SOMMARIO: Testo della denuncia contro il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, annunciata da Marco Pannella nel corso della conferenza stampa dell'8 agosto 1991.
Al Presidente della Camera dei Deputati del reato di cui all'art. 283 C.P., 90 della Costituzione
I sottoscritti cittadini denunziano quanto segue.
Sono noti, attraverso atti ufficiali e notizie di stampa (nonché attraverso la pubblicità intenzionalmente datane con il mezzo della televisione di reti pubbliche e private), atti e comportamenti del Presidente della Repubblica sen. prof. Francesco Cossiga nato a Sassari il 26 luglio 1928, diretti esplicitamente o implicitamente al mutamento della Costituzione dello Stato.
I sottoscritti ritengono inequivocabilmente configurare il reato previsto e punito dall'art. 283 C.P. in quanto essi mirano al conseguimento del fine suddetto con mezzi non consentiti dall'Ordinamento costituzionale, mezzi rappresentati sia dai comportamenti ed atti stessi in quanto illegittimi, preordinati ed idonei al fine suddetto, sia da altri fatti, procedimenti concorsi di persone e di circostanze alla cui determinazione la condotta denunziata è palesemente diretta, che rappresentano a loro volta altre modalità, procedimenti del rivolgimento (o elementi di tali procedimenti) che non possono per più versi considerarsi consentiti dall'Ordinamento.
E' noto che il Presidente della Repubblica sen. prof. Francesco Cossiga ha dichiarato di ritenere la Costituzione della Repubblica, che non per nulla egli oramai chiama "la Costituzione del 1948", obsoleta e superata.
Basterebbero, a tal proposito, le pagine del messaggio inviato alle Camere il 26 giugno 1991, in cui si afferma l'esigenza di "un nuovo patto tra gli italiani", e le parole, gravissime, in cui, a chiusura del messaggio si additano al disprezzo e si accusano di tradimento degli ideali delle lotte per la libertà, dei sacrifici di quanti per essa hanno patito e sono caduti, coloro che "ritenesse di nascondersi (!!!) dentro questa Costituzione, dietro questa Costituzione e, trasformatala in un feticcio (!!!) volesse sbarrare la strada a quella che è la legittima richiesta di nuove istituzioni"....
Basterebbe questa pretesa, contenuta in un atto, espressione di un potere formalmente attribuito al Presidente, peraltro per adempiere a specifiche funzioni a lui attribuite dalla Costituzione, per poter parlare di "attentato", giacché la proclamazione politica, ancorché priva di effetti giuridici immediati, di decadenza della Costituzione vigente è di per sé atto non solo arbitrario, ma tale da ledere la Costituzione negarne l'attualità di spirito e di lettera, e quindi, sostanzialmente e duramente diretto a "mutarla". Con il messaggio del Capo dello Stato non è una semplice espressione di opinione, ma atto espressione di un potere, capace di produrre effetti immediati non irrilevanti e di influire in modo consistente sulle determinazioni di altri soggetti, invadendo la sfera propria della dialettica democratica, dei partiti, dei confronti politici ed elettorali, dell'esecutivo e del legislativo.
Né può ritenersi che il reato di cui all'art. 283 C.P. possa ritenersi sussistente solo quando il colpevole intendesse portare a compimento il mutamento della Costituzione senza passare affatto per le procedure formali previste dall'ordinamento per siffatti mutamenti.
