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Taradash Marco - 30 novembre 1991
Come riformare la politica sulla droga
di Marco Taradash

SOMMARIO: Partendo dal bilancio fallimentare della "drug war", Taradash contrappone alla semplice capitolazione di fronte ai narcotrafficanti una strategia antiproibizionista che tenda a regolamentare le droghe rispettando le libertà personali, a ridurre i drogati e in generale a sottrarre aree sempre più vaste del mondo alla "narcocrazia". Rispondendo alle critiche che normalmente vengono avanzate dai proibizionisti contro la legalizzazione della droga, l'autore ribadisce che l'esperienza del proibizionismo sulle bevande alcooliche negli Usa dimostra i benefici di un mercato regolato rispetto ai costi del libero mercato criminale. Dopo aver evidenziato che la sola depenalizzazione, se da una parte garantisce il diritto di ciascuno di far uso libero del proprio corpo senza arrecare danno ad altri, non offre soluzione al problema sanitario e a quello criminale, l'autore descrive i diversi modelli di legalizzazione emersi dal dibattito internazionale: il libero mercato delle droghe (Friedman-Stevenson); il sis

tema "tasse e controlli" (proposta di legge Teodori); la teoria del commercio passivo (Caballero). Vengono poi approfondite alcune esperienze pilota (Olanda, Liverpool e Zurigo) basate sul presupposto della "riduzione del danno" e le svolte politiche più significative nella direzione della riforma delle posizioni proibizioniste prevalenti (risoluzioni del Parlamento europeo e del Convegno di Francoforte). Nelle conclusioni l'autore avverte il pericolo che, per far fronte alle minacce del narcotraffico il mondo possa precipitare di nuovo nelle catastrofi dell'irrazionalismo violento ed autoritario.

(LEGALIZZARE LA DROGA - UNA RAGIONEVOLE PROPOSTA DI SPERIMENTAZIONE, a cura di Luigi Manconi, testi di Arnao, Ferrajoli, Manconi, Pisapia, Taradash, Feltrinelli Editore, Milano 1991)

Dove la guerra ha fallito, l'unica alternativa è la capitolazione di fronte al nemico, oppure è possibile una vittoria di pace, non violenta? Il problema cui vogliono dare risposta gli antiproibizionisti si può formulare così: a) ammesso che determinati comportamenti personali legati all'uso di determinati prodotti possono pregiudicare la salute fisica o mentale di una persona, con i relativi riflessi sulla vita sociale, b) è necessario e ineluttabile dare mano libera al crimine organizzato e mettere a repentaglio la sicurezza di tutti i cittadini, la funzionalità della pubblica amministrazione, l'onestà e la trasparenza della vita politica, la certezza dello stato di diritto, in una parola la democrazia, per c) tentare senza riuscirvi di eliminare tali prodotti dal mercato? O è invece possibile regolamentare le sostanze che possono provocare la tossicomania rispettando le libertà individuali e salvaguardando gli interessi della società? E ancora: è possibile una politica liberale volta alla riduzione de

l numero dei consumatori di droghe, legali e no? O, per usare un linguaggio più drammatico, ma non più lontano della realtà: è possibile avere una politica sulla droga efficace, senza mettere in pericolo la democrazia e senza aprire la strada in aree sempre più vaste, e sempre più vicine, del mondo a un regime di "narcocrazia"?

1. Qualche risposta ai proibizionisti

Gli argomenti usati dai proibizionisti per eludere una discussione aperta sulla legalizzazione delle droghe sono riducibili a quattro. Il primo è a difesa del proibizionismo: esso non ha funzionato perché fino ad oggi non c'è stata effettiva volontà di farlo funzionare, e perché è mancata fino ad oggi la necessaria cooperazione a livello internazionale. L'argomento è fragile. Innanzitutto, perché dovrebbero venire meno le ragioni che finora hanno impedito la "necessaria cooperazione"? Se la corruzione dei governi e dei funzionari operata dalle organizzazioni dei narcotrafficanti è una delle cause principali del problema, la cooperazione internazionale è semplicemente impossibile: rimuovere la corruzione è al tempo stesso la premessa e l'obiettivo di una strategia di successo. Se invece le resistenze nascono da dubbi e contrasti sull'efficacia della politica repressiva, con quale arma o autorità si imporrà a nazioni e governi dissenzienti di adeguarsi a un eventuale comando unificato antidroga? Ma il punto pi

ù debole dell'argomento è un altro: se anche tutti gli stati del mondo si coalizzassero nella volontà di eliminare il traffico di droga, non avremmo alcuna garanzia di successo più grande di quello che tutti gli stati del mondo, i quali senza eccezione puniscono il furto e l'omicidio, ottengono nella repressione di questi crimini. Non basta un atto universale di volontà a stroncare la ricerca di facili profitti (o a eludere le cause sociali di comportamenti illegali).

Il secondo argomento dei proibizionisti è diretto contro le conseguenze della legalizzazione. Si obietta che l'uso delle droghe aumenterebbe enormemente, che il danno causato dall'uso accresciuto delle vecchie droghe e dalle nuove che entrerebbero in commercio non sarebbe compensato dalla maggiore sicurezza del consumo legale, e che tale danno sarebbe di gran lunga superiore ai costi sociali che la legalizzazione farebbe diminuire (crimine organizzato, delinquenza, corruzione, ecc.). I proibizionisti non hanno nessun fatto teorico o pratico che possa sostenere questi argomenti. Al contrario gli antiproibizionisti possono oggi imputare al sistema proibizionista una crescita costante del numero dei consumatori di droghe illecite, del numero dei paesi e addirittura dei continenti coinvolti nel consumo e nel traffico, il ritorno sul mercato di droghe scomparse da tempo (come la cocaina), l'introduzione di nuove droghe più pericolose per la salute (come il crack). Le esperienze di taglio antiproibizionista (come

la libera vendita di hashish e marijuana in Olanda o la produzione per uso personale di Alaska), per quanto limitate, dimostrano invece che un mercato regolato si espande meno di un mercato libero da ogni controllo come quello che si sviluppa nel sistema proibizionista.

Il terzo argomento dei proibizionisti è contro la possibilità pratica della legalizzazione. Ci vorrebbe, si dice ed è vero un accordo internazionale, anzi planetario, perché il sistema funzioni e questo è impossibile. In realtà a) questo vale anche per il proibizionismo, e gli appelli costanti alla cooperazione internazionale dimostrano la mancanza di questo requisito; b) ben diverso è "armonizzare" le politiche sanitarie dall'armonizzare le polizie, gli eserciti, le norme e gli apparati repressivi: mentre la repressione esige un ferreo coordinamento, al contrario le strategie sanitarie traggono vantaggio dalla diversità degli approcci e dalla sperimentazione; c) è più facile arrivare a un accordo a livello di Comunità Europea e Stati Uniti, attraverso le consuete procedure politiche, che sconfiggere criminalità e corruzione prodotte dal narcotraffico; d) ha ben poca fiducia nella democrazia chi sostiene che la comunità internazionale non sarà mai in grado di modificare democraticamente le proprie scelte

politiche.

Il quarto e ultimo argomento dei proibizionisti, la loro arma segreta, è quello etico. Anzi Etico. Messi alle corde nel confronto razionale e sul piano dei fatti, scoprono la carta dei Valori, dell'Uomo, della Società Sana e di varie altre astrazioni maiuscole. L'Assoluto non accetta confronti critici, è vero, però spesso i suoi interpreti mancano il bersaglio. Infatti è facile l'obiezione: se sono in gioco i Valori, perché proibire alcune droghe e non tutte? Il tabacco e l'alcol uccidono cento volte di più dell'eroina, ad esempio. Sarebbe ben strano un avversario della pena di morte che facesse campagna contro la ghigliottina ma non contro la sedia elettrica. La risposta abituale è che la legalizzazione di un vizio non giustifica il tentativo di legalizzarne altri. Ed ecco che l'Etica si rivela pragmatica. A questo punto però l'arma segreta è diventata una scacciacani. Proprio l'esempio dell'alcol (grazie al disastroso precedente del proibizionismo sulle bevande alcooliche negli Stati Uniti di Al Capone) ri

vela i benefici relativi di un mercato regolato rispetto ai costi sommati del libero mercato criminale e dei danni generati dal fallimento della repressione.

2. Bilancia e bilancino

Fino a qualche anno fa gli avversari delle leggi proibizioniste sulla droga proponevano generalmente come alternativa la depenalizzazione del consumo delle droghe pesanti da una parte, del piccolo commercio e consumo della cannabis e dei suoi derivati (hashish e marijuana, droghe leggere o secondo la definizione radicale "non droghe") dall'altra. Fattore chiave appariva spezzare il legame merceologico fra cannabis ed eroina all'interno del mercato criminale, e quello sociologico fra ambiente criminale e fumatori di canapa indiana imposto da leggi che portavano in galera (l'Università del crimine, l'unica Università italiana che funzioni, si diceva allora) centinaia e centinaia di giovani. In questo modo si sarebbe potuto evitare il passaggio da una sostanza all'altra e una larga diffusione dell'eroina. Marco Pannella, che è stato il primo a introdurre la questione droga nell'agenda politica nazionale, si oppose (a suo modo, facendosi arrestare con uno spinello fra le labbra) al progetto di legge sull

a droga in discussione nel 1975 argomentando che il divieto di commercio delle sostanze leggere avrebbe aperto la strada all'eroina. (1)

I legislatori del 1975 dettero poco peso a queste previsioni e poco tempo dopo il mercato dell'eroina era diventato il fattore più importante dell'attività criminale. Nel corso degli anni avrebbe radicalmente trasformato anche la natura delle organizzazioni criminali tradizionali, come mafia, camorra e 'ndrangheta, portando a livelli imprevedibili la loro pericolosità sociale e la loro influenza corruttrice sul sistema democratico. A seguito dell'ampliarsi della gamma dei prodotti in commercio si è visto che la separazione dei mercati per quanti vantaggi possa recare non avrebbe potuto frenare né i profitti né la violenza legati al commercio di droghe molto più potenti e redditizie; una volta consolidato il mercato dell'eroina, il marketing criminale ha immesso sul mercato una sostanza da decenni "in sonno", la cocaina, indirizzata soprattutto alle classi medio alte; quando è apparso possibile inaugurare un nuovo mercato all'interno dei ghetti e delle classi sociali più diseredate, l'industria chimica cr

iminale ha prodotto il crack. Il giro di affari planetario è cresciuto fino a un livello che l'Onu situa al secondo posto fra tutte le merci in commercio, subito dopo le armi e subito prima del petrolio.

