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Archivio Partito radicale
Stanzani Sergio - 30 aprile 1992
BOZZA DELLA RELAZIONE DEL PRIMO SEGRETARIO, SERGIO STANZANI, AL XXXVI CONGRESSO DEL PARTITO RADICALE.

ROMA, 30 APRILE - 3 MAGGIO 1992

Indice:

1.1. Tre anni separano questo Congresso da quello di Budapest.

1.2. La mozione approvata dal Congresso di Budapest.

1.3. Un appello alle forze di democrazia e di tolleranza.

1.4. Ogni energia, ogni soldo, per la costruzione del »nuovo .

1.5. I »pieni poteri congressuali .

1.6. Il tempo trascorso per passare da condizioni di »normalità a

condizioni di »legalità straordinaria .

1.7. L'assunzione dei »pieni poteri congressuali .

1.8. La riunione del Consiglio Federale del gennaio 1990.

I cinquantamila iscritti: un'»inversione di tendenza .

1.9. La sospensione delle attività.

1.10.La legge »ad hoc per Radio Radicale.

1.11.Il superamento della crisi economica e finanziaria.

La disponibilità di nuove capacità operative e risorse finanziarie.

1.12.La dimensione di questo risultato.

1.13.Il »Partito Nuovo .

La »guerra nel golfo .

2.1. Il progetto politico per il 1991.

2.2. Un »momento editoriale , il giornale »Il Partito Nuovo e

»Lettera Radicale .

2.3. L'azione nei Paesi del Centro e dell'Est europeo.

2.4. La campagna per l'abolizione della pena di morte entro il duemila.

2.5. Due sessioni del CF: a Roma e Zagabria, mentre la Croazia è

sottoposta all'aggressione serba.

2.6 L'azione per il riconoscimento della Croazia. L'iniziativa nonviolenta sul fronte di guerra.

2.7. Antiproibizionismo sulla droga: la posta in gioco è la

democrazia e le libertà.

2.8. L'unità politica dell'Europa dopo le decisioni di Maastricht.

2.9. Il problema della comunicazione internazionale e il diritto

alla propria lingua.

2.10.L'illusione della via militare alla sicurezza. La campagna

del Partito Radicale per una tecnologia di pace per il Sud

del mondo.

3.1. La situazione attuale del Partito.

3.2. L'esame di alcuni parametri.

Le iscrizioni.

3.3. La composizione del Consiglio Federale.

3.4. Le risposte al »progetto politico e al giornale.

3.5. L'azione del Partito nel Centro e nell'Est europeo.

3.6. Quale valutazione possiamo dare sul »progetto politico ?

3.7. La nostra azione diretta nei confronti dell'Est europeo, per la costruzione dell'Europa politica.

3.8. Le trasformazioni avvenute nel mondo e la realtà del »Partito Nuovo .

3.9. La risposta alla proposta radicale delle democrazie

post-comuniste.

3.10.Le responsabilità degli europei occidentali, degli Stati

della Comunità europea, delle forze democratiche, dei

federalisti europei.

4.1 Il rapporto del Partito con la situazione italiana.

4.2. I »Congressi italiani .

4.3. L'iniziativa nei confronti del Partito Comunista Italiano,

ora Partito Democratico della Sinistra.

4.4. La campagna referendaria in Italia.

4.5. La »dimensione transpartitica .

5.1. La verifica della praticabilità del »progetto, allo stato,

non è esuarita, non è ancora conclusa.

5.2. Le risorse investite nel »progetto politico .

5.3. Non siamo riusciti ad utilizzare le risposte, le iscrizioni

che ci sono pervenute, che ci stanno pervenendo.

5.4. La necessità di nuove regole.

5.5. Possibili obiettivi di azione politica.

L'importanza del lavoro delle Commissioni e del dibattito

congressuale.

5.6. La disponibilità economica attuale.

La situazione non impone la chiusura del Partito.

5.7. Il Congresso è chiamato ad esprimere un suo orientamento.

5.8. La scelta transnazionale, oltre ad essere giusta e

necessaria, è oggi possibile.

SOMMARIO: Dalla Serbia alla Croazia, dalla Bosnia Erzegovina alla Macedonia, dal Kossovo a tutte le Repubbliche della Comunità degli Stati Indipendenti ed alla Georgia, dai Paesi Baltici al Perù, all'Argentina, al Venezuela, dall'Africa e da Israele alla Svizzera ed al Regno Unito, dal Parlamento europeo alla Spagna, dalla Romania alla Bulgaria, dall'Ungheria alla Cecoslovacchia ed alla Polonia, dall'Italia: oltre 200 parlamentari e membri di Governo, esponenti di circa 80 partiti nazionali, sono iscritti all'internazionale nonviolenta e federalista del Partito Radicale.

E' un primo risultato del Partito Nuovo, transnazionale e transpartitico, che ha come obiettivo la creazione di un'organizzazione politica, che - superando le frontiere, i nazionalismi, i demoni, anche bellici, di questo secolo, che sembrano ritornare - sia in grado di affermare il diritto alla vita e la vita del diritto qui, nell'oggi, ovunque essi siano vilipesi o minacciati.

Queste adesioni sono frutto, da un lato, della diffusione di proposte di azione avvenuta grazie al varo di uno strumento di comunicazione - il giornale »Il Partito Nuovo , giunto al sesto numero - scritto in italiano e tradotto in 14 lingue, inviato, a partire dal giugno del '91, a 40.000 parlamentari e a 300.000 destinatari in circa 300 sedi di recapito di quattro continenti. Dall'altro, dell'azione militante - iniziata in alcuni casi alcuni anni or sono - nei Paesi del Centro e dell'Est europei, da quelle realtà da poco uscite dal »socialismo reale , la cui domanda di democrazia e libertà non trova ancora, purtroppo, una risposta politica adeguata in Occidente, troppo preso a difendere i suoi averi, i suoi mercati, poco o affatto propenso ad assumere la sue responsabilità.

Questo è il primo fatto, il primo risultato, richiamato nella relazione che - a nome dei »4 responsabili del Partito, investiti dei »pieni poteri congressuali dal precedente Congresso di Budapest - il Primo Segretario del Partito Radicale ha scritto per il XXXVI Congresso ordinario.

A questo risultato - straordinario, per numero e qualità degli aderenti a questo »progetto - si associano altri due fatti.

Innanzitutto il numero delle iscrizioni di persone residenti in Paesi diversi dall'Italia: sono tremila cittadini, quasi il doppio degli iscritti italiani. Un risultato importante, in espansione certa in alcune regioni del mondo - in particolare, nell'immenso territorio dell'ex URSS - a cui fa da contraltare l'inadeguatezza alla risposta politica in Occidente, per ragioni di carattere politico, ed anche culturale, che nella relazione sono evocate e nei confronti delle quali si tenta di dare una spiegazione.

Il dato delle iscrizioni - e dell'»attenzione al progetto del »Partito Nuovo - è peraltro un dato ancora in attesa di verifiche temporali: ad oggi sono 2.500 le risposte ai sei numeri del giornale e ancora si attendono le risposte degli ultimi due numeri, inviati complessivamente a 600.000 nominativi, sicuramente per quanto riguarda i destinatari dell'ex URSS.

L'altro fatto è la già praticata non concorrenzialità dell'organizzazione politica »Partito Radicale a qualsiasi tipo di elezioni in ambito nazionale.

Alla decisione del Congreso di Bologna - del gennaio 1988 - confermata dal Congresso di Budapest - dell'aprile 1989 - ha fatto fatto seguito la non presentazione di liste del Partito Radicale alle elezioni europee dell'89, alle successive elezioni amministrative del '90, alle recenti elezioni politiche. Il Primo Segretario del Partito ha rinunciato a candidarsi in liste promosse o alle quali hanno partecipato altri autorevoli esponenti radicali, proprio per »marcare questa non concorrenzialità e con la speranza di far maturare, nelle altre forze politiche italiane e nei loro gruppiu dirigenti, la consapevolezza della necessità - per la vita del PR e per la sua autonomia, anche finanziaria, dalla presenza istituzionale italiana - della dimensione transpartitica come premessa essenziale al transnazionale.

Nella relazione viene posto al Congresso un interrogativo, che è stato da sempre per il PR indicazione di un metodo: con quali risorse, umane e finanziarie, il Pr può vivere, per fare che cosa.

A Budapest - tre anni or sono - la situazione economica e finanziaria del Partito imponeva agli organi del Partito la discussione e quindi il porsi il problema, non solo formale, della chiusura, per evitare la bancarotta, persino fraudolenta.

Di qui la decisione del Congresso di delegare i suoi poteri a quattro persone, il Primo Segretario, il Tesoriere, i Presidenti del Partito e del Consiglio Federale, collegialmente solidali - conservando ciascuna intatta la sua responsabilità - sulla vita ed il patrimonio del Partito.

Il »percorso di questi tre anni è stato segnato da un primo periodo - durato circa sei mesi - nel quale i responsabili del Partito si sono interrogati sul »che fare , consapevoli, da un lato, della gravità della situazione in cui si trovava il Partito, dall'altro della necessità di comprendere il significato ed il valore politico del »pieni poteri , che avrebbero sicuramente decretato, se assunti, una situazione »eccezionale , anche statutaria, per e del Partito.

Alla fine di dicembre dell''89, quando anche la storia del mondo, in quelle settimane - con il crollo del muro di Berlino e l'evolversi dirompente delle »primavere nei Paesi ex comunisti - sembra confermare, con le sue trame e i suoi scenari, l'azione del Pr degli anni precedenti e sembra dare una speranza alla sua proposta politica, i »pieni poteri vengono considerati l'unica strada percorribile.

L'assunzione dei »pieni poteri viene sancita in modo formale nel Consiglio Federale del gennaio '90, che vide la presenza di Achille Occhetto, Segretario dell'allora PCI, impegnato in quelle settimane in un'opera di rifondazione che sembrava potesse cogliere l'opportunità offerta dal PR ai suoi dirigenti di fondare, insieme, una nuova prospettiva per l'Europa e per l'Italia.

Il secondo periodo »copre l'intero anno 1990 e i primi mesi del 1991.

I responsabili del Partito - sospendendo di fatto qualsiasi attività, tranne quelle nei Paesi dell'Est e del Centro europeo e riducendo da 40 a 6 le collaborazioni del Partito - compiono un'opera di risanamento economico e finanziario, che, insieme al successo dell'iniziativa promossa in Parlamento per ottenere una legge che riconoscesse »Radio Radicale »servizio di interesse generale , consente al Partito di vivere, all'inizio del ''91, una contingenza »irripetibile e la disponibilità di circa 5 milioni di dollari da investire nell'iniziativa politica.

L'anno 1991 - che si apre mentre il mondo vive la crisi più grave degli ultimi anni, la »guerra nel Golfo - è l'anno del »progetto politico , del giornale »Il Partito Nuovo , organizzato nei primi cinque mesi dell'anno, realizzato, nel suo primo numero, tra i mesi maggio e giugno.

Che fare, quindi, ora?

Alla fine del Congresso il Partito disporrà di un milione di dollari, per la sua struttura e per le sue iniziative.

Dispone di un patrimonio, la sede e può contare sul patrimonio dei soggetti autonomi (»Radio Radicale , le televisioni, »Agorà , il »Centro d'Ascolto per Informazione Radiotelevisiva ).

Qual è l'orientamento del Congresso?

Ci si deve dare un tempo dato per, ad esempio, tentare di organizzare una delle proposte del Partito Nuovo, la costituzione di una »lega parlamentare mondiale per l'abolizione entro il duemila della pena di morte , o per tentare di dare solidità alla proposta antiproibizionista in materia di droga, anche attraverso l'adesione di singoli o di partiti nazionali o associazioni, che sull'esempio della Lega Internazionale Antiproibizionista, si federino all'organizzazione Partito Radicale per operare a livello internazionale insieme? O, ancora, per porre al centro dell'azione politica il problema della comunicazione, anche linguistica, che passa attraverso la costruzione degli »Stati Uniti d'Europa , dell'Europa politica? O, infine, per far convergere, parlamentari dell'Est e dell'Ovest in una capitale dell'ex »Impero del Male , per affrontare i problemi della democrazia e della libertà in un contesto che sta per esplodere nei mille rivoli, perfino tribali, del nazionalismo, delle etnie, soffocato dalla fame

in molte sue regioni e dagli spettri minacciosi delle guerre?

A queste domande, la relazione chiede che sia il Congresso a rispondere. Sta ai democratici, agli europei occidentali, agli italiani, in particolare - in un momento di gravissima crisi politico istituzionale della »democrazia reale italiana - dare una risposta, sul che fare, come fare, in che tempo fare.

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Amiche e amici, compagne e compagni carissimi,

siamo, oggi, qui riuniti nel 36· Congresso ordinario del Partito Radicale, del nostro Partito.

A tutti voi il nostro, il mio, del Tesoriere e dei Presidenti del Partito e del Consiglio Federale, più fervido e caloroso benvenuto; a tutti l'augurio di un sereno, impegnato, proficuo lavoro.

1.1. TRE ANNI SEPARANO QUESTO CONGRESSO DA QUELLO DI BUDAPEST.

Ci pare significativo iniziare questa relazione con una constatazione, ovvia e a tutti noi nota, ma certo non priva di importanza: sono trascorsi tre anni e tre giorni dalla conclusione dei lavori del precedente Congresso ordinario, il 35·, tenutosi a Budapest dal 22 al 26 aprile 1989.

Tre anni da un Congresso ordinario all'altro sono per noi un intervallo di tempo enorme, del tutto anomalo, che non ha precedenti nella storia del Partito Radicale.

Una storia contraddistinta e segnata anche dal rigore con il quale abbiamo osservato le regole che ci siamo date - poche, ma essenziali - sancite nel e dal nostro statuto. Tra queste una, sempre seguita e rispettata, stabilisce per la convocazione del Congresso ordinario una scadenza con frequenza annuale, in una data prestabilita e prefissata.

Per anni, dal 1967, i nostri Congressi ordinari si sono tenuti agli inizi del mese di novembre, poi - da ultimo - nei primi giorni del mese di gennaio. Solo a Budapest vi fu un ritardo di poco più di tre mesi, dovuto agli ostacoli posti in quell'anno dalle autorità della ex Repubblica Jugoslava a tenere - a gennaio come previsto - il Congresso a Zagabria, fuori dall'Italia, come stabilito dal precedente Congresso di Bologna.

I tre anni che separano questo Congresso da quello di Budapest non costituiscono quindi un evento banale, la presa d'atto formale di un »ritardo usuale e scontato , com'è, o può essere, per molti altri partiti, ove la indeterminatezza formale o la labilità, di fatto porta - fino a renderla consuetudine - a fissare la convocazione del Congresso al di fuori di ogni regola, negando così ogni garanzia al mantenimento di un rapporto corretto tra gli iscritti e coloro ai quali sia stata affidata la conduzione e la gestione del Partito.

In questi casi si assiste all'uso spregiudicato del momento congressuale, oggetto di scelte strumentali da parte degli organi dirigenti per la conservazione del proprio potere o per risolvere, secondo schemi e con operazioni precostituite, contrasti e contrapposizioni sorte al loro interno.

Anche a questi metodi e a queste consuetudini si deve lo sviluppo di quel processo che ha prodotto il »regime partitocratico , un sistema politico irrigidito e anchilosato, non più in grado di svilupparsi e rinnovarsi, tale da impedire, nei fatti, la praticabilità democratica; sistema che è espressione concreta di quella involuzione che si è determinata non solo in Italia, ma anche in altri Paesi dell'Europa Occidentale e che noi radicali abbiamo da tempo denunciata, additandola come »democrazia reale , lontana da un'autentica democrazia, come lo era, o lo è, dove sopravvive, il »socialismo reale dei regimi comunisti, lontano dalle idealità originali e fondanti del socialismo.

E' proprio a questa involuzione - di cui i primi sintomi si percepiscono già anche in alcuni Paesi di »recente democrazia - e ai pesanti condizionamenti esercitati da questo sistema politico sulla nostra attività, sulla nostra capacità di iniziativa, sulla vitalità del nostro essere forza politica, che dobbiamo, in buona parte, i tre anni trascorsi da Budapest ad oggi. Non lo dobbiamo certo a motivi di conservazione del »potere o a prevaricazione e soppraffazione degli uni sugli altri.

Del resto, l'origine di questo lungo intervallo di tempo, si colloca proprio in quella situazione di »eccezionale straordinarietà da noi denunciata e illustrata nella relazione presentata a Budapest, discussa e valutata dal Congresso, nonché alle conclusioni tratte in quella sede.

1.2. LA MOZIONE APPROVATA DAL CONGRESSO DI BUDAPEST.

E' con il Congresso di Budapest - senza alcun dubbio uno degli eventi più significativi nella nostra storia, prodotto e manifestatosi con e in uno scenario che prefigurava gli eventi che di lì a poco avrebbero sconvolto l'assetto dei Paesi a »socialismo reale - che il Partito Radicale, in realtà, per la prima volta esprime ed afferma, al di sopra e al di fuori di contrasti e ambiguità, la propria volontà di costituirsi in soggetto politico transnazionale. Infatti, la mozione, a differenza di quella approvata l'anno precedente a Bologna, ottiene la maggioranza qualificata dei 3/4, che - unica, secondo le nostre regole - comporta, a tutti gli effetti, un mandato vincolante per gli organi esecutivi del Partito.

La decisione di Budapest - è bene qui ricordarlo - viene presa in un momento in cui il Partito vive una crisi economico-finanziaria drammatica, tale da annullare, »in mancanza di straordinari eventi , sia la propria esistenza che il proprio patrimonio.

1.3. UN APPELLO ALLE FORZE DI DEMOCRAZIA E DI TOLLERANZA.

In questa situazione, tuttavia, il »Partito Nuovo , transnazionale e transpartitico, »rompe - consapevolmente - con le strutture, gli assetti, le condizioni operative e direzionali preesistenti, divenute inadeguate ed improduttive rispetto a nuove esigenze e a nuove prospettive.

Per evitare la chiusura del Partito - che può essere determinata solo dalla »violenza esercitata dal potere - sono chiamate a raccolta »le forze di democrazia e di tolleranza di ogni Paese e, in particolare, le »classi dirigenti ed i loro esponenti più liberi e responsabili .

1.4. OGNI ENERGIA, OGNI SOLDO, PER LA COSTRUZIONE DEL »NUOVO

Così, testualmente, la mozione, che prosegue imponendo agli organi del Partito di destinare tutte le energie e le risorse disponibili al conseguimento degli »obiettivi che sono i nostri , non realizzati e contenuti nelle decisioni del Congresso e dei Consigli Federali precedenti: »non una sola energia personale e finanziaria dovrà essere distolta da questa lotta, per pretese ipotetiche procedure di liquidazione consensuale e democratica del Partito .

1.5. I »PIENI POTERI CONGRESSUALI

La straordinarietà del momento e le difficili, drammatiche condizioni attraverso le quali deve »passare la costruzione del »nuovo , vengono evidenziate e sottolineate con grande forza dal Congresso.

La mozione prevede infatti - e ne sancisce la legittimità - che il Primo Segretario, il Tesoriere e i Presidenti del Partito e del Consiglio Federale possano farvi fronte con l'assunzione congiunta dei pieni poteri congressuali »per tutte le decisioni relative alla vita e al patrimonio del Partito Radicale .

Assunzione che - una volta dichiarata - segna, da una parte, condizioni di »legalità straordinaria per la conduzione e la gestione del Partito e, dall'altra, conclude e pone termine a un »segmento di teoria della prassi consumatosi in più di venti anni di iniziative, lotte e successi anche entusiasmanti e che, in tal modo, esprime la precisa consapevolezza della necessità - non più procrastinabile - di aprire e dar corso ad una nuova e diversa esperienza per poter assicurare l'esistenza del Partito, l'affermazione dei suoi valori, la continuità della sua storia.

1.6. IL TEMPO TRASCORSO PER PASSARE DALLA »NORMALITA' A

CONDIZIONI DI »LEGALITA' STRAORDINARIA.

Il »Seminario degli organi esecutivi del Partito con gli eletti al Parlamento iscritti al PR e la riunione del Consiglio Federale, tenutesi entrambe a Roma - il primo nel mese di agosto e la seconda in quello di settembre del 1989 - sono due occasioni di rilievo, che consentono un ampio ed approfondito confronto sul percorso da seguire per adeguare l'azione del Partito al deliberato del Congresso.

La questione di fondo che si pone in queste occasioni è quella relativa alla necessità ed all'urgenza o meno del ricorso ai »poteri straordinari , all'interpretazione del valore e della portata di questi poteri, alle loro effettive conseguenze sul Partito e alle modalità da seguire per dare corso alla loro assunzione.