Anzitutto la norma penale richiamata parla di "mezzi", alludendo quindi chiaramente anche a quelle fasi del rivolgimento dalle quali non dipende con immediatezza il mutamento costituzionale (proclamazione di decadenza della Costituzione, proclamazione della nuova etc.) ma anche a condotte strumentali rispetto a quelle e tali tuttavia da caratterizzare l'avvenimento e suscettibili di una valutazione giuridica negativa. Tali atti possono eventualmente costituire reati autonomi (attentato contro gli organi costituzionali, art. 289 C.P., usurpazione di potere politico o comando militare, art. 287 C.P., insurrezione armata contro i poteri dello Stato 284 C.P.) attentato ai diritti civili e politici dei cittadini concorrenti con l'attentato alla Costituzione, ma possono anche consistere non in reati, ma atti costituzionalmente illegittimi ed anche in atti in sé formalmente legittimi, tuttavia esercitati con finalità diverse da quelle per le quali il relativo potere è conferito ad un determinato organo o sogge
tto.
Nel caso in questione è comunque individuabile il perseguimento della finalità di mutamento della Costituzione anche con modalità e procedure formali diverse da quelle previste dall'ordinamento, che sono quelle di cui all'art. 138 della Costituzione.
Nel messaggio presidenziale viene addirittura sottolineata come necessità l'uso di forme diverse da quelle previste dall'art. 138; - afferma il Presidente della Repubblica - "adeguate" all'importanza dei mutamenti propugnati, secondo l'assunto che le procedure previste da tale articolo sarebbero da considerare preordinate solo a modifiche di scarso rilievo.
Paradossalmente, però, la procedura di cui all'art. 138 della Costituzione viene "garantita" solo per la modifica dello stesso art. 138, considerata evidentemente di scarsa importanza. Nello stesso tempo l'osservanza delle forme previste dalla Costituzione per le proprie modifiche non viene considerata accettabile e prospettata altro che strumentalmente e marginalmente.
Particolarmente grave, e tale da rappresentare di per sé un tentativo di delegittimazione del Parlamento per ciò che riguarda i suoi poteri legislativi costituzionali, è l'affermazione secondo cui "il Capo dello Stato ha il dovere imprescindibile di prospettare la necessità che qualunque procedimento sia prescelto, tenuto conto della importanza fondamentale delle opzioni.....sia sempre garantita l'espressione della libera e sovrana volontà popolare."
Ciò equivale a considerare "superato" e decaduto il 3· comma dell'art. 138 della Costituzione.
Così il "nuovo patto", e la Costituzione, rinnovata anziché modificata, e quindi esplicitamente "mutata", sono obiettivi che nell'azione del Presidente della Repubblica si integrano e si collegano con la riaffermazione della "necessità" di una forma nuova più "adeguata" di quella prevista dalla Costituzione vigente per le sue modifiche (tutte le sue modifiche, esclusa quella della forma repubblicana dello Stato, non già rimessa ad altro procedimento, ma semplicemente vietata) con evidente caratterizzazione eversiva dell'assetto costituzionale conseguente alla sostanziale estraneità del mutamento propugnato rispetto all'evoluzione fisiologica dell'assetto costituzionale vigente.
Ma il carattere ancor più chiaramente illecito, che attinge indiscutibilmente gli estremi di reato, emerge per il ricorso, reiterato ed anzi costante, che ha preceduto, accompagnato e seguito il suddetto messaggio presidenziale, alla minaccia di scioglimento delle Camere, al ricatto politico insito nel quotidiano irrituale, di per sé eversivo, turbamento della vita politica e istituzionale del Paese.
Nelle numerosissime "esternazioni" su tale argomento il collegamento tra le "riforme istituzionali" propugnate dal Presidente, l'atteggiamento delle forze politiche al riguardo, la formazione di una maggioranza parlamentare capace di attuarle nei tempi ritenuti ottimali, l'anticipazione dei tempi d'inizio dell'opera di mutamento istituzionale da parte di un Parlamento "capace" di affrontarla e di portarla a termine, è incontestabile ed esplicita, anche se tali considerazioni sono spesso contradditorie tra loro e notevolmente differenziate quanto al tono più o meno esplicito, sia quanto alla chiarezza degli assunti, data anche la sede e le modalità prescelte per le "esternazioni".