L'aggravarsi del problema droga ha così convinto da tempo la maggioranza dei movimenti riformatori nel mondo ad abbandonare la posizione originaria e a proporre la legalizzazione di tutte le principali droghe in circolazione, indipendentemente dalle conseguenze tossicologiche del loro uso o abuso (almeno dal 1984 Marco Pannella e il Partito radicale propongono questa soluzione). Ciascuna droga, per quanti danni alla salute possa provocare il suo uso o abuso, è più facilmente controllabile all'interno del mercato legale. Mentre la legge che ne proibisce il commercio ha come unico, costante, irrimediabile risultato quello di alimentare un vortice inarrestabile di miliardi, corruzione e violenza.

La legalizzazione delle "droghe leggere" ha quindi senso soltanto se è intesa come un primo passo sperimentale verso una generalizzata abolizione del proibizionismo.

Se è vista come un punto di arrivo, l'effetto di questa politica è doppiamente dannoso: perché lega la repressione alla nocività della sostanza, come se la repressione fosse più efficace di altre forme di controllo sociale, e perché non incide minimamente sugli aspetti più distruttivi del problema droga. Il legame tra marijuana, hashish e le principali organizzazioni della criminalità organizzata non è infatti significativo, mentre è del tutto inesistente quello con la microcriminalità o la diffusione dell'Aids. Il problema droga è altrove, non nelle sostanze ma nelle leggi. Se nostro obiettivo è modificare questa situazione "ha più senso legalizzare l'eroina e la cocaina e lasciare nell'illegalità la marijuana", ha scritto David Boaz, vicepresidente del Cato Institute di Washington. (2) Anche la legalizzazione del commercio delle foglie di coca (che per secoli è stata considerata un alimento, non una droga), richiesta dai "cocaleros" andini, per creare un'alternativa economica legale alla produzione di coca

ina, se diminuirebbe illegalità e corruzione in molti paesi latino americani, di per sé modificherebbe poco o niente la situazione dei traffici di cocaina a Los Angeles, Napoli o Medellin.

E vero d'altra parte che una delle distorsioni caratteristiche di quasi tutti i regimi proibizionistici occidentali è il fatto che la repressione è più efficiente nei confronti dei fumatori di "erba" che degli eroinomani o dei cocainomani: in Francia nel 1990 il 65% dei processi ha riguardato la cannabis, il 30% l'eroina e il 5% la cocaina; in Italia ogni dieci persone fermate con hashish o marijuana 5 finiscono in galera, mentre per l'eroina questo capita soltanto in un caso su dieci. Per gli Stati Uniti basta una cifra: nel 1988 sono state arrestate per possesso di marijuana 327.000 persone. (3)

Quanto alla depenalizzazione del consumo delle droghe pesanti, come eroina e cocaina, l'esperienza dimostra che non è sufficiente. La depenalizzazione non eliminerebbe i tremendi problemi che la proibizione provoca perché lascerebbe in mano alle organizzazioni criminali, solo in Italia, un mercato di alcune migliaia di miliardi di lire, mentre i tossicodipendenti continuerebbero a commettere reati contro la proprietà o la persona e ad ingorgare il sistema giudiziario e carcerario. Per questo non va rimpianta la legge italiana del 1975 e il concetto di "modica quantità". Anche se è vero che al peggio proibizionista e punizionista non c'è mai fine, come dimostra l'incostituzionale e artificioso criterio della "dose media giornaliera" (dmg) introdotto nella legislazione italiana per distinguere fra il consumatore (sorpreso con meno della dmg e spedito davanti al prefetto) e lo spacciatore (in possesso di una dose superiore alla dmg e avviato al circuito penale). Poco fiduciosi nella bilancia della giustizia i l

egislatori si sono affidati all'ancor più inattendibile bilancino del farmacista, per poi legittimare interpretazioni più flessibili e ragionevoli della legge, interpretazioni che ne tradiscono però la lettera e lo spirito, e disorientano la pubblica opinione.

3. Esperienze di depenalizzazione

A partire dall'inizio degli anni settanta la depenalizzazione è stata o è tuttora operante in alcuni paesi, de facto o de jure. I presupposti teorici delle principali esperienze di depenalizzazione risalgono alla fine degli anni sessanta, quando, in seguito alla diffusione del consumo di cannabis, Lsd e altre droghe come parte della cultura giovanile, alcuni governi crearono comitati ufficiali per avere indicazione sul da farsi. I primi furono la commissione Shafer negli Usa, la commissione Le Dain in Canada, la commissione Baan in Olanda. I rapporti furono pubblicati fra il 1972 e il 1973, e suggerirono una politica pragmatica, basata più sull'educazione che sulla repressione, e attenta a non favorire il passaggio da sostanze quasi innocue come la marijuana ad altre molto più pericolose, che cominciavano allora a circolare, come l'eroina. l'Olanda fu l'unico paese a tener conto di queste indicazioni, pur senza rompere con pragmatismo a tutto campo la solidarietà con l'internazionale proibizionista. Una

legge del 1976 ha confermato l'illegalità delle droghe pesanti e leggere, ma ha stabilito che il possesso di una quantità di cannabis non superiore a 30 grammi è soltanto una contravvenzione, punibile con una pena fino a un mese di prigione o con una ammenda di 10.000 fiorini. A questa parziale decriminalizzazione de jure si è però accompagnata la totale depenalizzazione de facto: non soltanto il consumatore di marijuana o hashish non viene perseguito penalmente, ma viene di fatto reso libero anche il commercio della cannabis per uso personale (nei coffeeshops). Le droghe leggere restano illegali ma le autorità le trattano come se fossero legali. Le regole non scritte di funzionamento dei coffeeshops sono queste: 1) niente droghe pesanti; 2) niente violenza; 3) niente ricettazione o vendita di merce rubata; 4) intervento della polizia in caso di violazione di queste regole. (4) Le leggi e le pene sono attivate soltanto contro il traffico internazionale oppure quando i fornitori di cannabis svolgano anche un'

attività di proselitismo e pubblicità.

Anche nei confronti del semplice consumatore di eroina la repressione è pressoché inesistente ma lo Stato ha organizzato una rete capillare di servizi che realizzano un controllo sociale di natura non penale molto forte ed esteso.

Di decriminalizzazione si è parlato negli Usa all'inizio degli anni settanta quando 11 Stati modificarono le leggi sulla marijuana: questa restava illegale sia per la legge federale che per quella statale, ma chi ne veniva trovato in possesso andava incontro a una multa, senza rischiare né l'arresto, né una macchia permanente sulla fedina penale. Il primo Stato ad abolire la pena per il consumo di marijuana fu l'Oregon nel 1973, mentre soltanto l'Alaska, con una decisione della Corte Suprema del 1975, aveva affermato il diritto degli adulti di coltivare e consumare marijuana nella propria abitazione (norma che è stata abolita nel novembre 1990 con referendum).

Qualcosa del genere si è avuto in Italia con la norma prevista dalla vecchia legge del 1975 sulla "modica quantità", che evitava conseguenze penali al semplice consumatore di droghe, pesanti o leggere che fossero. Ancora oggi, nel quadro della legge 162, una relativa forma di decriminalizzazione è rappresentata dalla norma sulla "dose media giornaliera" che espone per le prime due volte il reo ad una sanzione amministrativa e non penale

Ben più larga e senza paragoni in Europa è la decriminalizzazione e depenalizzazione prevista dalla legislazione spagnola del 1983, che esclude il possesso di droghe per uso personale, pesanti e leggere, dal novero dei comportamenti puniti dalla legge. Oggi questa norma è rimessa in discussione: molto probabilmente in un prossimo futuro verrà dichiarato punibile con un'ammenda chi faccia uso di droghe in pubblico.

Il bilancio dell'esperienza olandese e statunitense di depenalizzazione della marijuana è stato positivo: il consumo di questi prodotti non è aumentato, a riprova che la libera disponibilità di droghe non è di per sé un fattore di estensione illimitata del consumo. Non è dunque la droga che produce i drogati (uso volutamente la semantica proibizionista) ma il consumo è indotto o scoraggiato da un complesso di fattori economici, sociali e culturali che è necessario indagare. Il governo olandese ha periodicamente fornito agli organismi internazionali di controllo relazioni indicanti come il consumo di cannabis sia gradualmente diminuito nel corso degli anni. Negli Stati Uniti sono state possibili analisi comparate fra gli Stati che applicavano la depenalizzazione e gli altri. La National Academy of Sciences rilevava nel 1982, a conclusione di un'indagine nella federazione, che "probabilmente il fatto più importante è che dove questa politica è stata adottata non ha portato a livelli apprezzabili di consumo mag

giore rispetto a quelli che sarebbero esistiti se l'uso fosse stato proibito". Se dunque l'entità del consumo fosse di per sé un elemento decisivo nella valutazione delle diverse strategie (indipendentemente dai rischi e dalla qualità della vita legata al consumo), l'esperienza olandese e americana sulla marijuana segnerebbe un punto molto importante contro il proibizionismo.

