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Chiti Batelli Andrea - 30 aprile 1992
EGEMONIA POLITICA ED EGEMONIA LINGUISTICA
Obiettivi linguistici e strumenti politici per la comunicazione europea e internazionale

di Andrea CHITI BATELLI

SOMMARIO: Documento sull'esperanto predisposto per il 36· Congresso del Partito radicale (Roma, Hotel Ergife, 30 aprile - 3 maggio)

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Prerequisito politico: Il nostro scopo è di dimostrare che gli obiettivi da perseguire nel campo della comunicazione internazionale, a livello sia europeo, sia mondiale, e dei problemi ad essa connessi - di cui parleremo nella Parte II - ammettono un'unica soluzione politica, come chiariremo in questa prima parte.Da qui l'esigenza di una strategia precisa su cui concentrare i nostri sforzi da adesso fino alla fine del secolo, come vedremo nella Parte III.

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Possiamo sinteticamente affermare che la supremazia linguistica è una conseguenza della supremazia politica, esercitata oggi - a favore di un consolidamento della posizione dell'inglese come lingua franca, de facto, europea e mondiale - da quelle nazioni e quei popoli, nei cinque continenti, che parlano questa lingua e, principalmente, dagli Stati Uniti.Di conseguenza, coloro che intendono opporsi a questa tendenza e desiderano l'affermazione di una lingua artificiale neutrale come lingua franca internazionale e, in . particolare, europea, si vedono obbligati - se non vogliono perseguire un obiettivo puramente utopistico - ad adoperarsi per creare un potere politico di dimensioni paragonabili a quelle degli USA: un potere politico che abbia un interesse primario nell'adozione come propria lingua franca di una lingua artificiale quale l'esperanto, poiché solo un idioma di questo tipo consentirebbe a tale potere di confermare la propria indipendenza culturale e politica, preservando al tempo stesso la pluralit

à delle lingue europee (oggi minacciate dalla progressiva espansione dell'inglese), nonché la pluralità delle culture europee, che rischierebbero esse stesse di scomparire se si estinguessero le lingue che le veicolano e che ne rendono possibile la sopravvivenza.II

Il problema linguistico nella comunicazione internazionale: obiettiviAvendo messo in chiaro questo fattore preliminare ed essenziale, soffermiamoci brevemente ad analizzare lo stato attuale della comunicazione internazionale nei suoi aspetti linguistici, i rischi che essa comporta e i rimedi appropriati.In pochi decenni l'esistenza stessa delle lingue europee sarà messa in discussione da un pericolo estremamente serio: l'affermazione progressiva dell'inglese . come lingua franca de facto in tutto il mondo.Il destino delle lingue autoctone europee all'epoca dell'Impero romano, ossia la loro distruzione e sostituzione con il latino, e quello delle lingue dell'America settentrionale e meridionale che, dopo la scoperta del Nuovo Mondo, vennero annientate dallo spagnolo, dal portoghese, dall'inglese e dal francese, non lascia spazio a dubbi. La sola differenza è che, mentre in passato questo processo si è realizzato nel corso di diversi secoli, oggigiorno sarà completato in una o due generazioni, dal momento che

l'inglese può contare non solo sulla forza politica ed economica dei paesi anglofoni, e in particolare degli Stati Uniti, ma anche sulla forza persino più decisiva dei mass media, e in particolare della televisione (e peggio ancora, della televisione via satellite). Una lingua viva non è, infatti, uno strumento neutrale e asettico di comunicazione, bensì l'espressione di uno stile di vita, il Träger di una Weltanschauung; di conseguenza è necessariamente intollerante e tenderà a rimpiazzare tutte le altre Weltanschauungen con la propria.