Diverse le alternative proposte e discusse, gravate sia da una situazione economica e finanziaria ulteriormente appesantitasi, sia dall'approssimarsi della scadenza congressuale - inamovibile in »regime statutario ordinario - e dall'eventualità di elezioni anticipate in Italia. Ricordo che nel frattempo si erano svolte le elezioni per il Parlamento europeo e che il »Muro di Berlino non era ancora »crollato .

L'azione nonviolenta nei confronti dei regimi comunisti ed »il Congresso a Mosca , potevano allora costituire obiettivi e ipotesi di lavoro tali da suscitare aspettative ed interesse.

Sono componenti che determinano momenti di incertezza e contribuiscono a protrarre la decisione sull'assunzione dei »poteri straordinari che, in una condizione del Partito sulla quale il rapporto con la situazione italiana esercita un'influenza ancora del tutto prevalente - via, via - rivelano il proprio valore di scelta portata al limite del possibile.

La mozione approvata dal Consiglio Federale a settembre - dove, per la prima volta, sono presenti, insieme agli iscritti africani, cecoslovacchi, jugoslavi, rumeni, ungheresi, gli iscritti e gli invitati sovietici, tra i quali Jury Afanasiev, membro dell'allora Soviet Supremo - conferma che l'obiettivo affidato a ciascuno è quello di »mobilitarsi in assoluta libertà e responsabilità, specie individuali per assicurare »la nascita e l'affermazione di un grande, nuovo transpartito, transnazionale . L'impegno del Partito deve invece privilegiare le iniziative nei Paesi dell'Est europeo »per quanto possibile e compatibile con i legami italiani, per ora fonte quasi esclusiva di risorse .

Oltre a porre in evidenza la »funzione di servizio resa dal Partito col non presentarsi con proprie liste alle elezioni del Parlamento europeo ed il contributo così fornito al successo delle liste promosse da iscritti radicali o nelle quali la loro presenza è stata significativa e rilevante, la mozione conclude con la constatazione della non ancora avvenuta assunzione dei »pieni poteri congressuali , nonostante siano acquisite le condizioni previste a Budapest per attuarla.

1.7. L'ASSUNZIONE DEI »PIENI POTERI CONGRESSUALI

Il Primo Segretario, il Tesoriere, la Presidente del Partito (Bruno Zevi, dimissionario, è sostituito - nel frattempo - da Emma Bonino, eletta dal Consiglio Federale a settembre, e diviene Presidente d'Onore) ed il Presidente del Consiglio Federale decidono di assumere »i pieni poteri congressuali nel mese di dicembre 1989.

Il crollo del muro di Berlino, le speranze e l'evolversi improvviso della situazione nei Paesi del Centro e dell'Est europeo, la »rottura degli equilibri internazionali, impongono, in un estremo tentativo, di risolvere anzitutto la crisi economica e finanziaria del Partito e poi di superarne le carenze strutturali ed organizzative, per poter verificare la rispondenza delle potenzialità acquisite con le scelte effettuate e gli impegni da affrontare.

1.8. LA RIUNIONE DEL CONSIGLIO FEDERALE DEL GENNAIO 1990.

I CINQUANTAMILA ISCRITTI: UN'»INVERSIONE DI TENDENZA .

Conseguenza di questa decisione è la convocazione di un'altra riunione del Consiglio Federale che, sempre a Roma, si tiene nel gennaio del 1990.

Vi è la speranza che il crollo dell'»impero sovietico e dei regimi comunisti, il prorompere degli eventi in quei Paesi - col venir meno, in gran parte di questi, dei presupposti della contrapposizione ideologica e politica sulla quale si reggeva l'equilibrio mondiale - aprano anche in Occidente, a partire dall'Italia, nuovi spazi di iniziativa politica, per avviare, con altri presupposti e diverse condizioni, un processo di »rifondazione democratica , che abbia, in una nuova forza transnazionale e transpartitica, un immediato e diretto riferimento.

Con questa speranza, la mozione che conclude i lavori del Consiglio Federale precisa che: la dimensione delle decine di migliaia di iscritti appare essere la »condizione tecnica necessaria ed indispensabile per »assicurare la vita di una straordinaria e anomala realtà, vita che sembra sempre più probabile possa salvarsi, ma che ha necessità di immediato intervento e assistenza .

Il traguardo dei 50.000 iscritti non è posto - nella mozione - come un obiettivo e come un vincolo per il Partito, ma vuol esprimere l'esigenza di una inversione di tendenza che proponga - più e prima che ai radicali - alle altre forze politiche, ai loro esponenti e gruppi dirigenti, l'attualità del progetto radicale, l'opportunità e la convenienza di sostenerlo e l'urgenza di un loro intervento.

1.9. LA SOSPENSIONE DELLE ATTIVITA'

Disattesa la speranza di una pronta risposta da parte delle forze politiche in Italia - soprattutto l'allora Partito Comunista Italiano non sa cogliere quest'opportunità per rafforzare la volontà di rinnovamento che i dirigenti manifestavano per superare la crisi apertasi all'interno del loro partito - l'assunzione dei »pieni poteri congressuali porta il Partito a rompere gli indugi e a dare priorità assoluta al tentativo di risolvere la propria crisi economica e finanziaria.

All'inizio del 1990 il disavanzo è di quasi tre miliardi di lire (2.420.000 dollari), con un'esposizione finanziaria notevolmente superiore, senza alcuna possibilità di contenerla, né, ovviamente, di ottenere altre anticipazioni.

La decisione è drastica e immediata e porta alla sospensione delle attività che si protrae, di fatto, per l'intero esercizio.

Le collaborazioni retribuite, a qualsiasi titolo e sotto qualsiasi forma, si riducono, da poco meno di quaranta persone, solo a sei, quante sono indispensabili per garantire gli adempimenti amministrativi e l'attività del tesseramento. Diversi compagni decidono di continuare comunque a dare il loro apporto al Partito, senza percepire alcun compenso.

La sospensione delle attività ha una sola eccezione relativa ai Paesi del Centro e dell'Est europeo, voluta anche nel rispetto delle indicazioni espresse dal Consiglio Federale.

La presenza e l'attività del Partito in questi Paesi prosegue, continuativa, in Ungheria e in Cecoslovacchia e si rafforza, con interventi più consistenti e mirati, in Unione Sovietica, Romania e Jugoslavia.

Il Partito non ignora, peraltro, anche durante questo periodo, il rapporto con la situazione italiana, mantenendo fede alla propria funzione di »servizio democratico in occasione delle elezioni amministrative, rispettando il vincolo di non partecipare alle elezioni con proprie liste.

1.10. LA LEGGE »AD HOC PER »RADIO RADICALE

»Radio Radicale , nell'insieme di attività che fanno capo - direttamente o indirettamente - al Partito, ha svolto la propria peculiare funzione in piena autonomia, usufruendo, fin dall'inizio, integralmente, del finanziamento pubblico che la legge italiana stabilisce per i partiti ed i gruppi politici presenti in Parlamento, che veniva ad essa dal Partito.

Dalle elezioni politiche del 1987, il finanziamento pubblico è stato - invece - percepito ed utilizzato direttamente dal Partito e l'onere di »Radio Radicale è venuto così a gravare su questo bilancio, con una duplice conseguenza: da un lato, le attività della »Radio hanno risentito della crisi finanziaria del Partito, che ha influito negativamente soprattutto sugli investimenti, impedendone lo sviluppo; dall'altro, i costi sostenuti dal Partito per assicurare la sopravvivenza della »Radio , hanno inevitabilmente inciso sulla situazione economica e finanziaria del Partito, aggravandone la crisi.

Un circolo chiuso dal quale era impossibile uscire senza interventi straordinari.

»Radio Radicale svolge un'attività d'informazione pubblica unica nel sistema della comunicazione italiano ed europeo. Costituisce un patrimonio, una ricchezza che i radicali hanno sempre posto a disposizione di tutti, istituzioni, cittadini, forze politiche. Ha svolto e svolge la propria funzione senza avere mai contato su risorse diverse da quelle a lei devolute dal Partito e dall'essere »organo del Partito , salvo contributi di cittadini e proventi pubblicitari, molto limitati e contenuti.

Forte di queste premesse, il Partito promuove, nel corso del 1990, un'azione in Parlamento, rivolta direttamente ai senatori e ai deputati di tutti i gruppi politici, per la presentazione di una proposta di legge »ad hoc che attribuisse, »una tantum , un

contributo di 20 miliardi di lire a »Radio Radicale , come »impresa che svolge attività di interesse generale .

L'iniziativa è coronata da pieno successo: prima aderiscono alla proposta un numero di parlamentari superiore alla maggioranza assoluta, sia al Senato che alla Camera, poi, agli inizi del mese di agosto, la legge viene approvata.

1.11. IL SUPERAMENTO DELLA CRISI ECONOMICA E FINANZIARIA.

LA DISPONIBILITA' DI NUOVE CAPACITA' OPERATIVE E RISORSE

FINANZIARIE

La sospensione - forse è più esatto parlare di drastico contenimento - delle attività, il contributo di legge a »Radio Radicale e l'apporto dei proventi dovuti ad accordi con terzi che operano nel campo commerciale del settore televisivo privato in ambito locale, sono i fattori che hanno consentito al Partito di superare, nel corso del 1990, il dramma della crisi economica e finanziaria.

Un risultato senza alcun dubbio di grandissimo rilievo, per molti aspetti estremamente improbabile, inatteso - quantomeno rispetto ai tempi nei quali è stato realizzato - tuttavia sempre alimentato e sorretto dalla speranza e dalla determinazione con la quale è stato inseguito e perseguito. Risultato importante per le implicazioni e i riflessi politici - interni ed esterni al Partito - e al quale hanno contribuito non solo i pochi che vi hanno assiduamente e direttamente prestato il loro impegno e il loro lavoro, ma anche tutti i radicali, iscritti e sostenitori, per l'apporto dato con e nella consapevolezza del costo politico da sopportare perchè la speranza di superare la crisi non venisse disattesa.

Poche cifre sono sufficienti per delineare la dimensione di questo risultato.

1.12. LA DIMENSIONE DI QUESTO RISULTATO

La spesa complessiva del Partito dell'anno 1990 è stata ridotta del 35 per cento (oltre 1.600 milioni di lire, pari a 1.300.000 dollari) rispetto all'anno precedente e le entrate - solo quelle del Partito - sono state aumentate di più del 25 per cento (oltre 1.300 milioni di lire, pari a 1.050.000 dollari); il bilancio, al 31 dicembre, si è così chiuso in pareggio.

Oltre al disavanzo maturato alla fine dell'anno precedente, vicino ai tre miliardi di lire, il pareggio del bilancio tiene conto dei costi sostenuti per la ristrutturazione della nuova sede di Via di Torre Argentina 76 (1300 milioni di lire, pari a 1.050.000 dollari), acquistata dal Partito nel 1988 (dopo una trattativa già iniziata nel 1987) e della spesa per l'adeguamento e lo sviluppo del sistema telematico »Agorà .

Si è trattato della acquisizione di spazi, attrezzature, mezzi di lavoro e di comunicazione (»Agorà consente il »dialogo in cinque lingue diverse con un vasto ambito internazionale) che hanno posto il Partito in condizioni di disporre per la propria attività di una nuova capacità operativa, non solo quantitativamente, ma qualitativamente più adeguata ed efficente.

Il 1991 inizia così con una disponibilità per il Partito che è relativa non solo alla capacità operativa, ma anche ad una situazione economica risanata con una disponibilità finanziaria complessiva superiore ai cinque miliardi di lire (pari a 4.030.000 dollari), senza tenere conto dell'autofinanziamento per iscrizioni e contributi, nonchè - ovviamente - della recuperata autonomia finanziaria di »Radio Radicale .

1.13. IL »PARTITO NUOVO .

LA »GUERRA NEL GOLFO .

Si pone impellente, pertanto, l'esigenza del progetto politico che consenta di verificare - su basi rinnovate - se la capacità, le energie e le risorse disponibili siano in grado di assicurare condizioni di iniziativa e di lotta, di vita politica, adeguate alla scelta e all'impegno di Budapest: dovere e volere essere la prima forza politica transnazionale.

Un momento dal quale sono ormai trascorsi due lunghi, tormentati, difficili anni.

Lo stato del Partito, agli inizi del 1991, nei suoi aspetti essenziali ed economici, finanziari, politici e organizzativi, è stato esposto con puntualità fors'anche eccessiva, nella relazione presentata al III Congresso Italiano - che si riunisce a Roma, nel febbraio del '91 - e pubblicata su di un numero speciale di »Notizie Radicali , congiuntamente all'illustrazione del progetto politico per il 1991.

E' necessario qui ricordare che il Congresso - quest'occasione d'incontro con i radicali italiani - si situa in uno dei momenti più drammatici della storia degli ultimi anni: la »guerra del Golfo .

I radicali eletti sia nel Parlamento italiano che in quello europeo, già nell'agosto del '90 - prima che la situazione precipitasse - avevano assunto una chiara posizione con la quale si chiedeva al Consiglio di Sicurezza dell'ONU ed alla Comunità Europea, che si decidesse, in conformità con i poteri concessi con la risoluzione 678, di dar vita e porre in atto una strategia d'azione nonviolenta con una forte e decisa campagna per informare l'opinione pubblica araba ed internazionale, in difesa del diritto e della pace, delle ragioni che avevano indotto l'ONU alle determinazioni a tutela dell'indipendenza del Kuwait, denunciando anzitutto i crimini perpetrati dal regime di Bagdad sul popolo irakeno.

Questa richiesta tendeva a determinare, all'interno del regime irakeno, reazioni atte ad indebolirlo e a destabilizzarlo, fino a far venir meno l'aggressione. I radicali proponevano, inoltre, una Conferenza sui diritti della persona, nonchè un accordo internazionale per il controllo del commercio delle armi e per la predisposizione di un registro internazionale sul trasferimento dei maggiori sistemi d'arma.

L'iniziativa radicale, tuttavia, non porta i risultati che ci si attende, che avrebbero potuto favorire una conclusione pacifica della situazione.

Quando, nel Parlamento italiano, agli inizi del '91, si discute la partecipazione del contingente militare alla »guerra del Golfo , i parlamentari iscritti al Partito assumono posizioni differenziate, tutte riconosciute legittime nell'intervento pronunciato dal Segretario del Partito in quella circostanza: ciascuno rappresentava se stesso ed era libero, naturalmente, di esprimere la sua opinione ed il suo voto.

Alcuni si esprimono in termini favorevoli all'intervento, per l'affermazione del diritto contro il sopruso e la ferocia dell'aggressione, esercitata per di più da un dittatore e da un regime oppressori del proprio Paese. Altri radicali - pur con argomenti diversi dalla cosiddetta »sinistra di opposizione e da alcune componenti cattoliche - sono contrari all'intervento, convinti della possibilità di far prevalere il diritto con una composizione »pacifica del conflitto.

Il Partito, in questa situazione, ha ritenuto di dover comunque far rilevare la strumentalità e l'opportunismo di chi per decenni, irridendo la nonviolenza e l'antimilitarismo, in nome di un »pacifismo di parte , armato di violenza, proprio in questa occasione, scopriva questi valori, ignorando che la »nonviolenza è forza e non debolezza, alla quale si può e si deve ricorrere, contro il sopruso e la violenza prima del conflitto, per rimuoverne le cause e che, con la »guerra del Golfo , la »nonviolenza - a differenza di quanto paventato - non poteva uscirne sconfitta, perchè mai era stata usata.

2.1. IL PROGETTO POLITICO PER IL 1991

In questo contesto, il Partito annuncia ed espone il progetto politico per il 1991.

Il mandato ricevuto a Budapest dal Congresso poneva come momento centrale il tentativo di coinvolgere nella proposta, nell'azione politica del Partito transnazionale e transpartito,. anzitutto i gruppi dirigenti, gli esponenti, i parlamentari di altri Paesi, a partire da quelli europei, al fine di stabilire un rapporto capace di affermare nelle istituzioni e, poi, tra la gente, un soggetto politico »nuovo , in grado di superare il divorzio, sempre più netto, tra scienza e potere, tra conoscenza e capacità di agire e di operare della politica.

Come sempre, è essenziale, nelle scelte e nelle decisioni del Partito, il metodo, mediante il quale perseguire l'obiettivo, stabilire un rapporto non solo sulla proposta politica in generale, ma anche su iniziative comuni.

Individuati gli interlocutori, il contatto avrebbe dovuto non solo associarli al Partito, ma dare vita a luoghi di iniziativa transnazionale comuni, capaci di promuovere adesioni e presenze militanti nei diversi Paesi e avviare così un processo di »rivoluzione democratica , liberale, socialista, federalista, ambientalista, nonviolenta.

La scelta del mezzo non poteva pertanto che cadere sulla comunicazione scritta: un giornale scritto in italiano, tradotto e stampato in molte lingue, da inviare inizialmente ai parlamentari d'Europa, dell'Est e dell'Ovest.

2.2. UN »MOMENTO EDITORIALE , IL GIORNALE »IL PARTITO NUOVO E

»LETTERA RADICALE .

Il progetto si configura quindi come »momento , come »impresa editoriale . Per impostare ed organizzare quest'impresa, per acquisire i mezzi e disporre di strumenti adeguati è trascorso inevitabilmente del tempo, ci sono voluti dei mesi.

E' stato necessario anzitutto reperire gli strumenti tecnici per la videoscrittura (in cirillico, ad esempio); individuare la tipografia in grado di stampare in quindici lingue; rendere compatibili i tempi della realizzazione grafica e tipografica con quelli dell'invio e della ricezione del messaggio; compiere un'accurata indagine nei Parlamenti e nelle altre sedi di destinazione per individuare e verificare i mezzi più idonei per la spedizione e il trasporto; reperire i nominativi e gli indirizzi dei destinatari, computerizzarli, predisporre le modalità per il loro aggiornamento; quindi selezionare i temi e gli argomenti, le proposte per le azioni da intraprendere e porre in atto - contemporaneamente - nel maggior numero possibile di Paesi; formare la redazione; scegliere il progetto grafico; predisporre il controllo del sistema di distribuzione; organizzare la struttura e la gestione tecnica e politica dei riscontri e delle risposte.

Tra maggio e giugno del 1991 esce il primo numero del giornale »Il Partito Nuovo , scritto in italiano e tradotto in altre quattordici lingue, inviato ad oltre quarantamila parlamentari e ad altri duecentocinquantamila destinatari, in più di 40 Paesi diversi.

Pesante si è rivelata l'esigenza di dover rispettare una programmazione »rigorosa del processo di produzione, per la difficoltà di rendere compatibili con i tempi tecnici, quelli imposti dalle esigenze e dall'attualità dei tempi politici.

Al primo numero del giornale ne sono seguiti altri cinque: il secondo nel mese di luglio, il terzo tra agosto e settembre, il quarto tra ottobre e novembre, il quinto, a 24 pagine - preceduto da una lettera indirizzata personalmente a tutti i parlamentari destinatari del giornale - alla fine di gennaio del 1992, col quale è stato dato anche il primo annuncio di questo Congresso. Il sesto numero è stato inviato in più di 70 paesi alla fine di marzo.

Tenuto conto dei tempi per il recapito, possiamo dire che quest'ultimo numero è cosa di oggi. Non avendo ancora ricevuto il riscontro delle risposte dobbiamo considerare allo stesso modo cosa di oggi il quinto numero, per quanto riguarda i quasi centomila destinatari dell'ex-URSS (1).

In vista di questo Congresso abbiamo anche predisposto e inviato a più di 70.000 destinatari, 3 numeri di »Lettera Radicale , tradotti dall'italiano in altre 11 lingue, che si sono aggiunti ai 10 numeri ordinari già recapitati nel 1991, tradotti, questi, in 9 lingue ed inviati ad un indirizzario di circa di 25.000 persone.

L'impegno per il giornale »Il Partito Nuovo - coerentemente con le scelte fatte - è stato, per il Partito, certamente l'impegno preminente e prevalente durante lo scorso anno e i primissimi mesi del 1992: un terzo delle energie impegnate a tempo pieno nel lavoro del Partito (13 persone) sono state occupate nella redazione e nell'organizzazione; più di un terzo lo sono state per oltre la metà del tempo disponibile, per un totale superiore al 50% di tutte le energie di cui dispone il Partito.

L'onere complessivo sostenuto per i sei numeri del giornale e dell'altro materiale scritto finora prodotto e recapitato, ammonta a 2 miliardi e 800 milioni di lire (2.250.000 dollari) di costi diretti (di struttura e per forniture di terzi), pari al 50% delle entrate di competenza dell'anno.

L'impegno del Partito sul progetto politico per il 1991 non si è, tuttavia, esaurito con l'attività svolta per il giornale.

