SOMMARIO: L'analisi delle conseguenze finanziarie dell'allargamento della Comunità porta alla necessità ed all'urgenza di un'ulteriore riforma delle istituzioni della Comunità per superare il defict democratico che permane anche dopo le decisioni di Maastricht. L'attribuzione di un potere autonomo di imposizione ha giocato un ruolo rilevante nello sviluppo delle democrazie parlamentari.
(IL PARTITO NUOVO - N. 6 - MARZO 1992)
Il problema dell'allargamento dell'Unione europea non soltanto ai paesi dell'EFTA, ma anche ai paesi dell'Europa orientale e, in prospettiva, ad alcune delle Repubbliche già facenti parte dell'Unione Sovietica, è ormai all'ordine del giorno.
Su questo terreno, due concezioni contrapposte si fronteggiano: la prima, di cui si è fatto portavoce il Ministro degli Esteri britannico, Hurd, considera l'allargamento come l'occasione propizia per diluire la Comunità in una grande area di libero scambio e per allontanare definitivamente il rischio di un'Unione a vocazione federale; la seconda - che è soprattutto presente nelle tesi avanzate dalle organizzazioni federaliste, ma si manifesta anche in alcune dichiarazioni del presidente della Commissione esecutiva, Delors - sottolinea gli aspetti positivi dell'allargamento, in quanto non solo garantisce uno sbocco positivo al processo di sviluppo democratico avviato nell'Europa dell'Est, ma rappresenta, altresì, l'occasione per rafforzare la Comunità e dar vita infine ad un'Unione di tipo federale.
L'aiuto ai Paesi fuori della Comunità
E' quindi opportuno esaminare, in questa prospettiva, le proposte per il finanziamento del bilancio comunitario contenute nel cosiddetto »pacchetto Delors-2 , che rappresentano il tentativo di tradurre in termini finanziari le indicazioni contenute nel Trattato di Unione politica approvato a Maastricht.
Le proposte Delors valutano in 3.5 miliardi di ECU l'incremento di spesa che deve essere destinato a rafforzare gli aiuti ai paesi al di fuori della Comunità. Si tratta di una somma considerevole, ma in realtà essa appare insufficiente, in quanto non tiene conto in modo adeguato delle risorse finanziarie necessarie per sostenere lo sviluppo dei paesi dell'Europa dell'Est e dell'ex-Unione Sovietica.
Occorre tener presente che il collasso dei regimi comunisti ha già avuto un notevole impatto sulla politica di aiuti esterni gestita dalla Comunità. In particolare, mentre per gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo l'impegno finanziario, da parte della Comunità e degli Stati membri, rappresenta l'11% del totale (2,5 miliardi di ECU nel 1989, su un totale di 23 miliardi, pari allo 0.52% del PIL europeo, mentre la quota corrispondente è pari allo 0.16% per gli Stati Uniti e allo 0.37% per il Giappone), per quanto riguarda i paesi dell'Est europeo - con esclusione dell'Unione Sovietica - la Comunità ha fornito, dal giugno 1989 al giugno 1991, il 63% su un totale di 30.5 miliardi di ECU, ossia 19.2 miliardi. Si tratta quindi di valutare quale sarà il prevedibile impegno finanziario della Comunità nei prossimi anni, tenendo conto del fatto che gli aiuti dovranno essere destinati a sostenere lo sviluppo delle Repubbliche già facenti parte dell'Unione Sovietica.