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La sola risposta razionale a questo pericolo è radicale: introdurre l'uso come lingua franca di una lingua che non abbia il potenziale distruttivo dell'inglese.Il latino perse il proprio potere distruttivo dopo . essere divenuto una lingua morta, ma rimase, attraverso tutto il Medioevo e il Rinascimento, la lingua franca di studiosi e scienziati, dell'élite intellettuale e, non ultima, della Chiesa, senza per questo mettere a repentaglio il francese, il tedesco, lo spagnolo, ecc. Ciò mostra - historia magistra vitae - quale dovrebbe essere la soluzione appropriata al nostro problema: una lingua che non sia la lingua madre di nessuno, che non abbia dietro di sé la forza culturale e politica di un popolo o di uno Stato o, peggio ancora, di un gruppo di popoli e Stati presenti in tutti e cinque i continenti.Dal momento che viviamo in un'epoca di comunicazione di massa, in cui non è soltanto una ristretta élite o intelligentsia che ha necessità di avere accesso alla comunicazione internazionale, soltanto una lin

gua al tempo stesso "morta" (cioè, neutrale), da un lato, e molto facile, dall'altro, è adatta alle nostre esigenze e al nostro tempo. Orbene, soltanto un linguaggio artificiale può avere queste caratteristiche. E soltanto l'esperanto è stato utilizzato abbastanza a lungo e possiede una "infrastruttura" sufficiente (ossia, una letteratura che spazia su una varietà di argomenti e un numero notevole di parlanti) per potersi candidare, hic et nunc, ad assolvere a questo compito. E, ciò che ancora più importante, è l'unica lingua in armonia con la "ragion di Stato" di una Federazione . Europea, cioè con l'aspirazione dell'Europa all'indipendenza per sé e a un ruolo guida nell'aiutare il Terzo Mondo a conquistare un'indipendenza analoga, sia politica, sia culturale. Ultimo aspetto, non secondario, è che l'adozione dell'esperanto sarebbe di importanza fondamentale nella creazione di una situazione di parità fra le nuove lingue dominanti e gli idiomi subalterni dell'etnie minoritarie, e fornirebbe perciò un contrib

uto essenziale per liberare queste ultime dall'alienazione di cui soffrono oggi a causa delle disparità esistenti.

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Purtroppo è utopistico, allo stato attuale delle cose, sperare che l'Europa possa fare una simile scelta in tempi brevi. Probabilmente l'ostacolo principale non è la forza sociologica dell'inglese, che di fatto è già, in buona misura, una lingua franca. L'ostacolo maggiore è psicologico: il sentimento inconscio, assai diffuso e angosciante, che il ricorso a una lingua inventata, completamente priva di tradizioni storiche, implicherebbe, a livello sia individuale, sia collettivo, una radicale "perdita d'identità" che la gente non è in alcun modo preparata ad accettare. Il problema può a prima vista sembrare insolubile, ma una via di uscita è offerta dalla moderna Sprachkybernetik . (cibernetica linguistica), e in particolare dalle ricerche condotte all'università di Paderborn, in Germania, soprattutto dal professor Helmar Frank. Tali ricerche hanno confermato e definitivamente dimostrato, con metodi rigorosamente scientifici e sistemi di misurazione quantitativi, che, grazie alla facilità e razionalità dell'e

speranto, il suo studio costituisce la migliore preparazione allo studio di qualunque lingua viva, in particolare delle lingue indoeuropee e, fra queste, dell'inglese.In altri termini: coloro che, dopo aver studiato esperanto per due anni, cominciano al terzo anno a studiare una lingua naturale come l'inglese, il francese, ecc., dopo il quarto anno supereranno nella conoscenza di tale lingua e nella capacità di utilizzarla coloro che, quattro anni prima, vi si erano dedicati direttamente dal principio.Ritengo dunque che tale metodo debba essere adottato in tutta la Comunità Europea, iniziando da quei paesi che, come l'Italia, stanno considerando la possibilità di introdurre l'insegnamento di una lingua straniera già dalla scuola elementare. Da un lato, ciò può e deve essere coadiuvato dai metodi più aggiornati e avanzati offerti dalla didattica delle lingue (che si riferiscono ai mezzi e alle modalità di insegnamento e non alla scelta della lingua insegnata); dall'altro lato, e ben più importante, vi è il fa

tto che . anche coloro che sono ostili alla scelta dell'esperanto come lingua franca internazionale possono accettare tale soluzione: l'uso dell'esperanto come mezzo non significa infatti che esso debba essere accettato come fine. Inoltre, una tale strategia contribuirà ad eliminare la radicale avversione all'esperanto da parte di coloro che vi si oppongono a causa del suddetto "complesso della perdità dell'identità", che è stato identificato dallo psicologo e linguista Claude Piron dell'università di Ginevra: è come se per queste persone l'uso di una lingua inventata, priva di radici storiche, anche soltanto come lingua ausiliaria, possa distruggere alla radice la loro personalità culturale, sia individuale, sia nazionale. Un impiego puramente propedeutico e didattico, e quindi solo temporaneo, dell'esperanto non può suscitare simili paure irrazionali o, almeno, può servire a contenerle in misura rilevante.Inoltre, la diffusione per così dire "endemica" di una lingua estremamente facile che, di conseguenza,