2.3. L'AZIONE NEI PAESI DEL CENTRO E DELL'EST EUROPEO.

Un'altra componente è data dal consolidamento e dal rafforzamento dell'azione diretta svolta nei Paesi del Centro e dell'Est europeo, con l'apporto dei compagni che nel 1991 hanno proseguito ed intensificato - con la loro presenza - l'attività in questi Paesi, estendendola da Mosca anche direttamente alle altre Repubbliche dell'ex Unione Sovietica, alla Romania, alla Bulgaria, e, da ultimo, in Albania, oltre che continuarla in Ungheria e Cecoslovacchia e - con una importante e particolarmente significativa ripresa - in Croazia e in altre Repubbliche e regioni della ex-Jugoslavia.

Evidente, peraltro, è la correlazione tra queste due componenti, così come evidenti sono l'influenza reciproca ed il riflesso sui risultati.

Il »progetto per il 1991 si è poi arricchito anche di altre iniziative relative a temi e argomenti da tempo oggetto dell'attenzione e dell'azione del Partito o che si sono originate e sviluppate a seguito di eventi o circostanze indipendenti dal »progetto , ma che nel e dal »progetto hanno avuto opportunità di rilancio e di supporto.

2.4.LA CAMPAGNA PER L'ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE ENTRO IL

DUEMILA.

La prima opportunità si è presentata in occasione del tentativo di »golpe in Unione Sovietica.

La »Campagna per l'abolizione, ovunque, della pena di morte entro il 2000 è iniziata, infatti, nell'agosto dello scorso anno, dopo il fallimento del golpe in quella che era allora l'Unione Sovietica e ha assunto subito due connotati: quello »parlamentare e quello »mondiale .

Oltre 620 parlamentari ed uomini di Governo di tutto il mondo hanno sottoscritto, insieme a centinaia di personalità della cultura e Premi Nobel, l'appello rivolto dal Partito Radicale alle autorità sovietiche perchè venisse offerto, in quel particolare momento, sulla sorte dei golpisti, un esempio di tolleranza e di civiltà giuridica, rivolto anche all'Occidente, a quei Paesi di democrazia politica che mantengono ancora la pena capitale (2).

Le dimissioni di Gorbaciov, il dissolvimento dell'Urss, la nascita, piena di incognite, della Comunità degli Stati Indipendenti, hanno necessariamente modificato l'»itinerario della »campagna , che prevedeva: a febbraio, a Mosca, la consegna delle firme del Manifesto-Appello; ad aprile, a Roma, il primo Congresso parlamentare mondiale con la costituzione della »Lega per l'abolizione della pena di morte .

Dopo questi eventi, abbiamo rivolto a Eltsin la richiesta di un incontro per la consegna delle firme di adesione al Manifesto-Appello.

Non sono certo mutati, peraltro, i connotati di quella che abbiamo definito »Campagna parlamentare mondiale per l'abolizione della pena di morte entro il Duemila e non è cambiato l'obiettivo finale: un emendamento alla Carta dei Diritti dell'Uomo o, meglio, una Dichiarazione ad hoc delle Nazioni Unite che affermi il diritto di ogni persona a non essere uccisa per forza di legge o decisione di qualsiasi autorità pubblica o da essa riconosciuta, per qualsiasi ragione.

Dal lavoro svolto in questo ultimo periodo sono emerse alcune indicazioni: azioni parlamentari (mozioni, discussioni di politica estera, ecc.) per convincere i Governi a ratificare i trattati internazionali abolizionisti, al fine di promuovere una consuetudine internazionale contro la pena di morte; elaborazioni di strategie per una sottrazione progressiva alla giurisdizione dei tribunali nazionali di talune fattispecie di comportamenti o di talune categorie di individui (per esempio: colpi di stato, traffico internazionale di droga o di armi, gravi reati ambientali, minori), per attribuirne la competenza ad organi giurisdizionali internazionali; la possibilità che sia la Commissione dei diritti umani dell'Onu ad occuparsi delle condanne a pene capitali pronunciate dai Tribunali nazionali; la promozione di accordi regionali in Africa, dove non esiste nessuna Convenzione contro la pena di morte, che potrebbe essere promossa a partire da quei Paesi che hanno abolito la pena capitale o che non la praticano

da molti anni.

Decisiva appare una campagna nei confronti dei Paesi dell'ex-Unione Sovietica e degli Stati Uniti, per il ruolo che svolgono e il peso che hanno nella Comunità internazionale.

Anche per questo, nelle scorse settimane, abbiamo condotto una Campagna per l'abolizione della pena di morte in Ucraina, a partire dal caso di Oleg Makoveckij, un condannato a morte, la cui madre ci ha scritto chiedendoci di intervenire.

L'abolizione della pena di morte, in un Paese di quello che fino a poco tempo fa era considerato l'»Impero del Male , costituirebbe un esempio di tolleranza e di civiltà giuridica, con il quale sarebbe impossibile non confrontarsi, soprattutto da parte degli Stati Uniti, verso i quali la nostra azione deve essere tanto più ferma quanto più convinto è il riconoscimento dei loro fondamenti di libertà, di stato di diritto, di democrazia politica.

Se noi siamo contro e ci battiamo in ogni caso contro la pena di morte, tanto più non possiamo tollerare l'esecuzione, negli Stati Uniti, di minorenni, di minorati mentali, di donne incinte, vietata, peraltro, dalla stragrande maggioranza degli stessi Stati che mantengono la pena di morte.

La esecuzione, nei giorni scorsi, di Robert Harris, dopo un quarto di secolo di moratoria nello Stato della California, con l'agghiacciante altalena di rinvii e conferme dell'esecuzione portata avanti fino all'ultimo momento, è stato un fatto che ha ferito profondamente la nostra coscienza. Abbiamo reagito immediatamente manifestando la nostra indignazione, a Roma, davanti all'Ambasciata degli Stati Uniti d'America. Sono indici questi di preoccupanti moti regressivi che accrescono la nostra convinzione e la nostra determinazione a proseguire in questa iniziativa.

Una risoluzione per l'abolizione della pena di morte nei Paesi che ancora la contemplino è stata approvata dal Parlamento europeo, il 12 marzo scorso, sulla base di una relazione di Adelaide Aglietta, presidente del Gruppo Verde, membro del nostro Consiglio Federale.

Si tratta di un documento importante per almeno tre motivi: afferma il principio che nessuno Stato può disporre della vita dei propri cittadini o di altre persone che si trovino sul suo territorio, prevedendo la pena di morte come conseguenza di reati seppure gravissimi; sostiene come dovere legittimo l'impegno della Comunità Europea ad operare ovunque per la sua abolizione; chiede agli organismi ed agli Stati della CEE di operare in sede ONU per ottenere una delibera di moratoria generalizzata delle esecuzioni capitali e di impostare la propria politica estera e la politica di accordi e cooperazione economica considerando l'abolizione della pena di morte come condizione fondamentale.

La proposta di ordine dei lavori per questo Congresso, prevede una Commissione, che ha il compito di individuare e discutere gli obiettivi puntuali per il proseguimento di questa campagna e di definire i passaggi verso la costituzione e l'organizzazione di una »Lega parlamentare mondiale , dedita a questa importante battaglia.

2.5. DUE SESSIONI DEL CF: A ROMA E A ZAGABRIA, MENTRE LA CROAZIA

E' SOTTOPOSTA ALL'AGGRESSIONE SERBA.

L'esigenza di una prima verifica del riscontro avuto nel e dal Partito con la ripresa delle attività e con l'avvio del »progetto politico sollecita la convocazione del Consiglio Federale, non più riunito dal gennaio 1990, subito dopo l'assunzione dei »poteri statutari .

Anche se priva di effettivi poteri di decisione in conseguenza di questo evento, è questa, comunque, la sede più opportuna ed efficace per effettuare la verifica.

Nel frattempo si era aggravata la crisi nella ex-Jugoslavia: risoltasi positivamente la questione slovena, era maturata l'aggressione nei confronti della Croazia. Tant'è che il Consiglio Federale si tiene in due sessioni: la prima a Roma nel mese di settembre, la seconda proprio in Croazia, a Zagabria, alla fine di ottobre.

La prima sessione manifesta i riflessi positivi dell'invio del giornale. In particolare, i componenti del Consiglio Federale, residenti in altri Paesi, offrono fattivi contributi sul contenuto, la struttura e l'organizzazione del giornale, ma, esprimono anche, per la prima volta - con la loro intensa partecipazione ai lavori e con le loro indicazioni - la propria consapevolezza dell'appartenere al Partito, di esserne parte, contribuendo in modo significativo a delineare una prima effettiva, seppur embrionale, dimensione del tentativo in atto di essere forza transnazionale e transpartitica.

2.6. L'AZIONE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA CROAZIA.

L'INIZIATIVA NONVIOLENTA SUL FRONTE DI GUERRA.

E' sempre in questa occasione che si preannuncia l'iniziativa nonviolenta di Marco Pannella per il riconoscimento dell'indipendenza della Repubblica croata e delle altre Repubbliche e regioni autonome della ex-Jugoslavia (tra queste, quella del Kossovo), richiesta col ricorso a procedimenti democratici e sancita dai risultati conseguiti. L'iniziativa è rivolta anche ad assicurare e garantire in tutto il territorio, e quindi anche alla popolazione serba, condizioni di democrazia effettiva capaci di assicurare il rispetto dei diritti dei cittadini e delle minoranze.

Inizia così, nella sede del Consiglio Federale - con la partecipazione di autorevoli esponenti croati (tra questi: Zdravko Tomac, Vice Presidente del Governo), sloveni (tra questi, Zoran Thaler, Vice Ministro degli Esteri) e del Kossovo (tra questi, Shelzen Maliqi, Presidente del Partito Socialdemocratico), iscritti o che si iscrivono al Partito proprio in quella sede - un'azione che arricchisce la sua attività e fornisce maggior forza e consistenza al progetto politico.

A questa azione si devono anche le posizioni - sulla base della mozione approvata dal Consiglio Federale - assunte nell'ambito del Parlamento europeo e di quelli nazionali di alcuni dei Paesi del Centro e dell'Est europeo, da parlamentari iscritti al Partito.

L'iniziativa è rivolta, da un lato, a scuotere l'indifferenza e il cinismo dei Governi dei Paesi occidentali - di quello italiano, tra i primi - e sollecitarne l'attenzione sull'urgenza del riconoscimento dell'indipendenza della Croazia e a suscitarne l'impegno sulla necessità di porre fine all'aggressione dell'esercito golpista di Milosevic. Dall'altro, prefigura forme di intervento non armato, tali da coinvolgere - in un confronto democratico e di tolleranza - gli aggressori accanto agli aggrediti.

I momenti più rilevanti di questa iniziativa si collocano nella seconda sessione del Consiglio Federale, a Zagabria e, successivamente, alla fine dell'anno, sul fronte, ad Osijek.

A Zagabria i lavori del Consiglio Federale si svolgono alla presenza e con l'intervento di numerosi membri del Governo croato, dei quali non pochi si iscrivono al Partito (tra questi, il Presidente del Consiglio, Franjo Greguric) e con la partecipazione del Commissario della CEE, Carlo Ripa di Meana, del Premio Nobel per la Pace, Mairead Maguire Corrigan (anche loro iscritti al Partito) e di 40 parlamentari iscritti, provenienti da 10 Paesi diversi.

Il sostegno all'indipendenza della Croazia e delle altre Repubbliche e regioni ex jugoslave, viene anche realizzato - come dicevamo - attraverso diverse iniziative nonviolente. A più riprese, Marco Pannella ed alcuni altri deputati e militanti iscritti al Partito Radicale, digiunano per decine di giorni.

In dicembre, successivamente alle manifestazioni svolte a Maastricht in occasione del vertice della Comunità europea, lo stesso Pannella annuncia l'intenzione di mutare l'iniziativa nonviolenta di digiuno in azione diretta nonviolenta sul fronte croato di Osijek, la città della Slavonia da mesi assediata, nella quale si sono già avuti 3.500 feriti e 650 morti, la metà dei quali civili. Qui si recherà alla fine dell'anno, assieme a deputati (Cicciomessere, Strik Lievers, Tessari) e militanti radicali (Bertè, Dupuis, Fiorelli, Ottoni, Pinezic), indossando la divisa dell'esercito croato, la divisa degli aggrediti e delle vittime, a prestare un servizio non armato in difesa del diritto e della democrazia. Gandhianamente e da nonviolenti, perchè contro una patente aggressione il nonviolento non può, a differenza del pacifista, rimanere neutrale fra aggressore e aggredito, ma si schiera e sceglie quella parte che opera per la riduzione della violenza, per la salvaguardia del diritto, nello spirito del dialogo

- in questo caso - con i militari serbi costretti ad assassinare e ad essere assassinati.

Vale infine la pena di ricordare che il Consiglio Federale ha fornito anche l'opportunità di preannunciare, a Roma, ed illustrare a Zagabria, la decisione del Partito di prendere parte direttamente, in Italia, alla »Campagna per i nove referendum contro il sistema partitocratico e per la riforma di quello elettorale.

2.7. ANTIPROIBIZIONISMO SULLA DROGA:

LA POSTA IN GIOCO E' LA DEMOCRAZIA E LE LIBERTA'.

Nel frattempo, nel mese di novembre, la Commissione d'Inchiesta del Parlamento Europeo sul diffondersi del crimine organizzato legato al traffico della droga nei Paesi membri della Comunità, approva un pacchetto di raccomandazioni che gettano le premesse per una riforma profonda della politica sulla droga fin qui unanimemente perseguita e sostenuta dai Parlamenti nazionali della Comunità.

Un risultato ottenuto anche grazie all'azione svolta dal Vice presidente della Commissione, Marco Taradash, designato dal Gruppo Verde di cui fa parte, che, con l'apporto dei rappresentanti dei Gruppi socialista e del Partito Democratico della Sinistra, riesce a porre in minoranza il relatore, democratico cristiano, l' irlandese Cooney.

Secondo il rapporto, occorre procedere ad una verifica dei costi e benefici della politica proibizionista fin qui perseguita dai Parlamenti nazionali della Comunità, sulla base di indicatori che vanno dalla minaccia alle libertà personali e alle regole dello stato di diritto al diffondersi della delinquenza dall'intasamento dei tribunali alla diffusione dell'Aids, dalla moltiplicazione delle morti per overdose fra i tossicodipendenti alla corruzione nella politica e nell'economia.

Ne deriva che dev'essere prevista l'elaborazione di una nuova politica, sulla base di criteri di ragionevolezza e concretezza, fra i quali: »il possesso di stupefacenti per uso personale non dovrebbe essere considerato un reato penale e »l'assistenza ai tossicodipendenti non deve più essere ostacolata dalle leggi penali . Si raccomanda la somministrazione controllata delle sostanze stupefacenti, la distribuzione gratuita di siringhe, l'utilizzo di farmaci sostitutivi, come il metadone o il temgesic. Allo stesso tempo la Commissione chiede, per stroncare il riciclaggio del denaro della droga, di studiare i mezzi atti ad impedire l'accumulo di tali profitti tramite la regolamentazione del commercio delle sostanze oggi proibite.

Si tratta di un passo molto importante verso una nuova, diversa politica in questo campo, che trova, da tempo, il Partito Radicale impegnato in Italia e negli altri Paesi con tutti i mezzi disponibili, culturali, scientifici, d'informazione e con la sua azione politica.

Sono i radicali, è il Partito Radicale ad aver compreso, ancora una volta con grande anticipo, che la politica sulla droga è divenuta uno dei terreni di scontro decisivo fra concezioni dello Stato contrapposte. Quelle che privilegiano la laicità o il moralismo, i diritti dell'individuo o la burocrazia, le libertà civili o - di fatto - l'emergenza criminale, il diritto e la legalità o il sopruso e l'autoritarismo, un rapporto paritario fra gli Stati o forme diverse di colonialismo. Per questo, poichè la posta in gioco è la democrazia, il PR non rinuncia, senza sosta, a chiedere la collaborazione di donne e uomini, di partiti nazionali e di organismi ed organizzazioni internazionali, personalità della scienza e della cultura, per dar corpo e sviluppare una grande campagna di informazione e di tolleranza.

Salutiamo, pertanto, con gioia e soddisfazione la richiesta della Lega Internazionale Antiproibizionista, la LIA - di cui è Presidente Marie Andrèe Bertrand, criminologa canadese, iscritta al Partito e della quale ci sono ben noti l'impegno e l'autorevolezza - di federarsi al Partito.

Appare infatti assolutamente necessario lo sviluppo e il coordinamento a livello internazionale delle iniziative che, partendo dai più diversi presupposti - economici, giuridici, sanitari, sociali - e anche dalle più diverse aree politiche, stanno, tra mille difficoltà, costruendo pezzo a pezzo una ipotesi pratica di politica antiproibizionista. Penso in particolare al movimento delle Città Europee al Centro del Traffico della Droga, che con la risoluzione di Francoforte hanno indicato con chiarezza di principi e concretezza di obiettivi un'alternativa strategica alla filosofia e prassi della repressione, basata sul principio della »riduzione del danno (Harm-Reduction) e sul rispetto della libertà individuale come della sicurezza sociale. E voglio ricordare, a questo proposito, il ruolo essenziale svolto dal CORA (Coordinamento Radicale Antiproibizionista) nel promuovere e coordinare la partecipazione di alcune grandi città italiane alla II Conferenza delle città firmatarie della risoluzione di Francof

orte, tenutasi a Zurigo nello scorso novembre, partecipazione che si è concretizzata nell'indizione della III Conferenza, prevista per il novembre 1992, in Italia, a Bologna.

Sugli obiettivi della LIA e sulle forme che potrà assumere la cooperazione fra PR e LIA la proposta di ordine dei lavori del Congresso prevede la costituzione di una Commissione.

2.8. L'UNITA' POLITICA DELL'EUROPA DOPO LE DECISIONI DI

MAASTRICHT.

Dal Congresso di Budapest, anche l'Europa comunitaria è cambiata, e non poteva essere diversamente. Il famoso, per certi versi mitico, »obiettivo 1992 , per la realizzazione del mercato interno, si è rivelato per quel che era, un »re nudo , ben poca cosa di fronte alle sfide che attendevano l'Europa.

Sarebbe stato necessario adeguare le istituzioni, le strutture e le modalità di funzionamento della Comunità alle esigenze di federalismo, di democrazia, di sussidiarietà, di »politica e di »fare politica , non più rinviabili, come aveva dimostrato - ad esempio - la risposta plebiscitaria degli elettori italiani al quesito referendario promosso dal Partito Radicale e dai federalisti in Italia, nel giugno dell''89, in occasione delle elezioni europee, per dotare il Parlamento europeo di poteri costituenti. Sarebbe stato inoltre importante fornire risposte adeguate a chi si rivolgeva all'»Europa dei Dodici per un'adesione innanzitutto politica, ancoraggio alla riconquistata democrazia dei Paesi del Centro e dell'Est europeo.

L'incapacità, ad oggi, di rispondere a quest'ultima esigenza, ha condizionato pesantemente la risposta da dare a quella precedente.

In questo quadro sono stati negoziati e conclusi gli »accordi di Maastricht del dicembre scorso. Noi radicali eravamo lì, in oltre duecento, per manifestare il nostro »no a quel che si preparava, contro il grande progetto di Altiero Spinelli, dei federalisti, di noi radicali e contro anche quel minimo che chiedeva il Parlamento europeo: una struttura unica dell'impianto comunitario e quindi una politica estera e di sicurezza comuni e regolata dalla normale dinamica inter-istituzionale; una legittimità democratica, con poteri di co-decisione, fra Consiglio dei Ministri e Parlamento europeo; una democratizzazione del modo di funzionare della Comunità; un Esecutivo responsabile davanti al Parlamento; un maggior ruolo delle Regioni e l'adozione piena del principio di sussidiarietà; un allargamento delle politiche comuni, prime fra tutte quelle per la protezione dell'ambiente e per la cittadinanza comunitaria; una politica solidale sia verso l'Est, che verso il Sud dell'Europa.

»Maastricht non ha dato una sola risposta positiva, al di là di qualche »svista , come l'adozione di quel principio transnazionale elementare che è il diritto, per tutti i cittadini, di essere candidati e di votare in tutti i Paesi della Comunità alle elezioni comunali e per il PE: una battaglia radicale, divenuta, nell''89, legge italiana.

Hanno prevalso la logica intergovernativa contro quella federale; gli interessi nazionali su quelli di una reale integrazione; il permanere e l'aggravamento del deficit democratico attuale; il rinvio - peraltro non ancora definitivo - al 1996, dell'eventuale riequilibrio dei poteri in seno agli organi di questa nuova »cosa che hanno chiamato »Unione Europea .

