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Il Partito Nuovo - 30 marzo 1992
Il diritto alla lingua

Giuseppe Turi, autore di quest'articolo, specialista in diritto linguistico comparato, è segretario generale dell'Accademia Internazionale di Diritto Linguistico, che ha sede a Montreal.

SOMMARIO: Vogliamo affermare politicamente il diritto alla lingua, che - come sostiene Giuseppe Turi, segretario generale dell'Accademia Internazionale di Diritto Linguistico - dev'essere considerato »diritto fondamentale esplicito e autonomo, principale, requisito preliminare per l'esercizio degli altri diritti fondamentali .

Se davvero si crede al diritto alla lingua, ai suoi due principi - la dignità e l'uguaglianza di tutte le lingue - si pongono alcuni interrogativi: è normale che una lingua nazionale o locale assuma il ruolo di lingua internazionale? Quali saranno le conseguenze sulle altre lingue e culture nazionali e locali? Quali saranno le conseguenze su quella stessa lingua e su quella stessa cultura divenute impropriamente internazionali?

(IL PARTITO NUOVO - N. 6 - MARZO 1992)

Gli Stati moderni legiferano in maniera sempre più importante in materia di politica linguistica, allo scopo di regolare i fenomeni ed i problemi linguistici che derivano dai contatti, conflitti e ineguaglianze linguistiche che coesistono sui loro territori politici, e, più particolarmente, laddove coesistono in maniera problematica delle lingue obiettivamente dominanti o dominate, cioè delle maggioranze e delle minoranze linguistiche.

Le legislazioni linguistiche sono classificate in due tipi, secondo il loro campo di applicazione: a seconda che trattino dell'uso ufficiale o non ufficiale delle lingue. Si dividono, inoltre, in quattro categorie, secondo le loro funzioni: legislazioni linguistiche ufficiali (in materia di legislazione, giustizia, amministrazione pubblica ed insegnamento), normalizzanti (in materia di lavoro, comunicazioni, cultura, commercio e affari) standardizzanti (in materia di standard linguistici da rispettare in campi precisi e limitati e normalmente ufficiali), liberali (in materia di diritti linguistici riconosciuti).

Il diritto alla lingua si basa su due principi fondamentali, interdipendenti fra di loro: il principio della dignità ed il principio dell'uguaglianza di tutte le lingue.

Purtroppo, per delle ragioni storiche più o meno chiare, non tutte le lingue sono uguali fra di loro. Ci sono delle lingue importanti, delle lingue dominanti e delle lingue dominate, delle lingue più o meno internazionali e delle lingue più o meno locali.

Quando uno Stato legifera in materia linguistica, esso non fa che pianificare legalmente l'uso e l'utilizzazione di una o di parecchie lingue, proteggendo o promuovendo più particolarmente una o alcune lingue più delle altre, nel tentativo di ristabilire un equilibrio culturalmente più equo fra le varie lingue che sono presenti sul suo territorio politico. E lo fa creando dei nuovi diritti e dei nuovi doveri, di natura linguistica. Se lo Stato legifera effettivamente in tale direzione, riconoscendo e consacrando più specificamente il diritto alla lingua, e i suoi due principi fondamentali, esso è senz'altro encomiabile. Se però lo fa per proteggere e promuovere in maniera discriminatoria o gerarchica una o alcune lingue, o, come accade talvolta, addirittura la lingua della maggioranza, esso è tutt'altro che encomiabile.

Pertanto, sono sempre più evidenti la necessità, l'urgenza di riconoscere e consacrare giuridicamente, ed in maniera esplicita, il diritto alla lingua. Questo è un diritto individuale e collettivo, che non dev'essere più considerato diritto fondamentale implicito - derivante, tra l'altro, dal diritto fondamentale esplicito che è la libertà d'espressione - ma come diritto fondamentale esplicito e autonomo, principale, requisito preliminare per l'esercizio degli altri diritti fondamentali.

Il riconoscimento e la consacrazione del diritto alla lingua ci sembrano ormai possibili, perchè coincidono con la tendenza culturale, di natura ecologica, di voler proteggere e promuovere il diritto alla differenza, fonte di creatività per gli individui e le famiglie, oltre che per le società, le nazioni e la comunità internazionale.

Ma la battaglia culturale a tale proposito non sarà facile, non essendo la maggioranza degli Stati moderni pronta a tale riconoscimento e a tale consacrazione. Bisognerà essere molto vigilanti se si vuole evitare che l'intervento pubblico si trasformi in un banale intervento a favore degli »utenti linguistici oppure in un intervento autoritario a favore di una lingua particolare considerata come l'unico bene o patrimonio culturale e linguistico da difendere. In realtà la lingua è un bene ecologico che appartiene a tutti, che dev'essere protetto e promosso per diffondere sempre più i due principi fondamentali del diritto alla lingua.

L'art. 27 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, del 1976, che riconosce e consacra in un certo modo il diritto alla lingua, costituisce un'ottima iniziativa. Ma bisogna andare più lontano.

In realtà, riconoscere e consacrare il diritto alla lingua vuol dire riconoscere e consacrare la »Torre di Babele , che non è affatto una maledizione divina, ma il fatto umano più eterno che ci sia, manifestazione eccezionale delle differenze e dei particolarismi culturali, individuali e collettivi. Il fatto che ci siano migliaia di lingue nazionali e locali crea inevitabilmente il bisogno di una o di alcune lingue internazionali. Ieri, il greco, il latino, il francese, oggi l'inglese, domani, forse, il giapponese o il portoghese - lingue »internazionali - sono delle lingue nazionali o locali che s'impongono in maniera politicamente egemonica sulle altre lingue. Ai giorni nostri, l'indi-urdu e il cinese sono le lingue più parlate nel mondo, ma la lingua internazionale è l'inglese. E' normale che una lingua nazionale o locale, che è la manifestazione di una cultura particolare, assuma il ruolo di lingua internazionale? Quali saranno le conseguenze sulle altre lingue e culture nazionali e locali? Quali sarann

o le conseguenze sulla stessa lingua e sulla stessa cultura diventate internazionali?

Per evitare le conseguenze, che sono spesso negative, non solo nel campo linguistico, in quanto qualsiasi manifestazione di egemonia è senz'altro pericolosa, una soluzione esiste, e si chiama esperanto.

L'esperanto, lingua in un certo senso artificiale, è naturalmente una lingua internazionale, e quindi non interferisce con le altre lingue che sono naturalmente non internazionali e artificialmente internazionali. Da questo punto di vista è una lingua »neutra .

Se si crede veramente al diritto alla lingua in quanto diritto fondamentale per eccellenza, se si crede ai suoi due principi, alla dignità ed all'uguaglianza di tutte le lingue, ci sembra venuto il momento di incoraggiare la diffusione dell'esperanto come lingua internazionale, senza però interferire oltre misura sulla diversa vitalità delle differenti lingue nazionali e locali. Infatti, il modo migliore, e più intelligente, di lottare contro una nuova calamità che si preannuncia feroce, »la guerra delle lingue , è appunto di riconoscere e di consacrare effettivamente il diritto alla lingua e l'importanza di una lingua internazionale neutra. Si può e si deve evitare una tale guerra. La pace linguistica è possibile e sarà fermento di prosperità culturale. Ma bisogna agire.

 
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