si dimentica molto più difficilmente di una lingua naturale, servirà da un lato a ridurre i suddetti timori una volta che i fatti e l'esperienza saranno in grado di parlare da soli, dall'altro preparerà il terreno a una diffusione "epidemica" dell'esperanto, ossia all'attuazione del più ambizioso progetto a lungo termine delineato sopra.Un secondo obiettivo, non meno importante, è la . creazione nelle nostre università di istituti interdisciplinari (se possibile con la collaborazione di università di vari paesi europei) che studieranno i problemi della comunicazione internazionale dal punto di vista della politologia, sociologia, pedagogia, linguistica e cibernetica. E' questo il programma a breve termine che possiamo e dobbiamo cominciare a realizzare.

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Una seconda fase, destinata a un futuro meno immediato, è stata descritta nei seguenti termini da Jean-Pierre VAN DETH della Association Internationale pour la Recherche et la Diffusion des Méthodes Audiovisuelles et Structuro-globales di Gand, in Belgio:L'odierno insegnamento delle lingue "per scopi specifici" - di gran lungo il metodo attualmente più diffuso perché è l'unico appropriato all'educazione di massa - è tanto elementare che è fuori questione che la conoscenza delle lingue straniere così acquisita possa avere un valore formativo, migliorando la Bildung dello studente e aprendo la sua mente alla cultura di altri popoli. Un tale livello di conoscenza di una lingua straniera è utile soltanto per le piccole esigenze della vita quotidiana, alla biglietteria di una stazione, ad esempio, o al ristorante. Ma se serve soltanto a questo, è assurdo sprecare tanto tempo per . apprendere lingue difficili come le lingue naturali; per una comunicazione tanto elementare l'esperanto è più che sufficiente e, prest

andosi a un processo di apprendimento più veloce e più efficace, consente un enorme risparmio di tempo e di energia.Questa proposta - l'esperanto "per turisti", "per scopi specifici" o "per le esigenze della vita quotidiana" - è di particolare importanza e merita di essere sostenuta, dal momento che rende possibile superare un'altra delle possibili forme del "complesso" sopra descritto, che può essere così sintetizzata: una lingua inventata come l'esperanto può essere paragonata a un automa, capace solo di movimenti semplici, approssimativi; ma se un simile linguaggio viene utilizzato senza restrizioni, rischiamo di distruggere la nostra ricchezza spirituale, annichilendo la nostra stessa umanità attraverso una riduzione della nostra comunicazione a forme estremamente rozze e primitive. Ma proprio per questo motivo, a livello internazionale (e innanzitutto, non appena ciò sia possibile, in Europa) una simile lingua può rivelarsi un utile strumento, considerata la grande facilità con cui può essere appresa, p

er gli ambiti più semplici della comunicazione quali il turismo, i trasporti, il commercio ecc., essendo sempre ben chiaro a tutti che essa è del tutto inadatta alle forme più elevate di comunicazione, e in particolare a quelle di natura . culturale, per le quali vi sono e vi saranno sempre le lingue naturali.E' questa la convinzione che ha ispirato Van Deth. Non importa se non tutte le sue affermazioni appaiono condivisibili, dal momento che l'esperanto ha di fatto dimostrato una capacità espressiva nient'affatto inferiore a quella di qualunque lingua naturale e che, anzi, per certi aspetti sembra superare in duttilità e flessibilità le stesse lingue naturali. Ciò nonostante, non conviene correggere questo errore adesso, ma al contrario, esso dovrebbe essere incoraggiato e sfruttato. Ci sarà abbastanza tempo in futuro per correggerlo: la sola cosa che conti, attualmente, è che, grazie a questo errore, siamo in una posizione migliore per superare un serio ostacolo psicologico e per progredire significativame

nte lungo la strada di quella che ho definito la "diffusione endemica" dell'esperanto.

