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ARCOD - 31 marzo 1991
DAL CASO COSSIGA ALLA CRISI DEL REGIME

SOMMARIO: Il passato non è più difendibile, recita in coro la classe dirigente che ne è stata l'artefice. Ma non c'è nessuna garanzia che la seconda repubblica sia meglio della prima. Perciò dobbiamo insieme preparare e organizzare una soluzione democratica.

(Pubblicazione dell'ARCOD - Associazione radicale per la Costituente democratica - 31 marzo 1991)

Il "caso Cossiga" sembra ormai aprire la crisi definitiva della prima Repubblica, e non è affatto detto che ciò che deriverà sia meglio della situazione attuale. Rischiamo purtroppo di passare dalla crisi della partitocrazia a una avventura che avrà come protagonisti almeno in parte coloro che sono stati stessi autori e responsabili della crisi; rischiamo di passare da un regime che aveva via via calpestato i presupposti stessi della sua legittimità e distrutto il principio di legalità ed ogni cultura del diritto, ad un regime di cui è difficile oggi intravvedere i connotati ma che è probabile che non si differenzierà dall'attuale almeno per quanto riguarda l'affermazione del diritto e della democrazia.

E' inutile qui parlare del " caso Cossiga", cioè di quell'insieme di attacchi e di reazioni, di accuse e di sospetti che in una spirale perversa hanno coinvolto in una polemica che qualche volta

ha assunto i toni della rissa il vertice delle istituzioni repubblicane. Da questa situazione il Capo dello Stato ha cercato di uscire con il famoso "appello" che ha ritenuto di rivolgere al paese alla fiera di Roma, con argomenti e denunce in gran parte sacrosanti, comprensibili e condivisi dall'opinione pubblica, e per lungo tempo evocati in maniera solitaria dai radicali. Come non condividere, per esempio, la appassionata difesa del Giudice Carnevale e della prima sezione della Cassazione di fronte ad una stampa e a partiti che li hanno crocifissi e attaccati alla stregua di difensori di mafiosi, senza che uno si levasse per ricordare che il fallimento della giustizia era la conseguenza diretta della scelta folle e ingestibile, ingovernabile dei maxi-processi? Come non condividere l'impietosa descrizione dei problemi irrisolti e sempre più gravi che affliggono il paese?

"Fino ad oggi abbiamo scherzato, ma ora i giochi sono finiti".

Che importerebbe in fondo che a pronunciare questa frase sia stato

chi ha scherzato e giocato con gli altri o tollerato gli scherzi ed i giochi degli altri, di fronte alla promessa (e alla minaccia) di un cambiamento? Peccato che poi questi propositi vengano utilizzati dal Presidente della Repubblica in una logica e in un rendimento di conti tutto interno alla partitocrazia, e che le colpe dei partiti vengano scaricate sulle spalle della pretesa incapacità di decidere e di governare del Parlamento che invece è stato la prima vittima dei veti incrociati dei partiti e dei voti di fiducia che gli hanno impedito di scegliere e di deliberare su ogni riforma istituzionale ed elettorale (come è avvenuto per esempio quando si è trattato di decidere sulla elezione diretta del Sindaco).Peccato che questo stesso Presidente della Repubblica al momento della nomina di Vassalli a giudice costituzionale abbia tessuto l'elogio della indipendenza di quella Corte costituzionale che - ha ragione Pannella - si era comportata come "Cupola" partitocratica nell'impedire quei referendum che avrebb

ero potuto aprire la strada al dibattito e alle scelte sulle riforme.Peccato,infine, che dopo non aver a lungo per nulla esercitati i suoi poteri minacci ora di considerarli assai più estesi di quanto le norme e la prassi consentano.

Non siamo noi radicali a meravigliarcene. Noi fummo gli unici a non unire il nostro voto il giorno che tutti , proprio tutti , accettarono di votarlo come Capo dello Stato. Disertando l'aula, avvertimmo dei pericoli cui si andava incontro. Ed abbiamo assistito nelle settimane e nei mesi scorsi, sbigottiti e impotenti, gettare olio sul fuoco della polemica con Cossiga, proprio quegli ex comunisti del PdS, che non solo non riconoscono, ma neppure mostrano di accorgersi degli errori che allora commisero e fanno pagare all'intero paese.

Sta di fatto che qualcosa sembra essersi rotto nel rapporto che ha tenuto unite fin qui le sconnesse istituzioni dello Stato e le maggioranze politiche: ed è sempre più difficile pensare che la soluzione questa volta possa essere trovata all'interno del perimetro dei vecchi compromessi e delle vecchie spartizioni di potere.

E' per questo che il "caso Cossiga" rischia di aver aperto la crisi definitiva della Repubblica, senza che si abbia alcuna idea di come sarà la seconda.

A questo appuntamento si arriva nel peggiore dei modi: con PRI e PLI privi di ogni idea e di ogni proposta, mediocremente impegnati solo a cercare di garantire una sopravvivenza che rischia di essere priva di ogni ragione e funzione; con una DC che, sotto la guida di Forlani, si è accontentata di una prudenza conservatrice suicida per i tempi e i problemi che si dovevano affrontare, e che mentre stva regalando con ogni probabilità un centinaio di deputati alle leghe, aveva come unica preoccupazione quella di togliere di mezzo i referendum elettorali, con un PdS che ha rapidamente costretto Occhetto ad abbandonare i primitivi propositi di radicali riforme democratiche per rifluire su proposte pasticciate in materia elettorale che contraddicevano la scelta referendaria, ed a preferire i polveroni su gladio e le scorciatoie illusorie delle polemiche con il Quirinale; con un PSI infine cui gli ultimi avvenimenti restituiscono una centralità e una opportunità forse insperata ma che non ha ancora scelto se utilizz

arla solo in maniera avventuristica, come sembra volere e fare Giuliano Amato, con un presidenzialismo di fatto, prima ancora di qualsiasi riforma, di tipo peronista, o invece cogliere questa occasione per una riforma magari di tipo presidenziale ma davvero democratica; con gli altri protagonisti minori di questa vicenda politica (a cominciare purtroppo dai verdi) che sono assolutamente estranei e assenti, privi di proposte e di idee, di fronte a questa crisi.

La crisi rischia di essere dunque, grave e drammatica. Ed è più che mai necessario preparare e imporre soluzioni democratiche a questa crisi. Non ci si può porre di fronte ad essa con un atteggiamento di difesa di un passato che non è più difendibile e non è probabilmente neppure più conservabile. Ma non se ne può neppure uscire con un presidenzialismo, di fatto o di diritto, che lasci immutato il sistema dei partiti, il loro numero, il loro modo di essere e di gestire la cosa pubblica. Sarebbe un rimedio peggiore del male. Se la nostra proposta e la nostra strategia di una federazione riformista di socialisti, di radicali e di ecologisti e di una alleanza laica, non fosse stata abbandonata e impedita, forse noi oggi avremmo avuto uno schieramento politico riformatore in grado di candidarsi alla guida del Governo e di proporre un sistema elettorale uninominale capace di scomporre e ricomporre le vecchie forze politiche in nuovi schieramenti di una moderna democrazia. il fatto che quel disegno sia stato fatto

a pezzi, non ci esime dal compiere ogni sforzo per fare in modo che la crisi evolva verso soluzioni democratiche anzichè avventuriste e ugualmente partitocratiche.

 
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