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Bordon Willer - 17 ottobre 1991
Il finanziamento pubblico ai partiti garantisce la democrazia? Io dico di no
di Willer Bordon

SOMMARIO: Di fronte ad un sistema degenerato e degenerante, pericoloso e corruttore, il finanziamento pubblico appare come la ciliegina su una torta ormai impresentabile. Senza che una forza esterna ed un trauma rimettano in discussione tutto non è pensabile assicurare nuove regole e strumenti che assicurino ai cittadini organizzati di svolgere attività politica. Bisogna fare in modo che il "basta!" che sale dalla società si incontri con il progetto positivo della sinistra.

(L'UNITA', giovedì 17 ottobre 1991)

Poche volte non mi trovo d'accordo col mio amico Augusto Barbera che considero uno dei protagonisti più lucidi del nuovo partito, il Pds: intendo riferirmi alla sua reazione drasticamente negativa rispetto al referendum per l'abrogazione dell'attuale legge sul finanziamento pubblico dei partiti. Intendiamoci, il problema è delicato, anzi delicatissimo, investendo aspetti non superficiali dell'organizzazione della vita democratica.

E tutto voglio fare meno che lasciarmi prendere dalla corrente neoqualunquista che oggi sembra andare per la maggiore, che fa di ogni erba un fascio, con il pericolo di ridurre e non di allargare il diritto alla partecipazione dei cittadini. Ricordo anzi, non perché questo costituisca chissà quale merito ma perché utile a comprendere il percorso del mio ragionamento, che nel '78, quando si andò ai referendum sullo stesso tema, non solo votai contro ma feci convinta ed attiva campagna elettorale per quel risultato.

Né mi sono convertito sulla strada di Damasco. Ma mi interrogo e mi domando se oggi gli stessi ragionamenti, le stesse analisi che aliora portarono, a mio avviso giustamente, a rigettare quel referendum, siano ancora validi, essendo radicalmente mutata la situazione.

Di Marx coltivo ancora l'esigenza dell'analisi reale della realtà e rifuggo quindi da astrazioni intellettualistiche o ideologiche che dir si voglia. I partiti non sono sempre buoni o sempre cattivi e quindi lo stesso finanziamento pubblico (con questa legislazione) non può essere sempre, in assoluto, valido.

Non c'è solo l'ovvia constatazione che il livello di sfiducia nei confronti dei partiti oggi non è nemmeno paragonabile a quello di ieri essendo aumentato in maniera geometrica e vertiginosa. Non è la quantità che mi impressiona ma la convinzione che nell'accusa di oggi ci sia ben più di ieri una drammatica realtà. Le distinzioni fra sistema partitico e partitocrazia sono giuste in teoria. Ma queste distinzioni sono davvero comprese, sono cultura, cioè, delle persone e dei cittadini del nostro Paese?

Se rispondiamo onestamente dobbiamo concludere che no, che essi sono soltanto l'ultimo velo pudico di un ristretto cenacolo. E che il cittadino medio intellettualizza ben altro, frutto della sua esperienza: ovvero un sistema degenerato e degenerante, pericoloso e corruttore rispetto al quale il finanziamento pubblico appare come la ciliegina su una torta oramai impresentabile. Ogni italiano è stufo, per di più, di sapere che in un'azienda pubblica, in una banca, in una Usl, alla Rai, e perfino alI'Università, si fa carriera solo se si ha la tessera di questo o quel partito.

Da qui, dunque, dobbiamo partire per qualsiasi successivo ragionamento o atto. Se non comprendessimo questo rischieremmo di fare la fine del Gorbaciov prima maniera, di colui che pur avendo ragione aveva torto perché non si rendeva conto che stava alimentando col suo gradualismo quella miscela esplosiva che ha rischiato di farlo saltare e con lui ogni ipotesi di rinnovamento.

Mi si obbietta che in una società naturalmente diseguale gli interessi di parte finirebbero per essere rappresenhti e finanziati secondo un pericoloso scambio di poteri e di favori. La preoccupazione e giusta e proprio per questo rimango dell'avviso che strumenti e regole, che assicurino la possibilità ai cittadini organizzati, anche previ strumenti finanziari, di svolgere la propria attività politica, siano necessari.

Ma questi devono essere assai diversi da oggi e pensa qualcuno che ciò sia possibile in questo Parlamento e senza che una forza esterna ed un trauma rimethno in discussione tutto? Non è questo il tempo delle difese e dei rattoppi: chiudersi oggi, come non mai nel passato, è suicidio. Non è tempo di puntellare. Ciò che serve è qualcos'altro, un supplemento di coerenza per guardare avanti.

Condivido la riflessione di Occhetto al forum di Repubblica che il problema nostro è quello di fare in modo che questo »basta! che sale dalla società si incontri con il progetto positivo della sinistra. Perché se non si fa questo è chiaro che non si cambia assoluhmente niente. E possono esserci rischi di collasso generale e di destra. Ma per fare questo occorre stare nel gorgo di questo fiume in piena e non aristocraticamente e quando conviene ai lati.

Per ultimo una riflessione personale: qualcuno a cui ho confessato la probabile mia adesione a questo settimo referendum mi hà detto: »Ma non temi di essere isolato? . No, non lo temo anche perché, per fortuna, anche in questo il partito è cambiato e non ci sono più »dissidenti e per di più ricordo sempre che lo stesso isolamento ci circondava anche quando agli inizi pochi di noi promossero il primo referendum, quello elettorale. Come finì in quel bagno di folla di piazza Navona è storia così recente da darmi ancora oggi grande conforto.

 
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