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Pannella Marco - 1 novembre 1991
Consiglio federale di Zagabria: intervento di Marco Pannella

SOMMARIO: Nei giorni 31 ottobre e 1, 2 3 novembre 1991 si tenne a Zagabria, in Croazia, il Consiglio federale del partito radicale. Nel corso del dibattito Marco Pannella fece, il 1 novembre, questo intervento (ca. 1h.1/4) di particolare ampiezza tematica.

Dopo aver salutato i numerosi presenti e iscritti - alcuni dei quali con responsabilità pubbliche e persino di governo - provenienti da varie regioni della exJugoslavia, e dopo aver ringraziato il Commissario CEE Carlo Ripa di Meana per la sua partecipazione nonostante il duro scontro che deve affrontare col governo inglese, Pannella sottolinea i rischi di involuzione nella democrazia croata, rischi messi in luce tra l'altro dal comportamento dell'informazione croata nei confronti dei nonviolenti radicali. Compie poi un'ampia ricognizione dei problemi jugoslavi, confrontandoli con la situazione europea degli anni '30, quelli segnati dalle concessioni fatte dalle democrazie occidentali, prima a Franco in Spagna, e poi ad Hitler, le quali - lungi dal mettere al riparo quelle democrazie - portarono a Monaco e alla guerra. Nonostante la gravità di quanto sta accadendo in conseguenza della politica serba l'Europa, la CEE, continuano a non agire, consentendo così a Milosevic di occupare vaste zone di territorio

croato, di impedire agli albanesi del Kossovo l'esercizio delle loro prerogative istituzionali, di negare agli stessi serbi diritti civili e democratici, così comportandosi come, a suo tempo, Saddam Hussein in Irak.

Pannella espone quindi i problemi connessi con la creazione del partito transnazionale, ed enumera le difficoltà che impediscono di tenere, come alcuni vorrebbero, il congresso del partito entro poche settimane, a gennaio. Avverte tuttavia che il congresso potrà essere indetto, ma solo al fine di impedire il protrarsi di una situazione di disagio creata dalle pretestuose e ingiuste critiche mosse da alcuni radicali "storici", all'interno del partito, nei confronti della dirigenza e delle decisioni che essa, in ottemperanza con le delibere del Congresso viene prendendo per cercare di dare vita al partito transanazionale.

(Nota: Il presente testo è la trascrizione, non rivista dall'autore, dell'intervento come fu registrato a cura di Radio Radicale. Per ogni problema di intrerpretazione farà testo,

ovviamente, la registrazione).

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Cari amici,

ho più l'onere di una integrazione di relazione che quello di un intervento. Naturalmente non ho scritto questa integrazione (con tinuo ad avere questa cattiva abitudine) e adesso profitterò comunque del fatto che alcune circostanze, anche un tantino fisiche ed esistenziali, mi danno il privilegio di parlare avendo già ascoltato una parte importante di noi, del nostro dibattito, e anche di avere registrato ieri quello straordinario apporto umano e politico che ha visto un ministro liberale, un leader serbo, musulmano , del Sangiaccato, il primo membro di Bosnia-Erzegovina del consiglio federale (ma in fondo anche del partito, se noi togliamo alcune rare iscrizioni di tre o quattro annifa) decidere di assumere, di condividere la fatica e la speranza di essere radicali. E questo evidentemente mi aiuta molto, come il fatto di avere a questo tavolo Ivo Jelic, di avere a questo tavolo il deputato di Dubrovnik, il fatto di vedere il vice-presidente del governo croato, di vedere altri - amici, compagni - croati, s

loveni, di ex-Jugoslavia comunque, condividere questa fatica stando qui: mentre occorrerebbe a ciascuno di noi riflettere un istante che cosa accadrebbe se fossimo riuniti che so io, a Roma o a Mosca, con la normale attività - attorno a noi - di Parlamento, di partito, di impegni familiari; il fatto che siano qui il vice-presidente del Governo, il deputato di Dubrovnik (faccio due esempi per tutti) mentre c'è una guerra e direi di più, perché è di più, mentre c'è un'ingiustizia, uno scandalo umano e politico che fa sì che ogni minuto qualcosa accada che investe la loro concreta umanità e le loro responsabilità, mentre gran parte del governo, del parlamento sono o sono stati fino a un momento fa davanti a Dubrovnik cercando di entrare, e altri a Roma, altri all'Aja, altri a Parigi, altri ovunque; testimonianza probabilmente che la loro volontà (e per questo li ringraziamo molto) ma sopratutto la loro coscienza consente loro questa scelta, che magari sarebbe difficilmente compresa dai più vicini a loro o magar

i dai loro stessi partiti, con tutte le altre incombenze ogni momento che maturano fuori.

Sono molto aiutato dall'intervento che abbiamo testé ascoltato di Carlo Ripa di Meana; mi ha arricchito, privilegiato, rispetto alla precedente previsione che era quella di parlare prima. Direi che da Carlo ci è venuta una sintesi, un'articolazione di proposte e di politica che ci mostrano come qualcuno che è esposto anche lui, e quanto, in prima linea, quanto più è esposto - e per sua scelta - in questa prima linea tanto più ci avverte della necessità di armare le capacità e le scelte di ciascuno di noi dell'articolazione organizzata: non per sacrificare una piccola o grande parte della libertà individuale dinnanzi alle necessità della storia e le evenienze, ma per vivere invece questa esperienza, questo esperimento di organizzazione, come potenziamento della libertà e della responsabilità di ciascuno, così rovesciando una vecchia sensibilità di tipo anarchico che ci porta a dire, in tutte le culture - quelle dei paesi monopartito, quelle dei paesi di democrazia reale, quelle dei paesi non sviluppati - che

organizzarsi in partito, organizzarsi, è il sacrificio di sé necessario per poter salvare almeno in parte le proprie capacità.