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I suggerimenti appena avanzati costituiscono, come ho detto, soltanto l'abbozzo di una seconda fase, che non può in effetti realizzarsi senza il previo accordo di un certo numero di nazioni (mentre la terza fase consisterebbe nell'uso dell'esperanto per la comunicazione scientifica a livello internazionale). La prima fase, l'obiettivo immediato, è e resta dunque quella indicata dagli studiosi . di Paderborn: un obiettivo che fino ad oggi, purtroppo, è rimasto del tutto sconosciuto o è stato volontariamente ignorato dagli esperti di quella disciplina che si autodefinisce "didattica delle lingue" o "linguistica applicata".Il valore propedeutico e didattico dell'esperanto nell'insegnamento delle lingue moderne è, a mio avviso, una grande scoperta della didattica delle lingue. Se, tuttavia, gli adepti di questa disciplina ignorano sistematicamente tale scoperta senza mai prenderla in considerazione, neanche per confutarla (in effetti non si prendono neanche la briga di menzionarla, tamquam non esset), ciò non pu

ò essere dovuto a ragioni scientifiche, che dovrebbero essere ispirate da principi di oggettività e di costante disponibilità a indagare e a rimettere in discussione le conclusioni raggiunte. Ogni certezza acquisita dovrebbe essere considerata provvisoria e suscettibile di essere superata dal progresso scientifico.Per quanto riguarda la questione che ci interessa, gli adepti della pedagogia linguistica, invece, hanno tutti, senza eccezione, scelto la strategia del silenzio. Questa non può dunque essere ispirata da altro che dal pregiudizio, cioè dal fatto che la loro cultura, le loro fonti di informazione, i loro interessi come docenti, li hanno spinti in una condizione di soggezione quasi totale . alla cultura (e alla letteratura specialistica) anglosassone, cosicché l'inglese è l'unica lingua internazionale che siano disposti a prendere in considerazione, mentre evitano accuratamente qualunque discussione sull'alternativa costituita da una lingua programmata e, soprattutto, ignorano ostinatamente le disast

rose conseguenze "glottofagiche" prodotte dall'espansione indiscriminata dell'inglese.Quel che è ancora peggio è che minimizzano acriticamente e negano tali conseguenze senza alcuna seria argomentazione, allorché si trovano costretti a prendere in considerazione il problema.E' perciò opportuno ricordare ai pedagoghi delle lingue quanto segue, iniziando con l'ammonizione latina: Sutor, ne supra crepidam. La vostra scienza è una scienza di metodi, non di fini. Il vostro compito è dunque quello di studiare e valutare i migliori metodi per insegnare le lingue. Ma la scelta di una lingua come lingua franca internazionale, e l'inevitabilità o meno di rassegnarsi (dopo averne attentamente valutato le conseguenze) alla vittoria dell'inglese, che certamente si produrrà se non viene fatto alcuno sforzo per opporvisi - tutto ciò esula dalla vostra competenza e deve rimanere compito dei politici, affiancati e informati da storici, sociologi, linguisti, esperti di comunicazione e organizzazioni internazionali.IIIProvvedi

menti politici indispensabili: la creazione di una federazione europea fra oggi e il 2000Nella Sezione I abbiamo enunciato la premessa politica: una lingua - nel nostro caso, l'esperanto - non si diffonde in virtù della sua maggiore facilità o adeguatezza alla comunicazione internazionale: questa è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Si diffonde invece se è adottata da un potere politico capace di imporla.Il latino soggiogò il Vecchio Mondo (e distrusse le lingue native dell'antica Europa) non per la bellezza della poesia di Virgilio o di Orazio, o della prosa di Cicerone e Tacito, ma per la forza delle legioni romane, secondo quella che potremmo definire "la legge fondamentale della sociolinguistica".Avendo stabilito che la creazione di una Federazione Europea è, qui e ora, il solo modo di dare all'esperanto una prima, ma decisiva possibilità di diffondersi, dobbiamo adesso indicare una strategia che consenta di raggiungere questo obiettivo politico entro la fine del secolo. Gli stessi sviluppi d

ell'unificazione europea ci suggeriscono una strategia. Tali sviluppi possono essere sinteticamente indicati nel modo seguente:

1) Da un lato i grandi eventi che hanno scosso l'Europa dal 1989 ad oggi rendono necessario realizzare: a) un'Unione . Politica; b) un'Unione Paneuropea; c) un'Unione federale. Solo così i paesi ex-comunisti possono essere aiutati a diventare in tempi brevi membri a pieno titolo dell'Unione Europea, e solo così quest'ultima si può proporre come istituzione capace di risolvere i rinnovati conflitti etnici, assicurando al tempo stesso l'autonomia dei singoli membri e l'unità dell'insieme.

