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Pannella Marco - 9 gennaio 1991
Lettera al direttore dell'Unità
di Marco Pannella

SOMMARIO: In forma di lettera al direttore, dà atto delle difficoltà incontrate dal "PCI/PDS" nel "lungo,travagliato, importante" processo di rifondazione; dichiara però di non comprendere perché, pur così profondamente rinnovata, solo lentamente l'"Unità" stia "riguadagnando" rispetto alla tradizione di "disattenzione" e di censura delle iniziative di "area" radicale. Ma anche, osserva Pannella, "quanto tempo e quanti temi" sono passati da quando "si dibatteva" attorno a problemi, prese di posizione, documenti ed atti di partito che sembravano indicare nel PCI/PDS l'avvento di una cultura e di una prospettiva di scelte democratiche di tipo "anglosassone", federalista, nonviolento? "Tutto questo - osserva ancora Pannella - mi sembra divenuto lontano non solamente dalla fatica [...] del PCI/PDS, ma dalla stessa Unità".

L'intervento odierno riguarda intanto il "non cale" in cui sono state tenute le posizioni radicali in fatto di "Gladio", "Piano Solo", ecc. Ricorda i "riflessi" (se non gli "ordini") che hanno consentito il silenzio sulle citazioni e le rievocazioni di episodi passati (morte del gen. Mino, coinvolgimento della sinistra nelle vicende dei servizi segreti, ecc.), ma afferma che quando il silenzio si estende anche alla "risposta politica" dei radicali, quando si consentono a Cossiga certi comportamenti, quando non si colgono le occasioni possibili "per rispondere in modo diverso e alternativo", ecc., allora "ci troviamo in pieno riflesso perdente, degli anni sessanta e settanta" subìto più o meno da tutti i partiti.

Venendo al "dunque", l'a. si chiede perché l'Unità non abbia dato "nemmeno una telegrafica notizia" della proposta avanzata dai radicali per la "smilitarizzazione" (non "disarmo") dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, queste sono vittime certamente del "permissivismo", ma del "permissivismo" di "vertici" governati dai "codici militari" e non da "norme capaci di garantire la loro efficienza e funzionalità rispetto ai compiti istituzionali. Conclude cercando di tratteggiare cosa significhi davvero essere "laici" (cioè essere "capaci di 'vivere' la specificità della politica, della moralità politica, ecc...").

(DATTILOSCRITTO, 9 gennaio 1991)

Al Direttore de l'Unità

SEDE

Bruxelles 9.1.1991

Caro Direttore,

comprendo bene (e non vedo l'ora che questa situazione finisca) come il PCI/PDS si trovi in qualche modo condizionato e anche handicappato nella elaborazione e nella attuazione delle sue analisi e del suo rinnovamento, dal lungo, travagliato, importante quanto contraddittorio processo di rifondazione che a Rimini dovrebbe trovare la sua prima conclusione.

Comprendo meno bene che "l'Unità" (comunque, complimenti! il giornale è il più vivo, e positivamente contraddittorio, il più rinnovato di quanti ne escano in Italia; il che - di per sé - non vorrebbe dire molto, ma nel confronto politico-editoriale in atto lo vuol dire) stia lentamente, sicuramente, riguadagnando la sua tradizione di disattenzione e anche di rimozione e di censura (per omissione) nei confronti delle iniziative riconducibili al Partito Radicale ed alla sua area. D'altra parte, quanto tempo e quanti temi sono trascorsi da quando si dibatteva attorno alle interviste ed agli interventi di Darendhorf, alla registrazione di quelli di Flores d'Arcais e di Cacciari, agli incontri (provvisoriamente, allora, né vieti né vietati) fra i vertici dell'Internazionale P.R. e del PCI, alle rianimate espressioni liberalsocialiste e liberaldemocratiche di un Vittorio Foa, alle scelte di compagni come Willer Bordon, alle manifeste aperture a radicali (e non ancora sofisticate, ed equivoche) riforme istituzional