Non di questo si tratta. Già questa impostazione porta a delle forme partito, a delle ideologie, a delle scelte individuali che sono perdenti: e questa ultima metà di secolo l'ha dimostrato clamorosamente, mettendo in luce quanto incredibilmente maledetta, ottusa essa sia (per chi pensa e crede che la storia umana è necessariamente la storia dell'intelligenza umana), quanto il Leviatano monopartitico sia stato in realtà presente nella nostra storia, e anche nei paesi di democrazia reale dove sempre di più, anche per la gente, il sistema dei partiti vive come se fosse in realtà un unico partito con articolazioni subordinate e marginali - quasi un'astuzia maggiore della storia per farci accettare questo Leviatano di non libertà e di sacrificio: sacrificio di convivenza, sacrificio ideale e sacrificio pratico. Carlo Ripa di Meana nelle ultime due, tre settimane è stato uno degli attori della storia, italiana ahimé no, ma della storia (un po') e della cronaca britannica; da molte parti, sui principali giornali

britannici questo Commissario, quindi - potremmo dire, secondo un certo schema - questo ministro della Comunità di 340-350 milioni di abitanti, è stato individuato come il nemico: egli infatti, dinnanzi al rischio di danni irreparabili a quella terra, a quelle acque, a quella natura, a quella flora, a quella realtà, dinnanzi alla ormai quasi certa reiterata scelta della distruzione della natura e dell'habitat e dell'ambiente nell'illusione efficientistica di avere un treno - un qualcosa - che faccia risparmiare venti minuti ai supposti viaggiatori,si è permesso di mandare una lettera personale (e non privata, quindi rendendola doverosamente in qualche misura pubblica) una lettera personale di richiamo ad un ministro! E' stato attaccato come il testimone e l'attore, magari anche un po' sadico, della perversa volontà burocratica e aggressiva di Bruxelles nei confronti delle autonomie degli Stati (e magari avrebbero anche detto dei Popoli...). Tanto che si è arrivati all'immagine - quale immagine, per buona pa

rte dei lettori britannici! - di Carlo lo Squartatore; e non si capisce di che cosa, quando semmai è Carlo che vorrà evitare che si squartino foreste, che si squarti la storia, che si squartino alberi o realtà millenarie, quelle poche tra l'altro che sono superstiti. E si trova l'altro giorno a rilasciare un'intervista in cui viene detto... e lui è un po' attonito nell'avere riscontrato che mentre in Gran Bretagna, nel resto d'Europa e all'interno della Commissione vi era una battaglia, con una prima linea che si ra formata dinnanzi a questo suo dover essere istituzionale, in Italia praticamente quasi nessuno lo sapeva; e comunque tutti quelli che lo sapevano manifestamente se ne fregavano.

Ma questo è anche un elemento di riflessione che noi dobbiamo fare urgentissimamente, compagne e compagni, sui meccanismi della democrazia reale. Proprio perché siamo degli intransigenti democratici, e non democraticisti, abbiamo convinzioni e su queste ci aggreghiamo: ha senso essere uniti se riusciamo a risparmiare i costi ormai insopportabili - in termini di vita - di esperienze sbagliate, se riusciamo ad evitare che il peggio di ciascuna esperienza debba essere rivissuto in ciascun altro luogo perché questa esperienza non diventa forza comune. Per riprendere terra anche su qui dove siamo, ieri parlavamo con il compagno e amico Tomac e io gli dicevo (voglio farvi parte di questo sentimento, di queste due diverse risposte che contengono sicuramente, insieme, una maggiore verità di quanto noi pensiamo) gli dicevo che durante la dittatura - centralizzata, centralistica e comunista, sia pure nazionale - jugoslava, essendo io un deputato europeo che dal '79 non è mancato un anno qui, ma soprattutto un radicale

venuto, con decine di donne e di uomini radicali di ogni paese, ma soprattutto italiani, a fare propaganda militante, a distribuire informazioni tecniche e politiche, a farsi espellere, per cercare di rompere il conformismo piatto, un po' ottuso di una situazione nella quale la Jugoslavia continuava a coprire come di una coltre la vivezza, la vitalità delle proprie esigenze, ebbene io venivo - in dittatura! - e il Vjesnik, il Delo, insomma i principali quotidiani, le radio, le televisioni mettevano in prima pagina (posso documentarlo)l'annuncio del mio arrivo; ed ero il rappresentante di un partitino magari italiano, un eurodeputato isolato, con altri due, nel Parlamento Europeo. Le interviste erano, a volte incomprensibilmente, a volte due in un soggiorno di quattro - o di tre - giorni; e malgrado io purtroppo non parli il croato sono stato fino a tre ore di notte a filidiretti di radio di fatto ufficiali (perché altrimenti non potevano esistere). Oggi, appare evidente che voi tutti e quindi anch'io e noi

tutti siamo, con consistenza marginale o no ma con una consistenza certa, coloro i quali lottano (da nonviolenti, con le loro armi) lottano e quindi sono dei compagni di lotta, per la vita del diritto e dei diritti dei croati e degli sloveni: ma soprattutto dei serbi, perché le prime vittime qui in questa ex-Jugoslavia, le prime, le più disperanti e disperate, sono i serbi sottoposti al terrorismo razzista ed intollerante di Milosevic, della sua natura, della sua voce, della sua buona fede. Questo è un uomo, questa è una persona, razzista, questa è una linea che cinque anni fa con sincerità ci spiegavano che gli albanesi del Kossovo andavano rispettati, certo, "ma - l'ho sentito fino alla nausea, ecco le classi dirigenti compagne e compagni, per dire... - ma gli albanesi, diciamolo sottovoce, sono tutti stupratori di suore, di bambini, di vecchie"... Ecco, in privato ti confidano che la realtà è questa, anche se loro per tolleranza non la dicono; sono evidentemente persone delle quali bisogna temere la resi

stibile ascesa. Ebbene, oggi, in democrazia reale, la vostra presenza, la presenza di tanti esponenti democratici e militanti di tutta Europa, - quanto meno con alcune presenze o una presenza africana sostanziosa, qui, in questa prima linea - beh, viene ignorata.

Quando dieci giorni fa abbiamo deciso di confermare la venuta, né tu - vero Tomac? - né io né noi sapevamo se magari qui in città c'erano di nuovo le bombe, o se il viaggio per venire fosse pericoloso o meno. Non lo sapevamo, l'abbiamo confermato.

Perché? Vorrei dire a qualcuno, cui però è del tutto inutile dirlo, che le armi della nonviolenza non sono assolute, sono come le altre; e a coloro i quali per esempio alcune volte mi dicono che quando si fanno i digiuni bisogna stare attenti alla salute dico: ma certo!, abbiate pazienza, se uno non crede alla nonviolenza e crede quindi alla violenza giusta, democratica le armi le piglia, no? E lì anche rischia un po' la sua salute. Nella guerra il mettere in causa volontariamente la propria salute prima che - diciamo così - ti venga tolta, è la logica giusta. E allora se uno è nonviolento e per esempio capisce di più, nella storia - scusatemi se ancora una volta cito la storia italiana - capisce di più la storia di nomi come Pacciardi, di nomi come Rosselli - nomi della nostra storia - che non quella delle truppe italiane mandate a combattere a sostegno di Franco dall'Italia fascista, che pure erano molto di più; se uno capisce di più quelli che sono andati a rischiare la salute per la Repubblica spagnola

contro l'esercito golpista, allora,se mi consentite: qui è Rodi, qui salta; qui è la Spagna, qui salta; qui è la Jugoslavia, qui salta.