Contro la ventata di ottimismo, sollevata dalla quasi totalità dei Governi e dei mass media, noi denunciamo il mostro giuridico e politico partorito a Maastricht. Mentre le richieste di adesione alla Comunità arrivano da molti Paesi e ci si trova ad essere il polo di riferimento per la futura architettura europea, non ci si può non dare subito una struttura istituzionale adeguata.

Di fronte, però, ad uno scenario che è in continua evoluzione, non è facile indicare quali siano le azioni politiche più opportune: noi speriamo che il Congresso e la commissione specifica possano dare utili indicazioni sia sul quadro politico generale, sia sulle iniziative concrete da intraprendere.

Crediamo, tuttavia, che sia necessaria un'azione duplice e contemporanea, da condurre sia all'interno della Comunità europea, sia all'esterno, nei Paesi del Centro e dell'Est dell'Europa.

Per quel che riguarda la Comunità, il dibattito che si è già aperto in alcuni Paesi sulla ratifica del trattato di Maastricht - malgrado esso rappresenti poco più del nulla - continua a dimostrare l'assenza completa di volontà politica necessaria per far progredire il processo di unità dell'Europa, accentuandone, così, anche il suo declino economico.

Per questo, malgrado la grande difficoltà del compito, riteniamo necessario il rilancio immediato dell'Europa politica attraverso una grande campagna federalista.

La campagna, basata sia sull'azione nel Parlamento europeo e nei Parlamenti nazionali, sia sull'azione popolare, deve essere volta ad ottenere che i dodici Governi, o una parte di essi, si accordino per affidare preliminarmente al Parlamento europeo, che sarà eletto nel 1994, il compito di redigere un progetto di Costituzione federale europea entro un anno dalla sua elezione e che si impegnino a sottoporre tale progetto direttamente a ratifica dei Parlamenti nazionali (o a referendum, secondo le esigenze costituzionali di ciascuno), senza passare per una Conferenza diplomatica.

L'impresa, certo, non è facile, ma oggi noi potremmo sfruttare un elemento positivo: il Governo tedesco ed il cancelliere Kohl - anche se non con la forza che sarebbe stata necessaria - hanno reclamato a Maastricht che all'Unione monetaria andasse congiunta un' Unione politica sovranazionale. Dovremmo tentare, avvalendoci anche di questa posizione - di indurre la maggioranza dei Dodici a seguire questa linea politica.

Quanto all'azione esterna alla Comunità, nei Paesi del Centro Europa, dell'ex-Unione Sovietica e dell'ex-Jugoslavia, è necessario organizzare subito un soggetto politico europeo nuovo, un movimento federalista, transpartitico, transnazionale, democratico, che indirizzi le nuove realtà nazionali verso forme di aggregazione che, tenendo conto delle singole realtà interne, possano costituire l'embrione per la realizzazione dell'Unione paneuropea.

Riuscirà il Partito Radicale a divenire forte abbastanza da contribuire a trasformare la Comunità in una Federazione democratica e a creare le condizioni per realizzare, prima possibile, la »Grande Europa ?

E' questa una delle scommesse che dobbiamo fare, se vogliamo che l'Europa non sia una speranza vana per milioni e milioni di persone che ad essa guardano dopo decenni di »comunismo reale .

2.9. IL PROBLEMA DELLA COMUNICAZIONE INTERNAZIONALE E IL DIRITTO

ALLA PROPRIA LINGUA.

Non a caso, abbiamo proposto di unire, in questa Commissione, il grande tema dell'unità politica dell'Europa al tema della comunicazione internazionale e, in particolare, del »diritto alla lingua di quanti- nel porsi l'obiettivo dell'unità politica - non vogliono certo rinunciare alla propria autonomia, anche culturale, linguistica, etnica. Questo, soprattutto, nella prospettiva di un'unità europea aperta ai Paesi del centro e dell'est europeo, sui quali incombono dirompenti, i rischi rappresentati dai nazionalismi e dalle etnie.

Da queste premesse nasce l'interesse del Partito per l'esperanto.

Per anni, iscritti, cultori di questa lingua, hanno tentato di sollecitare l'attenzione e interesse nei nostri Congressi su questo argomento, senza ottenerne alcun esito concreto.

E' la scelta transnazionale che ha determinato oggettive, diverse condizioni.

Pannella, già al Congresso di Budapest, ne fa un primo richiamo, ma è con il »progetto politico , con il giornale, che si pongono in evidenza positivi riscontri dell'attività, svolta nel frattempo, dall'»Associazione Radicale Esperantista e dai compagni che vi dedicano, con costanza e continuità, il loro impegno.

Il Partito Radicale, transnazionale e transpartitico, trova così risposte sempre più diffuse da parte dei cultori di questa lingua, sia nelle loro sedi ufficiali che presso i singoli.

Nel luglio del 1991 si tiene, in Norvegia, il Congresso Mondiale Esperantista, dell'UEA (Universala Esperanto-Associo), con oltre duemila delegati, ai quali viene distribuito il primo numero del giornale e si svolge un incontro ufficiale dei nostri iscritti con il direttivo di questa associazione.

Inizia così un proficuo rapporto con l'UEA, che diffonde sui suoi periodici, con articoli ed interviste, la proposta radicale e il progetto politico del Partito. Due numeri del giornale vengono poi tradotti e inviati in questa lingua ad un'indirizzario di circa 8.000 nominativi: l'incidenza delle risposte è molto significativa.

E' questo un aspetto nuovo dell'attività del Partito, di cui non possiamo nasconderci l'importanza politica.

D'altro canto, è corretto constatare come mai si sia costituita una Federazione di Paesi, multiculturale e plurilinguistica, priva di una lingua ufficiale. Convince anche l'affermazione che se la scelta cadesse, per l'Europa, sull'inglese, questo idioma soffocherebbe - fino, via via, a distruggere - tutte le altre lingue del continente, così com'è avvenuto, in passato, per le lingue in posizione politicamente egemone.

Una lingua pianificata e neutra - solo l'esperanto, dicono gli esperantisti, è pronto e adatto a questo fine - potrebbe mettere tutti i Paesi »su un piano di parità , eviterebbe l'egemonia anche culturale sull'Europa dell'America, senza porre in condizioni di indiscutibile vantaggio, il mondo anglo-parlante; sembra inoltre non opinabile che sia l'esperanto facile da apprendere, qualità questa che eviterebbe sperequazioni tra classi ricche e classi povere; infine, poiché non è lingua materna per nessuno, né portatrice di una determinata cultura, non dovrebbe produrre la distruzione delle lingue oggi parlate e delle relative culture.

La questione si »salda così con l'obiettivo dell'unità europea, in quanto è acquisito che nessun idioma è mai riuscito ad affermarsi come lingua internazionale per i suoi meriti linguistici, ma che si è sempre imposto per ragioni politiche, in situazioni di forza. Per questo la »federazione europea - che non può non avere tra le proprie ragioni d'essere la difesa delle diversità culturali e linguistiche dei popoli che ne fanno e ne faranno parte - è una condizione politica essenziale per poter sostenere l'utilità dell'esperanto e verificarne la funzionalità.

Il problema comunque si pone e la questione merita attenzione e approfondimento.

2.10. L'ILLUSIONE DELLA VIA MILITARE ALLA SICUREZZA.

LA CAMPAGNA DEL PARTITO RADICALE PER UNA TECNOLOGIA DI PACE PER IL SUD DEL MONDO.

Ad oltre un anno dalla »guerra nel golfo , le speranze di porre sotto controllo e ridurre il commercio internazionale di armamenti sembrano assottigliarsi.

Due vertici dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU (Usa, Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina), tenutisi a luglio e ad ottobre del 1991, rispettivamente a Parigi e a Londra, e dedicati a questo problema, sono approdati sostanzialmente ad un nulla di fatto.

Nel corso di quest'ultimo anno, la Cina ha continuato a resistere alle pressioni diplomatiche americane volte a contenere le sue esportazioni di armi e di tecnologia militare: si sono avute notizie non solo di trasferimenti di armi convenzionali cinesi, ma anche di vettori missilistici e - quel che è peggio - di tecnologia nucleare a Paesi come l'Iran e l'Algeria. Il regime cinese è arrivato recentemente perfino a difendere la sclerotica dittatura del nord coreano Kim Il Sung nella sua corsa a dotarsi dell'arma nucleare. Nè risulta sia imminente l'adesione cinese al Trattato di Non Proliferazione Nucleare - adesione che pure era stata annunciata l'estate scorsa.

Dal canto suo, la Russia ha sostanzialmente rallentato i propri sforzi di conversione industriale nei settori civili: sta vendendo a prezzi stracciati sul mercato internazionale il materiale militare in sovrappiù (tra i compratori, di nuovo l'Iran) e sembra voler risolvere i propri gravissimi problemi finanziari rilanciando la vendita di armi all'estero.

Nella guerra civile nell'ex Jugoslavia, dove l'embargo delle Nazioni Unite è stato tardivo e inefficace, tra tutti coloro che avevano eccedenze di armamenti da vendere (dai libanesi ai Paesi dell'ex Patto di Varsavia), si è rapidamente sviluppata una sorta di corsa a rifornire i contendenti.

L'illusione della via militare alla sicurezza è insomma dura a morire, come dimostra, tra l'altro, il caso delle ambizioni ucraine di dotarsi ex-novo di un esercito di più di 400.000 uomini.

Queste tendenze, se confermate, rischiano di far fallire gli sforzi di coordinamento internazionale volti a controllare l'offerta: basta infatti un solo attore che non rispetti le regole del nuovo gioco per far saltare tutta l'azione collettiva e tornare al vecchio dictum del »tanto se non esporto armi io, lo farà il mio vicino .

Noi abbiamo tentato, nel corso del 1991, di condurre un'azione a livello internazionale su questo tema, con l'obiettivo di affermare un »regime internazionale di non proliferazione delle armi convenzionali e della tecnologia militare . Prima firmataria la Presidente del Partito, Emma Bonino, la Camera italiana, nel maggio dell'anno scorso, ha approvato a larghissima maggioranza una mozione che impegna il governo a lavorare per la creazione, appunto, di un »regime internazionale o, in subordine, di un cartello di Paesi produttori che impedisca il trasferimento ai Paesi in via di sviluppo dei maggiori sistemi di arma convenzionali e, in particolare, dei mezzi di distruzione di massa, nonchè della tecnologia e dei componenti necessari alla loro fabbricazione .

Sarebbe sicuramente necessario, oltre che politicamente indispensabile, vista la situazione che il mondo vive, riprendere con forza, vigore, slancio, nel maggior numero possibile di Parlamenti, questa battaglia: non c'è nessuna speranza che i Governi riescano ad adeguare la velocità e la portata delle loro decisioni alla gravità della situazione mondiale senza lo stimolo della gente e dei rappresentanti eletti.

Si tratterebbe, in altre parole, di trovare nuove forme di collaborazione tra Nord e Sud del mondo; collaborazione in cui i trasferimenti militari vengano sistematicamente sostituiti da trasferimenti di tecnologia civile e da aiuti finanziari ai paesi sottosviluppati.

Questo tema, e ancor più quello ambientale, non hanno avuto lo sviluppo previsto e atteso dal progetto politico per il 1991.

La prima ragione, essenziale, di questa carenza è da attribuirsi all'insufficienza di energie disponibili, e disposte, a dare seguito adeguato all'impegno che ci eravamo assunti. Non è stata certo la mancanza di argomenti o di possibilità di iniziativa e di azione politica. Sono, infatti, temi che costituiscono - fra i primi e nel tempo - parte distintiva dell'azione prodotta dal Partito.

Su tutti questi temi interverranno più compiutamente i compagni che hanno coordinato l'impostazione e lo sviluppo delle attività ad esse relative.

Mi riferisco, in particolare, a Danilo Quinto, per quanto riguarda la redazione del giornale, a Sergio D'Elia, per la campagna per l'abolizione della pena di morte, a Edmondo Paolini, per l'unità politica dell'Europa, a Giorgio Pagano, per la lingua federale.

3.1. LA SITUAZIONE ATTUALE DEL PARTITO.

Quanto scritto finora - amiche e amici, compagne e compagni - ha lo scopo di »rendervi conto di tre anni di attività - e non - del Partito.

E' un compito pesante, lungo e noioso, soprattutto per chi lo deve ascoltare o lo voglia leggere.

E' un compito, tuttavia, al quale non mi sono - non ci siamo - mai voluti sottrarre da quattro anni a questa parte, nonostante più volte e da più parti ne sia stato sottolineato il carattere »amministrativo , a volte ripetitivo, svolto con tono dimesso, con troppe cifre o troppi dettagli, in definitiva espressione »burocratica , poco o affatto »politica .

Per quanto mi riguarda ritengo essenziale il riferire su ciò che è stato fatto o non fatto, »dando conto (è il termine esatto), con puntualità, dei momenti e passaggi significativi dell'azione intrapresa e dell'attività svolta. Di tutto farne conoscere - per quanto possibile - le ragioni, le modalità, il peso e il significato.

Un organismo - come è anche un partito - la sua esistenza, i suoi valori, la capacità di analisi e di valutazione, di iniziativa e di affermazione politica, non possono prescindere e non essere commisurate alle effettive energie ed alle risorse raccolte, disponibili e disposte ad operare, ai metodi seguiti, alle modalità adottate per organizzarle e gestirle.

E' in questo »rendere conto che è insito il rispetto formale e sostanziale dell'»altro , di chi ha il diritto e il dovere - perché riunito nella sede propria - di conoscere per valutare, giudicare, decidere.

Amici e amiche carissimi, col venir meno, per scelta nostra, delle nostre responsabilità, è vostra la responsabilità - di voi che qui siete stati chiamati e convocati in Congresso - di valutare, scegliere e decidere in condizioni che sono di piena, riacquistata »sovranità .

Come potreste rispondere a questa responsabilità, come potreste porre in relazione alla »politica , alle situazioni generali e specifiche con le quali vi dovete - ci dobbiamo - confrontare, la nostra situazione, lo »stato del Partito , senza disporre di informazioni, di elementi, di dati, per quanto possibile esaurienti?

Non si tratta quindi di una »formalità burocratica , ma - a mio avviso - di aspetti e termini essenziali per assicurare e mantenere un rapporto, non solo corretto, ma efficace nel Partito, che sia garanzia di confronto e di vitalità democratica, condizioni queste, che ci sono necessarie, indispensabili e alle quali non dobbiamo, non possiamo rinunciare.

Nessun obbligo imponeva a noi una scadenza per la convocazione di questo congresso.

Le scadenze imposte dalla mozione di Budapest sono politiche e riguardano la costituzione del »Partito nuovo , transnazionale e transpartitico e la verifica dell'esistenza e della praticabilità dei presupposti operativi, e di iniziativa e azione politica, richiesti per realizzare quest'obiettivo.

Sarebbe inaccettabile che, avendo noi, liberamente scelto di convocare il Congresso per rispondere ad esigenze e valutazioni di valenza politica e non statutarie, ci fossimo sottratti all'obbligo di fornirvi il »rendiconto di questi tre anni.

3.2. L'ESAME DI ALCUNI PARAMETRI.

LE ISCRIZIONI.

Vi sono alcuni parametri che possono aiutare nel procedere nell'esame della situazione attuale del Partito.

Le iscrizioni e la composizione del Consiglio Federale, più in generale le risposte finora pervenute al »progetto politico e, in particolare, al giornale.

Noi siamo oggi, dopo quattro mesi dall'inizio della campagna delle iscrizioni per il 1992 - quest'anno la campagna è partita a gennaio, con oltre due mesi di ritardo rispetto ai due anni precedenti - ad un numero superiore a quello delle iscrizioni alla fine sia del 1990 (4267) che del 1991 (4293).

Risultato che potrebbe indurre a considerazioni confortevoli, se non fosse conseguenza di un fattore indubbiamente positivo - le iscrizioni in altri Paesi - e di due negativi - le iscrizioni in Italia e la dimensione del risultato nel complesso, che è ben lontana da quella delle decine di migliaia di iscritti, ordine di grandezza che costituisce la »condizione tecnica indispensabile per assicurare l'esistenza del Partito transnazionale e transpartitico.

In Italia gli iscritti oggi non raggiungono i 2.000, 1.000 in meno di quelli che erano iscritti alla fine del 1991 e 1.300 in meno di quelli iscritti alla fine del 1990. Circa 700 in meno degli iscritti dei primi tre mesi di ciascuno di questi due anni, nonostante l'apporto del IV Congresso italiano e la convocazione del 36· Congresso ordinario.

Possono aver influito negativamente, quest'anno, il rinvio della campagna di iscrizioni a dopo il periodo delle feste di fine anno - quando in Italia viene corrisposta la 13ª e la campagna elettorale, durante le quali in passato si è sempre verificato un rallentamento del flusso delle iscrizioni. Si tratta di cifre minime, non preoccupanti, se l'obiettivo fosse quello di raggiungere e superare anche quest'anno, i 3000 iscritti: tutti sappiamo che non è certo questo il risultato che ci serve.

Anche per l'Italia diversa è la dimensione, diverso l'obiettivo da raggiungere, molto lontani entrambi dai risultati attuali.

Le iscrizioni negli altri Paesi, in quelli del Centro e dell'Est europeo, fanno invece registrare risultati importanti, senz'altro positivi: si tratta di 3.000 iscritti, quasi tre volte il totale raggiunto alla fine del 1990, il doppio del totale della fine del 1991.

A Budapest, nel 1989, gli iscritti nell'URSS erano 10, mentre 3.000 iscritti »residenti in Paesi diversi dall'Italia era l'obiettivo fissato a Bologna, oltre quattro anni or sono.

Nella sola Repubblica Russa le iscrizioni sono più di 1.200 (oltre 200 solo a Mosca) e se le sommiamo a quelle raccolte in tutte le altre Repubbliche dell'ex-Urss, arriviamo a oltre 2.000. Gli iscritti al Partito sono presenti in tutte le altre 14 Repubbliche dell'ex-URSS: sono quasi 500 in Ucraina, oltre 160 in Azerbaigian, 50 in Bielorussia, 35 in Lettonia, 70 e più in Kazakistan e 40 in Uzbekistan.

Due sono i »settori principali di provenienza degli iscritti ex-sovietici: l'uno quello degli operai e lavoratori agricoli (317) e degli studenti (265), l'altro quello degli insegnanti (172) e delle »professioni liberali (409).

In totale, sono 33 i parlamentari iscritti residenti nelle Repubbliche della Comunità degli Stati Indipendenti, più un vice Ministro in Georgia, 8 quelli residenti nei Paesi Baltici.

E', questo, un risultato per più aspetti importante, non del tutto atteso, anche se auspicato.

Gli iscritti in Romania sono 105: tra questi, i 41 parlamentari sono il risultato di una situazione che può, perfino, apparire paradossale. Infatti, sulla loro iscrizione hanno influito positivamente inizialmente la campagna di disinformazione e denigrazione - condotta sia da giornali nazionalisti che da giornali democratici, tra questi anche »Romania Libera - nei confronti dell'azione del Partito Radicale e, successivamente, gli attacchi rivolti, dagli stessi giornali, ai parlamentari che si sono, via via, venuti iscrivendo.

Recente, degli ultimi mesi, è l'azione condotta in Bulgaria, dove si sono iscritti finora 29 parlamentari e in Albania, dove 9 sono gli iscritti. In Polonia, gli iscritti sono 3, tra i quali un parlamentare.

Com'è noto, a Budapest, fin dal 1989 - in relazione con l'iniziativa politica che portò al 35· Congresso - si è costituito un punto di riferimento che ha svolto inizialmente anche funzioni di coordinamento per l'attività nei Paesi del Centro e dell'Est europeo. Gli iscritti 1992 al Partito in Ungheria sono 35, tra i quali un solo parlamentare.

In Cecoslovacchia, la mobilitazione dei militanti radicali per il riconoscimento della Croazia e l'iniziativa per l'abolizione della pena di morte - alla quale hanno aderito Ministri, parlamentari di rilievo, senza dimenticare l'adesione del Presidente Havel - hanno messo in evidenza la credibilità del Partito Radicale in questo Paese. Nel '92 gli iscritti sono 75, fra i quali un Vice Ministro e dieci parlamentari.

Nelle Repubbliche e nelle Regioni dell'ex-Jugoslavia, sono circa 300 i cittadini iscritti al Partito Radicale del '92, tra i quali 5 membri di Governo e 47 parlamentari, residenti in Bosnia Erzegovina, Croazia, Kossovo, Serbia, Slovenia, Macedonia.

A questi risultati si contrappongono i dati relativi agli iscritti nei Paesi dell'Europa occidentale: in tutto non arrivano - esclusa l'Italia - a 50 e, tra questi, un parlamentare svizzero, un componente della Camera dei Lords e un parlamentare europeo eletto in Spagna.

