J.C. WellsDocente di fonetica, University College Londra
SOMMARIO: Documento sull'esperanto predisposto per il 36· Congresso del Partito radicale (Roma, Hotel Ergife, 30 aprile - 3 maggio)
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1. Il problema
Il vantaggio di adottare una unica lingua comune per la comunicazione che valica frontiere nazionali e linguistiche dovrebbe essere evidente a tutti: nessuno è in grado di padroneggiare tutte le nove lingue ufficiali della Comunità Europea (danese, francese, greco, inglese, italiano, olandese, portoghese, spagnolo e tedesco), per non parlare delle tante altre lingue che a queste potrebbero aggiungersi in futuro (islandese, norvegese, svedese; ceco, croato, estone, finlandese, lettone, lituano, polacco, slovacco, sloveno, turco, ungherese?). A livello mondiale, poi, bisogna fare i conti con un cinquantina di lingue letterarie standardizzate e oltre 3.000 lingue diverse in tutto. Quale lingua dovremo usare per trattare affari con gli arabi? E con i cinesi? E con i giapponesi? Necessitiamo dunque di una seconda lingua comune che tutti possano apprendere e utilizzare insieme alla propria madrelingua.
2. L'inglese
Attualmente, in tutto il mondo si sta cercando di risolvere tale problema optando per l'uso dell'inglese. Nel corso degli ultimi cinquant'anni, si è sempre più diffusa l'idea che l'inglese sia destinato a diventare la lingua internazionale che tutti debbono imparare ad usare. Tant'è che dalla fine della II Guerra Mondiale, in tutta l'Europa occidentale, e anzi in gran parte del mondo, nelle scuole si insegna l'inglese. Oggi ci troviamo di fronte a una generazione di adulti giovani o di mezza età che hanno imparato l'inglese a scuola e che dunque dovrebbero essere in grado di usarlo nella comunicazione internazionale. E fino a un certo punto lo sono: molta gente che ha studiato l'Inglese come Lingua Straniera (EFL) ha infatti acquistato una competenza sufficiente per poter sostenere una conversazione spicciola.
Purtroppo, però, questo è spesso l'unico tipo di conversazione che tali persone sono in grado di affrontare; le loro conoscenze si dimostrano sovente insufficienti quando il discorso, sia orale che scritto, verte su argomenti più sofisticati o difficili. E spesso ciò vale anche per chi ha passato anni dedicandosi allo studio delle lingue. Alcuni, ad esempio, pur sapendo leggere l'inglese scritto e capire l'inglese parlato, non si sentono in grado di scriverlo o parlarlo scorrevolmente; se sottoposti al normale eloquio di un inglese, di un americano o di un altro anglofono, non sono in grado di seguire; di certo non sono u2e. in grado di partecipare agevolmente a una conversazione, né di trattare con l'interlocutore da pari a pari. Da una ricerca di mercato effettuata dall'agenzia pubblicitaria Lintas di Parigi (1989) su un campione rappresentativo della popolazione adulta, è emerso che nei Paesi Bassi meno della metà, in Germania (occidentale) meno di un terzo e in Francia, Spagna e Italia meno di u
n decimo degli interpellati era in grado di comprendere correttamente una semplice frase in inglese. In Italia, anzi, solo il 4% è stato capace di interpretare correttamente la frase e fra gli interpellati al di sotto dei 25 anni, che dovrebbero avere ricordi più freschi delle lezioni scolastiche, solo il 7% ha fornito la risposta giusta. La conclusione è che, dopo anni di studio dell'inglese, gli italiani, quanto meno, non sono riusciti a risolvere il problema della lingua.
E' dunque lecito supporre che l'inglese si sia rivelato un insuccesso perché, fra le altre ragioni, è una lingua difficile da imparare. La fonetica inglese pone grossi problemi al discente, l'ortografia è notoriamente incoerente e se la morfologia è relativamente chiara, la sintassi si presenta alquanto intricata quando si voglia andare oltre una costruzione molto semplice. Quanto al lessico, esso è certamente ricco (ossia ampio); ma questa stessa ricchezza comporta per il discente la difficoltà di memorizzare tutte le sottili distinzioni di significato tra vocaboli pressoché sinonimi. I verbi fraseologici sono irti di tranelli (vedi, ad esempio, "to put up" = ospitare) e, oltre a ciò, nel sistema verbale inglese c'è tutta una serie di complicate distinzioni relative all'aspetto, che per la persona non di madrelingua costituisce una grande fonte di errori (vedi, ad esempio, la differenza tra "Where do you live?" e "Where are you living?"). Nel parlato, molti elementi grammaticali, di importanza vit
ale per la comprensione delle sfumature di tempo e aspetto verbale, compaiono nella "forma debole": sono, cioè, tanto ridotti da un punto di vista fonetico che spesso sfuggono alla persona non di madrelingua; quest'ultima, poi, non usando la stessa forma debole nel parlare, dà all'ascoltatore anglofono l'erronea impressione di voler enfatizzare i termini in questione. L'accento della parola inglese è variabile e solo in misura ristretta prevedibile; l'intonazione, inoltre, è molto più complicata che nella maggior parte delle altre lingue.