Fa l'equivalente: e quindi siamo qui. Con le armi della nonviolenza, ma rischiando qualcosa, con un rischio calcolato e serio solo però, come manifestazione aggiunta di speranza e non di disperazione, per rafforzare quello che ci consente o ci chiede di aggiungere la pratica limpida del dialogo, della tolleranza e della democrazia, e della democrazia nelle istituzioni e non solo contro le istituzioni: cioè - al di là, oltre tutto questo che c'è di professionalità e di mestiere - questo dato di integrità umana per la quale possiamo e dobbiamo dire che siamo qui accanto alle croate e ai croati, accanto alle slovene e agli sloveni, ai montenegrini anche, ma soprattutto accanto a coloro che hanno perso perfino il diritto all'immagine di vittime, cioè alle donne e agli uomini di Serbia. Così come, quando ci siamo mossi, in alcuni e in un certo modo, sul Medio Oriente, quello che ci spingeva era certo la difesa del Kuwait e del suo diritto, era certo la difesa delle posizioni della nuova ONU, era certo una posiz

ione nonviolenta (e non pacifista) ma innanzitutto - ed è qui lo scandalo - era la difesa degli iracheni che, mandati in Kuwait o mandati a ..., erano però costretti a morire dal loro macellaio ammazzando un milione di iraniani o un milione di iracheni...Sì, c'è la difesa dei curdi, ma almeno i curdi se muoiono ammazzati si sa perché vengono ammazzati, mentre l'iracheno che muore viene ammazzato in difesa "della patria", cioè in realtà in difesa del Milosevic di lì o del Saddam; non hanno nemmeno il diritto alla loro identità, alla loro dignità umana perché anzi sono senza nome, è giusto che muoiano, è giusto che assassinino!... e oggi siamo inerti, tutti, soprattutto i pacifisti "tradizionali", a rassegnarci a vedere che nel Kuwait la democrazia non è tornata o non viene instaurata, a vedere Saddam a cui si dà in ostaggio - ancora, di nuovo - il diritto di vita o di morte sugli iracheni, all'interno di certi equilibri.

Io temo di dovere confessarvi alcune cose, perché se io continuo - congresso o no, poi ci arriveremo - ad essere non un compagno radicale particolarmente importante per motivi di età, di facondia, di abilità, di furbizia, se continuo per il momento,e continuerò ad essere, anche un responsabile del partito e quindi, comunque, qualcuno che nel suo operare - nel bene o nel male - si ripercuote sulla vostra immagine pubblica e sul vostro lavoro, devo e voglio andare fino in fondo: perché su questo dobbiamo intenderci. Io comprendo le difficoltà dei nostri compagni deputati Rom, per esempio. Ci sono dei Rom anche in Serbia e i Rom, come gli ebrei, devono stare molto attenti perché quando si discriminano dei Rom li si discrimina mandandoli nei campi di concentramento e sterminandoli, li si discrimina in un modo un po' diverso ...Capisco quindi (era il problema posto da Cicciomessere) che il seguito della nostra delibera sulla Jugoslavia e l'Europa presa nella sessione precedente - così dura - ponesse dei problemi

a dei deputati romeni, a dei deputati cecoslovacchi, perché quando si ha carico anche degli zingari, dei Rom serbi o comunque jugoslavi, con questo esercito che occupa un po' tutto e dappertutto certo c'è qualche paura, qualche timore e io sono lontano dal condannarlo: tanto più che non esistendo ancora noi con una nostra forza specifica di organizzazione politica solida, il rischio è quello di accendere un processo di repressione, mettiamo rispetto ai Rom in Serbia, senza che noi possiamo garantire che saremo sul terreno presenti a difenderli, ove fossero attaccati di nuovo per colpa o merito delle delibere che noi abbiamo preso. Io mi rendo conto, dobbiamo renderci conto tutti che se il partito assume delle posizioni importanti, compie delle scelte importanti e fare scelte importanti significa che delle ragioni - che sicuramente fanno parte anche della scelta opposta - rischiano di essere conculcate. La nonviolenza è una cosa drammatica, è tutto l'opposto di quello che alcuni retori non dico mostrano di cr

edere ma, così, accennano (anche fra di noi). Allora, beh!, dobbiamo unificarci nella nostra storia, amici: se non abbiamo memoria di noi, non abbiamo nemmeno intelligenza possibile del futuro. Credete che fosse molto diverso o molto più importante di un Milosevic di passaggio il giovane, maturo, Adolfo Hitler quando nel caos (proporzionalistico, se mi consentite) della Repubblica di Weimar, su una serie di incidenti - come è successo a Belgrado - esce fuori come capo del governo? Scusatemi, era una Germania senza la Renania, senza Ruhr, era una Germania senza niente, era una Germania distrutta dalle imbecillità contrapposte dell'estrema destra e dell'estrema sinistra che tutte e due volevano nello stesso modo la grande Germania: gli spartachisti da una parte e i destri. ex-combattenti, dall'altra...chi poteva immaginare? A questo punto, però, per le logiche del complesso militare-industriale che dominano già allora il mondo, dinnanzi a questo candidato a rilanciare la produzione della Ruhr, dell'acciaio, d

elle armi nel mondo e in Europa, quando rompendo il trattato di Varsavia costui occupa, si riappropria, contro "un'astratta ingiustizia storica"... nessuno fiata: "Bene bene, così probabilmente si riuscirà ad avere di nuovo un rilancio del militare-industriale, dell'acciaio, delle grandi forze e delle grandi famiglie capitalistiche occidentali ed europee". E quindi bene la Renania (o bene il Kossovo). Dopo un po', va bene anche per i Sudeti. Peccato, ma...atteggiamento prudente di Londra, di Parigi: "Insomma, se questo demone si sazia, se gli lasciamo prendere pure i Sudeti, se dimostriamo di essere con lui tolleranti, forse la sua carica di aggressività riesce ad essere smorzata". Invece la logica del Leviatano è esattamente quella opposta, più mangia più ha appetito, più è costretto a dover divorare. E quindi abbiamo subito dopo l'annessione dell'Austria, l'Anschluss. Anche lì con folle trionfanti, ma quando c'è da parte del mondo intero l'avallo alla legittimità del percorso di Hitler, perché dobbiamo stu

pirci se le masse traggono delle conseguenze da questo? E abbiamo poi - amici, quello che devo dirvi mi determina molto (altrimenti mandatemi via, non è un problema di maggioranza o di minoranza) quello che a me in questo momento non "angoscia" ma pare di una chiarezza politica che accieca per quanto è chiara - abbiamo poi l'episodio spagnolo. Abbiamo una repubblica legale, legalissima, nessuno ne contesta la legalità. Un generale (che tra l'altro stava in Marocco, mi pare) decide di prendere il potere, prima nell'esercito e poi... Ufficialmente, per salvare (in nome del popolo - come dice Cossiga - sempre "in nome del popolo") per salvare le cose. Ebbene a questo punto, dinnanzi a questo atto interno chiarissimamente violento e anticostituzionale, noi abbiamo l'Italia fascista, ufficialmente, con le benedizioni dei Cardinali (ci sono i documenti), abbiamo le truppe fasciste che partono per la Spagna a sorreggere l'esercito - "serbo" o "federale" di allora - l'esercito golpista, ufficialmente golpista, abb