Ci soffermeremo tra breve su quest'aspetto, che mette in evidenza - purtroppo - come in questi Paesi la cultura e la politica non siano in grado di opporsi validamente ai vincoli posti dai centri di potere delle burocrazie degli Stati nazionali.

Anche per quanto riguarda gli altri continenti, si tratta di cifre molto modeste, con l'esclusione, in Africa, del Burkina Faso (gli iscritti sono 107) - ove, per iniziativa di Basile Guissou, opera, già da tempo, come detto, l'Associazione Radicale per lo Stato di diritto in Africa - e della Costa d'Avorio, dove vi è un parlamentare iscritto.

La diffusione del giornale e l'interesse manifestato dai cultori dell'esperanto hanno prodotto dei minimi, significativi risultati in alcuni Paesi asiatici (contiamo un iscritto in Cina ed uno in Giappone) e dell'America meridionale.

3.3. LA COMPOSIZIONE DEL CONSIGLIO FEDERALE.

Come forse sapete, il Consiglio Federale ha mantenuto in questi anni, anche dopo l'assunzione dei »poteri statutari , una sua precipua funzione nell'assicurare un collegamento e una sede di incontro tra noi ed i compagni tra i più autorevoli e qualificati. Per rendere più proficua questa funzione abbiamo seguito il criterio, fissato dal Congresso di Budapest, di associare ai componenti del Consiglio Federale eletti o designati dal Congresso, anche tutti i nuovi iscritti che fanno parte di assemblee parlamentari nei diversi Paesi.

Allo stato fanno parte del Consiglio Federale del Partito, 288 persone, di cui 216 sono parlamentari.

Dei 72 non parlamentari: 35 sono gli eletti dal Congresso (17 italiani e 18 sono cittadini di altri paesi); 32 (26 italiani e 6 di altri Paesi) sono membri di diritto in quanto hanno fatto parte di organi esecutivi del Partito (segretari, tesorieri e membri di segreteria o di giunte esecutive); 5 sono designati dalle Associazioni radicali riconosciute (Co.R.A. - Coordinamento Radicale Antiproibizionista; A.R.Co.D. - Associazione Radicale per la Costituente Democratica e per la Riforma della Politica; A.R.E.D.A. - Associazione Radicale per lo Stato di diritto in Africa, con sede in Burkina Faso; E.R.A.-CO.D.I.C.E. - Esperanto Radikala Asocio-Coordinamento per la Democratica Integrazione Culturale europea; Gruppo Satyagraha).

Dei 216 parlamentari, 29 sono italiani e 187 di altri 30 Paesi.

Un »gruppo parlamentare più numeroso di quello di cui disponeva, in Italia, nella cessata legislatura, il Partito Comunista, alla Camera dei Deputati, e superiore a quello di cui dispone oggi la Democrazia Cristiana.

Tra gli italiani, sono membri del Consiglio Federale: due Ministri e nove parlamentari socialisti, due del Partito Democratico della Sinistra, quattro verdi, due dell'Union Valdotain, uno repubblicano, cinque della »Lista Pannella , cinque parlamentari europei ed un commissario CEE.

Negli altri Paesi tra gli iscritti al nostro Partito vi sono esponenti di quasi 80 diversi partiti nazionali. In particolare: un vice Ministro e dieci parlamentari cecoslovacchi; due parlamentari della Bosnia Erzegovina; il Presidente e il vice Presidente del Governo e 30 parlamentari croati; il Presidente del disciolto Parlamento del Kossovo; cinque parlamentari serbi; un vice Ministro e un deputato sloveno; dieci deputati macedoni; 41 deputati rumeni; due deputati polacchi; 29 deputati bulgari; 4 membri dell'ex Soviet Supremo dell'ex-URSS; un deputato armeno; due deputati azerbaigiani; un deputato della Bielorussia; 6 parlamentari estoni; il vice Ministro per l'Informazione della Georgia; un deputato lettone; un deputato lituano; un deputato del Kazakistan; due parlamentari del Kirghizistan; due deputati ucraini; 21 parlamentari russi; un deputato ungherese; un deputato della Costa d'Avorio; una parlamentare israeliana; un deputato svizzero; uno argentino; un lord inglese; un deputato peruviano; un ve

nezuelano; un parlamentare europeo di nazionalità spagnola.

Tra le personalità iscritte al nostro Partito, vogliamo ricordare Mairead Corrigan e George Wald, entrambi Premi Nobel, rispettivamente per la Pace nel 1978 e per la Medicina nel 1967.

3.4. LE RISPOSTE AL »PROGETTO POLITICO ED AL GIORNALE.

Le lettere arrivate in risposta al »progetto politico ed al giornale sono più di 2.500: in vari modi esprimono l'interesse non solo verso la pubblicazione, ma verso l'iniziativa politica, la proposta transnazionale.

Si tratta di risposte e di manifestazioni di adesione di diversa origine, ma - se si considera la portata del »messaggio - si collocano tutte in un unico insieme, dato dal loro denominatore comune, che è l'interesse politico, la simpatia, la curiosità, il desiderio di capire di più e meglio di cosa si tratta, e si esplicano, in parte, nell'effetto più semplice ed immediato dell'iscrizione; in parte nell'impossibilità di dare concretezza alla propria adesione - dovuta, per i più, all'entità dell'importo da pagare per la quota di iscrizione o al presunto ostacolo dell'appartenenza ad altri gruppi politici; in parte nella volontà di collaborare a diffondere le idee del Partito Radicale, di entrare a far parte in qualche modo di questa »impresa politica .

Un giornale di così ampie e diversificate aree di recapito - accomunate da un lato dall'essere, i destinatari, rappresentanti delle istituzioni parlamentari, dall'altro dall'essere per la prima volta informati dell'esistenza del Partito Radicale, ma più in particolare del suo progetto politico - non può che fornire elementi di riflessione e analisi, di quelli che chiamiamo »ritorni , non immediatamente omogenei.

In questo senso è evidente, e prevedibile, che le condizioni economiche, sociali, di partecipazione alla vita ed alla comunicazione non strettamente nazionale o addirittura in certi casi regionale, pesino non marginalmente sul tipo di reazioni e di risposte. E quindi era ipotizzabile, anche se dal nostro punto di vista può non essere giustificabile e soddisfacente, che fossero i Paesi meno ricchi a fornire le risposte quantitativamente maggiori, come è stato. Si pensi ad esempio ai Paesi dell'ex-URSS, o a quelli dell'America Latina, dai quali ogni iscrizione che arriva dalle sedi parlamentari in primo luogo, come pure ogni lettera, è motivo di gioia, non solo per il fatto in sè o per la sensazione di vicinanza ideale che si stabilisce con l'insperato interlocutore, ma soprattuto perchè il desiderio di conoscenza, di informazione, il tentativo di stabilire un primo contatto che potrebbe portare a iniziative politiche comuni, sono elementi di non trascurabile importanza.

L'apparente e possibile »eurocentrismo di un'organizzazione transnazionale ha trovato in questi mesi adeguata smentita, non tanto per il numero di iscrizioni dai Paesi extra-europei, quanto nelle risposte fornite da questi Paesi, che costituiscono una precisa, prima indicazione di interesse, che lascia sperare se alimentata e coltivata.

Non fuori luogo mi pare sia riportare, indicativamente, poche righe scritte dal deputato peruviano oggi iscritto al Partito Radicale, Wilfredo Alvarez Valer, che ci scrisse nel mese di novembre dopo aver ricevuto copia del giornale »Il Partito Nuovo a nome del suo gruppo politico:

»In un mondo in cui la democrazia è l'unico strumento individuale e collettivo per garantire la pace, la libertà e la giustizia, unire le forze per formare un grande movimento per la nonviolenza, l'ambiente, che sia libertario e socialista, richiede sforzi comuni degli abitanti del nostro pianeta. La costante aggressione contro la natura, la distruzione ambientale, così some la sopravvivenza dei nostri figli in un mondo inospitale ed ostile, la mancanza di interrelazioni fra i popoli che non consente che il progresso scientifico e tecnologico sia a beneficio dell'umanità: sono questi gli ostacoli più grossi verso una soluzione armonica dei problemi mondiali. Essendo interessati ad una proposta politica radicale nel nostro Paese, siamo vicini alla vostra iniziativa e vorremo maggiori informazioni su come poter formalizzare la nostra adesione a questa inedita scelta transnazionale .

La campagna per l'abolizione della pena di morte nell'ex-Urss, la campagna politica pubblicitaria sulla stampa locale, la diffusione di informazioni al ceto parlamentare della Comunità degli Stati Indipendenti - certo non resa semplice dalla stessa situazione di incertezza ed instabilità istituzionale - hanno prodotto una reazione, in termini di iscrizioni e di attenzione, di »ritorni , che, probabilmente, se analizzata con metodi più rigorosi, potrebbe dare la misura di quale sia la potenzialità politica di un Paese che è stato dominato dall'assenza di libera comunicazione e dalla possibilità di espressione civile e politica.

Dai disoccupati che inviano i 25 rubli per l'iscrizione, agli operai già iscritti al Partito Comunista, a chi, mai iscritto ad alcun tipo di organizzazione politica, si iscrive per la prima volta al Partito Radicale, agli ingegneri, ai tecnici, ai rappresentanti delle professioni liberali, ai giornalisti che offrono la possibilità di diffondere notizie sull'attività del Partito transnazionale sui propri giornali : questa, in sintesi, la rappresentazione dell'»ascolto ottenuto e dei nuovi possibili protagonisti dell'azione politica radicale.

L'attenzione e le risposte non sono certo mancate dai Paesi del centro Europa, dalla Romania, dalla Polonia, dalla Bulgaria, dalla Cecoslovacchia, nei quali, oltre alle adesioni sull'appello alla campagna per l'abolizione della pena di morte, si può riscontrare la risposta dei gruppi attivi sul tema dei diritti umani, dei piccoli gruppi sedicenti anarchici o delle associazioni esperantiste.

Molta parte dei »ritorni sono stati caratterizzati dalla campagna di informazione e di dibattito di cui il giornale si è fatto promotore, sul federalismo linguistico e in particolare sul tema esperanto. La specificità dell'argomento, la sua chiara connotazione non nazionale, la selezione operata sul tipo di indirizzario (costituito da esperantofili o esperantisti singolarmente considerati o a livello associativo) ha prodotto - secondo l'attesa - numerose adesioni da vari Paesi del mondo, che tuttavia si sono tradotte solo parzialmente in iscrizioni al Partito Radicale. L'aggettivo »solo è dato dalla sproporzione oggi esistente tra la quasi totale comunione di intenti esistente tra questi interlocutori che ci scrivono o prendono contatto con noi e la proposta politica transnazionale, federalista del Partito Radicale. Infatti, non è semplice affermare l'esigenza del Partito come strumento di iniziativa e lotta politica, a cui si contribuisce a dare corpo e consistenza per far camminare le idee di cui si

è fautori, e non come valore in sè assoluto. Certo, il bacino di potenziale iniziativa politica in tal senso è stato costruito e, speriamo, non ancora limitato nella sua capacità di volume di proposte di iniziativa legislativa e di azione politica. Molte sono state le reazioni delle associazioni o dei singoli membri delle organizzazioni internazionali esperantiste: da quelle di tendenza politica di sinistra a quelle non partiticamente caratterizzate. Dal Presidente dell'Associazione Esperantista Lettone a quelli della Bulgaria, della Gran Bretagna, ai tanti francesi, crediamo di aver dato, a chi esperantista lo è per cultura, uno spiraglio di iniziativa politica positiva che forse vale la pena di non lasciare cadere.

Certo le risposte negative non sono mancate, il disinteresse manifestato in tutti i casi non è stato di rilievo in termini quantitativi. Forse quello che più preoccupa può essere quello che non c'è stato. Vale a dire la non sufficiente risposta arrivata dai Paesi occidentali e dai parlamentari del »mondo democratico ricco . Una risposta sicuramente è arrivata dai Parlamenti europei dell'ovest sulla »Campagna Mondiale per l'abolizione della Pena di Morte entro il duemila .

La »sazietà di informazione, la disattenzione verso forme di proposta politica non usuali, quantomeno nei modi, che non passono cioè attraverso le »burocrazie dei partiti nazionali , può aver distratto in questi Paesi l'attenzione dalla nostra proposta politica.

Nell'ultimo periodo considerato, dalle analisi fatte sui ritorni prodotti dal giornale, si riscontra un dato importante, la crescita del numero delle risposte: si passa da un incremento del 49.17 %, nel mese di novembre, ad un incremento del 96.52 % nel mese di febbraio-prima metà di marzo (come si può rilevare dalla tabella allegata - 3). Questo dato prescinde, necessariamente, in termini di tempo, dall'invio complessivo, a tutte le aree di destinazione del quinto numero e quindi del sesto. Un'elemento non trascurabile di valutazione, anche per il futuro è il riscontro di una percentuale considerevole di risposte provenienti dall'ex-Urss, dovuta alla campagna pubblicitaria sulla »Komsomolskaya Pravda . Solo dalla Russia sono arrivate circa 600 risposte.

3.5. L'AZIONE DEL PARTITO NEL CENTRO E NELL'EST EUROPEO.

Per quanto riguarda l'illustrazione delle attività svolte direttamente dal Partito nei Paesi del Centro e dell'Est europeo, che hanno accompagnato e sostenuto lo sforzo compiuto con il giornale per far conoscere il »progetto politico , contribuendo al conseguimento dei risultati ottenuti, interverranno i compagni che da tempo, per alcuni ormai da anni, vi dedicano la loro opera: Marino Busdachin, Antonio Stango e Andrea Tamburi a Mosca, Olivier Dupuis e Massimo Lensi a Budapest, Paolo Pietrosanti a Praga e Sandro Ottoni a Zagabria.

3.6. QUALE VALUTAZIONE POSSIAMO DARE SUL »PROGETTO POLITICO ?

Alla luce di questi parametri, che si aggiungono a quanto esposto in precedenza, quale valutazione possiamo dare sul »progetto politico , sull'impegno e le energie che abbiamo dedicato, nel secondo semestre del 1991 e nei primi mesi del 1992, per realizzarlo?

Vale la pena ricordare anzitutto che questo progetto è rivolto essenzialmente alle forze politiche ed ai loro esponenti, presenti nelle assemblee legislative dei Paesi di tutt'Europa.

Abbiamo detto che 186 sono i parlamentari iscritti al Partito residenti in Paesi diversi dall'Italia. Sono qui presenti, in gran numero, per prendere parte ai nostri lavori: a tutti rivolgiamo il nostro ringraziamento ed un caloroso e amichevole benvenuto.

Si tratta di un primo indice, di grande rilievo, di un primo successo che, congiunto alle numerose e significative risposte pervenute all'invio del giornale e alle altre iniziative avviate in questo periodo, costituisce una conferma che in Europa esistono Paesi nei quali è avvertita e compresa la rispondenza e l'utilità del Partito transnazionale e transpartitico, come mezzo, strumento di azione politica, capace di integrare, estendere, potenziare l'appartenenza al proprio partito nazionale e a quanto questa appartenenza consente loro di produrre nelle specifiche situazioni del proprio Paese.

D'altra parte, anche le iscrizioni di altri cittadini sono lì, nei numeri, ad indicare una risposta che è già ampia e significativa. Siamo tuttavia consapevoli che questa risposta è ancora molto lontana da quei traguardi che potrebbero costituire l'inizio reale di un processo di affermazione del Partito in quanto tale, forte della consapevolezza della propria funzione anche nell'ambito dell'adesione militante e di una parte importante dell'opinione comune. Abbiamo peraltro più volte affermato la convinzione che, solo mediante la comprensione, l'apporto e l'azione delle o di forze politiche e dei loro esponenti, tale processo può costituirsi e svilupparsi in Europa e altrove, nei diversi Paesi.

Per questo riteniamo di sottolineare ancora una volta il valore dell'iscrizione al Partito dei parlamentari, della loro presenza in questo Congresso e del contributo che vorranno fornire al nostro dibattito.

E' altresì evidente che l'interesse suscitato dal »progetto e dalla nostra iniziativa si concentra nei Paesi del Centro e dell'Est europeo.

Le ragioni a me paiono evidenti e rispondono, ancora una volta, alla peculiare validità delle nostre analisi politiche, alle posizioni da anni da noi assunte, alle scelte fatte e all'impiego delle nostre energie e delle nostre risorse.

Con insistenza, anche se non ascoltati, abbiamo a lungo denunciato e sostenuto con forza, la necessità di anteporre all'»Impero sovietico , con maggiore e diversa attenzione, un'azione capace, in nome dei valori democratici e nonviolenti, di favorirne, anticipandola, la caduta: si doveva - a nostro avviso - superare la mera contrapposizione ideologica, copertura di reali interessi tra loro contrapposti, ma anche - in definitiva - espressione di comodi e, perchè no, graditi equilibri.

Non erano denunce, le nostre, sostenute solo da parole, ma anche - per quanto possibile - dalla nostra iniziativa e dalla nostra azione diretta.

3.7. LA NOSTRA AZIONE DIRETTA NEI CONFRONTI DELL'EST EUROPEO, PER

LA COSTRUZIONE DELL'EUROPA POLITICA

Ci siamo fatti arrestare vent'anni fa a Sofia, alcuni di noi sono stati espulsi a vita da Praga, arrestati in Turchia, a Mosca, a Varsavia, a Bucarest, a Budapest. Nell'»impero del Male , per vent'anni, abbiamo tentato di informare, di »esportare diritto e democrazia, abbiamo tentato di difendere i diritti dei »refuznik , delle minoranze oppresse dell'Est.

Con la nostra azione, al Parlamento europeo, nei confronti della Jugoslavia, avevamo indicato una strada precorribile, per evitare l'esplodere dei nazionalismi, delle guerre civili. Già nel 1978, Pannella sostenne che le conquiste di autonomia e anche di democrazia, come di convivenza fra una pluralità davvero straordinaria di nazionalità, etnie, culture, che la costituzione jugoslava aveva assicurato ai propri cittadini, si sarebbero alla lunga rivelate insufficienti. Mentre i Governi occidentali - la Francia, la Germania, l'Inghilterra, l'Italia, ad esempio - esaltavano i miti del »non allineamento e dell'»indipendenza nazionale jugoslava, noi, da soli - a Trieste e nel Parlamento italiano, al Parlamento europeo - chiedevamo che quello jugoslavo fosse considerato problema della Comunità europea. Volevamo la Jugoslavia in Europa, nell'Europa politica. Sapevamo - e per questo abbiamo agito - che la salvezza dello Stato, allora federale, jugoslavo, non sarebbe potuta avvenire nel disinteresse della Com

unità europea. La nostra iniziativa politica di tenere a Zagabria il XXXV Congresso del Partito - poi svoltosi a Budapest - si inseriva anche in questo contesto: nel tentativo, che abbiamo perseguito con rigore, di porre al centro dell'attenzione della classe politica e delle opinioni pubbliche europee il problema jugoslavo.

I fatti, la guerra civile tuttora in corso, ci hanno dato ragione. E lo diciamo con profonda tristezza, con grande rammarico. Responsabile la miopia, forse il cinismo dei governanti d'Europa, costretti dalla burocrazia a non fornire risposte, a mantenere situazioni privilegiate, ad essere in qualche modo irresponsabili rispetto alle situazioni di crisi in atto. Ma responsabile è anche - se ce lo consentite - la mancata crescita in Occidente dell'organizzazione transnazionale e transpartitica del Partito Radicale: se avessimo avuto la forza, dall'Occidente, in termini di molte migliaia di iscritti, di parlamentari e cittadini francesi o belgi, inglesi o italiani, avremmo potuto con diversa capacità e autorevolezza, essere »parte attiva ed operante in un momento in cui nel cuore d'Europa si è combattuto e si sono alzate le bandiere dell'odio e della disperazione.

Sapevamo - l'abbiamo detto a Budapest, nell'aprile '89, quando il Partito non si era ancora misurato »sul campo davvero, con le esigenze, le aspirazioni dei popoli, della gente, quando non sapeva quale risposta la sua azione avrebbe avuto in Romania, nell'ex Unione Sovietica, in Ungheria, in Romania, in Cecoslovacchia, nelle Repubbliche e nelle regioni jugoslave. - che la costruzione di un'Europa politica e democratica se era urgente per i Paesi occidentali, sarebbe stata vitale per i Paesi dell'Est europeo. Sapevamo che per l'Est non vi dovesse essere solo un'Europa economica ricca e protezionista, che concepisse i suoi rapporti con i Paesi più poveri dell'Est in termini di sfruttamento della loro manodopera e di conquista dei loro promettenti mercati. Sapevamo che solo un'Europa integrata politicamente, con istituzioni democratiche sovranazionali, dove le istanze sociali ed economiche dei settori e delle regioni più deboli possano farsi valere a livello parlamentare e legislativo, avrebbe potuto gara

ntire un futuro dove si affermi la dialettica e la tolleranza fra i contrapposti interessi.

