di Francesco RutelliSOMMARIO: Esprimendo il suo accordo e sostegno alla campagna di dissuasione e di informazione sulla droga promossa dal quotidiano romano "Il Messaggero", Francesco Rutelli esprime riserve sulla possibilità delle comunità terapeutiche di fronteggiare l'impatto sociale e sanitario del fenomeno-droga. La necessità di allargare la campagna anche alla problematica dell'Aids e dell'emarginazione sociale.
(Il Messaggero' 25/1/91)
La campagna del Messaggero "per la vita, contro la mafia, la camorra e i narcotrafficanti" ha rappresentato un fatto del tutto nuovo, e positivo, nel panorama delle iniziative di informazione sul tema della droga. Infatti, non si tratta della solita campagna generica e retorica contro la droga: i presupposti criminali del traffico assassino vi emergono in modo chiaro. La disponibilità di una tribuna così diffusa, radicata ed ascoltata ha consentito la sperimentazione di un modello operativo molto più opportuno e più efficiente che non quello delle strutture pubbliche.
Per fare cosa? Vediamo dove sta il vantaggio di una simile impostazione.
Tutto lo scontro di questi anni tra proibizionismo ed antiproibizionismo in materia di droghe è stato centrale sul "lato dell'offerta" trascurando quello della domanda. Era normale ed anche giusto, perché si tratta di uno scontro che riguarda il ruolo delle istituzioni, per le quali si tratta di stabilire se sia più efficace contrapporre al traffico criminale un apparato repressivo sterminato e complesso oppure (come io credo, attraverso la legalizzazione) l'annullamento del superprofitto derivante dalla natura illegale del commercio di alcune droghe. Troppi mezzi di informazione hanno preso parte a questo conflitto, dimenticando che avrebbero potuto svolgere un ruolo ben diverso: quello dell'attacco sul "fronte della domanda", ovvero della limitazione della richiesta di droga tra i consumatori. Senza criminalizzare il consumatore, cui deve andare una solidarietà umana concreta e non paternalistica. Né lanciando giudizi di tipo moralistico (fastidiosi oltre che inutili, visto che la nostra società sostiene e
promuove l'uso di droghe quali i superalcolici e gli psicofarmaci), bensì obiettivo grazie ad un mutamento culturale che ha una vasta base sociale, proprio attraverso un simile approccio sta crollando ad esempio il consumo del tabacco. La sigaretta ed il fumo non sono più visti come elemento positivo, in alcuni casi "emancipatorio" ma innanzitutto come attività dannosa per la salute. "Chi fuma è scemo", fa del male a se stesso più che assomigliare ad Humphrey Bogart; su questa falsariga aggressiva, per far andare il fumo "fuori moda" si sono mosse per anni le associazioni salutiste, particolarmente negli USA. Tra le proteste dei fumatori per certe manifestazioni d'intolleranza, sono stati comunque raggiunti dei risultati spettacolari (che non a caso i produttori di sigarette tentano di contrastare con pubblicità sempre più "ecologiche", di mare, di campagna e di avventura...). E tra fumo e droga c'é una bella differenza. Ci vuole, insomma, una corretta distinzione di ruoli: lo Stato che fa il proprio dover
nei confronti delle attività illegali (senza tentare di incunearsi nella coscienza dei cittadini), i mass media che spiegano come stanno le cose, informano sulla natura e le conseguenze del fenomeno droga, aiutando così a capire che nella vita c'é di meglio da fare che infilarsi nel cunicolo della tossicodipendenza (ma senza diventare dei crociati di questa o di quella politica pubblica).
'Il Messaggero' si è mosso su questa lunghezza d'onda, non si è "schierato" (ad esempio, pro o contro la nuova legge italiana) ed a mio avviso sta facendo assai bene.
Ci sono ancora un paio di questioni da approfondire. La prima riguarda l'efficacia delle Comunità nel fronteggiare l'impatto sociale e sanitario del fenomeno-droga. Tutti sappiamo che questi centri sono insufficienti, perché finora sono stati in grado di accogliere circa il 5% dei tossicodipendenti italiani, con una percentuale di successo valutata a livello internazionale tra il 15 e il 45% dei casi. Al di là di esperienze che hanno anche un segno coercitivo (quella di Muccioli, ad esempio), va considerato con grande rispetto il prodigarsi del volontariato sociale e umanitario, che non può sostituirsi all'impegno dello Stato, ma può spesso arrivare laddove gli organismi pubblici non possono neppure "affacciarsi. Mi chiedo, a questo proposito, se non sia possibile che 'Il Messaggero' integri gli obiettivi della sua campagna con forme di sostengo a quelle associazioni che si occupano di Aids, sul piano informativo e culturale (è fondamentale evidenziare il legame immediato tra l'uso della droga e l'esplosione
di questa sindrome) ed anche di sostegno umanitario (si profila una drammatica inadeguatezza delle strutture esistenti). Infine alcuni tra i critici più severi della campagna antidroga in atto negli Usa hanno sottolineato che le notevoli riduzioni nel consumo di marijuana, cocaina ed eroina che si sono registrate negli ultimi anni (con una contrazione stimata del 40% circa) riguardano le classi sociali medie ed elevate, mentre non hanno toccato i ghetti delle classi più povere, dove la violenza provocata dal traffico illegale sta invece crescendo senza controllo. Si tratta dunque di non dimenticare le radici "strutturali" che portano a drogarsi (e dunque di analizzare in modo razionale, non emotivo, quale strada è più efficace per tagliare l'erba sotto i piedi del narcotraffico, dal punto di vista dell'offerta della droga).
Ma chi ne ha la possibilità deve insistere sulla strada dell'informazione che aiuta la dissuasione: meno gente domanda la droga, meno profitti ci saranno per la mafia.