iamo le truppe naziste che con grande fracasso e informazioni a tutto il mondo sfilano, partono, prendono le navi e già qualche aereo, arrivano lì e la Francia... - l'Italia ha un mare, la Germania non ha contatto, ma la Francia è unita alla Spagna dai Pirenei, dal Paese Basco tra l'altro, che è tra le due parti - la Francia di Léon Blum, il più sacro ancora oggi dei riformisti del secolo, umanista, buono, antistalinista e via dicendo, la Francia del Fronte Popolare, con i comunisti dentro, con tutta l'intellettualità francese che contava, "les lendemains qui chantent", la grande unità... Quella Francia, dinnanzi a quanto accade della repubblica vicina - con l'esercito golpista, le truppe naziste e fasciste già schierate ufficialmente come in Etiopia contro la Società delle Nazioni, contro il diritto - proclama la non-ingerenza e si limita a consentire, come gli americani, come chiunque, a degli individui - Malraux ed altri - di andare a far parte delle macellate truppe repubblicane. Ma, qui insisto amici,

e penso poi a Dahrendorf, a Ralph Dahrendorf e alcune sue analisi: certo del socialismo reale non abbiamo più bisogno ma, ahinoi, ci si è messo troppo tempo; perché la complicità della classe dirigente dell'occidente gli ha permesso di andare avanti per vent'anni di più (e con Carlo Ripa di Meana e Ignazio Silone ci siamo ritrovati in questa convinzione già negli anni Cinquanta!). Ebbene, noi oggi troviamo gli eredi genetici, sul piano politico, di Chamberlain.

E poi c'è Monaco. Dopo la Spagna, dopo la Spagna vinta, l'Etiopia annessa, l'Albania che si sta per annettere, i Sudeti, l'Austria, la Renania, dopo tutto ciò a questo punto si va a Monaco e Chamberlain e Daladier assieme firmano e attestano che Mussolini è l'uomo che salva la pace. Avevo otto anni, ma per mille motivi mi ricordo di quelle settimane in un modo incredibile, è come se le avessi vissute da ottantenne e non da ottenne, a otto anni. E adesso guardate quello che sta accadendo: noi abbiamo consentito per anni a Milosevic e alla Serbia quella occupazione, veramente divenuta nazista, nei confronti di una provincia - non nei confronti di una popolazione - nei confronti di una provincia autonoma secondo la Costituzione, le donne e gli uomini albanesi. Abbiamo consentito un governo repubblicano di qualcuno che non aveva più legalità: non per colpa sua, il venire a cessare del parlamento federale ha tolto anche una legalità formale a Markovic ma la nostra - qui dico - eurocrazia, in questa jugocrazia, l

o ha riconosciuto senza comprendere che non aveva il carisma necessario. E dunque dobbiamo mettere nel conto che noi per due anni abbiamo finanziato e sostenuto una Belgrado diciamo amministrativa mentre dall'interno, in Croazia e in Slovenia, già si vedeva che questa era una superfetazione, un fatto sovrastrutturale, senza avvenire. L'Europa ha detto no all'inserimento della Jugoslavia nella Comunità Europea, all' allargamento come misura federalista. Sbagliato, e noi eravamo qui per dire Europe Now - ve lo ricorderete - perché questo era necessario all'Europa ed era necessario alla Jugoslavia. E quando si parla oggi della Dalmazia e delle isole...Io ho fatto una campagna elettorale un anno e mezzo fa dicendo: riappriopriamoci della Dalmazia! Ma come? Con le joint-ventures: abbiamo duemila isole, ci si torni, perché c'è bisogno del danaro - della umanità di tutti - perché la Dalmazia sia europea: con sovranità croata ma nell'ambito di una riappriopriazione comune di popoli che son stati uniti.

Ebbene, scusatemi, abbiamo l'occupazione - o il tentativo - della Slovenia, della Croazia. Abbiamo la rivolta ufficiale contro il Presidente della Repubblica ..., contro il Presidente del Governo che dichiara che il ministro della difesa è golpista e vuole dimissionarlo, abbiamo contemporaneamente delle libere elezioni, certo non esemplari, ma in Croazia in Slovenia e dovunque abbiamo avuto le procedure costituzionali rispettate fin dove era possibile - perché credo le vostre indipendenze sono state rispettose di tutti i meccanismi costituzionali della Repubblica jugoslava ancora praticabili, perché gli altri non erano praticabili proprio per l'azione di ostracismo serbo. Se questa Europa, se Lord Carrington tiene le posizioni che ha evocato con understatement - che è proprio a Carlo, ed evidentemente non è proprio a me che riesco difficilmente a praticarlo - se abbiamo appunto le bestialità che son state fatte: si prendono gli aggressori e gli aggrediti e li si mette sullo stesso piano e poi, ad un esercito

(che ha il monopolio della condizione di esercito) aggressivo si dice "se entro dieci giorni non la smettete, allora vediamo; se tra dieci giorni voi avete smesso va bene, senno' faremo le sanzioni"...ma scusatemi, questo significa dire a quell'esercito "tu per nove giorni occupi tutto quello che puoi occupare, ammazzi tutto quello che puoi ammazzare e quando avrai fatto o non fatto, se avrai occupato poco invece del 95%, affari tuoi: sei un coglione, noi ti abbiamo dato la vittima sacrificale in mano": come i Sudeti, come la Repubblica spagnola, nell'illusione che poi non si sarà invasi; la Francia, perché c'è la linea Maginot (debole, perché i pacifisti non vogliono manco la Maginot ma questo non importa), ma anche il Churchill che alla fine è eroico ma che in tutti gli anni Trenta ripeteva "se io fossi italiano sarei fascista. Sono un democratico, ma...". Questa è l'Europa, e allora se noi accettiamo nel Kossovo quello che accettiamo, noi abbiamo accettato e stiamo accettando - amiche e amici, questa è l

a nostra responsabilità, dei nostri partiti, delle nostre internazionali - esattamente quello che nel '38 già si accettava nei confronti dei campi di concentramento ebrei e zigani e omosessuali. Perché le notizie c'erano (poi certo gli iceberg vengono dopo ma si sapeva). Così del Kossovo, che non possono andare a scuola...Insomma: i nostri amici sono potuti venire un mese fa a Roma. C'erano tutti i partiti del Kossovo. Non sono potuti arrivare adesso a Zagabria. Ecco che cosa è accaduto in venti giorni. Non sono nemmeno riusciti ad andare ad Atene per passare a Trieste e poi venire qui.

