LUIGI MANCONI, sociologoSOMMARIO: »il discorso antiproibizionista, presentato e calunniato come estremista e irresponsabile, incomincia a presentarsi sull'arena pubblica nazionale come l'unico scientifico, come l'unico adeguato all'altezza del problema, come l'unico capace di affrontare la questione nel suo spessore, nella sua durezza, nella sua complessità. Esattamente perché non si arresta a quelli che sono i segmenti e le articolazioni che prima citavo, la questione delle droghe come problema della sofferenza dei tossicodipendenti, la questione delle droghe come problema di consumi e quindi della trasgressione e del piacere, ma più esattamente la questione delle droghe come merce, come merce proibita dentro un mercato nazionale e sovranazionale .
(»Antiproibizionismo sulla droga e politica criminale contro la mafia dopo l'assassinio di Libero Grassi a Palermo - Atti della sessione speciale del Consiglio generale del Cora, Bologna, 14 settembre 1991)
Devo fare un intervento molto breve rispetto al dibattito e poi proporre una sorta di Risoluzione.
Credo che quella di oggi è una riunione molto importante. Gli interventi sono stati diversi, non coincidenti, non sempre hanno reciprocamente interagito, non sempre le analisi e i riferimenti scientifici e il retroterra che hanno sottolineato, a cui alludono, coincidono. Tuttavia questi interventi vanno tutti in una sola e ben precisa direzione, definire il ruolo della droga, del mercato della droga, nell'organizzazione della criminalità. Questo elemento, questa direzione che ha preso oggi in maniera così univoca, così netta, così limpida, la discussione tra persone che in qualche caso si vedevano per la prima volta, che provengono da esperienze scientifiche e da storie culturali e politiche anche diverse, in qualche caso anche molto diverse, sia un fatto di grande importanza, rappresenta un segnale, un'opportunità. Credo che significhi in primo luogo che il discorso antiproibizionista, senza perdere radicalità e rigore - cosa a cui personalmente, e non solo io, tengo moltissimo - esca, possa uscire, stia pe
r uscire, dalla minorità, dall'eccentricità, dalla clandestinità dell'ambito un po' trasgressivo e un po' folclorico in cui era stato sospinto, respinto, chiuso.
Questo non lo si deve semplicemente al fatto che si trovano nuovi consensi e, come oggi qui, nuovi interlocutori o la conferma di interlocutori già avuti, già incontrati. Ma soprattutto al contenuto del dibattito di oggi, al fatto cioè che questi nuovi interlocutori, questi nuovi contributi, definiscano, circoscrivano, evidenzino e comincino a scavare in profondità quello che è il nuovo terreno di analisi, di critica e, come ha detto Nicola Tranfaglia, di battaglia politica.
Il nuovo terreno, non per noi ma sicuramente per il tema 'droga' in Italia e nonostante quanto noi disperatamente e in solitudine abbiamo cercato di fare, è proprio quello della 'questione droga' come questione della criminalità organizzata. La questione droga in primo ]uogo si configura come questione criminalità e, proprio dai ragionamenti venuti oggi, si configura come tale a Milano come a Palermo. E, se per un secondo ce lo fossimo dimenticato, le notizie delle settimane scorse sull'allarme criminalità a Milano e le cose che ha detto per ultimo Raimondo Catanzaro sul nesso racket dell'estorsione/controllo del territorio/mercato della droga/sovranità credo ci diano proprio un'immagine quanto mai precisa di cosa significhi la 'questione criminalità' come quadro in cui collocare la 'questione droga' sull'intero territorio nazionale e poi come segmento del ragionamento sovranazionale.
A questo punto il discorso antiproibizionista, presentato e calunniato come estremista e irresponsabile, incomincia a presentarsi sull'arena pubblica nazionale come l'unico scientifico, come l'unico adeguato all'altezza del problema, come l'unico capace di affrontare la questione nel suo spessore, nella sua durezza, nella sua complessità. Esattamente perché non si arresta a quelli che sono i segmenti e le articolazioni che prima citavo, la questione delle droghe come problema della sofferenza dei tossicodipendenti, la questione delle droghe come problema di consumi e quindi della trasgressione e del piacere, ma più esattamente la questione delle droghe come merce, come merce proibita dentro un mercato nazionale e sovranazionale.
Questa è la primissima cosa e, collegata a questa, quella della scientificità adeguata alla complessità della questione tale da darci oggi, quasi in solitudine, l'unica competenza. Non perché tali siamo, perché ancora ci troviamo molto lontani dall'avere gli strumenti di analisi sufficienti ad affrontare il problema, ma perché l'approccio che stiamo elaborando credo che sia quello giusto, un ragionamento cioè che ha la forza della sua scientificità e contemporaneamente, come cerchiamo quasi con ossessività di ripetere, della sua ragionevolezza. Su questo piano io credo che moltissimo ci sia da fare, moltissimo da operare, moltissimo da lavorare.
Proprio quello che ritengo sia l'approccio giusto alla questione, la fondatezza scientifica del nostro sguardo, ci può consentire di sfidare su questo terreno quello che, per semplicità, chiamo l'avversario. Credo che oggi la ragionevolezza del nostro pensiero possa misurarsi lanciando una sfida sul terreno della sperimentazione, dell'innovazione, della prova e della verifica della prova che noi tentiamo.
Perché faccio questo discorso? Il libro che prima abbiamo citato, questo libro collettivo che appunto già nel titolo dice tutto di sé perché il titolo intero è Legalizzare la droga. Una ragionevole proposta di sperimentazione , proprio nel mettere insieme quel 'ragionevole' e quel 'sperimentazione' vuole fare quello che nessuno ha mai fatto, nessuno ha mai provato né ha mai verificato, nessuno ha mai fatto tentativi. La convinzione, non semplicemente della bontà delle nostre idee che sarebbe forse non sufficiente a spingerci ad osare di sfidare l'avversario, ma proprio l'urgenza e la drammaticità della situazione e insieme il fatto che esiste ormai un'esperienza internazionale per quanto piccola e gracile, che esiste soprattutto una constatazione del fallimento delle altrui strategie, possa indurci ad osare molto su questo terreno cioè a sfidare i proibizionisti sul piano della sperimentazione verso una progressiva riduzione della criminalizzazione ed un progressivo ampliamento degli spazi in cui la legaliz
zazione sia possibile. Questi sono i due punti su cui si può lavorare.
In proposito con Marco Taradash avevamo pensato ad un documento che volevamo proporvi chiedendovi di sottoscriverlo come esito di questo incontro. Questo documento è pensato in due parti, c'è una prima parte in tre punti che fa delle affermazioni di natura più generale e una seconda parte dove, a partire da quello che ho appena detto, la 'centralità' del terreno della sperimentazione, si sottolineano cinque elementi cruciali sui quali si possono avviare concrete esperienze. Il tentativo che si fa, che peraltro nel libro valorizziamo molto, è quello di trovare un terreno comune tra coloro che esprimono posizioni antiproibizioniste, che su queste si sono misurati e hanno lavorato in questi anni, e coloro che rispetto a queste posizioni tuttora hanno ragionevoli perplessità, ragionevoli esitazioni, ancora dubbi da esprimere.