i e partitiche, più di stampo "anglosassone" che "continentale" da parte di Occhetto, di Salvi, di Mussi, di De Giovanni, per tacer d'altri, alla votazione di una mozione congressuale che indiceva - se non erro - una Costituente per un nuovo partito, e non un Congresso per la sua rifondazione, alla "rimessa in causa di sé" per meglio poter rimettere in causa e riformare "la politica" (niente po' po' di meno! ed eravamo e siamo, pardon: saremmo, d'accordo) e il regime, ad una "alternativa storica e politica", non più e non già alla sola DC, ma alla partitocrazia in tutte le sue componenti ed allo-Stato-non-più democratico, "ad una alternativa di regime e di sistema", alla annunciata quasi epocale, per cultura e importanza, conquista della prospettiva e pratica della nonviolenza (e non più solamente dello stantio e pericoloso "pacifismo"), del federalismo europeo (come concezione di uno Stato, di una Riforma, di dimensione dello scontro democratico di classe e di potere, di cultura e di diritto, di concessione

anche del partito); quanto tempo, quanti temi, dunque, non sono e non sembrano trapassati, più che passati?

Tutto questo mi sembra ben divenuto lontano non solamente nella fatica, (e nei mezzi, che prefigurano i fini, ivi usati) del PCI/PDS, ma dalla stessa Unità.

Nei nostri (e miei) confronti vorrei fare un solo esempio: quella "celebrazione" del ventennale dell'approvazione della legge sul divorzio che ha escluso matematicamente qualsiasi ricorso alla voce, alle memorie, ed alle riflessioni odierne di chi visse come LID e PR quella stagione, da radicale, con coraggiosissime e ancor oggi censurate posizioni "diverse" da parte dei Fausto Gullo, degli Umberto Terracini, dei Vittorio Vidali, le cui riabilitazioni tardano per affidare lo spazio unicamente a ottimi compagni di "area" PCI, o del PCI.

Ma lo stimolo per intervenire oggi, in fretta e da lontano (sono a Bruxelles) mi viene dal non cale con cui l'"Unità" ha tenuto, malgrado segnalazioni che non possono che esser fatte rarissimamente (se non si vuole che cambino il segno di una collaborazione con quella della mendicità o della "pressione"), le nostre prese di posizione in tema di dibattito e di azioni a partire dalle situazioni: "gladio", "piano solo", "ordine pubblico" ecc...

Ho raccontato, per esempio, che il generale Mino, comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, per incoraggiarmi ad accettare protezione da parte dello Stato, mi dichiarò di aver deciso di "non usare mai più l'elicottero", deludendo chi ci aveva contato, poche settimane prima di morire, di esser ucciso, con un incidente di elicottero. Ho ricordato l'intimità con la sinistra dell'opera dei servizi e delle forze "segrete" della "destabilizzazione", almeno dagli anni sessanta a (quasi?) oggi, precisando fatti, nomi, date. Ma sembra che le grottesche, infamanti "accuse" da parte di alcuni noti felloni in servizio permanente effettivo (e "l'Unità" "ha fatto benissimo" a dare ampio rilievo alla vicenda) contro Mario Spallone vengano usate come esorcisma per aprire un dibattito su errori storico-politici che hanno portato a ben altre compromissioni, ben altri "crimini", sui quali il riflesso, e l'ordine, di serbare il tabù sono comprensibili, quanto di letale ipoteca nel futuro, non solamente nel presente.

Ma, fin qui, vi sono appunto "riflessi", se non "ordini". Temi propri e costitutivi del tabù, come da sessant'anni, con i Rosselli o con i veri Gobettiani, con gli azionisti o con gli Ernesto Rossi e i Salvemini, i Pannunzio e i Paggi poi.