Queste cose noi le abbiamo dette da aprile, maggio, giugno, altro che impazienza: ad Andreotti, a De Michelis, a Delors, a Lord Carrington ancora di recente, a tutti. Gli editorialisti e gli inviati speciali dei giornali, badate, ci davano ragione, anzi loro ci hanno permesso di maturare. Poi però, non appena questi stessi giornali devono registrare lo scontro politico vero, su questo, sulle iniziative diciamo nonviolente, radicali e democratiche, c'è il silenzio totale. Gli editorialisti della Stampa, del Corriere della Sera, eccetera, dicevano: "Nessuno fa le battaglie giuste!", poi se qualcuno le fa viene totalmente ignorato, per evitare che questo crei problemi ai potenti che loro criticano avendo il monopolio della critica. Se questa è la situazione è giusto allora dire, amici, che la preoccupazione mia, da militante radicale, è stata quella da una parte di dire "io in Spagna presumibilmente ci sarei andato negli anni Trenta, contro l'Italia, contro la mia patria, ci sarei andato dalla parte giusta" ma

consentitemi allora che io mi senta adesso nelle stesse condizioni: armato dell'arma nonviolenta e non di quell'altra, però ci sto, a far la concorrenza agli ustascia per esempio, che invece l'Europa sollecita, creandone le premesse per la giustificazione storica. Quando lasciano solo e soli i Tudjiman e i Tomac lasciano soli i democratici sloveni, e quindi giustificano la rabbia, la frustrazione e il fatto che in questa democrazia oggi i principali giornali croati non fanno altro che scrivere di guerra e non più di politica: perché, per un riflesso comprensibile, il bambino sgozzato... Alla fine, col rischio di far dimenticare che anche i soldati serbi dall'altra parte sono costretti, sono vittime anche loro, così ricreando il demonio dall'altra parte, che è consono alla visione fascista, razzista della vita del mondo. E chiudo su questo punto.

Deliberatamente, quando iniziai la campagna contro lo sterminio per fame nel mondo, io pregai il partito di dire che la cominciavo io, che erano affari miei, di militante radicale: perché la nonviolenza non si trasferisce a tutti con una mozione.Ma devo dire che a questo punto io sono pronto a vedere, fra le conclusioni del Consiglio Federale, una eventuale decisione dell'invito ad una azione nonviolenta collettiva, che quindi - diciamo per chi non lo sa - significa non l'obbligo dei digiuni o delle autodenunce, ma la disponibilità del partito, obbligatoria, a servire eventuali decisioni più dure e più collettive di azione nonviolenta mirate a dei risultati tempestivi. Perché il problema è quello che Carlo Ripa di Meana ha un momento fa detto: oggi finalmente, con Separovic e con De Michelis, si è saputo che entro due mesi comunque ci sarà il riconoscimento. Continua il metodo: "Gli diamo due mesi". E dunque si dice che checché facciano - potranno ammazzare tutti i croati o tutti i serbi - comunque per il mo

mento non ci sarà il riconoscimento. Ma perché, amici? Ma perché? E' questo il vero problema: se a giugno noi avessimo riconosciuto le indipendenze democraticamente stabilite - e lo diciamo noi federalisti, noi antinazionalisti, noi che siamo apparentemente gli estremisti di un'altra posizione (e non è così) - dall'indomani l'intervento dell'ONU era legittimo, perché c'era l'aggressione di uno Stato ad un altro, e in Slavonia avremmo trovato la prova del finanziamento e dell'ispirazione della rivolta terroristica contro le indipendenze e quindi ...La prudenza voleva questo, perché in quel momento la dichiarazione di intenti delle due Repubbliche - confederale da una parte ed europeista dall'altra - era chiarissima. Quindi, confederazione jugoslava. Quella era la posizione da prendere: riconoscere queste Repubbliche significava riconoscere la confederazione, significava bloccare gli istinti isolazionisti che temo in Slovenia si siano affermati: ma comprensibilmente - con, diciamolo pure, un certo distacco eg

oistico (per non dire furbo) degli sloveni nei confronti della situazione croata e delle altre repubbliche. E' bene parlarci fuori dai denti e non raccontarci balle: in fondo, nel momento in cui nessuno mi tocca - non si tocca Capodistria ma si tocca solo Dubrovnik - i problemi sono gravi, se la vedano un po' loro e noi... Bisogna dirlo, questo è nella logica dei partiti nazionali, questo è nella logica della scelta dei nostri compagni liberali e democratici sloveni, i quali si son subito rifatti i loro partitini nazionali fortissimi, si sono collegati alle internazionali inesistenti (come quella liberale o altra, in questo momento) e poi fanno i radical-nazionali o i nazional-democratici, che è un'impossibilità storica nella situazione di oggi. Parlare di questo, amiche e amici, non è cominciare a tentare di riflettere su quello su cui Mamedov e gli altri ci invitano a riflettere per evitare un eurocentrismo cieco e suicida: sulla situazione di guerra, sulla situazione di conflitto tra l'Azerbaigian e l'Arm

enia, che coinvolge popolazioni delle quali non sappiamo praticamente nulla ? E diamo il nostro grazie ai compagni del Soviet Supremo dell'Azerbaigian, compagni oggi impegnati con pazienza nella vita del partito. Con pazienza: non ci hanno ancora rimproverato in effetti - pensa, Roche, che bestemmia! - della loro situazione tremenda, del fatto che il partito non si sia ancora occupato o non abbia nemmeno iniziato ad occuparsi dei problemi di quelle Repubbliche.

E abbiamo qui degli interrrogativi tremendi che ci gravano addosso. Ma scusatemi, pensate e pensiamo davvero che sia gestibile un'Europa di 70 stati invece che di 40, ciascuno con il 4 o il 5 o il 6 per cento del reddito destinato alla spesa per la difesa nazionale, dell'esercito; sottraendo, già alla base, il 6% del reddito a regioni che spesso sono povere perché sono state oppresse, e avendo poi una propria diplomazia, una propria moneta, una propria esclusiva banca, una propria sovranità da tutelare? Facciamo i conti. Non a caso, tra Germania, Giappone e Austria, i tre Stati ai quali i trattati di pace avevano imposto di non avere grandi spese militari, l'Austria si è salvata dall'inflazione e ha avuto maggior..... ma la Germania e il Giappone, grazie a 15 anni di non-spese di parti del prodotto nazionale nell'industria militare e industriale, hanno costituito - perché hanno saputo amministrarlo - il grande miracolo economico per cui sono divenuti due Stati che possono anche avviarsi ad essere il primo ed

il secondo, per un certo periodo, nella vita del mondo. Queste cose noi dobbiamo tempestivamente dircele. Che sia per le Repubbliche baltiche che sia per l'Ucraina, questo grande Stato che riacquista oggi la sua volontà, direi, di manifestazione: ecco il dibattito fra di noi, nel corso non dei Consigli federali ma dei giorni: l'Ucraina, l'esercito ucraino, la spesa per l'esercito ucraino, la diplomazia ucraina, tutto questo è giusto e necessario, è inevitabile, a meno che noi non siamo protesi alla costruzione di quegli Stati Uniti d'Europa che significano, col principio di sussidiarietà federalista, tenere nelle proprie mani il piano dell'autogoverno del territorio fin dove è possibile, e delegare il di più al momento e alla struttura federale: ma che dev'essere tale.