Quanto all'eroina e alla cocaina il paragone fra l'esperienza olandese e quella spagnola è significativo. Sotto il profilo generale i benefici sono piuttosto discutibili in entrambi i casi: il narcotraffico non è stato intaccato, la delinquenza urbana neppure. Con la differenza che mentre in Olanda la situazione si è andata stabilizzando, in Spagna le cose sono peggiorate anno dopo anno e ormai il paese è costretto ad affrontare una forte minaccia del crimine organizzato e della corruzione collegata, paragonabile a quella italiana. Dal punto di vista del consumatore le differenze fra i due sistemi sono abissali: mentre l'Olanda ha voluto e saputo costruire intorno ai tossicomani una rete protettiva estesa ed efficiente, che ha contribuito a renderne stabile il numero e a ridurre ai minimi termini la diffusione dell'Aids, il governo spagnolo non ha affiancato alla legge di depenalizzazione del 1983 alcuna politica sanitaria di riduzione del danno. Questo ha fatto sì che, mentre le strategie di offerta delle o

rganizzazioni criminali si estendevano e nuovi prodotti venivano messi in commercio, la domanda non incontrasse alcun freno. L'offensiva delle forze di polizia spagnole contro il narcotraffico, del tutto simile a quella italiana rafforzata da una legge del 1988 che introduce nuove fattispecie di reato e aggrava le pene non ha inciso significativamente sull'offerta e niente affatto sulla crescita dei consumatori. La mancanza di un piano integrato di politica sanitaria ha fatto sì che la Spagna si affiancasse all'Italia (e ad alcune città degli Usa, come New York) ai massimi livelli mondiali di diffusione dell'Aids e del virus Hiv fra i tossicodipendenti.

Il caso spagnolo offre la riprova che depenalizzazione e decriminalizzazione, se salvaguardano il diritto di ciascuno a far uso libero del proprio corpo e della propria mente senza recare danno ad altri, non riducono il problema sanitario; e lasciano in vigore, senza sostanziali modifiche, quella non codificata "tassa sui non consumatori" (di cui ha parlato per primo Milton Friedman) che esige contributi altissimi in termini di sicurezza e legalità. Non a caso in Spagna la questione droga è, secondo i sondaggi demoscopici condotti prima delle elezioni amministrative del maggio 1991, la prima ragione di preoccupazione della società. Invece di interrogarsi su come offrire servizi sanitari e sociali adeguati, i partiti politici spagnoli fanno a gara nell'inventare strumenti più raffinati di repressione. Per contro una vasta parte del mondo accademico e intellettuale spagnolo, insoddisfatto della semplice depenalizzazione ma consapevole dei maggiori danni della repressione, ha proposto la soluzione antiproibizio

nista. (5)

4. Modelli di legalizzazione

All'ideologia proibizionista, che persegue, ad ogni costo, l'obiettivo di sradicare il male assoluto della droga dalla faccia della terra o come alternativa pratica di incutere paura e comminare pene a chi questo male accetta o promuove, gli antiproibizionisti vogliono opporre non un'altra ideologia ma una diversa formulazione del problema, e nuove norme, prescrizioni, servizi. Il nostro punto di vista non è quello della morale di stato né quello dei consumatori di droghe proibite. E il punto di vista della cittadina e del cittadino, vale a dire di una comunità (formata a stragrande maggioranza da non consumatori e non tossicodipendenti) che non vuole più subire passivamente i misfatti del proibizionismo. Tutti i modelli che vedremo sono fatti per funzionare, e per rimediare ai guasti storicamente prodotti dall'ideologia e dalla pratica delle leggi proibizioniste. Molti sostenitori della legalizzazione non avrebbero messo in discussione le leggi in vigore se avessero dato buona prova, e trovano ragionevo

le che il valore e l'opportunità di una legge siano misurati alla luce dei suoi costi e benefici. Una legge "buona" deve essere anche una buona legge.

Naturalmente non c'è una sola strategia antiproibizionista. Se è vero che gran parte dei paesi occidentali ha legalizzato il divorzio, è difficile trovare due sistemi giuridici che non differiscano su questioni cruciali come il periodo di tempo che deve intercorrere tra la separazione e il divorzio, il carattere consensuale o meno del divorzio, il regime degli assegni per il coniuge più debole e così via. La stessa cosa vale per le leggi sull'aborto: entro quale mese? Soltanto negli ospedali pubblici o anche nelle cliniche private? Col consenso del coniuge o no? Soltanto nei casi in cui sia in pericolo la vita del nascituro o anche in relazione alla salute psichica della gestante? Le leggi dei singoli stati offrono risposte diverse a queste domande. Lo stesso potrà valere anche per la regolamentazione legale delle droghe, dal momento che l'arco delle proposte è già oggi molto ampio.

In primo luogo esiste un'alternativa riguardo allo statuto del consumatore, ovvero alle modalità di accesso legale: l'acquirente deve essere fornito di prescrizione medica oppure no? E se sì, saranno soggette a medicalizzazione tutte le droghe oggi proibite o soltanto alcune? La medicalizzazione è generalmente presentata come una fase di passaggio dal sistema proibizionista a quello di legalizzazione, un momento di informazione e prevenzione la cui durata può variare a seconda del grado di consapevolezza acquisita dalla società sui rischi delle nuove droghe ad accesso legale.

L'alternativa è ancora più drastica relativamente allo statuto del commercio: deve essere affidato al mercato e alla sua capacità autoregolativa oppure soggetto a qualche forma restrittiva di controllo statale, con o senza monopolio? A un estremo c'è la risposta libertaria che accomuna i sostenitori del libero mercato e coloro che vedono nella libertà individuale l'unica fonte di diritto per i comportamenti che non provocano danni ad altri. Per questi vale quanto scrive John Stuart Mill nel suo "Saggio sulla libertà": "Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l'individuo è sovrano".(6) All'altro estremo c'è il controllo totale dello Stato sulla produzione e la vendita di tutte le droghe, accompagnato da criteri selettivi circa la messa in circolazione di questa o quella sostanza.

E fra questi punti estremi che va trovata la soluzione legislativa migliore per ridurre i danni personali provocati dall'uso o abuso di droghe e per scongiurare le conseguenze sociali della proibizione, rendendo legalmente disponibili per tutti (con l'eccezione dei minorenni) la maggior parte o tutte le sostanze oggi proibite. Qualsiasi soluzione di legalizzazione del mercato avrebbe probabilmente lo stesso effetto sul fronte dell'offerta, facendo cadere drasticamente il prezzo delle droghe, con l'immediata messa fuori gioco delle organizzazioni criminali e la scomparsa della delinquenza indotta. La qualità dei prodotti migliorerebbe largamente, grazie a seconda delle tesi ai controlli dello Stato oppure ai meccanismi della concorrenza. Molto più marcate potrebbero essere invece le ripercussioni di una scelta o dell'altra sulla diffusione delle droghe nella società e sulla qualità della vita (in primo luogo la salute) dei consumatori.

5. La tesi del libero mercato

Il primo e principale teorico di questa soluzione è l'economista premio Nobel Milton Friedman, che ha iniziato la sua lunga campagna per la legalizzazione del commercio delle droghe illecite con un articolo contro la "drug war" lanciata dal presidente Richard Nixon, apparso su "Newsweek" il 1· maggio 1972. Friedman vi è tornato nel libro, scritto con la moglie Rose, La dittatura dello status quo del 1975, ed è venuto aggiornando la sua teoria man mano che il fallimento pratico, e non solo teorico, del proibizionismo confermava il suo ragionamento. In un articolo pubblicato sul "Wall Street Journal" quando la "war on drugs" di George Bush e del suo Zar antidroga William Bennet era al culmine, Friedman riassumeva, così la sua impostazione:

"La via che proponete più polizia, più anni di carcere, azioni militari in Paesi esteri, reclusione per i consumatori di droga e tutta una panoplia di misure repressive - può solo peggiorare una situazione già deteriorata. E impossibile vincere la guerra alla droga con questo tipo di tattiche senza mettere in pericolo quella libertà umana e individuale che voi ed io amiamo. Non vi sbagliate credendo che le droghe siano un flagello che sta devastando la nostra società. Non vi sbagliate credendo che le droghe stiano dilaniando il nostro tessuto sociale, rovinando la vita di tanti giovani e facendo pagare un alto prezzo ad alcuni dei più diseredati fra noi. Non vi sbagliate credendo che la maggioranza della gente condivida le vostre preoccupazioni. In breve, non vi sbagliate nel fine che vi proponete di raggiungere. Il vostro sbaglio sta nel non riconoscere che le misure da voi proposte sono la causa principale dei mali che deplorate." (7)

Quasi tutti gli scritti di Friedman possono tranquillamente entrare nello zaino di qualsiasi sostenitore della legalizzazione, anche del più convinto statalista. Friedman non è mai entrato nei particolari di una legge, anche perché propone semplicemente di applicare ad eroina, cocaina, marijuana e alle altre droghe illecite i criteri regolatori che valgono oggi per gli alcoolici. In un articolo pubblicato dalla rivista americana "Reason" nel 1989 ha così tratteggiato la sua proposta:

"Una volta legalizzate, le droghe potrebbero essere messe in vendita attraverso i normali circuiti di vendita al dettaglio. Ad esempio, nei drugstore. Non ci dovrebbe essere nessuna tassa o altri controlli sulle droghe. Però dovrebbero esistere delle restrizioni per la vendita ai minori. Quanto alla limitazione sulla pubblicità, mi trovo in imbarazzo su entrambe le posizioni. Rabbrividisco al pensiero di una TV dove una graziosa fanciulla mi dice: 'La mia roba ti darà un'ebrezza come mai hai sperimentato', ma d'altra parte sono sempre stato molto incerto sulle restrizioni della libertà pubblicitaria per ragioni generali di libertà d'espressione. Ma, al di là delle mie esitazioni, non ho dubbi che la legalizzazione non sarà possibile senza sostanziali restrizioni alla pubblicità."

Di recente un economista britannico di scuola friedmaniana, Richard Stevenson, ha formulato la proposta free market fino ad oggi più elaborata (8):

"In un mercato libero, il commercio delle droghe dovrebbe essere privo di restrizioni speciali, e le droghe dovrebbero essere liberamente acquistabili. A livello di distribuzione le droghe dovrebbero essere vendute nei supermercati, nelle farmacie, in negozi specializzati, oppure in ogni altro normale punto di vendita. Sarebbe il profitto a determinare il modo dominante di commercializzazione. Una gamma di prodotti diversi per qualità e potenza sarebbe offerta in vendita, e i consumatori di droghe farebbero la loro scelta alla stessa maniera in cui i bevitori scelgono fra la birra, il vino o i vari distillati."