3.8. LE TRASFORMAZIONI AVVENUTE NEL MONDO E LA REALTA' DEL

»PARTITO NUOVO

Tanto più alla luce delle considerazioni appena svolte, occorre trarre qualche bilancio, valutare il senso delle trasformazioni avvenute nel mondo, che così profondamente hanno attraversato anche noi. Solo in questo contesto, evidentemente, ha senso esprimere un giudizio sulla risposta che il progetto politico del partito trasnazionale della democrazia, del diritto e della nonviolenza ha incontrato finora, e definire le scelte cui il Congresso è chiamato.

I tre anni trascorsi dal Congresso di Budapest - è così clamorosamente evidente, che si rischia quasi di dimenticarlo come un fatto scontato - sono quelli che separano due epoche radicalmente diverse della storia mondiale. Il Congresso era stato convocato e si è riunito quando ancora il Centro e l'Est europeo costituivano un blocco di dittature comuniste, percorso sì da fremiti e tensioni un tempo inimmaginabili, ma ancora in piedi e all'apparenza ben saldo. Che fosse possibile proporre e in effetti ottenere di riunire in una delle capitali del socialismo reale un Congresso come quello radicale era di per sè sentito come segno di rottura rivoluzionaria, prefigurazione e annuncio di una nuova storia, che tuttavia quasi non si osava neppure sperare.

Costituendosi in soggetto trasnazionale proprio lì, nella Budapest comunista, in una sala arredata dal figlio di Rajik, il Partito nonviolento dei diritti e delle libertà si proponeva come luogo di organizzazione politica di coloro che, sopra e attraverso le frontiere, e in particolare quelle che separavano Est e Ovest, intendevano impegnare battaglia politica per conquistare, contro le dittature, democrazia in tutt'Europa, nella prospettiva degli Stati Uniti democratici d'Europa. Il Partito trasnazionale, nato e radicato in uno dei Paesi occidentali, rappresentato al Parlamento europeo, e che suscitava interesse tra i gruppi democratici clandestini dell'Est, voleva e forse poteva essere il tramite attraverso il quale le lotte nonviolente per la democrazia contro le dittature dell'Est traessero - anche dall'Ovest - alimento politico, risonanza, prestigio. Fu in questa prospettiva, in presenza dei primi riscontri tra democratici dei Paesi comunisti, e con l'idea di nutrire in modo specifico e precipuo di

questa battaglia il costituirsi del nuovo Partito trasnazionale, che maturò al Congresso di Budapest l'idea di concentrare prioritariamente nei Paesi dell'Est e del Centro europeo l'impegno radicale: con l'intento di contribuire a porre in una dimensione trasnazionale e di federalismo europeo la battaglia per conquistare democrazia nell'universo del socialismo reale. Ma che si fosse alla vigilia del crollo così repentino di quell'universo nessuno lo immaginava; nemmeno noi, naturalmente, che pure in qualche modo ancora una volta avevamo anticipato emblematicamente gli sviluppi che si preparavano.

In un arco di tempo brevissimo e tumultuoso, ogni elemento della situazione è mutato radicalmente. I termini, i concetti stessi con cui ciascuno di noi era abituato a interpretare le realtà politiche sono diventati in molti casi privi di senso o hanno acquistato significati nuovi di cui spesso si fatica a rendersi conto. E basti solo evocare che cosa comporti la fine della contrapposizione Est-Ovest, democrazia-comunismo, che era il fondamento, la premessa inespressa di ogni equilibrio, di ogni ragionamento, dei più radicati istinti e riflessi politici. Non solo, si badi, nell'ambito della politica estera e internazionale. Altro, d'un tratto, è diventato il significato stesso della battaglia federalista europea, che per decenni era per forza di cose rimasta una proposta di articolazione dell'Occidente nel suo confronto con il blocco sovietico. O, su un piano tutto diverso, si è dissolta l'egemonia culturale su tanta parte delle forze di sinistra nel mondo di quelle componenti - con le quali così duro

e difficile è stato sempre il nostro rapporto - che rifiutavano e irridevano il primato delle idee di diritto della persona e di democrazia politica.

Non posso evidentemente sviluppare un discorso che porterebbe troppo lontano, e al quale debbo limitarmi ad accennare. Osserverò solo che, anche per quel che riguarda l'impresa ardua cui ci eravamo appena accinti,la costruzione del Partito trasnazionale, la grande trasformazione, implicava mutamenti profondi e di vario segno.

Da una parte, lo si può ben dire, gli sviluppi che il mondo conosceva erano lì a darci storicamente ragione: circa quello che da sempre avevamo detto e fatto nei confronti della cultura, dell'esperienza e della politica comunista; circa il valore, anche nei Paesi del Terzo Mondo, e rispetto alle lotte di liberazione e alle rivoluzioni più o meno progressiste, dei valori di democrazia politica e di nonviolenza; circa la proposta federalista e di politica sovranazionale.

Fino a che punto, però, eravamo in condizione di far valere questo nostro aver avuto ragione, facendone un dato di crescita politica effettiva? Evidentemente, per effetto del crollo dei regimi comunisti, le ipotesi che si erano potute avanzare relativamente al ruolo possibile del PR transnazionale fra Est e Ovest e nell'ambito della lotta democratica contro la dittatura, dovevano risultare presto superate dai fatti. Non si trattava più di aggiungere una componente di respiro e rappresentanza transnazionale, innanzitutto nella tribuna del Parlamento europeo, a lotte clandestine o illegali di opposizione antitotalitaria; ciò che le forze parlamentari dei radicali, a Bruxelles e a Roma, sarebbero state presumibilmente già in grado di fare con un grado di efficacia quanto meno adeguato a dare evidenza, credibilità e visibilità al tentativo di creare la nuova formazione politica trasnazionale. Ora, la necessità sarebbe stata quella di partecipare a indirizzare e governare, nella necessaria dimensione trasna

zionale ed europea, la transizione democratica; giacchè - e a noi questo era apparso subito evidente - per evitare i pericoli tremendi che recava con sè un processo di liberazione caotico in Paesi in ogni senso devastati da tanti anni di oppressione e malgoverno comunisti, era indispensabile che l'Europa occidentale ritrovasse se stessa, il proprio senso di collettiva responsabilità politica, e comprendesse che un comune, vitale interesse, imponeva di trovare le strade per governare insieme, democrazie dell'Ovest e dell'Est, in una prospettiva federalista, come generale questione europea, la trasformazione democratica del mondo ex-comunista. Ma perchè noi potessimo giocare un ruolo significativo in questo senso sarebbe stato necessario avere presenza e credibilità ben maggiore di quella, necessariamente appena iniziale, che era la nostra, nei Paesi di nuova democrazia; ma soprattutto - e i due aspetti, ovviamente, erano connessi strettamente - sarebbe stato necessario che la nostra capacità di incidere sui

luoghi del potere in Occidente fosse stata maggiore di quella che in realtà era, tale cioè da consentirci di spingere le forze politiche dirigenti dell'Europa comunitaria ad assumere le responsabilità storiche che la trasformazione in corso ad Est ponevano davanti a loro.

Se a questo si aggiunge la circostanza che ho già ricordato - cioè che per risanare la situazione finanziaria del Partito è stato necessario traversare un lungo periodo di sostanziale sospensione delle attività - ben si intendono i limiti entro cui ha potuto svilupparsi la nostra azione politica. In queste condizioni, in effetti, non era probabilmente possibile fare altro che quello che abbiamo scelto di fare: utilizzare le energie di cui potevamo disporre per far conoscere il nostro appello a unirsi a noi nel tentativo di dar corpo al Partito trasnazionale, a costruire con noi le condizioni minime per fare di esso un effettivo soggetto di lotta politica; mentre, dove e quando ci era possibile, cercavamo di assumere iniziative che quanto meno prefigurassero, facessero intendere quale può diventare il ruolo di un Partito Radicale trasnazionale.

Da questi limiti occorre peraltro ormai uscire; valutando i termini, il senso e e le potenzialità delle risposte che abbiamo ottenuto, da un lato, e dall'altro facendo i conti con le sfide politiche rispetto alle quali il progetto di Partito transnazionale è chiamato a dare la misura della propria validità.

3.9. LA RISPOSTA ALLA PROPOSTA RADICALE DELLE DEMOCRAZIE

POST-COMUNISTE.

Il dato di partenza per noi, da questo punto di vista, è che - come già prima dicevamo - il Partito Radicale è diventato davvero una realtà trasnazionale; una realtà che come tale, tuttavia, fuori dall'Italia si è sviluppata in modo significativo - in alcuni casi molto significativo, se si guarda alla qualità e autorevolezza delle adesioni che abbiamo avuto - solo in Paesi appena usciti dalla dittatura, e non in quelli dell'Occidente più avanzato.

Le più immediate e ovvie spiegazioni di questa differenza stanno, evidentemente, in primo luogo nella tanto più intensa »fame di idee e proposte nuove che anima i Paesi ex-comunisti rispetto a quelli relativamente assestati e tranquilli dell'Occidente e nel fatto che, pur nei termini appena ricordati, è stato soprattutto nei Paesi del Centro e dell'Est europeo che si è sviluppata l'iniziativa per promuovere iscrizioni.

Ma non ci si può fermare a queste prime considerazioni elementari. Per certi versi, infatti, la diversità nelle risposte all'appello radicale può esser letta come uno specchio dell'attuale stagione della storia d'Europa.

Nell'Europa del Centro e dell'Est, la proposta radicale di costruire, su base trasnazionale e sovranazionale, politica e istituzioni a tutela dei diritti della persona, suona come sfida diretta di speranza sul terreno stesso del tremendo intrigo di problemi lasciato in retaggio dal crollo del comunismo. Significa infatti misurarsi con il grande fatto nuovo - che in tanti sensi pare resuscitare l'antico - costituito dall'irrompere in primo piano, fino a dominare di nuovo la scena, del fattore nazionale ed etnico; il fatto che in sè quasi riassume i termini della tragedia comunista. Non c'è dubbio: la tensione così forte sulla rivendicazione del diritto all'identità nazionale costituisce una risposta di liberazione da un sistema di brutale oppressione imperial-colonialista, in buona parte anche di oppressione nazionale; di qui trae la sua necessità e legittimità morale e politica. Per contro, il modo stesso in cui si sviluppa questo apparente ritorno al passato, agli Stati nazionali e al primato dei val

ori nazionali, mostra come i tempi siano irrevocabilmente cambiati. I conflitti tremendi che investono o che minacciano tanti popoli del mondo ex-comunista, l'impossibilità di risolverli senza ricorrere a elementi di un superiore »ordine sovranazionale, la necessità di un grandioso impegno internazionale per governare in qualche modo la crisi economica dell'area ex-comunista, o per impedire il moltiplicarsi di pericoli per il mondo (vedi per tutte la questione della disseminazione atomica): questi, ed altri elementi, dimostrano la drammatica inadeguatezza della dimensione dello Stato nazionale rispetto ai problemi del nostro tempo. Pesa su questo scenario, però, la maledizione dell'eredità dell'»internazionalismo proletario comunista e sovietico: per quanto fosse nei fatti la negazione dei valori e delle idealità internazionaliste e federaliste, il sistema di potere comunista legittimava se stesso proprio richiamandosi a quei principi, in URSS, nei Paesi del Patto di Varsavia e in Jugoslavia. Questo, va d

a sé, rende improponibile qualsiasi riproposizione dei motivi di sovranazionalità e federalismo che non tenga conto delle insopprimibili esigenze di liberazione nazionale e che non sia di netta rottura con il passato.

E' su questo sfondo che assume tutto il suo valore la risposta che alla proposta radicale giunge dalle nuove democrazie post-comuniste e, in particolare, da settori così significativi dei loro gruppi politici dirigenti. E' il segno di quanto almeno alcune parti delle opinioni pubbliche e delle classi politiche in quei Paesi avvertano il bisogno di costruire il nuovo ordine evitando i pericoli di un ritorno tout-court ai limiti antichi degli Stati e delle contrapposizioni nazionali, con i rischi di conflitti etnici, di involuzioni autoritarie, nazionaliste, magari razziste, con i pericoli foschi di guerre che un tale ritorno può comportare, e che in effetti già incombono sul presente e sul futuro.

La disponibilità in quel contesto all'ipotesi radicale mi pare nascere dalla consapevolezza che è necessario e possibile offrire ai problemi della trasformazione una risposta che sia anche sovrannazionale e trasnazionale; a condizione, certo, di non ripercorrere in alcun modo le strade dell'»internazionalismo e del »federalismo sovietici del passato.

L'idea-forza cui ispirarsi in questo senso non può non essere proprio quella, sostenuta dal PR, della creazione di leggi e istituzioni a livello sovrannazionale ed europeo che tutelino i diritti della persona al di sopra delle singole sovranità e istituzioni nazionali, nell'ottica di un federalismo europeo inteso come elemento per la creazione di un ordine democratico e di diritto sovrannazionale, nel cui ambito possa così pienamente esplicarsi anche il diritto di ciascuno all'identità nazionale.

Idea-forza che, per l'appunto, non rischia di essere dipinta come mirante a ristabilire - sotto il velo di obiettivi federalisti e internazionalisti - la defunta URSS o la ex-Jugoslavia, con il relativo predominio delle nazionalità egemoni, anche e soprattutto per una ragione. Si tratta, infatti, di un'ipotesi non relativa solo ai Paesi dell'ex-URSS o del solo mondo ex-comunista, ma rivolta anche ai Paesi dell'Occidente, in particolare a quelli europei. Non nel senso che essa postuli l'idea, evidentemente oggi ben poco realistica, di un ingresso immediato degli Stati dell'ex-URSS nella Comunità europea, ma in quanto prospetta comunque la partecipazione - in nome, se non altro, di un solidale, mutuo interesse a evitare che si scateni il caos - sia della Comunità europea che degli Stati ex-comunisti, ad un comune sistema sovrannazionale e transnazionale di istituzioni e garanzie di democrazia e diritto, dal quale possa poi sorgere, intorno al nucleo originario della CEE, il sistema degli Stati Uniti d'Eu

ropa.

3.10.LE RESPONSABILITA' DEGLI EUROPEI OCCIDENTALI, DEGLI STATI, DELLA COMUNITA' EUROPEA, DELLE FORZE DEMOCRATICHE, DEI

FEDERALISTI EUROPEI.

In questo senso, veramente, l'attenzione per il PR nel mondo ex-comunista è segno e specchio della grande sfida lì in corso: quella a non lasciarsi rinchiudere nell'alternativa disperata fra la vecchia »prigione dei popoli sovietica ed un incontrastato ritorno al primato assoluto del fatto nazionale e dello stato nazionale, ossia al trionfo del tribalismo nella sfera politica. Sfida che però - per le ragioni che ho appena ricordato

- non si può pensare sia solo un fatto »interno a quei Paesi. Investe, come tale, le responsabilità degli europei occidentali: degli Stati, della Comunità europea, delle forze democratiche, di coloro che si dicono federalisti europei. Richiede un loro coinvolgimento; come, in altro senso, richiede un coinvolgimento dell'Occidente economicamente avanzato lo sforzo per evitare che la crisi economica ad Est vi travolga, insieme, la speranza democratica e quella di assicurare la governabilità del mondo.

In qualche modo, a questa stregua, la presenza stessa nel PR di cittadini del mondo ex-comunista costituisce una »provocazione nei confronti degli europei occidentali: provocazione ad assumere consapevolezza delle responsabilità che su di loro gravano, e da cui non li esime il fingere di ignorarle. Per contro, l'esiguità delle risposte che fino ad ora l'appello radicale ha incontrato in Europa occidentale, al di fuori del caso particolare dell'Italia, è emblematica delle attitudini con cui questa parte del mondo vive il periodo cruciale di trasformazione che stiamo attraversando.

Quel che nell'insieme più caratterizza l'atteggiamento dell'Europa occidentale, in effetti, è la fuga dalle responsabilità. Non è una novità, certo; semmai, anzi, la conferma di uno dei dati di fondo della vita europea dell'ultimo cinquantennio. Obbligata o no, consapevole o no, questa, infatti, era stata la scelta sostanziale dell'Europa al termine della seconda guerra mondiale, cioè dopo che le due guerre civili europee del 1914-18 e del 1939-45 avevano distrutto il suo antico dominio sul mondo: di delegare alle superpotenze, agli USA per quanto riguardava l'Europa occidentale, ogni responsabilità politica di governo del mondo, accettando per sè una condizione di permanente minorità politica. A questa scelta l'Europa si è poi sempre variamente attenuta, lungo i decenni. Lo svolgimento e gli sviluppi di questa grande opzione trovano la loro sintesi emblematica e i loro momenti decisivi nella storia della costruzione europea: dalla caduta, con il fallimento della CED, del tentativo di dar vita ad un'E

uropa politica che sarebbe stata necessariamente co-protagonista della politica mondiale, all'opzione di realizzare un'Europa solo economico-commerciale, senza valenze politiche.

Lo sconvolgimento generale determinato dal crollo del comunismo e dalla scomparsa della potenza sovietica non solo ha creato le condizioni per cui questo stato di cose potesse mutare, ma piuttosto ha posto la necessità di un tale mutamento. Era nell'equilibrio bipolare che aveva senso la rinuncia dell'Europa alla politica. La fine di quell'equilibrio ha comportato anche la fine delle »regole , delle certezze, delle garanzie di sicurezza che a suo modo esso assicurava. Gli USA, unica superpotenza, non possono comunque bastare, da soli, a esercitare una funzione di »governo del mondo (a prescindere, qui, dai contenuti della loro politica). I pericoli, le occasioni e le tentazioni di guerra, non per nulla, si moltiplicano. E' evidente quanta necessità vi sarebbe oggi di un'Europa politica, che fosse in condizione e che avesse la volontà di concorrere responsabilmente a costruire un ordine di sicurezza e di diritto per tutti, magari partecipando a una ridefinizione del ruolo e della natura dell'ONU o di

una struttura come la CSCE. GIà basterebbero gli avvenimenti della ex-Jugoslavia, testimonianza di come sia ormai diventata una possibilità e una minaccia concreta la guerra anche in Europa, a dimostrare quanto impellente questo bisogno sia.

Eppure, di questa nuova realtà e di questa nuova necessità non si è concretamente presa coscienza in Europa. Continuano a dominare i retaggi antichi dell'abitudine a ragionare ciascuno sulla misura e nell'ambito del proprio stato nazionale, coniugati con le attitudini, i riflessi consolidatisi nel cinquantennio di »delega della politica all'America. Il »problema Europa è sì diventato in molti Paesi una questione politica centrale, ma non ci si misura e ci si scontra sui nuovi compiti dell'Europa, bensì su quel che significherà per ciascuno dei Paesi della Comunità la nuova realtà economica configurata a Maastricht. Di più, in molti casi, le ansie, le perdite di certezze - magari di fronte alla realtà dell'immigrazione - si traducono in chiusure, in richiami a egoismi sostanzialmente tribali (vedi il dilagare dei tanti lepenismi), che sono il preciso contrario delle spinte alle assunzioni di responsabilità che invece occorrerebbero. Del resto, il riflesso politico più evidente di questa realtà è stato

da un lato l'incapacità dell'Europa occidentale ad assumere un ruolo significativo nelle vicende est-europee, per evitare che la straordinaria, irripetibile occasione del crollo del comunismo si risolvesse in un disastro per tutti; dall'altro il modo in cui si è sviluppato il processo di integrazione europeo, con l'esito di Maastricht e con il confronto politico successivo di cui già ho parlato.

E' su questo sfondo preoccupante e, lo ripeto, come un sintomo di questa realtà, che va interpretata la sordità finora manifestatasi in questa parte d'Europa per la proposta transnazionale del Partito Radicale. Ma proprio per questo, è evidente di contro come sia invece essenziale assicurare anche qui una presenza, una crescita e un radicamento del nuovo soggetto politico trasnazionale. Se l'analisi che ho svolto sin qui ha fondamento, infatti, è una necessità vitale per l'Europa occidentale ricevere stimoli che portino la sua opinione pubblica e le sue classi politiche ad un risveglio di consapevolezza e coscienza. Il Partito Radicale transnazionale potrebbe svolgere una funzione di primo piano in questo senso, facendosi strumento, canale, portavoce della »domanda di assunzione di responsabilità che le componenti più consapevoli delle società ex-comuniste indirizzano verso l'Europa occidentale.

D'altro canto, non possiamo illuderci, per le speranze di democrazia transnazionale e sovrannazionale dei radicali, anche di quelli dell'Europa dell'Est, la partita decisiva si gioca in gran parte in Occidente, dove vi è la forza economica.