2) Dall'altro lato, a Maastricht si è concordato di creare un'Unione esclusivamente economica e monetaria e limitata ai Dodici.

3) D'altra parte il governo tedesco ha sostenuto e continua a sostenere una solida Unione politica di natura più generale, la sola che consenta di inglobare le dinamiche economiche e politiche della "Grande Germania", laddove settori sempre più vasti della società tedesca reclamano una Germania che "cammini da sola", tendendo, cioè, non verso una Germania europeizzata, ma verso un'Europa germanizzata.Di conseguenza, tutte le forze europeiste e federaliste dovrebbero fornire il loro appoggio al coraggioso programma politico tedesco, che ultimamente ha visto scemare il numero dei propri sostenitori, organizzando una grande mobilitazione della società europea.

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Tale mobilitazione dovrebbe avere le seguenti caratteristiche:Nel 1952 i federalisti riuscirono - grazie al Presidente del Consiglio italiano dell'epoca, Alcide De Gasperi (e, attraverso lui, con l'aiuto di Konrad Adenauer, Paul Henri Spaak e Robert Schuman) - a far sì che i governi dei Sei (i soli paesi a quel tempo coinvolti nel processo di unificazione europea) affidassero al Parlamento europeo, nella forma che aveva allora di Assemblea della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio, un mandato per redigere un progetto per la realizzazione di una Comunità Politica Europea, progetto che fu in effetti elaborato nel giro di sei mesi.Il progetto naufragò in seguito a causa dell'opposizione della Francia, ma la procedura non ha perso certo valore.Tutte le forze, i movimenti, le organizzazioni europeiste e federaliste dovrebbero stringere un tacito accordo di questo tipo con il governo tedesco per gettare le basi dell'Europa del futuro, organizzando una massiccia campagna per il rilancio dell'Europa politica

. Nel 1994 avranno luogo le terze elezioni europee per un Parlamento che è, di fatto, solo un'assemblea consultiva. Di conseguenza, se le cose rimangono così come sono, le elezioni europee sono condannate a svolgersi tra . l'indifferenza generale, ancor più di quanto è accaduto in passato.Ma la situazione sarà completamente differente se si riesce a ottenere che i governi dei Dodici, o almeno alcuni di essi, conferiscano al nuovo Parlamento, prima della sua elezione, il compito di elaborare una bozza di Costituzione Federale Europea, con l'intesa che essa debba essere completata entro un anno e che debba essere sottoposta alla ratifica diretta dei Parlamenti nazionali (oppure, secondo quanto prescritto dalle singole Costituzioni nazionali, a un referendum popolare), senza passare attraverso l'estenuante processo delle conferenze diplomatiche che, nel 1984-85, condussero allo svilimento del cosiddetto "Progetto Spinelli", già approvato dal Parlamento Europeo, ma in seguito penosamente impoverito e ridotto all

'"Atto Unico". Né i movimenti europeisti e federalisti, né il Parlamento europeo hanno da soli la forza o l'autorità politica di condurre in porto un'impresa di tale portata. Ma grazie al sostegno di un alleato quale il governo tedesco, e grazie alla solidarietà di coloro che ne seguiranno l'esempio, non sembra un'impresa impossibile. E' questo l'obiettivo del momento, das Gebot der Stunde, la strategia da seguire da adesso fino alla fine del secolo. Gli esperantisti dovranno prendervi parte attiva, nella convinzione che i loro specifici fini politici possono . essere raggiunti esclusivamente attraverso la realizzazione di questo fondamentale prerequisito politico.

BIBLIOGRAFIA

Ho fornito una bibliografia completa dell'argomento nel mio libro (in francese) Communication internationale et avenir des langues et des parlers en Europe, Nizza, Presses d'Europe, 1987, nonché nei miei saggi (in italiano) Una lingua per l'Europa, Padova, Cedam, 1987, e L'insegnamento delle lingue nella Comunità Europea: stato attuale e prospettive future, Roma, Armando, 1983.

 
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