Stevenson è convinto che all'interno di un mercato dalle regole ridotte al minimo (ad esempio il divieto di vendita ai minori, e un avviso sui danni alla salute in ogni confezione) sarebbe nell'interesse sia dei consumatori che dei produttori minimizzare le conseguenze indesiderabili dell'uso di droghe: ed è persuaso che si svilupperebbero forme autonome di controllo attraverso "un mercato parallelo dell'informazione". Questo favorirebbe la messa in commercio di nuove droghe, proprio come avviene oggi nel mercato illegale, ma nella direzione esattamente opposta a quella corrente: al posto di droghe sempre più nocive e remunerative, che consentono guadagni rapidi ma delimitano il numero degli acquirenti (come il crack), si svilupperebbe la ricerca su nuovi prodotti che possano garantire i risultati richiesti dagli acquirenti ma in forme di maggior sicurezza. Infatti: "Le aziende non potrebbero restare sul mercato, e tanto meno arricchirsi, se danneggiassero seriamente la salute dei loro clienti."

I sostenitori della tesi del "libero mercato" vale a dire: regole ridotte al minimo non sono contrari all'educazione e alla prevenzione, al contrario: le risorse oggi impegnate nella repressione potrebbero essere utilizzate a questo fine. Stevenson ha una larga fiducia nell'efficacia dei meccanismi autoregolatori del mercato, anche in un settore così delicato, perché si svilupperebbe ritiene un maggiore senso di responsabilità degli individui. Ne ha assai meno nella capacità dei governanti di resistere alle pressioni di chi reclamasse restrizioni e controlli statali sulle dosi e la purezza dei prodotti. Seppure a malincuore ammette che forme più o meno incisive di controlli statali sono inevitabili, almeno analoghe a quelle sugli alcoolici e il tabacco. E mette in guardia:

"Il pericolo è che burocrati e politici infarciscano il mercato delle droghe di tali e tante restrizioni da renderlo diseconomico per le aziende rispettose della legge. A meno che non ci sia un'autolimitazione dei limiti, gli obiettivi della legalizzazione potrebbero essere messi a rischio. Nell'ipotesi migliore le aziende finirebbero per non avere incentivo all'innovazione, nella peggiore il mercato criminale potrebbe riemergere." E un ammonimento di cui deve tener conto anche chi, come noi, è favorevole a una legalizzazione accompagnata da un raggio ampio di interventi dello Stato.

6. Il sistema "tasse e controlli"

Tutti i sostenitori della legalizzazione credono che la prevenzione e la deterrenza si attuino meglio attraverso l'educazione che la repressione. Il libero mercato è visto come un mezzo per eliminare innanzitutto la violenza e il crimine connessi al proibizionismo, e in secondo luogo per liberare risorse da destinare ai programmi di educazione. Uno dei vantaggi di questa prospettiva è di non asservire la società a una determinata strategia, che può rivelarsi poco efficace, e alla burocrazia che immediatamente vi si legherebbe. Tuttavia il modello cui i sostenitori del libero mercato fanno riferimento, quello dell'industria del vino e degli alcoolici, non è molto attraente. E vero che al posto di Al Capone abbiamo gli innocui signor Gancia e Folonari, e che nessuna forma di criminalità è oggi ricollegabile ai prodotti alcoolici. Ma il consumo in sé produce costi per la società e per gli individui che forse potrebbero essere ridotti se il profitto non agisse come il principale criterio regolatore di questo com

mercio. Anche nel campo degli psicofarmaci, e delle medicine in generale, le regole di mercato non sono in grado, di per sé, di promuovere un uso consapevole e di frenarne l'abuso.

Versione prudente del libero mercato, lo schema "tasse e controlli" si propone di creare progressivamente un mercato legale con cui il mercato nero non possa competere. Allo Stato viene affidato il compito preminente di scoraggiare il consumo delle droghe più "dure" e di garantire assistenza sanitaria ai tossicomani problematici (alcolisti e tabagisti compresi), senza far pagare un costo economico eccessivo all'intera società. I criteri della proposta si possono riassumere così: legalizzare e tassare le sostanze oggi proibite in funzione della loro nocività e/o della richiesta, applicare gli stessi criteri alle droghe oggi legali, usare le tasse per l'educazione contro le droghe e per sopperire ai costi sociali e medici dell'abuso di droga. Questo comporterebbe una revisione del sistema fiscale in vigore per alcol e tabacco, l'introduzione di una tassa sulla caffeina e su altre sostanze oggi non controllate e, di fatto, un riesame dell'intera politica sanitaria: ciò al fine di sostituire alla discriminazione

giuridica fra droghe legali e illegali una distinzione fiscale imperniata sul danno personale provocato da un uso eccessivo o imprudente delle varie sostanze.

Oggi gli unici profitti economici prodotti dalla repressione derivano dalla confisca di beni ai trafficanti. Anche la legge 162/90 dispone, adeguandosi al modello dominante sul piano internazionale, che questi beni vengano riutilizzati per la repressione oppure destinati alle comunità terapeutiche. Il meccanismo "tasse e controlli" crea un ciclo diverso di entrate, grazie al quale la società può pagare i costi dell'abuso di droga prendendo i fondi dai consumatori in proporzione all'ammontare del loro contributo al problema. (9)

Naturalmente è molto difficile riuscire a calcolare l'ammontare della tassa che dovrebbe colpire ciascuna sostanza per ottenere il duplice risultato di ridurre il consumo senza favorire la nascita di un mercato nero e coprire almeno in parte il suo costo sociale. L'esperienza dimostra che in regime di illegalità ad ogni aumento del prezzo dell'eroina non ha corrisposto un calo significativo del consumo: i tossicodipendenti adeguano le proprie abitudini (delinquenza, prostituzione o spaccio) al prezzo di mercato nero e pagano senza protestare la loro "tariffa del crimine''.(10) Al contrario, studi condotti negli Usa hanno rilevato che per ogni aumento del prezzo delle sigarette del 10% c'è stata una diminuzione del consumo del 4%, in particolare per il mancato ingresso nel mercato del tabacco di nuovi consumatori, visto che la nicotina è una delle sostanze che danno maggiore assuefazione. Come ammettono gli stessi autori della proposta può darsi che il problema sia praticamente insolubile, se l'obiettivo è qu

ello di far pagare ai consumatori l'intero ammontare dei costi sociali e medici dell'uso di droghe. Sarebbe d'altra parte illogico ripresentare sotto forma antiproibizionista l'approccio assolutista dei proibizionisti. Quello che è certo è che questo sistema, come ogni altro progetto di legalizzazione, consentirebbe di risparmiare su tutte le spese legate alla repressione e all'amministrazione della giustizia, alla corruzione, al numero elevatissimo di morti per overdose e per Aids, alle conseguenze economiche della delinquenza. In più offrirebbe ai governanti un meccanismo piuttosto elastico per incidere sui consumi e dirotterebbe a beneficio della parte più sfortunata dei consumatori i profitti legati al mercato delle droghe.

Una proposta di legge radicale in questo senso, presentata alla Camera dei deputati il 15 dicembre 1988, prevedeva una tassazione più alta per i prodotti più tossici (alcol compreso) anche a scapito di introiti più elevati. Si preferiva così una tassazione disincentivante a un'altra studiata in funzione del ricavo. Con questa proposta, il primo tentativo di tradurre in norme concretamente operative la strategia antiproibizionista, si volevano perseguire "alcuni ben individuati obiettivi: a) stroncare radicalmente il traffico della droga e l'organizzazione criminale che vi prospera; b) creare condizioni tali per cui non devono più verificarsi atti di violenza sulla popolazione a fini di reperimento di denaro; c) ridurre drasticamente le morti per abuso di droghe e fare fronte alle situazioni di marginalizzazione e di degrado dei tossicodipendenti costretti a condurre esistenze illegali sotto il controllo della criminalità; d) affrontare seriamente la diffusione dell'Aids che riguarda in Italia per i 2/3 sogge

tti a rischio tossicomani. (11)

7. La teoria del commercio passivo

E possibile eliminare dal mercato delle droghe non soltanto i profitti illegali ma anche quelli legali, e di conseguenza aver qualche buona ragione per credere che il consumo, in assenza di incentivi all'offerta, tenda non ad ampliarsi ma a stabilizzarsi se non a diminuire? Lo scenario del "commercio passivo", delineato dal giurista francese Francis Caballero offre un insieme di soluzioni a questo problema (12). Il nuovo mercato legale delle droghe non dovrebbe operare sulla base dei principi classici del commercio, che impongono di creare mercato e suscitare la domanda del consumatore per generare sempre nuovi profitti. Anche se ciascuna droga presenta delle caratteristiche particolari che richiedono una regolamentazione specifica, il commercio passivo si basa su alcuni principi comuni: discrezione nell'uso, divieto di propaganda, produzione e distribuzione strettamente controllati.

Ciò implica la soppressione di qualsiasi pubblicità diretta o indiretta per i prodotti e i luoghi di vendita, l'introduzione di tasse secondo il modello "tasse e controlli" per imputare ai consumatori stessi il costo sociale derivante dall'abuso di droga, un corpo normativo relativo ai controlli di qualità, prezzo e distribuzione, avvertenze chiare sulla pericolosità del prodotto. Il consumo di droghe in luogo pubblico dovrebbe essere punito, come forma indiretta di propaganda, anche se con una semplice contravvenzione pecuniaria. Quanto alla produzione e distribuzione, questa dovrebbe essere gestita in ciascun paese dallo Stato in regime di monopolio. Tre le ragioni: perché un regime di concorrenza tende sempre a promuove il consumo; perché non si vogliono ricreare forme di imperialismo economico fra le multinazionali e i paesi produttori; perché infine soltanto a una agenzia senza fini di lucro si può chiedere di perseguire gli obiettivi del commercio passivo. Vale a dire non incoraggiare, o meglio scoragg

iare, il consumo delle droghe e realizzare una certa forma di controllo sociale sull'abuso di droga.