E qui veniamo a un altro nodo, amiche e amici. Perché si ripete la storia d'Europa degli anni Trenta? Perché, cari amici, noi abbiamo una Comunità Europea - e con Spinelli, con Carlo l'abbiamo denunciato allora, forse increduli che dovessimo vedere quanto abbiamo avuto ragione - un'Europa antidemocratica nella quale il Parlamento eletto - qui,liberamente, davvero - dai popoli non si vede riconosciuta una sola vera funzione parlamentare. Voi non sapete forse, distratti, amici d'Azerbaigian, che questa Comunità Europea che è l'emblema (deve esserlo per tutti noi) di un assetto democratico contro i "federalismi" autoritari che abbiamo e avete vissuto, questa Europa è sempre più decisa a negare per i prossimi dieci anni almeno - ufficialmente! - qualsiasi potere decisionale al Parlamento Europeo e che, addirittura, il feroce tramonto - feroce contro di lui - di Mitterrand e del Quai d'Orsai li porta oggi ad essere al centro di un'operazione che vuole adulterare la realtà del Parlamento Europeo per farne un mecc

anismo unitario con gli altri dodici parlamenti nazionali. Questo vuole il Partito Socialista o vogliono le aree socialiste. E l'internazionale socialista? E l'internazionale liberale? E l'internazionale democratico-cristiana? E magari l'internazionale ecologista? Cosa stanno facendo? Dove sono? Come si preparano? Ho dato degli esempi. A questo punto, se il problema dell'ozono è vero, se l'effetto serra è vero - amiche e amici, è questo che dobbiamo pure dirci - se l'oceano, in base ad una possibile conseguenza dell'effetto serra, salirà di tre metri o di trenta centimentri e una decina, una quindicina, una ventina di isole saranno di conseguenza sommerse come è previsto e quindi ci sarà il problema di 2-300.000 persone in un posto, di dieci milioni in un altro, siete certi che noi non viviamo ormai in un mondo nel quale soprattutto dalla democrazia reale verrà subito l'invito a militarizzare la difesa e la vita civile per garantire la salvezza ecologica del sistema e sottrarla alle perdite di tempo politich

e e parolaie e democratiche? Siete certi che dinnanzi all'immigrazione, per forza di cose selvaggia, con la quale dovremo fare i conti... A parte il fatto che nella storia questo è sempre accaduto: quello che portavano nel loro venir giù gli Unni e la loro civiltà sconosciuta e i Mongoli col loro scendere e venire erano le carestie di allora. Il dato del mondo non cambia in nulla: abbiamo questo dato di invasione, adesso si teme l'invasione dei poveri croati o degli sloveni e c'è stata una riunione fra De Michelis e il ministro croato proprio su questo: l'Italia ne può accogliere 30.000 o 80.000 mila? E vedrete la lotta politica italiana come sarà poi adulterata da tutto questo!

Quindi ecco, io vorrei concludere a questo punto con una osservazione molto certa: quello che ho esposto in termini un po' autobiografici e personali è il sapere, credo, di moltissimi, di tantissimi, della maggioranza del mondo . Mi paiono abbastanza incontrovertibili alcune delle cose dure che ho detto: vanno da sé, le si sa a tal punto che ci si è assuefatti. Insisto: la caratteristica del nostro tempo, con cui dobbiamo fare i conti, è il divorzio fra il sapere e la politica, è il divorzio fra la coscienza di quel che sarebbe ed è necessario e la capacità sistemica di realizzarlo. Mica sono cattivi quelli che non lo realizzano: non possono, c'è un dato strutturale che non glielo consente. Ma noi classicamente siamo convinti, io sono convinto che invece la democrazia classica, la più essenziale e minima, è ancora tutta da provare perché in realtà non è stata più provata anche rispetto a dittatori e dittature e tentazioni e illusioni totalitarie.

Allora, noi siamo associati per fare questo insieme. E dunque, scusate amici, il vero problema l'ha detto il primo segretario del partito, io proverò a dirlo in modo diverso: se un minuto di Consiglio Federale costa a noi tutti 60 dollari e dieci minuti 600, se questa è la realtà, se le nostre fonti di finanziamento sono innanzitutto - e devono essere - quelle dell'autofinanziamento, se pensate a quanto costa - a un partito transnazionale e austero, e diciamo anche allenato a risparmiare più capace di altri - quanto costa ogni ora di partito transnazionale...Facciamo il conto. Dietro questi foglietti (del periodico "il Partito Nuovo", n.d.r.) - e ringrazio ancora Alexandre di avermi dato la consolazione e l'informazione che mi ha dato assieme agli altri del Mossoviet eccetera: contrariamente a quello che pensavamo e in fondo anch'io temevo sembra che serva a qualcosa, se ho ben capito quello che dici - dietro a questa che sappiamo essere cosa piccola, umile, mandata a 57.000 parlamentari, ci sono delle spese

immense. Ci sono decine di migliaia di dollari, centinaia di migliaia di dollari per ciascuno di questi fogli. Perché? Perché il sistema umano attuale è fatto in modo tale che già solo il trasporto, il recapito e via dicendo, costa quattro volte quello che costa la carta o la stampa di questa cosa, e che per farlo abbiamo dovuto creare l'équipe, una struttura nuova, inedita, di traduzione, di spedizione, cosicché i soldi delle iscrizioni (italiane soprattutto ma anche delle altre), le 500 lire al giorno, il meno di un dollaro o quasi mezzo dollaro al giorno che è lo scandalo - in Italia - di quanto costa l'essere iscritti al nostro partito radicale se ne va così - ogni minuto - in trasporti, in cose invisibili eccetera. Un fax - lo usiamo, abbiamo usato per primi, essendo i più poveri, tecnologie che ci fanno risparmiare - lo stiamo mettendo. Vivono veramente -scusatemi - da militanti degli anni Dieci (nemmeno Venti e Trenta) i Marino Busdachin, gli Olivier, gli altri, quelli che stanno a fare questo serv

izio per la creazione della situazione policentrica di iniziativa politica. Noi vi abbiamo informato a cosa abbiamo destinato i 5 milioni di dollari che venivano al Partito radicale dagli iscritti italiani o dal finanziamento pubblico, che per la prima volta così abbiamo utilizzato e utilizziamo; ma badate - e questo è importante, questa è una informazione che voi dovete avere - la legge italiana fa obbligo di spendere per gli apparati e le attività nazionali del partito i soldi del finanziamento pubblico. Noi, ufficialmente e nonviolentemente, disobbediamo e tutto questo danaro lo trasferiamo - contro la legge - sulla attività transnazionale, tutto in servizi e niente in strutture, diciamo, di partito: c'è anche questo da tenere presente.

