggendo una posizione assai difficile (cui Israele dovrebbe oggi rilanciare una sponda di apertura sulla questione palestinese). Il dramma di questi giorni ci impone infine di programmare da capo, subito, senza perdere tempo, due aspetti fondamentali della politica italiana: la cooperazione Nord-Sud (tanto vitale in questa fase storica, quanto dispersa in mille rivoli di corruzione e confusione), la diversificazione degli approvvigionamenti, il risparmio e l'efficienza dell'energia.

 
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