La teoria del commercio passivo si situa, almeno nelle intenzioni del suo ideatore, sulla frontiera più vicina al proibizionismo: "La teoria non ha la vocazione di applicarsi d'un tratto a tutte le droghe illecite. Essa non si può concepire che nel caso che il sistema proibizionista abbia dato prova del suo fallimento. Il commercio passivo segue la proibizione, non la precede. Bisogna in altri termini che gli effetti perversi delle leggi sulla droga siano socialmente più nocivi di quelli delle droghe in se stesse." (13) Nei due anni trascorsi dalla pubblicazione del libro in Francia, Caballero si è comunque convinto che non c'è altro tempo da perdere. Nella relazione al II convegno di Bruxelles del Cora (15 19 gennaio 1991) ha affermato: "Bisogna riconoscere che tutte le proibizioni morali hanno fatto fallimento, una dopo l'altra. Questo è vero per il gioco come per la pornografia, e tutti i sistemi di legalizzazione del gioco e della pornografia si sono rivelati migliori della proibizione. Il diritto non ha

il compito di far regnare la morale."

Più in generale l'ambizione della teoria del commercio passivo è di sostituire alla guerra armata alla droga "una lotta civile contro l'abuso delle droghe". Ciò comporta una regolamentazione speciale per ciascun prodotto e l'applicazione del commercio passivo anche alle droghe lecite, dai prodotti farmaceutici, al tabacco e all'alcol. Un'obiezione che si potrebbe muovere a questa teoria è di essere talmente restrittiva da apparire una variante liberaleggiante del proibizionismo. Ma non esiste un Testo Unico della legalizzazione, come non esiste una sola politica proibizionista. Anche certe penalizzazioni in cui possono oggi incorrere fumatori incalliti (sorpresi a fumare in luoghi pubblici) appaiono in qualche misura ricalcate sul modello della guerra alla droga, e non sempre, e non ovunque, la denuncia penale scatta come ultima risorsa possibile. (14)

8. La 'normalizzazione' olandese

Sappiamo che non è sempre facile integrare la protezione dei diritti civili e la promozione della salute pubblica. D'altra parte il ceto politico e i mass media non hanno dato fino ad oggi un grande contributo alla ricerca, esaltando gli aspetti spettacolari della guerra alla droga, e strumenti come le comunità terapeutiche, accettati da una porzione molto ridotta dei tossicodipendenti. Si tratta ora visti i risultati di quella strategia, di intraprendere la strada degli interventi pacifici per la promozione della salute nel rispetto dei diritti individuali. Non siamo all'anno zero, fortunatamente, come dimostrano le esperienze di Harm Reduction.

La strategia di Harm Reduction (Riduzione dei danni) appartiene alla politica sanitaria. Non è una forma di legalizzazione né di depenalizzazione, anche se richiede un coordinamento tra i servizi sanitari e le forze di polizia. Nelle aree in cui è stata applicata, l'Olanda e la regione di Liverpool in particolare, le leggi scritte proibiscono il consumo di eroina e cocaina e, sebbene la repressione verso i consumatori non sia una priorità politica, la polizia può cambiare atteggiamento (e lo fa, specie ad Amsterdam) se la microcriminalità o la pressione dell'opinione pubblica superano il "livello di guardia". Il traffico delle droghe illecite resta nelle mani della criminalità, e il livello di delinquenza urbana anche se inferiore alla media resta alto. (15) L'esempio olandese, come quello di Liverpool, non è dunque quello di una politica da copiare, ma di un insieme di concetti, strumenti e pratiche che non potranno non essere parte integrante della politica sanitaria sulle droghe nell'ipotesi della leg

alizzazione.

Già alla metà degli anni settanta era apparso chiaro che la repressione non aveva interrotto la commercializzazione delle droghe leggere e, ancor meno, delle droghe dure. Anno dopo anno le cifre della droga proibita andavano definendo un nuovo mercato internazionale dalle potenzialità economiche e commerciali paragonabili a quello del petrolio e delle armi. La reazione dei governi e delle agenzie internazionali, come l'Onu, alla novità di questa situazione fu e resta una semplice non reazione, la conferma e la riorganizzazione di tutto l'armamentario repressivo in nome dell'utopia che sta alla base del proibizionismo: l'astinenza. L'aspetto sanitario, nonostante le parolone televisive, rimane ancora oggi sullo sfondo: il problema da risolvere è morale, la medicina è ridotta ad ancella della virtù. L'alternativa era e resta secca: o la malattia (la droga) o guarigione (non più droga). Alla fine degli anni Settanta partono però anche alcuni esperimenti che si basano su un presupposto diverso: se non è ancora p

ossibile "curare" un tossicomane (vale a dire sradicare la sua abitudine), si deve almeno tentare di minimizzare il male che reca a se stesso e al suo ambiente. L'espressione "riduzione del danno" è stata coniata a Liverpool, in Inghilterra, ma il caso internazionalmente più noto di una politica del genere è quello olandese.

Amsterdam è stata la prima capitale europea ad adottare una strategia sanitaria globale, come necessario complemento della decisione del governo olandese di depenalizzare il consumo di eroina. Secondo questa politica l'obiettivo di un mondo completamente libero dalle droghe è un'illusione: la società deve imparare a far fronte a una certa quantità di consumo di droghe. Lo dimostra la diffusione del tabacco, dei prodotti alcoolici e degli psicofarmaci: il loro status di droghe legali non modifica la natura dei problemi causati da queste sostanze e la realtà delle motivazioni che portano ad usarle, così come non le modifica l'illegalità di altri prodotti. Il concetto di "normalizzazione", sviluppato in Olanda a cavallo degli anni ottanta, significa proprio che la società deve accettare il problema droga come un problema normale e non come un fenomeno anormale e da reprimere.(16) Il successo dell'esperienza di Liverpool ha in seguito indotto le autorità sanitarie olandesi a modificare i vari programmi secondo i

criteri dell'Harm Reduction che è una strategia di intervento sociale più coerente e comprensiva. Gli elementi fondamentali della politica olandese sulla droga furono definiti negli anni fra il 1979 e il 1984 con questi obiettivi:

acquisire una visione chiara delle ragioni e del carattere del problema eroina, contattando il maggior numero possibile dl eroinomani e creando un sistema di registrazione;

ridurre i rischi dell'uso delle droghe pesanti per tutti i consumatori non (ancora) capaci di, o intenzionati, a rinunciare alla loro abitudine;

motivare gli eroinomani a entrare in trattamento senza droga (drug free) e/o in progetti di risocializzazione;

trovare forme di cooperazione fra la polizia, il sistema di assistenza e le popolazioni delle zone in cui il problema droga è più grave.(17)

Un gruppo di circa 30 operatori di strada che raggiungono i tossicodipendenti nel loro ambiente, visite regolari di medici e operatori dei centri di trattamento nelle stazioni di polizia (ogni anno circa 2.000 tossicodipendenti vi vengono contattati) e un servizio di consegna ambulante del metadone ai tossicomani registrati, realizzato con autobus che si fermano ogni giorno in sei punti diversi della città, fanno oggi parte integrante del progetto.

Nel 1984, quando la diffusione dell'Aids si rivelò come la minaccia più grave alla salute dei tossicodipendenti (con un 30% di sieropositivi) furono inserite nella politica sulla droga nuove misure col duplice scopo di prevenire un'ulteriore diffusione del virus Hiv fra gli utilizzatori di siringhe e di realizzare un buon sistema di cura per gli ammalati di Aids. Strumenti di questa politica sull'Aids sono:

disponibilità di preservativi;

trattamenti di disintossicazione "drug free" senza lunga lista di attesa per chiunque voglia smettere;

offerta di metadone a chi voglia ridurre o interrompere l'uso di eroina tramite siringa ma non possa ancora rinunciare alla dipendenza da oppiacei;

distribuzione di siringhe sterili in cambio di quelle usate (nel 1989 ad Amsterdam sono state diffuse circa 800.000 siringhe in 11 luoghi di consegna, mentre in tutta l'Olanda esistono 125 programmi diversi di scambio siringhe).

Gli obiettivi di base sono stati raggiunti: il numero dei tossicodipendenti si è stabilizzato, mentre in tutti i paesi europei è largamente cresciuto e l'epidemia di Aids è stata frenata. Ad Amsterdam, nel 1989 il numero dei tossicodipendenti è stato stimato fra i 5.000 e i 7.000 (di cui 3.500 sono olandesi e 1.500 di origine etnica Guyana, Antille, Marocco e 2.000 provengono da altri paesi europei) contro i 9.000 del 1984; i contatti coprono il 60% dei tossicodipendenti di Amsterdam, e il 75% dei 22 25.000 a livello nazionale; un quarto degli utenti pratica programmi di disintossicazione e il 75% programmi di mantenimento a base di metadone; il numero di morti per overdose in Olanda è uno dei più bassi in Europa (nel 1989 ad Amsterdam sono morti per overdose 14 cittadini olandesi e 28 stranieri provenienti per lo più dalla Germania) e il dato è in calo dal 1985; l'età media dei tossicodipendenti registrati è salita da 26,4 del 1981 a 31,6 del 1989; la percentuale dei consumatori sotto i 22 anni è scesa

nello stesso periodo dal 14,4% al 4,8%; la percentuale di sieropositivi è rimasta stabile al 30% ad Amsterdam, mentre su scala nazionale la percentuale di tossicodipendenti fra i malati di Aids è appena del 9% (contro il 67,6% in Italia). In particolare gli studi di valutazione dei programmi di distribuzione delle siringhe hanno rilevato che ciò non comportava un aumento nell'uso di eroina e che era diminuita l'abitudine di usare la stessa siringa fra più persone.(18)

9. La riduzione del danno

Fin dalla metà degli anni settanta la regione del Mersey è, insieme all'area intorno a Londra (Thames), la parte dell'Inghilterra con il maggior numero di tossicodipendenti. Nel 1989 questo era il tasso di tossicodipendenti registrati per milione di abitanti: NE Thames 394, Mersey 375, NW Thames 287, SE Thames 244. A partire dal 1986 l'Autorità sanitaria regionale del Mersey, l'area di cui Liverpool è la città più importante, ha definito e sviluppato, in collaborazione con le forze di polizia e una parte degli enti locali, la strategia di riduzione del danno verso i consumatori di droghe. In questo modo la politica sanitaria si è affiancata, e in larga misura sostituita alla politica criminale. I precedenti sono la pratica olandese di normalizzazione, che abbiamo già visto, ed esperimenti analoghi condotti a San Francisco, negli Usa. Le motivazioni e le linee guida di questo programma sono:

la diffusione del virus Hiv e dell'Aids è una minaccia più grave alla salute pubblica dell'uso di droga, e deve essere perciò data priorità ai servizi che mirano a minimizzare i comportamenti che possono indurre il virus;

i servizi devono massimizzare il contatto con coloro che continuano a usare droghe, e aiutarli a modificare il loro comportamento verso pratiche meno rischiose, adottando la seguente gerarchia di obiettivi:

1) la cessazione dello scambio di siringhe e aghi già usati,

2) il passaggio da droghe che si iniettano a droghe che non si iniettano,

3) la diminuzione nell'uso di droga,

4) l'astinenza;

devono essere incoraggiati mutamenti nell'attitudine degli operatori e del pubblico in generale verso l'uso di droga, per ridurre la condizione di marginalità dei consumatori, favorendo il loro contatto coi servizi e la modifica delle loro abitudini più rischiose;

i servizi devono sperimentare tutta una varietà di approcci e soluzioni, e verificare la loro efficacia.