Però vi abbiamo anche informato che questi 5 milioni di dollari quest'anno, per esempio, hanno dovuto fare i conti con meno iscritti, con la decuplicazione degli iscritti di ceto dirigente e invece meno iscritti, qualche centinaio di iscritti in meno di militanti semplici. Ora noi sappiamo che la decuplicazione di ceto dirigente, diciamo di deputati e di parlamentari, è un presupposto importante ed è un mezzo per costringere i mass-media o i media, se il deputato, il ministro si iscrivono e se si viene a sapere,a parlare del fatto che è possibile iscriversi al partito radicale. Quindi mi preoccupo poco delle poche centinaia di iscritti in meno (sono 300-400 in Italia) se possiamo magari, al limite, recuperare di qui a dicembre . Ma il grande problema al quale dobbiamo rispondere, amici - ed è per questo che vi forniamo quei bilanci che dovrete guardarvi per la prima volta tornando a casa, perché so benissimo che non è qui che si riesce a guardarli - il grande problema è quello che hanno posto il primo segre

tario e il tesoriere: noi, praticamente da gennaio o marzo... Ve lo ripeto, a voi che siete condannati ad ascoltarmi in cuffia: nelle relazioni è scritto che avendo stanziato (e fino in fondo mantenendo lo stanziamento) 5 milioni di dollari per creare a noi tutti la possibilità di creare insieme la forza transnazionale e transpartitica abbiamo già riscontrato un minore apporto di entrate. In fondo, se oggi ci sono 20 parlamentari sovietici iscritti al partito ci sono però 200 o 100 iscritti complessivi in meno rispetto all'anno scorso; in Ungheria, mi pare, la metà di quelli dell'anno scorso, in Cecoslovacchia (e parlo delle situazioni buone) credo che come iscritti siamo anche lì ... In Romania forse la situazione è un po' diversa ma, voglio dire, bisogna fare i conti con tutto questo. Allora: quando fra tre mesi questi 5 milioni di dollari - che saranno ormai già due e mezzo - saranno finiti,cosa facciamo? Vedete, è quello sul quale segretario e tesoriere si tormentano e tutti ci tormentiamo e allora le pe

nsiamo tutte: ma magari poi verrà fuori che alle prossime elezioni io riesco a fare una lista non radicale dicendo che però ci consentirà di portare una parte di finanziamento pubblico, quindi io per il transnazionale e per il transpartito mi farò la lista - per essere eletto, per non essere eletto, per avere quella quota lì e sarà una piccola parte...E poi gli altri compagni, Adelaide e gli altri, dovranno sempre di più rispondere alle esigenze delle loro organizzazioni nazionali e quindi - sacrificandosi sempre di più - potranno dare sempre di meno sul piano e del tempo e dell'energia-tempo e dell'energia-danaro... Allora ecco l'urgenza, quando noi vi diciamo che noi sappiamo in coscienza che il mandato di Budapest non ci consentirebbe di fare ancora un congresso. Perché? Perché, certo, un congresso va fatto in un momento in cui sia possibile stabilire, - sia pure rischiando in un modo temerario - che il centro delle responsabilità si sposta a Mosca o a Kiev; perché altrimenti è un congresso illusorio. Occ

orre un congresso nel quale è possibile che non sia unicamente la classe dirigente storica del vecchio partito radicale a gestire il proseguirsi della transizione. E se noi oggi ce ne andassimo - a me viene delle volte la voglia di seguire, come dire, i programmi del nostro amico francese - sono certo che in trenta giorni tutto è distrutto: non abbiamo manco di che sconvocare i consigli non dico offrire i viaggi, pagare i biglietti e altre cose, il problema è chiuso. A tutto questo occorre rispondere, e allora mi pare che se noi facciamo il congresso a gennaio, cioè fra 60 giorni - chiedetevi con onestà intellettuale ma, se possibile, anche con preoccupazione - è possibile a Sergio Stanzani o a Emma Bonino o a Marco Pannella o a Paolo Vigevano o a Marino Busdachin o a Olivier o a Paolo Pietrosanti o... (son pochi i nomi) passare la responsabilità ad altri? E' possibile in questi 60 giorni darvi il tempo - a voi colleghi di grandi storie politiche e umane, a voi deputati dei vostri paesi, dei vostri territori

, dei vostri partiti - di trovarne qualcuno che sia pronto e capace di assumere nei suoi dati oggettivi la direzione o una parte della direzione del partito, che richiede 24 ore su 24 su cose che sono apparentemente mortificanti? Emma Bonino, che nella sua attività politica - membro della Camera, membro della Presidenza della Camera italiana - ha sempre avuto delle caratteristiche, anche lei come Adelaide, di carisma, di impegno popolare e di forza politica, da un anno fa i conti ogni giorno sugli indirizzi, i non indirizzi; e Sergio e Paolo sui costi della tipografia, sui tempi che saltano, sull'incapacità, su come trovare i caratteri cirillici, come rendere compatibile Agorà... E i soldi che mancano!...

Agorà ha un valore commerciale potenzialmente enorme: se offrissimo alla Coca-Cola o alla Comunità Europea o ai complessi militari industriali - computerizzati e col mantenimento - 50.000, 60.000, 70.000 indirizzi di parlamentari nel mondo, questo a mio avviso avrebbe un valore commerciale grande: è un target significativo, inedito, che nessuno può improvvisare. Non abbiamo tempo di mutare in tesoro tutto questo. Non abbiamo modo e tempo, e non lo avete. Ma insomma,...Qui ci sono 4 o 5 iscritti degli ultimi 30 giorni che sono la Croazia. Abbiamo questo mistero (per me) di Tomac che sta qui - e torno a dire che io so che a Roma non ce la farei se fossimo nella situazione equivalente - abbiamo persone mature di 40, 50, 60 anni che vengono e dicono: "mi iscrivo". Cosa sono? Leggerezze? Poi tu Ivo Jelic da Dubrovnik la situazione italiana la conosci, e tutta questa voglia di passare come l'uomo di Cicciolina o delle buffonate radicali nessuno ce l'ha, e quindi ci hai pensato e pensato! Ed oggi Ivo Jelic è una

realtà solida e importante e infatti non sta cercando di entrare a Dubrovnik, ma sta qui: per Dubrovnik immagino, e per noi tutti.