Quando, però, il tutto si estende alla nostra "risposta", politica, da classe dirigente alternativa sulla base di convinzioni, cultura, capacità alternative, alternative a quelle di regime, agli eventi di queste settimane. Quando si lascia usare dal Presidente Cossiga (per "onestà", come Pertini, ma in un ben diverso quadro) e dal Governo, dalla stampa quasi tutta oggi costituita da quadri giornalistici che hanno fatto la loro scuola nella cultura e nelle alleanze torbide dell'"unità nazionale", i carabinieri assassinati a Bologna dalla malavita, così come si usavano le vittime del terrorismo del periodo P2-P38, per sbattere in prima pagina il mostro dell'eversione e del mondo criminale e far tornare all'ultima quella di un regime letteralmente e costantemente "fuori-legge" in nome della "Costituzione materiale" e dell'"ordinarietà" non "perentoria" delle leggi per i tenutari del potere. Quando non si colgano queste occasioni, con il coraggio e l'onestà intellettuale necessari, per rispondere in modo diverso

e alternativo, per invece tutt'al più far concorrenza all'interno, per non lasciarne il monopolio al potere ufficiale, allora ci troviamo in pieno riflesso perdente, degli anni sessanta e settanta, e parte di quelli ottanta, del PSI, dai "laici", del PCI e dei democristiani-democratici (che sono numerosi, ma vittime delle stesse concezioni "nostre", o "vostre"; come preferite).

Vengo, per finire, al "dunque". Noi abbiamo riproposto con fermezza, incuranti (come dobbiamo, non com'è facile fare) delle reazioni "reazionarie", la necessità "liberale e democratica, di ordine e di efficienza", fondata oltre tutto su quanto ci grida l'attualità, "della smilitarizzazione" (e non del disarmo) dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza.

I giovani carabinieri di Bologna sono vittime, certo, come il Cardinale e mezzo mondo politico si son beati a ripetere, del "permissivismo" e delle incapacità dello Stato e delle istituzioni. Ma del "permissivismo", letteralmente "criminale", tecnicamente delinquenziale, in base ai nostri codici, "nei confronti della criminalità, politica e no, dei vertici" di armi impropriamente e patologicamente governate, per i loro compiti e le loro funzioni di pace e di ordine civile, dai codici militari, e non dalle norme che devono garantire forza, professionalità, competenza, efficienza, immagini correnti, prestigio e anche amore da parte della gente, per questa "gente", come loro, che sono e devono essere carabinieri e finanzieri.

Per questo, subito, abbiamo riproposto pubblicamente la necessità di passare ad una pronta riforma di smilitarizzazione dei due corpi militari. Perché è giusto e utile, anche se si deve affrontare il riflesso reazionario che animò culturalmente l'"unità nazionale", e anima ogni "destra", nella storia contemporanea, a cominciare da quella del "socialismo reale" nel mondo.

"L'Unità" non ha dato nemmeno una telegrafica notizia di questa iniziativa, di questa posizione. Né - ovviamente - il PCI/PDS, Il sì, il no, il ni e il so.

Ecco un esempio del perché mi rammarico del fatto che una intera generazione responsabile di aver ingaggiato in Italia, in condizioni di estrema minoranza e povertà di ogni genere, le grandi battaglie per i diritti civili (battaglie democratiche di classe quant'altre mai) sia stata ferocemente esclusa da qualsiasi possibilità d'esser in qualche misura "interna" al processo che avrebbe dovuto essere di fondazione di una nuova, grande, vincente forza politica di alternativa promosso, o annunciato avantieri, dal PCI.

L'esser "laici", finalmente, comincia non quando si comincia e continua a proclamarlo. Ma quando si è capaci di "vivere" la specificità della politica, della moralità politica, senza condizionamenti ideologici, di casta, di chierici, di clan, rispettando anche il "valore", politico, sociale, "professionale" (ma non erano tutti, fino a ieri, "rivoluzionari professionali"?), di chi condivida "il valore" (nel senso di: "i valori") che si riconosce tale e che si è adottato come propria "politica".

Difficile? Certo. E non solamente per la fretta del mio esprimermi. Ma tatticismi, il trasformismo, diventano ancor più "difficili", in realtà, per chi volesse davvero riformare se stesso, e gli altri, per la Riforma.

Ecco perché vorremmo, avremmo voluto, aver lavorato, già da tempo, e lavorare, al più presto (ma verrà mai, se continuate così?) uniti nella stessa "organizzazione". Una, dove questo è possibile, già c'è: il Pr. Il PDS no? Perché?

 
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