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Il Partito Nuovo - 1 giugno 1991
Partito gandhiano

SOMMARIO: Il Partito Radicale è il partito gandhiano della nonviolenza politica: la forma più avanzata e integra della tolleranza laica sui cui deve fondarsi la civiltà di una società e di uno stato democratici. In nome della democrazia o del socialismo, del progresso o della rivoluzione, dello Stato o delle nazionalità si è ucciso e massacrato, ancora oggi si uccide e si massacra. L'azione nonviolenta gandhiana dimostra che invece è possibile concepire lo scontro politico più duro, la stessa liberazione di un popolo, senza essere costretti a rinunciare ai principi di tolleranza e di rispetto della vita, per i quali ci si batte. Con la forza del dialogo, la non-collaborazione, la disobbedienza, l'obiezione e l'affermazione di coscienza, i digiuni e il carcere, il Partito Radicale ha conquistato e affermato nuovo diritto positivo e nuova obbedienza ai supremi valori della civiltà laica. Oggi, questi stessi valori devono fondare l'azione del partito transnazionale e transpartitico, per la liberazione nonviole

nta dei popoli dal totalitarismo e dal nazionalismo.

(Il Partito Nuovo, n.1, giugno 1991)

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Un solenne atto politico

Nel 1980 il XXIV Congresso del Partito Radicale votò un "preambolo" allo Statuto, con cui proclamava la sua convinzione, storicamente assoluta, nella nonviolenza e nel diritto.

Partito non ideologico, annualmente rifondato, basato sulla adesione degli iscritti ai concreti obiettivi politici deliberati dal Congresso, senza vincolo alcuno di comportamento "oggettivamente" conseguente, essendo ciascuno responsabile delle proprie coerenze e contraddizioni, quel "preambolo" allo (e non dello) Statuto costituiva un solenne atto politico di quel Congresso, e non l'adozione ideologica della nonviolenza da parte del Partito Radicale e dei suoi iscritti.

Da allora, nessun Congresso ha rimesso in discussione, quel "preambolo"; implicitamente ma chiaramente, in tal modo, rinnovandone l'adozione anche per l'anno successivo. Anzi, adottando nel 1988 l'attuale emblema, gandhiano oltre che transnazionale, il motto "per il diritto alla vita e la vita del diritto", il Partito Radicale ha sin qui anche formalmente rafforzato la scelta compiuta con l' adozione di quel preambolo. Visto il mondo che abbiamo ora sotto gli occhi, e quello che ci si annuncia, è forse lecito riconoscere a questa scelta politica un minimo, anche, di carattere "profetico".

Il preambolo allo Statuto del Partito radicale:

Il Partito radicale

proclama il diritto e la legge, diritto e legge anche politici del Partito radicale,

proclama nel loro rispetto la fonte insuperabile di legittimità delle istituzioni,

proclama il dovere alla disobbedienza, alla non-collaborazione, alla obiezione di coscienza, alle supreme forme di lotta nonviolenta per la difesa, con la vita, della vita, del diritto, della legge.

Richiama se stesso, ed ogni persona che voglia sperare nella vita e nella pace, nella giustizia e nella libertà, allo stretto rispetto, all'attiva difesa di due leggi fondamentali quali: la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo (auspicando che l'intitolazione venga mutata in "Diritti della Persona") e la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo nonché delle Costituzioni degli Stati che rispettino i principi contenuti nelle due carte; al rifiuto dell'obbedienza e del riconoscimento di legittimità, invece, per chiunque le violi, chiunque non le applichi, chiunque le riduca a verbose dichiarazioni meramente ordinatorie, cioè a non-leggi.

Dichiara di conferire all'imperativo del "non uccidere" valore di legge storicamente assoluta, senza eccezioni, nemmeno quella della legittima difesa.

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Nonviolenza e dialogo

Radicale eccezione allo scandalo della giustificazione della violenza in nome degli ideali della Ragione, la nonviolenza gandhiana dimostra all'occidente che è invece possibile concepire lo scontro politico più duro, la stessa liberazione di un popolo dalla più grande potenza coloniale del momento, senza essere costretti a rinunciare ai principi di tolleranza e di rispetto della vita, per i quali ci si batte.

Nella nonviolenza mezzi e fini si riconciliano, gli uni diventano adeguati agli altri, i primi prefigurano i secondi. Se il fine, l'ideale, è costruire una Società più giusta, a misura d'uomo, il mezzo non può essere la prevaricazione della persona, il suo annullamento fisico.