Allora: fare il congresso significa tutto questo. Ma vi devo anche dire, però, che c'è un motivo politico per cui vogliamo farlo e lo abbiamo preparato (poi vedremo, domenica). Non è possibile, compagne e compagni, lavorare in una situazione italiana nella quale la stragrande maggioranza di vecchi compagni, prestigiosi e storici, hanno messo su che noi siamo una dittatura; che noi siamo un quadrumvirato; che non c'è vita democratica nel partito; che non consentiamo, a chi volesse, di lavorare. Non è possibile: ogni volta, dopo 20, 30, 40 giorni...E che ci sono errori capitali nella gestione politica... Non è possibile. E se per un minimo abbiamo tutti rispetto di noi stessi, a questo punto, pazienza, ci assumiamo la responsabilità di non rispettare la sostanza delle delibere di Budapest, di non rispettare l'evidenza...

C'è qualcuno qui che dice che il partito sta morendo e che noi siamo degli incapaci. Lo dice a persone che lo ascoltano senza sghignazzare o piangere perché è la prima volta che lo ascoltano, e lui lo ripete ogni volta, ogni trimestre da quattro anni: che il partito è morto, che siamo traditori, che siamo fascisti, che siamo altre cose... Cioè voi non esistete, non esiste nessuno di voi, dei nuovi iscritti del partito; voi, Tomac, gli altri, non esistono, per lui non esistono. Come? Sì sì, manifestamente mi riferisco all'amico Roche, tutti lo hanno sentito. Per carità. Prima no, prima mi riferivo a te, per esempio (allude probabilmente a Bruno Zevi, n.d.r.). Vivendo cioè in modo falso delle cose false: perché l'unica cosa sicura è che questo partito, che ha eletto in modo statutario i suoi responsabili, ha spostato in modo indeterminato i suoi tempi congressuali stabilendo che ci deve essere non necessariamente scioglimento o congresso. E' questo il compito che noi abbiamo.

Allora vi dico: un congresso costa come minimo un miliardo di lire, come minimo un milione di dollari: dipende da dove si fa, ma più facilmente un milione e mezzo (e poi se volete vediamo perché, fra tariffe aeree, soggiorni e soprattutto traduzioni simultanee eccetera). Questo milione e mezzo di dollari bisogna in parte, almeno la metà, toglierlo a quei due milioni di dollari residui sul progetto dei giornali che dobbiamo continuare a mandare. Un congresso del quale io mi chiedo se è libero di consentire a me di non fare il Presidente del Consiglio Federale... Questa è la domanda democratica seria, morale. Sarà' possibile consentire in quel momento a Stanzani di fare, magari, il presidente del più grande network televisivo italiano o non so cos'altro che poi può servire a noi? O ad Emma Bonino di fare politica parlamentare, internazionale, antiproibizionista, verde e via dicendo a livelli prestigiosi, invece di fare la pasionaria delle stronzate, apparentemente? E' possibile che Paolo Vigevano possa final

mente andarsi a occupare di Radio Radicale? Chi di voi, se arriviamo fra 60 giorni al congresso e non resistiamo come aveva voluto il congresso di Budapest...O non ci vediamo, chiudiamo la baracca, o

altrimenti bisogna - e dev'esserci la possibilità - che il congresso sia in Lettonia, in Ucraina...Guardate per esempio quest'assenza dell'Europa della democrazia reale, occidentale: è assente dalla lotta come lo è stata nella Spagna repubblicana contro Franco, è assente in Jugoslavia ed è assente anche da noi, al nostro interno. Per le buone coscienze... E allora noi saremo certo chiamati a decidere di questo in concreto, ma vi prego non scaricatevi dalla necessità affrettata che è su di voi. Lo capisco, potete sentirvi violentati: arrivate appena a questo partito e già dovete decidere e fare una scelta. Si fa il congresso a gennaio? Oltretutto è un momento, è un modo per conoscersi di più, però vi abbiamo detto cosa e perché...perché per noi è essenziale anche dibattere con compagni che al partito riescono, malgrado noi e la nostra depravaggine, a dare al Partito radicale l'essenziale o la parte essenziale del loro tempo concreto, giorno dopo giorno.

Ci sono compagni di estrema importanza che dicono e ripetono sempre più accanitamente che non possono fare perché non glielo consento, non glielo consente Stanzani, non glielo consentono gli altri. Ci sono però compagni ai quali questo, malgrado noi, pare sia consentito; compagni, e sempre più numerosi, che riescono a dare il loro tempo al partito radicale, e il loro danaro, la loro intelligenza, anche in Italia.

Vi chiedo scusa, amiche e amici... Certo si interviene a lungo, ma io credo in coscienza di non parlare di tante cose di cui sarebbe urgente parlare; forse in questo modo voi comprenderete meglio quanto la relazione di Stanzani, quella di Vigevano, siano davvero le nostre relazioni, fatte a creare le condizioni tecniche e materiali perché possiate quanto prima scegliere, assumervi la responsabilità di una scelta collettiva ed individuale. Perché altrimenti non ce la facciamo. Sulla questione mia personale, del digiuno, io mi sto interrogando. Come vedete sto bene, non vorrei però che l'eventuale decisione del partito di passare ad una campagna politica articolata e precisa, quindi anche con la sua parte nonviolenta, venisse inquinata dal pur lodevole e fraterno movente - sopratutto - di associarsi e di spartire con me questa supposta "sofferenza" di lotta: il che sarebbe un guaio, un disatro. C'è il rischio cioè che il mio essere a 26, 27, 28 giorni di azione nonviolenta (non so, non li so contare) abbia cr

eato molti problemi a compagni e compagne. Vogliono aderire, ma molto - credo - per dividere e condividere con Marco, col compagno..., questa vicenda, l'esperienza di questi giorni. Guai. Guai. Altro è se, serenamente e per altri motivi, il partito può stabilire di vedere se da dopodomani (o fra cinque giorni, per prepararlo) in tutti i parlamenti, uno di noi - sulla Jugoslavia, sull'Europa - avvia - e dico bene, avvia - uno sciopero della fame, nonviolento, su delle richieste modeste e possibili e precise. Ecco. E quindi a questo punto, magari, sentendo anche le decine o centinaia di richieste di compagne e compagni italiani di associarsi - ma chiaramente, nel quadro di un'iniziativa nonviolenta e gandhiana, transnazionale e transpartito, e non in sostegno dell'azione di un compagno al quale si vuol bene come altri non gliene vogliono; questo è normale, ma la dialettica diventa allora di cattivo carisma secondato, a mio avviso, in modo sbagliato. Ma di questo credo che dovremo discutere e decidere bene nell

e prossime ore e nei prossimi giorni.

Ecco cosa vuol dire "congresso o non congresso", e su questo mi auguro che saremo di nuovo portati a discutere dopo la parentesi centrale del nostro consiglio sulle questioni jugoslave. Però già adesso i 4 o 5 minuti di tempo dei prossimi interventi potranno utilizzare questo supplemento di informazione che ho dato. La Presidenza comunque ce l'ha Emma e quindi sta a lei. Grazie.

 
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