Intanto non si può qui fare a meno di richiamare come esemplare un allarmante episodio di tali esternazioni di cui diede notizia il "Corriere della Sera" del 4 luglio c.a. relativo ad una conversazione telefonica tra il Presidente ed il giornalista Giuseppe Turani durante la quale il Presidente accennò spregiativamente ai generali italiani in quanto "antigolpisti" ed "eccessivamente pazienti con il potere politico". La smentita di tali affermazioni, e per la fonte (Palazzo Chigi) e per il tenore (non si trattava di un'intervista) è ancora più allarmante dell'esternazione in sé considerata: una vera conferma, abilmente compromettente anche il Governo, allusioni pericolosamente e minacciosamente allusive.
Fare anche un riassunto delle minacce di scioglimento delle Camere, dei richiami al potere spettante allo stesso Presidente di addivenire allo scioglimento, della contestazione, più o meno esplicita dell'appartenenza al Governo della responsabilità di tale provvedimento, richiederebbe lunga esposizione.
Qui vale ricordare, ancora, l' "esternazione" di Torre del Greco, alla vigilia del dibattito in Parlamento sul messaggio, di cui un'agenzia di stampa diede una versione che può definirsi "ultimativa": se il Parlamento non avesse trovato un accordo tra le forze politiche per l'attuazione di riforme istituzionali si sarebbe dovuto ricorrere allo scioglimento delle Camere.
Successive versioni hanno attenuato il tono di tale gravissimo ultimatum ma non la sostanza, essendo rimasto fermo il collegamento tra l'esito del dibattito e l'eventualità di scioglimento.
E' qui appena il caso di sottolineare che il potere di scioglimento delle Camere, benché non regolamentato quanto alle condizioni dalla Costituzione, non è certamente raccordato alle esigenze (vere o presunte) relative all'esercizio di uno specifico "potere costituente" del Parlamento.
L'esercizio del potere di scioglimento al fine di realizzare intendimenti del Presidente relativamente a materia sulla quale questi non ha invece alcuna prerogativa e rispetto alla quale egli non può esercitare alcuna politica personale, rappresenta un abuso tipico (sviamento di potere) la cui minaccia (che, in quanto persistente e continuata, rappresenta un elemento ulteriore del carattere abnorme dell'evocazione di tale istituto con le finalità di cui sopra) è mezzo idoneo a condizionare e menomare la libertà di decisione del Parlamento e così a completare il quadro della complessa condotta nella quale si concreta l'attentato alla Costituzione.
A tutto ciò deve aggiungersi l'ulteriore abuso rappresentato dall'utilizzazione, per finalità vietate dalla Costituzione dello Stato, diverse da quelle per le quali tale uso deve intendersi concesso, dei mezzi pubblici di comunicazione di massa radiotelevisivi, mezzi che conferiscono all'iniziativa presidenziale, alla minaccia di scioglimento delle Camere ed alla pressione sulla opinione pubblica e sulle forze politiche, un particolare valore cogente, e quindi un elemento ulteriore di condizionamento del Parlamento e di illiceità dei mezzi adoperati per conseguire il mutamento costituzionale.
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Tutto ciò, d'altra parte, non è che uno degli aspetti delle conseguenze, della massima dannosità e ulteriore pericolosità, dell'attentato in atto contro la Costituzione dello Stato, cioè contro la legge e la stessa possibilità di civile e democratica convivenza del nostro Paese. Un aspetto, una modalità di per loro assolutamente sufficienti, oltre che eloquenti, a caratterizzare l'attentato in atto, da urgentemente interrompere, nella sua flagranza, ed a sanzionare secondo legge.