E su questa impalcatura concettuale che è stato costruito un sistema di consultori che educano ad un uso più sicuro delle droghe e del sesso e svolgono analisi periodiche sulla sieropositività, offrono servizi di trattamento specialistico, programmi di risocializzazione, unità di intervento nelle prigioni, ecc. Due sono gli strumenti di primo contatto studiati per realizzare un rapporto costante con gli utenti del sistema: 1) la distribuzione gratuita di siringhe sterili in cambio di quelle usate, in collaborazione con le farmacie, e la distribuzione gratuita di preservativi; 2) la prescrizione gratuita delle sostanze stupefacenti, generalmente il metadone per via orale, ma anche, in via sperimentale, il metadone da fumare, l'eroina, la cocaina, le amfetamine. In particolare il mantenimento a base di metadone è usato per "stabilizzare" i tossicodipendenti da oppiacei, vale a dire allontanarli dal mondo degli spacciatori, ridurne l'attività delinquenziale e i rischi di incarcerazione, migliorarne lo stato di

salute, prevenire l'aumento dei consumi.

Funziona questo complesso meccanismo? Innanzitutto il fenomeno del mercato grigio, che pure esiste, non è rilevante.(19) Rispetto alla prevenzione dell'Aids il successo è andato oltre ogni previsione. Abbiamo visto che l'area di Mersey è la seconda in Inghilterra per numero di tossicodipendenti. La graduatoria relativa alla diffusione della sieropositività è completamente diversa. Se i tre distretti di Londra restano al vertice anche per la diffusione del virus Hiv, il Mersey è al tredicesimo posto su quattordici precedendo il W Midlands, dove il tasso di tossicodipendenti per milione è molto più basso, 54 contro 375. Il Mersey è largamente primo nella graduatoria sul rapporto fra sieropositivi e tossicodipendenti che è appena di 1 a 60 nel Mersey, mentre la seconda area in graduatoria, il NW Thames, registra un rapporto di 1 a 17. A Milano il rapporto è di 1 sieropositivo ogni 1,4 tossicodipendenti. Difficile trovare cifre più eloquenti. Inoltre il Mersey è l'unica area del paese che ha visto costantemente

decrescere, negli ultimi quattro anni, il numero dei crimini (furti, scippi e rapine) legati alle leggi sulla droga. (20)

Una versione ridotta dell'Harm Reduction è anche l'esperimento, in atto da circa due anni nella città di Zurigo, di creare una zona franca per i tossicodipendenti (il Platzspitz), all'interno della quale la repressione è sostituita da servizi sanitari e sociali di base. Di fronte a un'emergenza sanitaria incontrollabile (la Svizzera ha il più alto numero di morti per overdose in Europa rispetto agli abitanti e un tasso di sieropositività fra gli eroinomani ai più alti livelli mondiali) la municipalità di Zurigo ha deciso un rovesciamento drastico della politica repressiva della Confederazione. L'urgenza ha suggerito una soluzione che presta il fianco a molte critiche, soprattutto perché al posto di servizi diffusi sul territorio si ha la concentrazione di tutti i tossicomani problematici in una stessa area. Si crea così un taglio geografico fra la parte "sana" e la parte "malata" della città che non corrisponde affatto alla realtà sociale. Tuttavia, dal punto di vista sanitario l'esperienza funziona, con un

calo significativo sia delle morti per overdose che della prevalenza del virus Hiv fra gli eroinomani (i responsabili calcolano di salvare dall'infezione una persona al giorno). Proprio perché ha vissuto una versione fra le più repressive del proibizionismo e ne sta pagando prezzi altissimi, la Svizzera è oggi un laboratorio di proposte ed elaborazioni concettuali fra le più avanzate, e varie proposte di legalizzazione e depenalizzazione sono in discussione davanti ai governi cantonali.

E stato il parlamento Europeo a dare il più importante riconoscimento alla politica di Riduzione del Danno. Con un voto a stragrande maggioranza (259 sì, 14 no e 5 astenuti) ha infatti approvato tutti gli emendamenti in questa direzione al programma "l'Europa contro l'Aids 1991 1993" presentati dalle commissioni Ambiente e Cultura.(21) Su proposta di quest'ultima è stato introdotto un nuovo piano d'azione specificamente diretto alla prevenzione, assistenza sanitaria e riduzione della trasmissione dell'Hiv tra i tossicomani a rischio. Vi si legge:

"I programmi di distribuzione di siringhe sterili monouso in cambio delle siringhe usate tramite unità mobili urbane, così come raccomandati dall'Oms e già sperimentati da vari anni in alcune città europee, costituiscono un mezzo efficace di prevenzione della diffusione del virus Hiv e di altre malattie tra i tossicodipendenti e costituiscono altresì un eccellente canale di diffusione dell'informazione, di promozione dell'educazione e di orientamento verso servizi sociali o sanitari necessari alla riabilitazione e al reinserimento dei tossicodipendenti.

"Le cure ai tossicodipendenti tramite prodotti di sostituzione, quali il metadone per via orale, consentono altresì, oltre al trattamento della tossicodipendenza, di evitare la trasmissione del virus Hiv mediante siringhe infette. E opportuno valutare e contemplare seriamente questa prassi medica.

"Oltre all'armonizzazione tecnica per quanto concerne i requisiti di qualità dei profilattici disponibili negli Stati membri, Si rende necessario assicurarne la massima disponibilità possibile soprattutto tra gli omosessuali, le prostitute, nelle prigioni e, più in generale, nella società tramite distributori automatici accessibili in permanenza. Dovrebbe essere inoltre garantita un'informazione in materia, dato che per ora l'utilizzazione dei profilattici è l'unico mezzo efficace per contrastare la diffusione del virus Hiv per via sessuale, a meno che non intervenga un mutamento nello stile di vita."

Da notare che hanno votato a favore tutti i gruppi principali di destra, centro e sinistra (il voto contrario proviene dalla estrema destra di Le Pen e dei Republikaner tedeschi).

10. Passi importanti sulla strada della riforma

La prima organizzazione politica dell'antiproibizionismo è nata nel dicembre 1987 in Italia. Il Cora (Coordinamento radicale antiproibizionista) riprendeva tutta una storia interna al Partito radicale e ai movimenti per i diritti civili che a partire dalla fine degli anni sessanta si erano contrapposti all'ingiustizia e inutilità della repressione penale fatta strumento di una campagna morale. Il Cora definiva chiaramente nel suo statuto anche la differenza dell'impegno antiproibizionista degli anni ottanta rispetto a quello dei due decenni precedenti: in gioco non era più soltanto la libertà individuale e quella di gruppi di minoranza, ma la partita tra proibizionismo e antiproibizionismo investiva le colonne portanti della società democratica.(22) Riformare la politica sulla droga, nello scontro fra organizzazioni internazionali dei narcotrafficanti e apparati repressivi sempre meno soggetti al controllo democratico era diventata la condizione per riformare la politica democratica tout court.

Il primo problema che il Cora si è posto è stato di riunire in un organismo internazionale tutti coloro che nel corso degli anni avevano espresso individualmente il rifiuto della politica proibizionista, attraverso articoli di giornale, libri, ricerche scientifiche. Nell'ottobre 1988 a Bruxelles, in Belgio, si è svolto, promosso dal Cora e dal Partito radicale, il Forum internazionale sui costi del proibizionismo sulla droga, cui hanno preso parte esperti di economia, diritto, criminologia, medicina, sociologia europei e nordamericani. Qui sono state gettate le basi per la creazione, avvenuta il 31 marzo 1989 a Roma, della Lega Internazionale Antiproibizionista (Lia), fondata da una cinquantina di personalità provenienti da Europa, Nord America e America Latina. Alla creazione della Lia hanno contribuito anche altri movimenti che propongono sostanziali riforme della politica sulla droga: la Drug Policy Foundation (Dpf) di Washington, che dal novembre 1988 organizza nella capitale Usa un meeting annuale sugli

aspetti controversi del proibizionismo in campo giuridico, sanitario e politico, e che, grazie all'entusiasmo del suo fondatore, Arnold Trebach, è diventata un punto di riferimento essenziale nel dibattito americano sulla questione; e l'"European movement for the normalisation of drug policy", fondato a Rotterdam dal sociologo Wijnand Sengers, con l obiettivo di promuovere una politica europea di "normalizzazione" del problema droga simile a quella olandese. (23)

