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Teodori Massimo - 11 gennaio 1992
Candidati in nome dei referendum
di MASSIMO TEODORI

SOMMARIO: Massimo Teodori replica a Pietro Scoppola che, sempre dalle colonne di "La Repubblica", aveva contrapposto all'ipotesi di liste referendarie un patto "trasversale" fra candidati di diversi partiti. Questa "trasversalità" - sostiene Teodori - finirebbe con rinsaldare "botteghe e bottegucce partitiche", "attraverso la legittimazione di personaggi autorevoli che, tuttavia, all'interno delle gabbie partitiche, sono marginali".

(LA REPUBBLICA, 11 gennaio 1992)

PIETRO SCOPPOLA torna a sostenere ne »La Repubblica del 7 gennaio la validità dl un patto preelettorale (dl fronte agli elettori) e postelettorale (degli eletti) tra gli esponenti referendari candidati nelle liste del partiti tradizionali come sbocco forte per coloro che sono stati impegnati nei referendum, soprattutto in quelli per la riforma elettorale. Ricordando che pregiudizialmente non è stato contrario ad esperimenti elettorali nuovi, anzi in un primo momento ne è stato un convinto sostenitore, Scoppola ritiene che oggi, dopo il rifiuto dl Segni e del pidiessini, la proposta dl candidature o liste autonome sull'onda delle iniziative referendarie sia inopportuna, di basso profilo e dannosa. Avendo io sostenuto una tale ipotesi, nella convinzione che il collegamento trasversale tra i candidati nei partiti tradizionali è funzionale alla conservazione dell'attuale squalificato e cadente sistema politico, proverò a rispondere alle sue obiezioni.

»I cittadini che hanno firmato i referendum ed hanno votato a giugno 1991 per la preferenza unica non hanno sottoscritto un impegno elettorale . E' vero: ma tutti abbiamo sostenuto ed a ragione - che quei milioni dl cittadini che sono andati a votare per il referendum sulla preferenza unica e quelli che sono entusiasticamente accorsi ai banchetti, in realtà ben oltre lo specifico tema referendario, hanno voluto esprimere un sentimento »contro , contro la partitocrazia e l'assetto del partiti che non produce alternativa. Con i referendum gli elettori hanno potuto esprimere tale volontà perché è stato offerto loro uno strumento di decisione mentre alle elezioni, in mancanza di proposte, non troveranno di fronte a sé altro che la protesta leghista.

»Nella attuale situazione di partiti e partitini, l'ulteriore frammentazione (cioè la presenza elettorale di iniziative che si richiamano ai referendum) potrà fare danno . Purtroppo la frammentazione non si supera con la buona volontà, né è dato sperare in una autoriforma dei partiti, singolarmente e complessivamente. La persistenza e la frammentazione di tanti partiti sono figli della proporzionale: e se non si muta questo sistema elettorale, il processo non si inverte. Questa è la ragione per la quale noi tutti abbiamo attivato lo strumento »esterno e »non negoziabile del referendum per perseguire non solo la riforma elettorale ma anche, attraverso dl esso, la riforma dei partiti.

»Il collasso del sistema politico attuale attraverso la frammentazione non è automaticamente la riforma, anzi può essere la premessa delle peggiori avventure politiche . Non si può sostenere al tempo stesso l'irriformabllità partitica e la pericolosità dell'assalto esterno. Bossi fa paura non per quello che sostiene ma perché modifica concretamente il sistema dei partiti e ne indebolisce la tenuta complessiva. Con questo sistema elettorale proporzionale, e solo con questo, non può che esser positivo offrire la possibilità di espressione ai tanti che non intendono accettare il dilemma tra un rafforzamento dei partiti tradizionali ed il rafforzamento delle leghe. Il sistema politico tanto più si collassa quanto maggiori ed uniche sono le alternative poujadiste.

LA VERITA' è che nessuno è oggi adeguato al tempo politico che stiamo vivendo. In tanta parte della pubblica opinione le cose stanno correndo molto più rapidamente di quello che tutti i leader politici, vecchi e nuovi, immaginano. Ed è per questo che non si riescono a forgiare gli strumenti istituzionali e democratici all'altezza della situazione. Nel deserto di adeguata risposta democratica giganteggiano perfino le picconate di Cossiga e le spallate di Bossi. Nell'ultimo quinquennio hanno fallito i tentativi di Craxi di dar vita ad una federazione socialista e democratica, la trasformazione storica del Pci in Pds, e la creazione di »rassemblement laico sperimentato alle elezioni europee del 1989. Ed oggi Segni non ha avuto il coraggio di cogliere la grande occasione che la sua popolarità gli offriva di divenire il leader di un movimento di riformatori della politica, abbandonando quel ventre molle capace di assimilare e digerire qualsiasi cosa che è la Dc.

Sarebbe un miracolo se coloro che si riconoscono nelle nobili eredità di Einaudi e La Malfa, di Amendola e Pertini, come ha richiamato Scalfari, si potessero ritrovare in un progetto di salvezza democratica. Ma la politica oltre che di valori e di programmi ha bisogno di strumenti operativi, di canali di espressione, e di strutture per raccogliere il consenso. Ed è proprio questo quel che manca.

Ho il grande timore che la trasversalità tra i candidati referendari doc (attraverso il patto) finisca non già per dar vita a nuovi strumenti di battaglia politica ma si risolva nei fatti in un rinsaldamento delle botteghe e bottegucce partitiche, attraverso la legittimazione di personaggi autorevoli che, tuttavia, all'interno delle gabbie partitiche, sono marginali. Si alimenterà cosi l'illusione che si stia perseguendo un obbiettivo antipartitocratico mentre, invece, si lasciano sostanzialmente le cose immutate. Ma alle aspettative non corrisposte seguono sempre le disillusioni.

UNA PRESENZA elettorale diretta con liste o candidati sotto il simbolo referendario (e questo è il punto determinante per lanciare un segnale alternativo), come dalla proposta Giannini, costringerebbe invece i partiti all'atto di coraggio di rinunziare a qualcosa di sé in favore di qualcosa che è altro da sé; e si romperebbe pertanto quella logica dell'appartenenza che è sempre meno appartenenza a valori e programmi ma sempre più coinvolgimento in meccanismi di potere, di autoperpetuazione.

Certo l'ipotesi di candidature referendarie dirette non sarebbe, allo stato, il risultato di un grande movimento referendario che si fa embrione di movimento riformatore, come in tanti avremmo desiderato. Ma ii patto è un surrogato illusorio. C'è da augurarsi a questo punto che non tutto sia perduto nel tentativo di offrire non a noi stessi ma ai cittadini la possibilità dl sperare che nel momento elettorale la logica schiacciante dei partiti ancora una volta non prevalga.

 
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