Analogo discorso vale per l'Africa, dove parimenti è in gioco una straordinaria possibilità di trasformazione democratica che ha bisogno di sostegno fuori dall'Africa per non venire vanificata. Nei Paesi del Sahel, ad esempio, si deve combattere per l'esistenza stessa delle istituzioni. Come avvenuto in gran parte dei Paesi dell'Est, il sistema pluripartitico ha prodotto il moltiplicarsi di partiti politici. Sarebbe necessario accentuare la nostra presenza, nei rapporti con le altre organizzazioni politiche e la stampa, per vincere l'intolleranza, il settarismo, per affermare nuovi diritti e nuove libertà anche nella società africana.

Torniamo all'Occidente: è indubbio che persone e forze sensibili aalla proposta transnazionale esistano, siano pure per ora solo delle minoranze, nei cui confronti dobbiamo trovare modi di rivolgerci più efficaci di quelli che abbiamo sperimentato sin qui.

L'idea che su questo piano mi sento di avanzare al Congresso è che nei prossimi mesi nel PR, con il PR, attraverso il PR, giunga, dai radicali e dai democratici dell'Europa ex-comunista l'invito a incontrarsi e a organizzarsi rivolto a coloro che nell'Europa occidentale, e in primo luogo nelle sue classi politiche, sentono di doversi assumere delle responsabilità rispetto alle sorti della democrazia nell'Europa del Centro e dell'Est. Il primo appuntamento potrebbe essere un convegno su questo tema, da organizzare magari a Mosca, con la partecipazione di parlamentari ed esponenti politici dell'Est e dell'Ovest. Sarebbe questo il modo di dare concretezza e immediata finalità politica all'organizzarsi nel PR di coloro che già hanno compiuto questa scelta nei Paesi ex-comunisti e, forse, anche il modo per rendere più evidente - agli occhi di quanti riusciamo a raggiungere in Occidente - il significato ed il valore della proposta di un Partito trasnazionale e transpartitico, nonché il senso della nostra p

rospettiva federalista.

4.1. IL RAPPORTO DEL PARTITO CON LA SITUAZIONE ITALIANA.

Il quadro delineato con questa relazione non sarebbe completo senza prendere in considerazione - rapidamente, ma con attenzione, anche l'impatto del »progetto politico sul rapporto del Partito con la situazione italiana.

Già in altre occasioni abbiamo richiamato questo rapporto, per sottolinearne le connessioni ed i condizionamenti con e sul tentativo di avviare e sviluppare il processo di costituzione del »Partito Nuovo , del Partito transnazionale e transpartitico.

Tra l'altro, abbiamo precisato che il processo di costituzione avrebbe necessariamente posto in discussione »oggettivamente , nel suo insieme, il gruppo dirigente che ha gestito e condotto il Partito lungo tutto il percorso precedente, che l'essere transpartito è »condizione preliminare , da conquistare in Italia e che una tale conquista è da porre in relazione alla situazione politica italiana ed all'esigenza di contribuire attivamente alla riforma del sistema dei partiti, della »partitocrazia .

A queste premesse sono infatti direttamente collegate le iniziative, i tentativi e le esperienze »consumate con le elezioni europee del 1989 e, successivamente, con quelle amministrative del 1990, per giungere a quanto è avvenuto in occasione delle elezioni politiche che si sono tenute il 5 e il 6 aprile scorso.

A questo proposito è sufficiente ricordare le iniziative assunte da nostri iscritti, esponenti tra i più autorevoli del Partito: i »Verdi Arcobaleno , la »Lista Antiproibizionista , l'inserimento nel Partito Socialdemocratico, il tentativo di costituire la »Federazione Laica , le Liste »Nathan , »verdi, laiche, civiche, antiproibizioniste e, da ultimo, la »Lista Referendaria e la »Lista Pannella .

Si tratta di un percorso complesso e articolato, che - secondo le indicazioni espresse anche dal Consiglio Federale - ha avuto per protagonisti grande parte dei componenti il »gruppo dirigente , non il Partito »in quanto tale , che si è limitato a svolgere una funzione di »servizio .

Sono altre le sedi per un eventuale approfondimento di queste iniziative che - questo sì è bene anche qui ricordarlo - non sono state irrilevanti sull'evoluzione del processo di crisi del sistema politico in Italia e sui possibili riflessi sul rischio dell'estendersi e consolidarsi della »democrazia reale in e ad altri Paesi.

In questa sede ci riguardano solo alcuni richiami agli effetti di questo processo sul Partito e sul suo progetto politico.

In particolare tre sono i riferimenti di rilievo: i »Congressi italiani , l'iniziativa nei confronti dell'allora Partito Comunista, ora Partito Democratico della Sinistra e la »Campagna per la raccolta delle firme per i nove referendum .

4.2. I »CONGRESSI ITALIANI .

I »Congressi italiani sono stati occasioni promosse e organizzate dal Partito per consentire l'incontro degli iscritti in Italia.

In tre anni se ne sono tenuti quattro, il primo subito dopo Budapest, a Rimini, in vista delle elezioni europee, mentre il secondo, il terzo e il quarto si sono tenuti a Roma.

Il secondo, nel gennaio 1990, si proponeva anche come sede di verifica dell'iniziativa assunta nei confronti dei compagni dell'allora Partito Comunista; il terzo, nel febbraio del 1991, è stato l'occasione per la presentazione e l'illustrazione del »progetto politico del Partito; il quarto si è svolto nel gennaio 1992, in concomitanza con la presentazione alla Corte Costituzionale delle circa 700.000 firme raccolte sui due referendum da noi direttamente promossi - quello per l'abolizione del finanziamento pubblico e quello per l'abrogazione di alcune norme della legge Jervolino-Vassalli sulle droghe - per la »campagna sui nove referendum .

Si tratta di incontri promossi non per prendere decisioni, poichè non ne potevano essere la sede, ma per consentire ai radicali italiani di esprimere e dibattere le proprie opinioni in momenti di particolare interesse politico e al Partito di mantenere e alimentare il rapporto con la situzione italiana, al cui peso il Partito non ha potuto nè, peraltro, voluto sottrarsi, consapevole della sua importanza.

E' inutile nasconderci che questo rapporto, essenziale anche per la connessione tuttora ineliminabile con il dato economico e finanziario, ha rappresentato e rappresenta la componente nella quale e sulla quale è venuto a »consumarsi il »segmento di teoria della prassi richiamato all'inizio di questa relazione e nella quale e sulla quale, più direttamente e non senza traumi dolorosi e costosi, ha pesato la »rottura col passato e la difficoltà per il Partito di »aprire e dar vita ad una nuova e diversa esperienza .

Nelle relazioni fatte ai Congressi ed ai Consigli Federali, abbiamo sottolineato più volte la consapevolezza che la rifondazione, la costruzione del »nuovo , non poteva realizzarsi se non al prezzo di un reale e profondo sconvolgimento del preesistente, senza scomporre il corpo del Partito ed attraversare la coscienza, i sentimenti di ciascuno, nonchè interessi personali e legittimi di molti di coloro che, con sacrificio e dedizione, avevano contribuito a dar vita e vitalità a momenti di storia così importanti, alle volte meravigliosi ed esaltanti per tutti noi. A tutti, non senza un mio diretto riferimento personale, va il più profondo, sincero ringraziamento.

4.3. L'INIZIATIVA NEI CONFRONTI DEL PCI, ORA PARTITO DEMOCRATICO

DELLA SINISTRA

L'iniziativa politica nei confronti dell'ex PCI ha inizio sin dal Congresso di Budapest - dove interviene Fabio Mussi, della direzione del Partito - e trova il suo momento più importante nella presenza e nell'intervento del Segretario, allora del PCI, Achille Occhetto, al nostro Consiglio Federale, a Roma, nel gennaio del '90.

Infatti, nella mozione conclusiva, la proposta e la richiesta dal Consiglio Federale sono rivolte direttamente anche e soprattutto, in quella circostanza, agli iscritti ed ai dirigenti del Partito Comunista Italiano, che, proprio in quelle settimane, esprimevano e manifestavano la volontà politica di un proprio rinnovamento, capace di aprirsi »ad altri , per divenire fattore di aggregazione e di forza democratica per la riforma del sistema politico in Italia.

E' con profondo rammarico che dobbiamo oggi prendere atto, da un lato, dell'incapacità dimostrata dai compagni, allora comunisti, di dare seguito effettivo e concreto a quei loro propositi; dall'altro di non aver saputo e voluto cogliere l'opportunità da noi offerta fin dall'incontro tra i segretari dei due partiti, nel maggio dell''89, prima del »crollo del muro e dell'impero . Opportunità, per il vero, più volte da noi riproposta, con la richiesta di rispettare l'impegno assunto dai loro dirigenti di verificare le possibilità e i termini di un lavoro comune in una riunione ad alto livello tra delegazioni di partito, riunione che è stata ogni volta confermata, ma che mai è stato possibile tenere.

La nostra sollecitazione, la proposta che avanzavamo ai compagni, allora, del PCI, era che fossero loro, per superare e risolvere la crisi del loro Partito, a farsi promotori in Italia di una vera e propria »costituente , ove dar vita ad una nuova forza politica »nazionale , al »partito democratico . Un nuovo Partito forte della volontà di rinnovamento politico, di »voglia di democrazia piena, nonviolenta, loro e di tanti altri cittadini che avevano lottato e sperato nella »sinistra tradizionale o in altri partiti o formazioni di democrazia laica e socialista. Un Partito capace di divenire quello »strumento di azione e lotta politica che è indispensabile per rompere il »regime partitocratico , di aprire al Paese una concreta ed effettiva alternativa per la riforma del sistema politico.

Da parte nostra mettevamo a disposizione il nostro »strumento , il Partito Radicale, transnazionale e transpartitico, federalista europeo, come mezzo per una azione di rilancio anche loro, in ambito internazionale.

Offrivamo loro di »occuparlo , con la iscrizione, in migliaia, ad una forza politica inequivocabilmente non più concorrente in ambito nazionale e non solo elettorale, ad una forza non solo »altra dal sistema partitocratico in Italia, ma che si proponeva cone »alternativa anche per e in quei Paesi da poco sfuggiti al dominio del »socialismo reale

Avete già perso molto tempo, compagni e amici del Partito Democratico della Sinistra, noi ci possiamo solo augurare che non sia troppo, che non sia già tardi, che l'occasione che vi è stata offerta dal nostro tempo non sia ormai irrimediabilmente perduta.

Per noi le possibilità sono tuttora aperte, ancora oggi vi chiediamo di sederci attorno ad un tavolo per esaminare e discutere la possibilità di intraprendere, con noi e con altri, iniziative capaci - e ve ne sono - di riforma e rinnovamento non solo in Italia.

4.4. LA CAMPAGNA REFERENDARIA IN ITALIA

Nel Consiglio Federale di Roma del settembre del '91 veniva preannunciata - e poi illustrata a Zagabria - la decisione del Partito di prendere parte direttamente, in Italia, alla »Campagna per i nove referendum contro il sistema partitocratico e per la riforma di quello elettorale.

La decisione sorge dalla consapevolezza della necessità di consolidare ed accrescere, in Italia, l'apporto al progetto politico e allo sforzo per tentare la costituzione del »Partito Nuovo .

In questo senso deve essere »letta la campagna del Partito, in Italia, per la raccolta delle firme sui nove referendum, nonché la scelta fatta di scendere in campo con determinazione, e non come mera forza di legittimazione e di sostegno all'opera altrui, tenuto anche conto del fatto che quest'opera, in buona parte, è stata rafforzata, ed in alcuni casi promossa ed animata, da alcuni di noi, da alcuni compagni radicali (anche radicali), molto autorevoli e di grande prestigio.

Due sono stati i referendum promossi direttamente dal PR, quello sull'abolizione del finanziamento dello Stato ai partiti rappresentati in Parlamento e quello sull'abolizione di alcuni articoli della cosiddetta »legge sulla droga (in particolare di quelli che negano al medico il diritto di intervenire secondo la propria coscienza e competenza), legge di »taglio proibizionista. Non posso non esprimere un grazie profondo ai compagni italiani che hanno contribuito, ancora una volta, con impegno e dedizione straordinari, a far sì che il Partito Radicale sia riuscito a depositare agli inizi di quest'anno oltre 650.000 firme autenticate, sia sul »finanziamento pubblico che sulla »droga , contribuendo anche in misura determinante alla raccolta delle firme per tutti gli altri sette referendum e al successo della campagna nel suo insieme.

Risultato ottenuto nonostante l'ostracismo esercitato, pressocché da tutte le forze politiche e dai mezzi di informazione, nei confronti dei due referendum promossi dal Partito (il Partito Democratico della Sinistra ha appoggiato solo la raccolta delle firme per quello sulla »droga ). Situazione questa, che ha indotto alcuni iscritti ad intraprendere un'azione nonviolenta, il digiuno, per ottenere informazione e rispetto democratico delle regole.

Il successo ottenuto dal Partito con questa campagna è stato, per di più, conseguito senza interrompere o compromettere la prosecuzione del progetto politico con la decisione di porre in atto una seconda struttura che ha operato per la raccolta delle firme, disgiuntamente dalla struttura del Partito preesistente, col risultato di contenere e limitare le inevitabili interferenze sulle attività in atto e, in tal modo, senza procurare disguidi o ritardi sostanziali sullo svolgimento dei nostri programmi.

4.5. LA »DIMENSIONE TRANSPARTITICA

Nel suo assieme, l'iniziativa degli iscritti radicali in Italia ha sempre teso alla riforma del sistema politico, contro il potere partitocratico e gli effetti devastanti di questo regime sulla praticabilità democratica. La vicenda referendaria, con la scadenza del 1993 - che ha avuto nei radicali, con l'apporto diretto del Partito, un ruolo determinante - unita ai risultati elettorali, segna un traguardo essenziale per la lotta per la democrazia, il cui successo costituirebbe un apporto di grande rilevanza per l'impegno politico e l'affermazione del »Partito Nuovo , transnazionale e transpartitico. La lotta per la democrazia resta, comunque, in Italia e ovunque, l'obiettivo, la ragione fondamentale della nostra esistenza, della nostra vita politica.

La condizione »transpartitica , se - da un lato - comporta necessariamente l'inserimento degli iscritti al Partito e dei suoi esponenti cittadini italiani nell'ampio contesto delle forze politiche nazionali, dall'altro richiede l'acquisizione da parte del Partito di nuovi iscritti ed esponenti di altri partiti e forze politiche, in quantità e qualità tali da contribuire validamente alla costituzione dell'altra condizione, quella »transnazionale . Il Partito deve infatti disporre di una rinnovata capacità di valutazione, di direzione e di iniziativa politica, più ampia e diversificata, costituita dalla disponibilità e da un più costante e diretto impegno di iscritti, »vecchi e nuovi .

Questo percorso ha prodotto effetti di rilievo - tutti i parlamentari iscritti non sono stati eletti in »liste radicali, del Partito Radicale , non sono pochi nè privi di capacità ed autorevolezza - ma, allo stato, non si è ancora prodotto, nei fatti, quell'effetto sinergico sulla conduzione e lo sviluppo del progetto, non solo atteso, ma sempre più necessario.

Il rapporto del Partito, del »Partito Nuovo e del suo progetto, con la situazione italiana, costituisce una fase di transizione che, allo stato dei fatti, risulta più lunga e sofferta di quanto, forse, previsto.

E', quindi, oggi soprattutto, un aspetto politico che connota questo rapporto, ancor più rilevante di quanto non sia quello, già così pesante, economico e finanziario.

Peraltro non è da ritenere che i risultati e le positive indicazioni che ci pervengono dalla situazione del Partito in altri Paesi siano tali da consentirci di disattendere e superare l'impatto del Partito col »legame che lo vincola alla situazione italiana.

Al contrario, sono proprio questi risultati e indicazioni che accrescono oggi l'importanza politica dell'impatto.

L'Italia, infatti, costituisce per il Partito la sola »base avanzata , all'interno dell'»Europa dei 12 , di quell'»altra Europa che, via via, il Partito incontra sul proprio cammino e della quale si accinge sempre più nel procedere ad esserne un'espressione viva ed operante. A mio avviso, è da quest'»altra Europa che - nonostante drammatiche e tragiche contraddizioni - ci proviene, sia pure con indicazioni ancora troppo disperse e con presupposti e condizioni politiche inadeguate, la richiesta più pressante e avvertita per l'unità politica degli Stati, dei popoli e delle genti di tutt'Europa.

Ardua è la risposta.

Sta agli iscritti, agli esponenti delle forze politiche di questi Paesi, dare forza e consistenza politica a questa richiesta, perchè il Partito e anzitutto gli iscritti, i parlamentari italiani, possano, con maggiore efficacia, esserne gli interpreti presso il Governo, il Parlamento italiano e quello europeo, l'opinione pubblica, ma, soprattutto, più in generale, sulle altre forze politiche o tra quanti, in esse, sono più consapevoli e disposti a battersi per scongiurare i pericoli esiziali per l'umanità, del disattendere la loro, la nostra richiesta.

5.1. LA VERIFICA DELLA PRATICABILITA' DEL PROGETTO, ALLO STATO,

NON E' ESAURITA, NON E' ANCORA CONCLUSA.

Carissimi,

la mozione approvata a Budapest, a conclusione del 35· Congresso ordinario del Partito, con la previsione dei »poteri statutari al Primo Segretario, al Tesoriere e ai Presidenti del Partito e del Consiglio Federale (i »4 , come si è poi venuti a dire), ha posto come fondamento di questa »condizione straordinaria per la conduzione del Partito, un unico obiettivo politico: la costituzione del »Partito Nuovo , del Partito transnazionale e transpartitico.

Il Congresso, con tale decisione, ha voluto precludere ogni altra possibile alternativa o soluzione politica, compresa quella della chiusura del Partito. La mozione considera, infatti, la chiusura solo come possibile, probabile evento imposto - né scelto, né accettato - solo come termine, inevitabile ed obbligato, di un percorso teso, in tutto e per tutto, a determinare condizioni politiche e organizzative atte a rendere fattibile quell'unico obiettivo.

La costituzione del Partito transnazionale e transpartitico è la sola scelta che il Congresso rende possibile e lecita al fine di assicurarne l'esistenza e la vita. E' l'unica via praticabile per gli organi del Partito.

Il »Partito Nuovo , il Partito transnazionale e transpartitico è stato, quindi, il solo obiettivo del Partito Radicale in questi tre anni, il solo nostro obiettivo.

Vi abbiamo esposto il percorso compiuto per conseguirlo o, quantomeno, per tentare di verificarne la praticabilità. Individuare, cioè, i presupposti operativi, di iniziativa e di azione politica indispensabili per realizzarlo, valutarne la consistenza e la fattibilità mediante la definizione e la realizzazione di un progetto.

Dalla nostra esposizione, riteniamo emerga una conclusione: la verifica di praticabilità - allo stato - non è esaurita, non si è ancora conclusa.

I risultati ottenuti, le condizioni politiche e organizzative realizzate, le energie, le capacità e le risorse disponibili non ci consentono di affermare, oggi, che siano acquisiti i presupposti indispensabili per poter conseguire l'obiettivo, convinti, ragionevolmente, di poter assicurare non solo la vita, ma anche la vitalità del Partito.

Abbiamo, è vero, acquisito significative ed importanti conferme della validità della scelta fatta, con in più elementi di fatto che ne pongono in evidenza la rispondenza reale alle esigenze del nostro tempo, nonché l'effettiva potenzialità.

Dobbiamo, tuttavia, anche riconoscere l'inadeguatezza delle energie e delle capacità politiche personali e complessive, finora acquisite, la difficoltà di rendere compatibili i tempi del processo organizzativo e operativo con i tempi e le urgenze dell'iniziativa politica, infine, l'insufficienza delle risorse, che ripropongono condizioni economiche e finanziarie molto lontane da quelle necessarie.

5.2. LE RISORSE INVESTITE NEL »PROGETTO POLITICO .

Care amiche, cari amici, compagni e compagne,

dal rendiconto economico e finanziario che vi sottoporrà il Tesoriere, si evidenzia un elemento di valore politico - a mio avviso - maggiore di altri, che pone in risalto, non solo l'entità dello sforzo e dell'impegno da noi dedicato al conseguimento dell'obiettivo, ma che ne chiarisce, ancor più e meglio, la qualità.

Il Partito in meno di un anno ha destinato all'attuzione del suo progetto politico più del 50 % delle proprie risorse finanziarie.

Si tratta di una somma ingente, pur se - forse - ancora inadeguata, ma che corrisponde a tutto ciò di cui potevamo disporre, dopo aver superato la crisi economica e finanziaria, che, con la prospettiva della bancarotta, gravava tra anni fa sul Partito.

Questa somma di denaro è stata interamente impegnata per stabilire un rapporto politico con le forze e i loro esponenti di altri Paesi, primi tra questi quelli del Centro e dell'Est europeo, appena usciti dal dominio e dall'egemonia del »socialismo reale .