In Italia, liste antiproibizioniste sulla droga hanno preso parte alle elezioni europee del 1989 (dove hanno raccolto 429.000 voti eleggendo un deputato all'assemblea di Strasburgo) e alle amministrative del 1990 (con l'elezione di sei consiglieri regionali, quattro provinciali e sei comunali). Questo ha fatto sì che restasse viva anche nelle sedi istituzionali l'opposizione alla politica governativa che, sotto la spinta del Psi, ha prodotto nel giugno del 1990 la nuova legge sulla droga, impasto farraginoso di proibizionismo all'americana e solidarismo all'italiana. Il Cora e gli eletti antiproibizionisti hanno riformulato i concetti della Harm Reduction adattandoli alla situazione italiana e, trovando spesso l'adesione di consistenti maggioranze consiliari, hanno portato all'approvazione in molte città e regioni italiane di documenti per una politica su Aids e droga basata sulle esperienze olandese e di Liverpool.(24)

Una svolta importante sul piano internazionale è venuta dalla "I Conferenza delle grandi città europee al centro del traffico illegale di droga" che si è svolta a Francoforte nel novembre del 1990. Per la prima volta nella storia del proibizionismo sulla droga un incontro internazionale promosso da poteri ufficiali non ha avuto come oggetto una più rigida e più coerente applicazione delle norme repressive previste dalle convenzioni Onu e dagli accordi bilaterali, ma una riflessione aperta sulla strategia proibizionista e sulle sue conseguenze pratiche nella vita civile. Alla fine dell'incontro quattro delle amministrazioni comunali più importanti (Francoforte, Amburgo, Amsterdam e Zurigo) hanno sottoscritto un documento, la Risoluzione di Francoforte, che chiede di modificare radicalmente le priorità nelle strategie relative alla droga secondo le già descritte modalità della Harm Reduction e nella prospettiva di "una necessaria armonizzazione del sistema legale nazionale rispetto all'unificazione europea, su

lla base di una politica di decriminalizzazione e depenalizzazione del consumo di droga e di riduzione del danno".(25)

Nella risoluzione si dichiara che:

"1) Il tentativo di eliminare le droghe e il consumo di droga dalla nostra civiltà è fallito. Nonostante tutti gli sforzi fatti, la richiesta di droga non è scomparsa, e tutto indica che dovremo continuare a vivere con la droga e i consumatori di droga anche nel futuro; 2) l'uso di droga a il suo fondamento nelle carenze della società e non può essere prevenuto da specifiche politiche sulla droga. Nella migliore delle ipotesi, queste politiche sono in grado soltanto di regolamentare e limitare le conseguenze del consumo di droga. Per la maggioranza dei suoi consumatori, la droga è un periodo temporaneo dell'esistenza, che può essere superato attraverso un processo di maturazione che liberi dalla dipendenza. Le leggi sulla droga non debbono essere di ostacolo a questo processo, ma devono costituirne un sostegno; 3) la politica sulla droga che lotta contro la tossicodipendenza soltanto con la legge penale e l'obbligo all'astinenza, e offrendo pubblica assistenza sul presupposto esclusivo dell'astinenza dalla d

roga, è fallita: la richiesta di droga esiste ancora, i disagi sociali e medici dei consumatori crescono sempre più velocemente, un numero sempre maggiore di tossicodipendenti è contagiato dall'Hiv, il numero dei morti aumenta, il narcotraffico si estende e fa profitti sempre più grandi, nelle città la paura della gente per lo spaccio di droga e i reati ad esso collegati cresce sempre di più; 4) i problemi legati alla droga non sono basati soltanto sul modo in cui le droghe operano sotto il profilo farmacologico, ma sono piuttosto il risultato di un consumo illegale, che mette in circolazione droghe adulterate, dispendiose, e in dosi non calcolabili. Il consumo illegale di droga è la causa principale delle sofferenze dei tossicodipendenti, dei decessi e della criminalità indotta. La criminalizzazione è oggi il contraltare dell'assistenza e della terapia, ed è un peso che la polizia e il Sistema giudiziario non sono in grado di sopportare; 5) la maggioranza dei consumatori di droga vive nelle città o si reca

nelle città perché lì c'è lo spaccio, ci sono gli ambienti della droga, c'è l'assistenza ai drogati. Di conseguenza la maggior parte delle nostre grandi città è afflitta da problemi di droga, mentre, d'altro canto, 1 influenza di queste città sulle scelte politiche in materia di droga è limitata e proporzionalmente inversa rispetto agli oneri che esse devono sopportare." (26)

Questo testo, proprio per la sua matrice ufficiale e per le prospettive di cooperazione che apre al livello delle autonomie locali, rappresenta una pietra miliare nella strada verso la legalizzazione.

Conclusioni

L'unico argomento proibizionista che non sia facile

smantellare è quello sul possibile, largo aumento del numero dei consumatori delle droghe oggi proibite. Non è possibile smantellarlo perché l'atteggiamento dogmatico di governi e organismi sovranazionali non ha fino ad oggi consentito nessuna esperienza su larga scala di legalizzazione di queste sostanze. Manca ogni controprova significativa, in un senso o nell'altro. Ma se la preoccupazione di un'alluvione di droga deve valere anche per il sistema proibizionista e non c'è ragione che non sia così non c'è dubbio che questo dovrebbe essere rapidamente abbandonato. A differenza di dieci anni fa, non c'è oggi al mondo alcun paese che sia immune da questo commercio a condizione che i suoi abitanti siano abbastanza ricchi da poter offrire un buon profitto alla lunga catena di interessi che sale dal piccolo spacciatore fino alla banca che effettua il riciclaggio del denaro. Non esiste altro mercato che faccia viaggiare il denaro alla velocità di quello illegale della droga. Per questo sono convinto che la leg

alizzazione non fara aumentare i consumi nei paesi in cui il narcotraffico e già insediato, e ritarderà la diffusione delle droghe in tutti quei paesi che si stanno aprendo oggi alla metastasi mafiosa. Penso soprattutto alle nazioni centro europee dove già gli organi di polizia internazionale segnalano la novità di abbondanti iniezioni di capitali in cerca di riciclaggio. Dopo il denaro arriveranno le droghe del mercato proibizionista, a sostituire le grappe e i veleni poveri oggi più diffusi (dalle colle ai solventi ai più primitivi derivati dell'oppio).

Sono convinto che oggi, in tutti i paesi dove le reti commerciali del narcotraffico hanno sviluppato la loro presenza, vi sia un consumo ben superiore a quello "normale, a quello che si verificherebbe persino in condizioni di facile acquisizione delle droghe per via legale. Oggi c'è in Europa, come negli Usa, una rete di vendita capillare che va dall'offerta clandestina in piazza o in portone buio, a un sistema efficientissimo di porta a porta per le classi agiate. Oggi qualsiasi tossicodipendente pratica lo spaccio e quindi il proselitismo, per procurarsi denaro. Oggi ci si inserisce nel giro della droga per venderla, prima ancora che per usarla, dove predominano povertà e arretratezza sociale. Ma ammettiamo pure che possa esserci un aumento del numero dei consumatori. Ciò che più importa sono gli indici di qualità della vita, che sono più significativi dei dati numerici e valgono sia per i consumatori che per la società in generale. Consumare in condizioni di relativa sicurezza sanitaria una sostanza che p

uò provocare danni all'organismo è possibile, purché vi sia un controllo di qualità del prodotto, di quantità delle dosi, di serietà del produttore. Morire di overdose è una possibilità intrinseca all'uso di eroina, come morire per eccesso di velocità è una possibilità intrinseca all'uso dell'auto, ma non accetteremmo mai che circolassero auto senza freni, senza fari, con le gomme sfatte. Anche il miglior guidatore finirebbe per sfracellarsi o per travolgere i passanti. Se per il caffè, il vino, il tè, il tabacco, ci sono limiti e controlli, è giusto reclamarli anche per l'eroina, la cocaina. Senza dimenticare che certi consumi prescindono spesso da fattori puramente logici o ricreativi e che ciascuno deve essere aiutato a sbagliare di meno e comunque a pagare di meno il costo dei propri errori.

La moralità coincide con la responsabilità. Oggi il consumo responsabile di droghe, specialmente di alcune - nell'Europa meridionale l'eroina e il tabacco, nell'Europa del Nord l'eroina e l'alcool è sovrastato da un consumo subalterno alle ragioni del mercato legale o illegale. Ma se questo fenomeno di irresponsabilità fosse soltanto legato a un uso irragionevole della propria libertà di scelta, non sarebbe diventato da problema sociale una priorità politica.

Se lo è stato negli anni sessanta e settanta è perché - senza vantaggio per nessuno si vedeva minacciata dall'invadenza dello Stato, in versione poliziesca o terapeutica, una sfera sacra dei diritti di coscienza, dentro alla quale si possono e devono esercitare altre forme di influenza (la scuola, la famiglia, gli spot televisivi, la pedagogia dell'esempio o quella del ceffone, per chi ci crede) private o pubbliche. Tutte legittime, purché non acquistino un carattere direttamente sanzionatorio della libertà di decisione dell'individuo. Non è compito dello Stato fare l'esattore della morale, anche perché non ci riesce.

Se oggi, negli anni novanta, l'antiproibizionismo è un fatto pienamente politico, è perché quel meccanismo violento di intrusione dell'autorità statale nella sfera privata ha prodotto proprio quegli effetti che alcuni prevedevano, parlando la lingua di una cultura delle libertà che veniva scambiata dai bigotti e dagli ipocriti per cultura della droga. Se oggi la questione droga, ovvero del proibizionismo sulle droghe, diventa priorità politica generale e assoluta, è perché, come ci ripetono tutti i proibizionisti quando reclamano più soldi, più pene, più armi (variando alle volte l'ordine del secondo e terzo termine, mai del primo) "l'intensificazione e la diffusione che caratterizzano la produzione, il traffico e il consumo delle droghe proibite a partire dall'inizio degli anni ottanta, mettono in pericolo tanto i sistemi socioeconomici quanto le strutture giuridico politiche, sia dei paesi in via di sviluppo sia di quelli industrializzati" e perché "la natura occulta e l'organizzazione efficiente del traff

ico internazionale e il ruolo che gioca nell'economia mondiale sono tali che l'obiettivo di sconfiggerli resta incerto e lontano" come si legge in un recente rapporto Cee. Tanto incerto e lontano è quel futuro che sul versante dello Stato quello dei soldi, delle pene e delle armi gli abusi di autorità, le apparizioni in veste religiosa o laica dell'etica di Stato, la demagogia, rischiano di precipitarci di nuovo nelle catastrofi dell'irrazionalismo violento e autoritario. A meno che questa è l'alternativa proibizionista la proibizione non serva davvero a far sparire droghe, venditori di droghe, consumatori di droghe. Se così fosse, però, non esisterebbe il problema di cui stiamo, con passione e con ragione, dibattendo.