Quel che è stato qui indicato non è che parte importante, ma relativamente piccola, delle azioni, dei mezzi, dell'enorme potenziale criminoso messo in atto. Se nei confronti del legislativo si opera in tal modo, nei confronti dell'esecutivo non si è da meno. La sua vita e la sua attività sono state condizionate in modo altrettanto chiaro e puntuale, e dirottate o distratte rispetto ai suoi impegni costituzionali nei confronti del Parlamento, con una continua, pubblica, massiccia interferenza e minaccia di messa in crisi, di conflitti politicamente gravissimi tanto quanto impossibili o abnormi sul piano giuridico istituzionale. Altrettanto poi deve qui dirsi sul piano dei rapporti con la giurisdizione, com'è a tutti noto.
Nei confronti dei Partiti, e dei loro compiti derivanti dall'art. 49 - e non da quelli anticostituzionali della cosiddetta "Costituzione materiale" - l'opera del Presidente della Repubblica è anch'essa impropria e ne usurpa le funzioni o se ne attribuisce gran parte, pubblicamente e politicamente ponendosi a guida e garante del "partito della riforma", reiettando a dissidenti quanti non concordano con il suo disegno politico.
Nei confronti, infine, dei cittadini - sempre al fine di stravolgere l'ordinamento - si viene rafforzando quell'attentato contro i loro diritti civili e politici, costituzionali sul quale da decenni sempre più, con la complicità dell'ordine giudiziario oltre che delle altre istituzioni, si basa il regime partitocratico.
Da parte di uno dei tre costituenti presenti tutt'ora nella Camera dei deputati, Oscar Luigi Scalfaro, è stato detto nel corso del dibattito parlamentare, che evidentemente è stato scelto come luogo per una denunzia solenne e di altissimo tono: "E' fuori dubbio che da tempo l'interpretazione della suprema magistratura costituisce riforma di fatto della nostra Costituzione." Riforma extra e contra legem, senza ombra di dubbio, aggiungono i sottoscritti.
Da parte di uno dei più autorevoli giuristi e costituzionalisti italiani, il prof. Gustavo Zagrebelsky, un editoriale sul n. 7 del 1991 de "Il Corriere Giuridico", si legge: "Il minimo dei poteri presidenziali, il topolino chiamato innocentemente "esternazione" è cresciuto a tal punto da diventare un mostro che scuote dalle fondamenta la nostra Costituzione". Un mostro, dunque, anche per un autore e uno scrittore uso al understatement piuttosto che alle iperboli o alla retorica. Il prof. Zagrebelsky continua: ""oggi ci chiediamo come abbia potuto prendere piede e crescere e se anche la scienza costituzionalista, forse troppo prona nel seguire gli andamenti della prassi, talora impropriamente nobilitata sotto la formula della "Costituzione materiale", non porti pesanti responsabilità"".
Anche i sottoscritti se lo chiedono, non ritenendosi legittimati, come Julien Benda a denunciare anche "la trahison des clercs" nell'Italia di questi anni. E allegano alla denuncia, unico, per ora, documento tra i mille univoci della dottrina e della giurisprudenza, ma tra essi il più recente e autorevole, l'intero editoriale del Prof. Zagrebelsky dal titolo: "Il potere di esternazione del Presidente della Repubblica", dal quale i sottoscritti ritengono di poter trarre una vigorosa e incalzante descrizione scientifica di aspetti fondamentali dell'attentato alla Costituzione dello Stato da parte del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, a suffragio della presente denunzia.
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Quanto sopra esposto concreta indubbiamente il reato di cui all'art. 283 C.P., reato che ai sensi dell'art. 90 della Costituzione importa la responsabilità del Presidente della Repubblica in quanto a questi ascrivibile.
PERTANTO
CON IL PRESENTE ATTO I SOTTOSCRITTI SPORGONO FORMALE DENUNZIA DEL
REATO DI ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE, FACENDO RISERVA DI
ESTENDERLA ANCHE ALLA FATTISPECIE DELL'ALTO TRADIMENTO e di far pervenire agli organi procedenti ulteriori elementi e documentazione a sostegno della denuncia stessa, elementi del resto ampiamente disponibili per chiunque intenda raccoglierli.