L'importo è superiore in proporzione a quanto abbia finora destinato per questi paesi il bilancio di qualsiasi altra »impresa . Ed è danaro - non possiamo dimenticarlo - che proviene pressocché integralmente dal nostro »serbatoio , quello italiano.

Se altri, non solo in campi diversi, avessero già rivolto, con la stessa determinazione e costanza, la loro concreta e operante attenzione in questa direzione, potremmo tutti guardare all'evolversi delle situazioni di questi Paesi con ben diversa speranza e senza il timore che proprio nei loro problemi irrisolti risieda uno dei pericoli maggiori per il futuro dell'Europa e non solo dell'Europa.

5.3. NON SIAMO RIUSCITI AD UTILIZZARE LE RISPOSTE, LE ISCRIZIONI CHE CI SONO PERVENUTE, CHE CI STANNO PERVENENDO.

Tuttavia, proprio dall'impegno e dall'azione da noi rivolti nei confronti di questi Paesi, delle forze politiche e deii loro esponenti, e dai risultati ottenuti, ne viene un dato di preoccupata insoddisfazione.

Non siamo riusciti ad utilizzare, per quanto sarebbe stato necessario, la risposta che ci è pervenuta, che ci sta tuttora pervenendo.

L'iscrizione di un numero così rilevante di parlamentari, di Paesi diversi, appartenenti ad una gamma molto vasta di forze politiche, è, di per sè, un risultato importante, che potrebbe già - fin da ora - costituire una base concreta di quella condizione - la transpartiticità - che sappiamo essere presupposto necessario per dar vita al Partito transnazionale.

Purtroppo noi siamo fermi solo ad un primo contatto, per di più »a distanza , con questi nuovi iscritti.

Il Congresso, questo Congresso, è - per molti di loro - la prima occasione di incontro diretto, personale e collettivo.

Non siamo riusciti, non abbiamo avuto le energie e il tempo di far precedere questo incontro da altre occasioni, da iniziative che consentissero a questi amici di conoscere più e meglio il Partito, la sua storia, i problemi e le difficoltà del nostro lavoro, per chiarire, precisare, avviare e costruire un reciproco, più vivo e diretto rapporto, che, tra l'altro, li avrebbe condotti qui più informati, più consapevoli, più pronti a fornire al Partito quel contributo, quelle richieste, quell'apporto di cui non solo il momento congressuale, ha urgente bisogno.

Anche ai numerosissimi cittadini che hanno scritto, da tanti diversi paesi, esprimendo la loro attenzione e il loro interesse, manifestando le loro speranze e le loro attese, non siamo stati in grado, non abbiamo avuto il tempo di dare un riscontro politico e organizzativo più puntuale, meno sommario e incompleto.

Le ragioni sono obiettive, dovute alle energie e alle capacità, oltre che ai mezzi e alle risorse, di cui oggi il Partito dispone.

5.4. LA NECESSITA' DI NUOVE REGOLE.

A questo proposito un esempio che mi pare significativo: il Partito Nuovo, deve darsi anche regole nuove, tali da soddisfare esigenze che sono diverse da quelle che hanno originato l'attuale nostro statuto.

E' un aspetto - quello dello statuto - che, ovviamente, ci siamo posti, ma al quale non abbiamo saputo e potuto dare una risposta.

Tra le difficoltà incontrate, la mancanza di interlocutori diversi, »altri da quelli che noi siamo, capaci di aiutare un confronto teorico, ma che non può prescindere da altre esperienze, da altre conoscenze, è stata forse quella determinante.

Se avessimo avuto il tempo per avviare il discorso con i nuovi amici e compagni, sono convinto che in loro avremmo già trovato esperienze e conoscenze che ci avrebbero consentito di proporvi principi e ipotesi sufficienti, se non altro, ad avviare, tra noi, il dibattito.

5.5. POSSIBILI OBIETTIVI DI AZIONE POLITICA.

L'IMPORTANZA DEL LAVORO DELLE COMMISSIONI E DEL DIBATTITO

CONGRESSUALE.

Durante questi tre anni - in me, in noi - la convinzione che costituire il »Partito transnazionale è la scelta giusta e necessaria, si è sempre più consolidata, al punto da ritenerla oggi possibile.

Il panorama internazionale lo richiede. I temi, gli argomenti ci sono. Ci sono proposte e sono avviate inziative - ve le abbiamo indicate - che possono, che sarebbero in grado di accrescere e consolidare i rapporti, i riscontri, le risposte, l'apporto di cui disponiamo.

Vi sono già condizioni per poter stabilire modalità e sedi per effettuare incontri con i nuovi iscritti dei Paesi del Centro e dell'Est europeo, per individuare e definire i termini di un'azione più ampia e organizzata che potrebbe portarci a realizzare entro il 1993 importanti iniziative politiche transnazionali, con obiettivi definiti e mirati.

Uno di questi possibili obiettivi - solo per fare un esempio - ce lo eravamo posti lo scorso anno, da realizzare per la Pasqua di quest'anno e vi abbiamo già detto per quali ragioni non è stato possibile realizzarlo. Si tratta della »Lega per l'abolizione della pena di morte nel mondo per il 2000 , che si doveva costituire in occasione di una grande manifestazione da concludersi in piazza San Pietro, qui a Roma. Potremmo proporci di realizzare quest'obiettivo per la Pasqua del prossimo anno.

Un altro esempio, per un possibile obiettivo da realizzare entro il 1993, può essere quello di promuovere a Mosca, o in un' altra capitale del Centro-Est europeo, un'assemblea-incontro ove parlamentari ed esponenti politici dei Paesi occidentali siano chiamati ad esaminare assieme a colleghi di questi Paesi quali iniziative comuni da intraprendere per avviare, nelle rispettive sedi parlamentari, la soluzione dei problemi dal »nazionalismo che si interpongono come limiti al superamento dello stato nazionale ed al processo di integrazione politica nell'ambito di una più ampia comunità sovranazionali.

E' un obiettivo che potrebbe richiamare l'attenzione e l'interesse di quanti, e ve ne sono, anche e soprattutto in Europa Occidentale, a partire dall'Italia, pur impegnati nei partiti nazionali, di governo e di opposizione, sono consapevoli dell'enorme rischio che le attuali divisioni, frammentazioni, contrapposizioni costituiscano per la conquista e l'affermazione delle libertà, in democrazia.

A questo obiettivo potrebbe anche collegarsi il tema della pressione esercitata dai movimenti d'immigrazione verso l'Occidente europeo, non più solo dal sud, ma anche dall'Est europeo.

Il lavoro delle Commissioni e il dibattito congressuale - alimentati e arricchiti da una presenza e una partecipazione così numerosa e autorevole - possono e devono suggerire e formulare altre proposte, fornire ulteriori elementi e indicazioni per sviluppare quelle prospettate o perfezionare l'orientamento e lo sviluppo delle iniziative che sono avviate.

E' indispensabile lo sforzo e l'impegno di tutti - in particolare delle compagne e dei compagni non residenti in Italia - per delineare e definire un confronto tra noi che consenta di stabilire e fissare i termini politici e organizzativi del progetto politico di questo Partito, del nostro Partito.

Traguardo difficile, il realizzarlo, ma non impossibile.

Abbiamo bisogno di tempo.

5.6. LA DISPONIBILITA' ECONOMICA ATTUALE.

LA SITUAZIONE NON IMPONE LA CHIUSURA DEL PARTITO.

C'è un detto dovuto ad antica saggezza: il tempo è danaro.

Oggi, a noi, purtroppo, manca il danaro e così viene meno il tempo necessario.

Conclusi questi lavori - privi come siamo del finanziamento pubblico per la fuoriuscita dalle istituzioni nazionali - potremo disporre al massimo di un miliardo (800.000 dollari). Somma appena sufficiente per assicurare il funzionamento dell'assetto attuale del Partito per altri 4, al massimo 5 mesi, senza però destinare una lira all'iniziativa e all'attività politica.

Giusto il tempo necessario per curare la liquidazione del Partito, assicurandone la conservazione del patrimonio.

Questa è la ragione che ci ha indotti a convocare il Congresso.

Oggi - infatti - questa situazione economica e finanziaria, difficilissima, è, tuttavia, sostanzialmente diversa da quella di cui prendemmo atto a Budapest e che - non lo dimentichiamo - fu all'origine dell'attribuzione dei »pieni poteri congressuali : in quella sede, a Budapest, il problema della conservazione del patrimonio del Partito, non si poneva proprio poiché era - a chiari termini - formalmente inesistente. La consistenza del patrimonio del Partito non era, allora, neppure sufficiente a coprire il passivo del bilancio e - com'è noto - la sola prospettiva era la bancarotta, per di più fraudolenta.

Oggi, la situazione economica e finanziaria se, allo stato, è tale da non consentirci di proseguire nell'attività, tuttavia non incide sul patrimonio, perché non dobbiamo ricorrervi per pareggiare il bilancio.

E' una situazione molto difficile, ma che non impone la chiusura del Partito e che, forse, offre ancora delle possibilità.

Ci troviamo quindi, in una situazione di stallo che, volendo, potremmo stabilizzare costituendo - ad esempio - una fondazione, che, senza più svolgere attività politica diretta, si limiterebbe solo a svolgere attività di supporto.

Potremmo, invece, decidere di liquidare il patrimonio e proseguire nell'iniziativa e nell'azione politica fino al completo esaurimento di queste risorse.

5.7. IL CONGRESSO E' CHIAMATO AD ESPRIMERE UN SUO ORIENTAMENTO.

Di fronte a un quadro e ad una prospettiva politica che sono ricchi di riscontri positivi, con elementi potenziali che meritano, quantomeno, ulteriori verifiche e ad una situazione economica e finanziaria che, per quanto difficile, non impone, allo stato, la chiusura del Partito come unica soluzione, non abbiamo ritenuto politicamente corretto assumerci, noi, da soli, la responsabilità di scelte che - pur legittime - avrebbero comportato decisioni derimenti e risolutive per l'esistenza e la vita del Partito.

Ancora una volta ci troviamo in una situazione difficilissima, ma nella quale - forse - non è impossibile che possano maturare ed intervenire nuovi elementi che ci consentano di guadagnare il tempo che ancora ci serve per poter sciogliere ogni riserva, in un senso o nell'altro.

Ancora una volta è il »serbatoio italiano quello che potrebbe intervenire con la rapidità e la tempestività necessarie.

Il venir meno del finanziamento pubblico per l'assenza del Partito nelle istituzioni in Italia, corrisponde ad una somma che equivale a oltre diecimila quote di iscritti italiani.

E' questo un obiettivo perseguibile con la campagna di iscrizioni per il 1992, tuttora in corso? In quale misura?

Ancora dall'Italia: i risultati delle recenti elezioni sono tali da far ritenere possibile che le forze politiche, alcune tra queste, avvertano finalmente l'importanza, per loro, che il Partito Radicale transnazionale e transpartitico si costituisca e sia posto in grado di operare attivamente e a tal fine, intervengano direttamente con un loro contributo?

E' del tutto da escludere - e questo non riguarda solo l'Italia - che qualche governo o organismo internazionale non possa intervenire con un proprio specifico apporto?

Quale è il periodo di tempo che ci è necessario per poter addivenire ad una valutazione definitiva, quali le attività minime necessarie, quale la somma di danaro indispensabile?

Sono queste le domande che richiedono una risposta, l'orientamento dal Congresso. Oltre a queste risposte sono necessarie quelle indicazioni che rendano più credibile, perchè più preciso e definito, il »progetto politico . Quel »progetto che noi sappiamo potremmo realizzare con l'apporto dei nuovi amici e compagni degli altri Paesi, quelli che qui, già ora, ancora una volta salutiamo e quelli che, giorno per giorno, continuano ad arrivare.

5.8. LA SCELTA TRANSNAZIONALE, OLTRE CHE ESSERE GIUSTA E

NECESSARIA, E' OGGI POSSIBILE.

Dicevo poc'anzi che durante questi tre anni - in me, in noi - la convinzione che costituire il »Partito transnazionale è la scelta giusta e necessaria, si è sempre più consolidata, al punto da ritenerla oggi possibile.

Personalmente sono propenso a ritenere che, qualora noi non riuscissimo in questa impresa, sarebbero altri, molti altri, poi, a realizzarla.

Assisteremmo così, ancora una volta, ad uno sviluppo della vicenda quale più volte si è verificato in passato, quando le nostre proposte, disattese e contrastate, fino a deriderle, sono divenute poi proposte e vanto di chi maggiormente le aveva osteggiate.

Termino questa relazione con un ringraziamento.

E' un ringraziamento molto vivo, profondo e sincero che rivolgo a nome di noi »4 e mio personale a tutti coloro che hanno condiviso con noi questi tre anni di lavoro, duro, intenso e difficile, vissuti operosamente fianco a fianco, spesso in condizioni che potevano apparire impossibili, ma superate con coraggio e determinazione, fonte anche di gioia e di soddisfazione, oltre che - sempre - di grande speranza.

Alcuni sono stati già ricordati per le specifiche attività da loro svolte, ma vi sono altri, il cui apporto, meno direttamente connesso con la presenza esterna del Partito, non è stato certamente meno prezioso o meno determinante: da Maurizio Turco, il vicetesoriere, a Gianni Betto, responsabile del sistema informatico e del tesseramento, da Rita Bernardini ad Alessandra Filograno, da Antonella Casu a Daniela Vacirca, da Luca Frassineti a Riccarda Meloni e Antonella Dentamaro e agli altri che, tutti qui non posso nominare.

A tutti questi compagni, amiche e amici qui riuniti, vada anche il vostro, vivo ed affettuoso, ringraziamento.

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(1) Le traduzioni, l'impaginazione e la stampa del giornale sono state effettuate a Roma, con esclusione di circa 100.000 stampate a Mosca. A partire dal terzo numero, sono state stampate a Roma anche le copie che per i due numeri precedenti erano state stampate a Budapest, in quanto il costo è risultato più conveniente.

L'invio del giornale a tutti i parlamentari ed agli altri destinatari, è stato curato da Roma, con l'apporto delle sedi di Bruxelles, Budapest, Mosca, Praga e Zagabria.

Da Bruxelles, oltre che curare il recapito ai parlamentari dei Paesi dell'Europa occidentale, si è provveduto ad inviare ad altri destinatari 3.000 copie in francese, 3.500 in inglese.

Da Budapest, ove si cura il recapito ai parlamentari bulgari, polacchi, romeni e ungheresi, sono state inviate ad altri destinatari 5.700 copie in ungherese, 1.928 in polacco, 700 in russo, 200 in albanese, 1.900 in ceco, 5.128 in polacco, 4.000 in rumeno.

A Mosca, oltre che del recapito ai parlamentari di tutte le Repubbliche dell'ex Unione Sovietica, si è provveduto all'invio di circa 100.000 copie stampate in loco ad altri destinatari, distribuiti in gran parte del territorio.

Da Praga, infine, si è provveduto al recapito agli eletti nel Parlamento federale e nei due Parlamenti nazionali.

Il sesto numero del giornale è stato inviato a parlamentari e cittadini residenti nei seguenti Paesi:

Albania, Argentina, Australia, Armenia, Austria, Azerbaidzan, Belgio, Bielorussia, Bolivia, Bosnia Herzegovina, Brasile, Bulgaria, Burkina Faso, Canada, Cecoslovacchia, Cile, Colombia, Costa d'Avorio, Costarica, Croazia, Danimarca, Equador, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Georgia, Gibilterra, Gran Bretagna, Grecia, Guatemala, Kazakistan, Kirghistan, Irlanda, Isola di Man, Islanda, Israele, Italia, Lettonia, Libano, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Malta, Messico, Moldavia, Montenegro, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Perù, Polonia, Portogallo, Repubblica Domenicana, Russia, Repubblica San Marino, Romania, Salvador, Senegal, Serbia, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Tagikistan, Tunisia, Turkmenistan, Ucraina, Ungheria, Uruguay, Usa, Uzbekistan, Venezuela.

A questo elenco si aggiungono altri Paesi dell'indirizzario esperantista: Algeria, Benin, Camerun, Cina, Congo, Corea del Sud, Cuba, Egitto, Ghana, Giappone, Guinea Bissau, Haiti, Hong Kong, India, Indonesia, Iran, Madagascar, Malesia, Marocco, Mauritania, Mongolia, Nepal, Nigeria, Pakistan, Singapore, Sri Lanka, Taiwan, Tanzania, Thailandia, Togo, Turchia, Vietnam, Zaire.

La tiratura complessiva del sesto numero del giornale è stata di 173.000 copie stampate in Italia, così suddivise: albanese, 5.000 copie; ceco, 5.000; croato, 9.000; francese, 11.000; inglese, 17.000; italiano, 60.000; polacco, 5.000; portoghese, 5.000; rumeno, 6.000; russo, 8.000; sloveno, 5.000; spagnolo, 9.000; tedesco, 7.000; ungherese, 6.000. A questa tiratura si devono aggiungere le circa 100.000 copie stampate a Mosca.

Assai importante, per la realizzazione del »progetto , è stata dapprima la costituzione della »banca dati dei parlamentari destinatari della pubblicazione (circa 45.000 nominativi) e poi l'acquisizione delle notizie e delle informazioni utili per l'invio e l'aggiornamento dei nominativi (per nuove elezioni, ad esempio). Sono in corso di acquisizione, in queste settimane, i nominativi dei nuovi eletti all'Assemblea Popolare albanese,, in 22 regioni francesi, in 2 regioni tedesche, alla Camera dei Comuni inglese, al Parlamento italiano, in una regione spagnola - per un totale di 3.893 nominativi. Nei mesi maggio e giugno sono previste elezioni per i Parlamenti federale e nazionali cecoslovacchi, in Danimarca, in Israele, in Libano, a Malta, nell'Ecuador, in Romania: un totale di 1.609 nominativi da acquisire ed inserire.

(2) I parlamentari firmatari del Manifesto-Appello sono:

africani, oltre che Lamizana Sangoulè, già Presidente del Burkina Faso; austriaci; belgi, tra cui il Vice Presidente della Camera dei Deputati, Jean Mottard e il Ministro Elie Deworme; canadesi; cecoslovacchi e, tra questi, il Vice Primo Ministro cecoslovacco, Jozef Miklosko, il Presidente del Parlamento Ceco, Dagmar Buresova, mentre il Presidente Havel ci ha comunicato che guarda a quest'iniziativa con grande simpatia, ma in quanto Capo di Stato non può esprimere tale sua opinione attraverso una petizione; croati, tra cui Zdravko Tomac, vice Primo Ministro e il Ministro Vladimir Veselica, entrambi membri del Consiglio Federale del PR, Ivica Percan, Vice Presidente del Parlamento; danesi; finlandesi; francesi, tra cui Michel Dreyfus-Schmidt, Vice Presidente del Senato; greci; inglesi; irlandesi, tra cui Garret Fitzgerald, già Primo Ministro e i ministri Desmond O'Malley e Robert Molloy; israeliani; italiani, tra cui Flaminio Piccoli, Presidente della Commissione Esteri e già Presidente dell'Internazionale De

mocristiana; lettoni, oltre al Ministro degli Esteri Janis Jurkans e al rappresentante del governo a Mosca, Janis Petris; maltesi, tra cui il Ministro Ugo Mifsud Bonnici; norvegesi; olandesi; del Parlamento europeo; polacchi; romeni, tra cui i Vice Presidenti del Senato, Karoly Kiraly e Vasile Mois ed il Ministro dell'Ambiente, Marcian Bleahu; sloveni, tra cui Zoran Thaler, Vice Ministro degli Esteri, membro del Consiglio Federale del PR; statunitensi, oltre che da Mario Cuomo, governatore dello Stato di New York; svedesi; svizzeri; tedeschi, tra cui Gregor Gysi, segretario del Partito Socialdemocratico (SPD); ungheresi, tra cui Rezso Nyers, più volte Ministro, il Ministro Ferenc Jozsef Nagy, mentre il Presidente della Repubblica, Arpad Goncz, ha dato il suo sostegno all'iniziativa, ma non l'adesione, vista la sua carica; dell'ex-Unione Sovietica, tra cui Yuri Afanasev, membro del disciolto Soviet Supremo.

Tra le personalità che hanno sottoscritto l'appello (circa 200 in tutto il mondo): Gore Vidal, Noam Chomsky, Coretta Scott King; i Premi Nobel Abdus Salam, Elie Wiesel e Mairead Corrigan Maguire; Elena Bonner-Sacharova; Antonino Zichichi e Marcello Mastroianni; François Fejtö e Henri Laborit; Clark Ramsey, già Ministro della Giustizia nell'Amministrazione Kennedy; Nick Harman, editorialista dell'»Economist .

 
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