Il »pensiero radicale è tutto in questa intuizione: la nonviolenza politica può, oggi, costituire la forma più avanzata e integra della tolleranza laica, su cui dovrebbe fondarsi la civiltà di una società e di uno Stato democratici. E ciò può divenire possibile solo se la nonviolenza è tradotta nelle leggi e nei comportamenti delle classi dirigenti non meno che delle opposizioni storiche.

La nonviolenza mette al centro della vita sociale la persona, il dialogo. La nonviolenza presuppone che non esistano demoni, nemici da abbattere, ma solo persone: e che la peggiore fra di esse, se aggredita con la forza della nonviolenza - che è sempre aggressiva - può corrispondere con quella parte di sè che è migliore, invece che con la peggiore: »una vittoria può definirsi tale soltanto se tutti in egual misura sono vincitori e nessuno è vinto sostiene una famosa massima buddista.

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Nonviolenza e diritto

La »scoperta da cui i radicali muovono, in termini di teoria e di prassi concreta, è che proprio la nonviolenza - ispirata al rispetto assoluto della persona, a partire da quella dell'avversario-interlocutore - costituisce la via maestra per l'affermazione piena e senza riserve di quello stato di diritto senza il quale democrazia e libertà sono illusione; mentre tutte le »vie violente per conquistare stato di diritto, democrazia e socialismo contengono sempre elementi che per se stessi negano e inficiano il conseguimento dell'obiettivo.

Il Partito radicale vuole dimostrare che la violenza non paga e che con la forza del dialogo è possibile non solo vincere, ma convincere l'avversario.

Quella che Gandhi chiama la nonviolenza dei forti, la resistenza passiva munita di un metodo che le consenta di non essere complice con l'avversario - il »Satyagraha (cioè Sat = verità, Agraha = fermezza) - si manifesta come assunzione collettiva ed individuale della responsabilità di violare pubblicamente la legge e di subirne le conseguenze. Ma non è una rottura della legge che neghi l'idea di legge; al contrario, è il rifiuto di un'ipocrisia, di una non-legge, per affermare invece il diritto.

I radicali, in realtà, disobbediscono a una legge ridotta a non-legge per conquistare vera regola, vera legge, l'unica possibile se si vuol rispettare la dignità della persona.

Approfondendo i motivi della nonviolenza radicale, Pier Paolo Pasolini comprese che in ogni disobbedienza civile c'è obbedienza a un valore superiore, che è la premessa di una futura obbedienza a una legge giusta. In ogni obiezione di coscienza alla legge ingiusta c'è una affermazione di coscienza.

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Nonviolenza e democrazia

La »forza della verità , per potersi esplicare e manifestare, deve essere conosciuta.

La nonviolenza è una efficace alternativa alla violenza solo se la gente può conoscere i motivi della propria azione; solo se è messa in grado di giudicarli può esprimere il suo consenso o dissenso.

Se manca il presupposto della circolazione dell'informazione la scelta disperata della violenza, del terrorismo, dell'uccisione emblematica del »nemico , diventa una tentazione tragicamente forte.

La maggiore fermezza nonviolenta del partito radicale si esprime nella difesa del diritto dei cittadini di »conoscere per poter giudicare . La democrazia politica, come unico sistema che consente a forze che rappresentano interessi antagonisti di prendere il potere senza spargimento di sangue, senza l'uso della violenza fisica, diviene pura finzione nel momento in cui è sottratta ai cittadini la effettiva possibilità di esercitare la propria sovranità e cioè di scegliere.

Se è negata la possibilità di conoscere e giudicare le ragioni dell'opposizione, viene negata la stessa possibilità dei cittadini di scegliere davvero con il voto fra proposte di governo alternative.

Oggi l'invadenza e la dimensione totalizzante dei mezzi di comunicazione consentono a ristretti gruppi di esercitare un potere enorme, quello di cancellare letteralmente la verità o di modificarla, alterarla a proprio piacimento.

Democrazia e diritto all'informazione sono quindi per il partito radicale sinonimi, la prima non può esistere senza l'effettivo esercizio del secondo e, viceversa, il secondo è concepibile solo in uno Stato di diritto.

L'arma estrema della nonviolenza, lo sciopero della fame prima, poi quello della sete, viene utilizzata dal partito radicale non per imporre la propria verità, ma per esigere dall'avversario il rispetto di quella che egli stesso proclama come sua propria legge. Quella che in tutti i paesi democratici sancisce la libertà di stampa e la completezza dell'informazione: beni questi che giustamente l'occidente esibisce per marcare la propria differenza strutturale con i regimi totalitari.

 
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