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Il Partito Nuovo - 30 marzo 1992
Tecnologia di pace per il Sud del mondo

SOMMARIO: Ad oltre un anno dalla guerra del Golfo, le speranze di porre sotto controllo e ridurre il commercio internazionale di armamenti sembrano assottigliarsi.

Due vertici dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU (Usa, Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina), tenutisi a luglio e ad ottobre del 1991, rispettivamente a Parigi e a Londra, e dedicati a questo problema, sono approdati sostanzialmente ad un nulla di fatto.

(IL PARTITO NUOVO - N. 6 - MARZO 1992)

Nel corso di quest'ultimo anno, la Cina ha continuato a resistere alle pressioni diplomatiche americane volte a contenere le sue esportazioni di armi e tecnologia militare: si sono avute notizie non solo di trasferimenti di armi convenzionali cinesi, ma anche di vettori missilistici e - quel che è peggio - di tecnologia nucleare a Paesi come l'Iran e l'Algeria. Il regime cinese è arrivato recentemente perfino a difendere la sclerotica dittatura del nord-coreano Kim Il Sung nella sua folle corsa a dotarsi dell'arma nucleare. Nè risulta sia imminente l'adesione cinese al Trattato di Non Proliferazione Nucleare - adesione che pure era stata annunciata l'estate scorsa.

Dal canto suo, la Russia ha sostanzialmente rallentato i propri sforzi di conversione industriale nei settori civili: sta vendendo a prezzi stracciati sul mercato internazionale il materiale militare in sovrappiù (tra i compratori, di nuovo l'Iran) e sembra voler risolvere i propri gravissimi problemi finanziari rilanciando la vendita di armi all'estero.

A questo proposito è illuminante l'intervista rilasciata all'»Izvestia da Boris Yeltsin il 22 febbraio scorso: »Oggi, il commercio di armamenti è per noi una necessità - ha detto il presidente russo - le armi sovietiche sono altamente popolari nel mondo e trovano facilmente dei compratori . Gli ha fatto eco Vladimir Shibayev, vice-presidente del comitato governativo russo per le relazioni economiche con l'estero: »Il mercato mondiale delle armi è ripartito in quote e non sarebbe saggio che noi ci ritirassimo da quella che ci siamo conquistati; dopo tutto, il commercio di armamenti è un affare molto conveniente .

Nella guerra civile nell'ex-Jugoslavia, dove l'embargo delle Nazioni Unite è stato tardivo e inefficace, tra tutti coloro che avevano eccedenze di armamenti da vendere (dai libanesi ai Paesi dell'ex Patto di Varsavia), si è rapidamente sviluppata una sorta di corsa a rifornire i contendenti.

L'illusione della via militare alla sicurezza è insomma dura a morire, come dimostra, tra l'altro, il caso delle ambizioni ucraine di dotarsi ex-novo di un esercito di più di 400.000 uomini.

Queste tendenze, se confermate, rischiano di far fallire gli sforzi di coordinamento internazionale volti a controllare l'offerta: basta infatti un solo attore che non rispetti le regole del nuovo gioco per far saltare tutta l'azione collettiva e tornare al vecchio dictum del »tanto se non esporto armi io, lo farà il mio vicino . Che sia questa la direzione in cui, purtroppo, ci si sta muovendo, lo si può capire anche dal fatto che perfino un paese tradizionalmente molto restio a commerciare armi, come la Svezia, sta rivedendo la propria politica in materia.

Tutto ciò ripropone con forza il progetto politico del Partito Radicale: non c'è nessuna speranza che i Governi riescano ad adeguare la velocità e la portata delle loro decisioni alla gravità della situazione mondiale senza lo stimolo della gente e dei rappresentanti eletti.

E' in definitiva assai urgente che nel maggior numero possibile di Parlamenti mondiali venga rilanciata l'iniziativa radicale del maggio 1991. Quest'iniziativa, lo ricordiamo, aveva portato la Camera italiana ad approvare all'unanimità una risoluzione per la creazione di un »regime internazionale di non-proliferazione delle armi convenzionali e della tecnologia militare . Si tratterebbe, in altre parole, di trovare nuove forme di collaborazione tra Nord e Sud del mondo; collaborazione in cui i trasferimenti militari vengano sistematicamente sostituiti da trasferimenti di tecnologia civile e da aiuti finanziari ai paesi sottosviluppati.

 
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