Vi sono anche ragioni esterne che rendono inaccettabile la scelta dell'inglese quale lingua comune internazionale. Innanzitutto, una questione di iniquità: l'uso dell'inglese dà un ingiusto vantaggio a quanti sono di madrelingua inglese (in Europa, i britannici e gli irlandesi; a livello moendiale, gli americani, gli australiani e altri). E a giudizio di molti, in ciò è insita la minaccia che il mosaico di modelli culturali indigeni di cui il mondo è u2e. costituito venga travolto da un fagocitante mostro Disneyland-Coca-Cola-americano.
3. L'esperanto
Quanti utilizzano l'esperanto hanno dimostrato che un'alternativa esiste: essendo una lingua artificiale, basata su radici europee ma estremamente standardizzata, l'esperanto è molto più facile da imparare rispetto ad altre lingue etniche. L'uso che se ne fa da un secolo in molti paesi diversi indica che è una lingua ampiamente collaudata, viva e praticata, e non una mera iniziativa studiata a tavolino (non tutti sanno che l'esperanto è una lingua vera e propria, grazie alla quale centinaia di migliaia di persone possono comunicare o già comunicano: parlando in esperanto la gente si conosce, si sposa e mette su famiglia).
L'esperanto rappresenta una soluzione equa del problema. Non appartenendo ad alcun gruppo etnico o nazionale specifico, è una lingua di tutti e non dà alcun vantaggio esclusivo ad alcun gruppo linguistico. Ed è senz'altro più equo far imparare una lingua facile ai dieci decimi dell'umanità, che non costringere i nove decimi ad impararne una difficile, che il restante decimo, per il casuale fattore della nascita, già conosce.
4. Conclusioni
Perorare l'uso dell'esperanto significa perorare un radicale ripensamento delle nostre posizioni riguardo al problema della lingua mondiale. Lo status quo ha un forte potere - fattori politici, economici e sociali favoriscono infatti il mantenimento dell'uso dell'inglese. Ciò nondimeno, direi che, considerati in un'ottica a lungo termine, gli argomenti a favore dell'adozione dell'esperanto sono ancor più forti, proprio perché l'esperanto rappresenta una soluzione più equa ed efficace al problema della lingua mondiale.
Prof. J.C. Wells
CURRICULUM VITAE
Nome: John Christopher Wells
MA (Cantab), PhD (Londra)
Occupazione: Titolare della cattedra di fonetica presso l'Università di Londra e direttore del Dipartimento di Fonetica e Linguistica dello University College di Londra
Titoli universitari:
1960 BA in Lettere classiche, Università di Cambridge
1962 MA in Linguistica generale e Fonetica, Università di Londra
1971 PhD in Linguistica generale, Università di Londra
Attività lavorative principali:
1973-86 Segretario dell'IPA (Associazione Fonetica Internazionale)
1971-87 Direttore del Journal of the IPA
1979-80 Presidente del Gruppo di lavoro CST sulla rappresentazione fonetica dei difetti dell'articolazione orale
1984- Direttore del Corso estivo UCL sulla Fonetica inglese
1985-88 Ricercatore incaricato, progetto di ricerca Alvey su "Elaborazione linguistica e rappresentazione algoritmica"
Pubblicazioni principali:
1971 (con G. Colson) Practical Phonetics,
P Pitman
1982 Accents of English, opera in tre voll. +
P cassetta, Cambridge University Press
1985 "English accents in England", in u2e. Language in the British Isles, a cura di P.
Trudgill, Cambridge University Press
1987 (curatore sezione pronuncia) Universal
Dictionary, Reader's Digest
1987 "Computer-coded phonetic transcription",
JIPA 17:2, 94-114
1989 "Computer-coded phonemic notation of
individual languages of the European
Community", JIPA 19:1, 31-54
1990 "A phonetic update on RP", Moderna Språk
lxxxiiii.1, 3-9
1990 Longman Pronunciation Dictionary,
Longman
1990 (curatore sezione pronuncia) Hutchinson
Encyclopedia, 9a edizione, Century-Hutchinson
Principali programmi radiotelevisivi:
1981 In a Manner of Speaking, programma in 25
puntate, BBC English
1986 Partecipazione a The story of English,
BBC 2 TV
Molte interviste brevi su BBC Radio 2, Radio 4, World Service, ecc.
Principali conferenze all'estero (presso le università di):
1987 Reijkiavik, Pisa, Seul (Nat'l e Dan-kook), Taegu (Yeungnam), Busan
1988 Barcellona (entrambe), Lerida, Tarragona, Parigi XIII, Nagoyn, Okayama
1989 Surugadai (Tokyo), Kyoto, Fukuoka, Hokkaido, Sendai, Budapest (K.M.)
1990 Berlino (F.U.), L'Avana, Colonia, Heidelberg, Würzburg, Aquisgrana, Monaco
1991 Malaga (EOI), Stoccolma, Innsbruck, Salisburgo, Graz, Vienna
1992 La Coruña
Marzo 1992