L'esempio del Piano Marshall
Una stima di questo tipo può essere effettuata con metodi diversi, ma una scelta edeguata sembra essere comunque quella di partire dall'esempio storico costituito dal Piano Marshall. In questo caso, gli Stati Uniti hanno trasferito in un periodo di quattro anni, sotto forma di contributi non rimborsabili, una somma pari all'1% del PIL americano, ovvero al 2% del PIL dei paesi europei destinatari degli aiuti. Applicando questi due criteri e ipotizzando che la Comunità e gli Stati membri mettano a disposizione grosso modo la metà delle risorse finanziarie necessarie, si arriva ad una cifra complessiva di aiuti europei, da destinare ai paesi dell'Est ed all'ex-Unione Sovietica, pari a 130 miliardi di ECU. Se la ripartizione dell'onere degli aiuti fra la Comunità e gli Stati membri viene mantenuta al livello attuale, dovrà essere posta a carico del bilancio comunitario una somma pari a 100 miliardi di ECU. Se si ipotizza, infine, che il programma di aiuti sia destinato a durare 10 anni, dovranno essere forniti o
gni anno dal bilancio comunitario circa 10 miliardi di ECU ai prezzi 1991 (pari allo 0.2% come quota PIL). Si tratta, quindi, anche sulla base di una valutazione prudente - che distribuisce su un lungo arco di tempo la politica degli aiuti - di una cifra ben superiore a quella indicata nelle proposte Delors.
L'autonomia impositiva della Comunità
Da questa analisi, sia pur sommaria, si possono trarre due conclusioni rilevanti.
In primo luogo, è giusto e necessario che la Comunità manifesti chiaramente la sua volontà di procedere al più presto all'allargamento per garantire lo sviluppo democratico nei Paesi dell'Europa dell'Est e nell'ex-Unione Sovietica e per scongiurare i rischi di disintegrazione dell'ordine internazionale, legati al rafforzamento delle tendenze nazionalistiche, che già si manifestano in quest'area dell'Europa. Ma vi è un costo da pagare in termini economici, e questo deve essere tenuto presente fin dall'inizio, per evitare che successivamente si producano fenomeni di rigetto simili a quelli che tendono a verificarsi attualmente nel quadro tedesco.
Vi è, però, un secondo aspetto da considerare, che riguarda più direttamente lo sviluppo istituzionale della Comunità. Di fronte alle proposte contenute nel »pacchetto Delors-2 , si sono già manifestate forti reazioni negative, perché gli Stati membri dovranno versare maggiori contributi a favore del bilancio comunitario. Questa reazione è comprensibile, in quanto, mentre gli Stati devono sopportare il costo politico della pressione fiscale, l'effetto positivo derivante dalla spesa viene attribuito alla Comunità. L'unica via d'uscita da questo apparente dilemma è di conferire, sulla base dei principi di un corretto federalismo fiscale, un autonomo potere di tassazione alla Comunità, associando nel processo decisionale i due rami dell'autorità di bilancio: Consiglio e Parlamento europeo. In questo modo, le forze politiche e sociali avranno la possibilità di intervenire nel processo di definizione della politica fiscale della Comunità, che potrà decidere un aumento della spesa soltanto nella misura in cui sarà
capace di garantire un consenso sufficiente o per ridurre altre spese o per aumentare la pressione fiscale.
Allargamento e democratizzazione
In definitiva, l'analisi delle conseguenze finanziarie dell'allargamento porta dritto alla necessità e all'urgenza di un'ulteriore riforma delle istituzioni della Comunità per superare il deficit democratico che permane anche dopo le decisioni di Maastricht.
Rovesciando la parola d'ordine della rivoluzione americana, si potrebbe concludere che per il Parlamento europeo dovrebbe valere il principio: »No representation without taxation . E, in effetti, l'attribuzione di un potere autonomo di imposizione ha giocato un ruolo rilevante nello sviluppo di tutte le democrazie parlamentari.
Si tratta, quindi, di portare avanti insieme la battaglia per l'allargamento e per la democratizzazione della Comunità, nella consapevolezza che entrambi gli obiettivi devono essere conseguiti simultaneamente e al più presto per consentire all'Europa intera di rappresentare un polo di stabilità e di sviluppo nel quadro del nuovo ordine internazionale in via di definizione.
Alberto Majocchi, ordinario di Scienze delle Finanze nell'Università di Pavia