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NOTE

(1) Marco Pannella, in un'intervista al settimanale "Oggi", nel luglio 1975: "Ogni generazione ha i suoi simboli di piacere più o meno vietati: questa dei giovani d'oggi ha la fumatina. Che poi sia una stupidaggine è un altro discorso. La realtà è una e lo sappiamo. Come reagisce una società proibizionista quale la nostra? Criminalizzando decine di migliaia di giovani. Questi ragazzi, perseguitati dalla legge per una colpa che non è superiore a quella di bere alcol o di fumare tre pacchetti di 'Celtique' al giorno come faccio io, dal momento che si procurano l'hashish per la prima volta diventano perseguibili. Devono stare attenti al poliziotto e finiscono nelle mani degli spacciatori. Sono ricattabili. Sono soggetti allo spacciatore il quale, tra l'altro 'vende' molto di più perché ciascuno dei fumatori, anziché comprarsi il necessario per la fumatina, tende a fare provvista. Il mercato si ingrandisce, come accade negli Stati Uniti. Ed ecco che il gioco è fatto: lo spacciatore, anziché hashish mette nelle m

ani del ragazzo la polverina, l'eroina. Le prime volte gliela dà gratis. 'Senti. Oggi non ho hashish. Però ho questo, prova: è ancora meglio'. Certo, trovi il ragazzo che risponde col gestaccio: ma è rarissimo. Innanzitutto perché non sa quale sia la differenza mortale tra l'hashish e l'eroina; poi perché, rispetto alla legge, sa di commettere un delitto non diverso; infine perché, come ho già detto, è ricattabile. E non c'è paragone, dal punto di vista dello spacciatore, tra l'interesse a smerciare eroina e quello di vendere un po' di hashish. Non foss'altro che perché il ragazzo drogato, prima di morire, è schiavo redditizio, diventa egli stesso spacciatore e propagandista della droga hashish".

(2) David Boaz, "The consequences of Proihibition", in "The crisis in drug prohibition", Washington, the Cato Institute, 1990.

(3) Si tratta però "soltanto" del 28,3% di 1.155.200 arresti per violazione delle leggi sulla droga effettuati nel corso dell'anno.

(4) Henk Jan Van Vliet, "The uneasy decriminalisation", in "Hofstra Law Review", vol. 18, n. 3, 1990.

(5) Nel Manifesto di Malaga, approvato il 2 dicembre 1989 e trasformato nell'aprile 1991 in una proposta ai legge. Vedi "Antiprohibitionist News" Lia, Bruxelles, n. 2, luglio 1990.

(6) Nel "Saggio sulla libertà" (il Saggiatore, Milano 1981, p. 33) Mill affronta la questione specifica del commercio e consumo di alcol e oppio.

(7) Milton Friedman, "An open Letter to Bill Bennet", "The Wall Street Journal", 7 settembre 1989.

(8) Richard Stevenson, "Can markets cope with drugs?", "The Journal of drug issues", pp. 659 666, 1990.

(9) Lester Grinspoon "La tassa sulla nocività", in "I costi del proibizionismo sulle droghe", Roma, Edizioni Cora 1989, p. 236 "Legalizziamo e tassiamo le sostanze attualmente controllate. Le tasse sarebbero usate per l'educazione contro la droga e per pagare i costi sociali e medici dell'abuso di droga. Una commlsslone dovrebbe essere istituita col compito di decidere questi costi separatamente per ogni droga, e la percentuale di tassazione sarebbe adeguata periodicamente per riilettere questi dati." Vedi anche J. Bakalar e L. Grinspoon, "Drug control in a free society", 1984.

(10) Ibidem.

(11) Proposta di legge d'iniziativa dei deputati Massimo Teodori e altri: "Regolamentazione legale delle sostanze psicoattive per sottrarre il traffico delle droghe alle organizzazioni criminali". La relazione di accompagnamento riassume così i punti fondamentali della proposta:

1 - la regolamentazione legale di tutte le sostanze psicoattive (denominazione scientificamente più rigorosa di quella comunemente usata di sostanze »stupefacenti e psicotrope ) ovvero delle cosiddette "droghe";

2 - la riclassificazione delle sostanze psicoattive con l'inclusione nelle ultime tre tabelle regolamentate (in ordine decrescente di rischio e di pericoosità) degli alcoolici superiori a 20·, dei tabacchi e della canapa indiana;

3 - l'inclusione nella Farmacopea ufficiale dell'eroina e della cocaina e il loro assoggettamento al regime di monopolio;

4 - la legalizzazione della canapa indiana;

5 - una tassazione tale che determini un prezzo di vendita al pubblico progressivamente correlato al rischio: la canapa indiana con un prezzo eguale al tabacco; l'eroina con un prezzo dieci volte e la cocaina con un prezzo venti volte quello dei superalcolici;

6 - il divieto di propaganda pubblicitaria nonché la pubblicità negativa sui rischi per tutte le sostanza compresi alcoolici e tabacchi;

7 - la distribuzione di tutte le sostanze psicoattive (incluse eroina e cocaina ed esclusi alcoolici, tabacchi e canapa indiana) solo in farmacia dietro prescrizione rilasciata da un medico;

8 - la possibilità per ogni medico di rilasciare prescrizione delle sostanze (per un massimo di una dose giornaliera moltiplicata per tre) con il dovere di informare il richiedente sulle caratteristiche delle sostanze, sui suoi effetti accertati e sui rischi conseguenti la sua assunzione ("consenso informato");

9 - la possibilità di garantire una distribuzione controllata e protratta ai tossicomani che ne facciano esplicita richiesta tramite una tessera che assicura la sostanza da cui dipendono per 90 giorni;

10 - la repressione rigorosa con un sisterna di pene dure di tutte le attività di produzione, fabbricazione, vendita, distribuzione, acquisto, import/export di sostanze psicoattive (droghe) ai di fuori delle procedure legali sopra descritte.

(12) Francis Caballero, "Droit de la drogue", Paris, Précis Dalloz 1989.

(13)" ibidem, p. 136.

(14) Lina Beauchesne, "Health promotion and protectton of civil rights of drug users", in "The great issues of drug policy", DPF, Washington 1990.

(15) Come ha scritto Hank Van Vliet, direttore del centro di ricerche sociali Metropolmk, "al giorno d'oggi l'Olanda costituisce l'unico relativo esperimento di politica sulla droga su una scala nazionale, e questo è un fatto pOlitiCO di grande Importanza, studiato da ricercatori, operatori, politici e tunsti dl molti paesi che vogliono godere i frutti dello sperimentalismo olanese. Non dovrebbero però voler copiare le nostre scelte politiche, perché esse sono state definite specificamente per la situazione olandese e non sono perfette neppure sotto questo profilo" (L'esempro olandese, relazione al II Convegno Cora dl Bruxelles, 15 19 gennaio 1991). In Olanda nel 1990 un quarto dei tossicodipendenti in trattamento si trovava in carcere.

(16) Henk Van Vliet, "L'esempio olandese", cit

(17) "Drugs and Aids The Amsterdam situation", Municipal Health Service, Amsterdam 1990.

(18) Drugs and Aids, cit., Staatscourant 1991, n. 38, 22 febbraio 1991.

(19) "Sì, c'è una forma di rivendita sul mercato nero. Ma penso che questo non ci debba dlstrarre dagli obiettivi che ci proponiamo La vendita nelle strade e minuscola rispetto alla quantità delle sostanze che vengono prescritte ai tossicodipendenti. E' per noi ovviamente una preoccupazione e qualcosa che monitoriamo costantemente. Ma non credo che fino ad oggi sia una situazione che richieda qualche cambiamento radicale nella politica di prescrizione." Derek O'Connel, capo della squadra antidroga della polizia di Liverpool, atti del Convegno di Francoforte delle città europee al centro del traffico di droga, novembre 1990.

(20) Pat O' Hare, "L'esperienza di Liverpool", relazione al II Convegno Cora, Bruxelles, 15-19 gennaio 1991.

(21) Relatore alla commissione Ambiente il socialista francese Leon Schwartzenberg, relatore alla commissione Cultura l'antiproibizionista Marco Taradash.

(22) "Il Cora (Coordinamento radicale antiproibizionista) ha lo scopo di promuovere la riforma delle politiche sulle droghe attualmente basate su strumenti legislativi ispirati al proibizionismo. Tali metodi hanno dimostrato storicamente la loro inefficacia rispetto all'obiettivo di ridurre la diffusione e l'abuso delle droghe. Al contrario hanno prodotto e producono una serie di problemi gravissimi sul piano medico, politico, giuridico, sociale, economico, istituzionale e di ordine pubblico, con rischio gravissimo per lo stato di diritto e la democrazia in tutti i paesi del mondo." Il Cora è nato su iniziativa di Giancarlo Arnao, Luigi Del Gatto e Marco Taradash.II Cora è un'associazione aperta: al 31 maggio 1991 riuniva, fra gli altri, 32 parlamentari di diversi gruppi politici.

(23) Presidente della Lia è stata eletta la criminologa canadese Marie Andrée Bertrand.

(24) La prima grande città ad approvare un programma di distribuzione di siringhe sterili in cambio di quelle usate attraverso umità mobili di strada e distributori automatici è stata Milano, dove è stata approvata, nel dicembre 1990, una mozione proposta dalla consigliera antiproibizionista Tiziana Maiolo.

(25) Un precedente lo si trova nella richiesta di aprire un dibattito senza pregiudizi sulla legalizzazione della droga avanzata dal sindaco di Baltimora, il nero democratico Kurt Schmoke, all'assemblea dei sindaci delle città americane nel 1989, e rimasta finora senza seguito.

(26) La risoluzione di Francoforte, in "CORA News", n.1, Roma, marzo 1991.

 
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