di Cesare Salvi *SOMMARIO: [Lettera al direttore, nella rubrica "La Posta"]. Contesta l'editoriale del 12 settembre, in cui si afferma che per i referendum non si può contare sul sostegno del PDS. Fornisce indicazioni e "dati" sull'impegno del partito. Ammette che vi sia stato un "ritardo" organizzativo, ma non politico. Cita gli esempi di città come Cosenza e Foggia, sottolinea che sono state lanciate "due giornate nazionali di mobilitazione", ecc. Il PDS, insomma, vuole "cambiare le regole del nostro sistema", pur se non è per "un consenso indifferenziato ai referendum", essendo per esempio contro quelli "fuorvianti e sbagliati" come è il referendum sul finanziamento pubblico dei partiti. Con le nuove regole e i pratiti "ricondotti nei confini loro propri", la competizione politica "potrà dispiegarsi...intorno a due schieramenti alternativi".
(IL GIORNALE, 13 novembre 1991)
Caro direttore,
nel Suo editoriale di ieri, dedicato ai referendum, è scritto che questa volta non si può contare sul sostegno del Pds, perché »il Pds dice di esserci, ma in realtà non c'è, ed è naturale che non ci sia perché è anch'esso un partito che, come tutti i partiti, non può mettersi a dare spallate alla partitocrazia .
C'è, quindi, un'affermazione in punto di fatto (il Pds non c'è), ed una spiegazione di questa assenza. Le chiedo ospitalità per alcuni dati sull'impegno del Pds, e per una spiegazione - se mi consente - delle ragioni che inducono un partito a »dare spallate alla partitocrazia .
Un ritardo iniziale nel nostro impegno c'e stato, dovuto soprattutto a ragioni organizzative (un grande partito è più lento a mettersi in moto). Non a ragioni politiche: ancora ieri, in un dibattito, due personalità così significative e pur così diverse del nostro partito, come Ingrao e Napolitano, hanno parlato a favore dei referendum. Il ritardo organizzativo è però già superato. Presto daremo i primi dati sulle firme raccolte direttamente dal Pds (oltre a quelle raccolte dai comitati locali, in molti dei quali nostri esponenti svolgono una funzione tutt'altro che secondaria). Già oggi voglio citare, a titolo di esempio, due dati che mi sembrano particolarmente significativi: il Pds ha raccolto in due città meridionali, Cosenza e Foggia, rispettivamente 3.000 e 2.000 firme, anche per il referendum sul Mezzogiorno. Per il 22 e 23 novembre abbiamo promosso due giornate nazionali di mobilitazione del Pds, con l'obiettivo di 1.000 tavoli del nostro partito in tutta Italia. Credo che anche questa volta, come la
precedente, il nostro apporto, alla fine, sarà molto importante per il successo che tutti auspichiamo.
Ciò non vuol dire affatto che vogliamo mettere il cappello sui referendum. Cambiare le regole del nostro sistema è interesse comune a molti, nella società civile ma anche nel sistema dei partiti. E' interesse di tutti coloro che sono non contro i partiti, ma contro la partitocrazia; che vogliono che in Italia la politica torni ad essere pulita, o almeno quanto più pulita è possibile, per poter competere ad armi pari, sulla base di programmi e di contenuti, davanti agli elettori.
Togliere potere ai partiti per ridarli ai cittadini e alle istituzioni significa rilanciare la funzione propria dei partiti: associare uomini e donne per concorrere a determinare la politica nazionale (come dice la Costituzione), e non per spartirsi posti e cariche e per arricchire un ceto politico tanto più prepotente quanto meno capace.
Proprio per questo non siamo per un consenso indifferenziato ai referendum: siamo a favore di quelli che ci sembrano giusti (i tre elettorali e i tre contro la partitocrazia); siamo contro quelli che ci sembrano fuorvianti e sbagliati, come soprattutto il referendum sul finanziamento pubblico dei partiti, perché è la partitocrazia che va abrogata, non i partiti; mentre eliminare il principio del sostegno pubblico alla politica (che c'è in tutte le democrazie occidentali) significa, dato che la politica costa, affermare il principio che può fare politica solo chi ha finanziamenti privati o illegali: i più ricchi e i più disonesti.
Con nuove regole elettorali (referendum Segni), con partiti ricondotti nei confini loro propri (referendum Giannini), la competizione politica potrà dispiegarsi in modo aperto e trasparente intorno a due schieramenti alternativi, come avviene nelle grandi democrazie occidentali. E sarà affidato ai cittadini il potere di decidere con il voto, quale dei due schieramenti dovrà governare. E' probabile (anche se io spero che non sarà così) che in quell'occasione il mio partito sarà nell'altro schieramento, rispetto a quello che Lei e molti dei Suoi lettori sosterranno. Ma ne avremo tratto vantaggio tutti: in questo sistema, mi creda, è sempre meno piacevole occuparsi di politica, per chi la considera un'attività importante e utile alla collettività, e non un'occasione per diventare potente o per arricchirsi.
(*) Ministro per la giustizia e le riforme istituzionali del governo ombra del Pds
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"Due lettere autorevoli, due opinioni contrapposte. Ecco la prova tangibile che, come diciamo noi a moltiplicare i referendum si moltiplica la confusione nella gente e si rischia di scoraggiare molti cittadini. L'onorevole Pannella non può proprio pensare che da parte nostra si intenda sabotare il suo referendum contro il finanziamento pubblico dei partiti. Noi riteniamo, però, che il finanziamento pubblico non sia l'aspetto peggiore dell'immoralità in cui vivono i partiti: ben altre, e cioè quelle occulte, sarebbero le fonti di finanziamento da prosciugare. Il finanziamento pubblico, come dice il professor Salvi, dovrebbe garantire la trasparenza della lotta politica: e la garantirebbe, aggiungiamo noi, se i partiti avessero uno" status "giuridico che li rendesse responsabili anche delle violazioni alla legge sul finanziamento. Purtroppo, non ce l'hanno. Sicché, referendum o no, il problema resta aperto e il legislatore non potrà eluderlo.
Quanto a noi referendum o no, lo incalzeremo perché lo risolva, senza spirito punitivo, ma in coerenza col desiderio dei cittadini che i partiti non siano più i padroni del Paese ma tornino soltanto strumenti per consentire ai cittadini di fare politica".