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Turi Joseph - 30 aprile 1992
"LINGUA E UGUAGLIANZA" secondo il Diritto linguistico comparato
Joseph Turi (Canada)

XXXVI CONGRESSO DEL PARTITO RADICALE

Roma, 30 aprile-3 maggio 1992

I COMMISSIONE

J. Turi, autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche e culturali, è Segretario Generale dell'Accademia Internazionale di Diritto Linguistico riunente esperti di tutto il mondo.

SOMMARIO: Documento sull'esperanto predisposto per il 36· Congresso del Partito radicale (Roma, Hotel Ergife, 30 aprile - 3 maggio)

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INDICE

1. Introduzione

2. TIPI DI LEGISLAZIONE LINGUISTICA

3. DIRITTO LINGUISTICO COMPARATO

4. IL SENSO E LE IMPLICAZIONI GIURIDICHE DELL'ESPRESSIONE "DIRITTI LINGUISTICI"

5. CONCLUSIONE

NOTE

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SUL DIRITTO LINGUISTICO

1. INTRODUZIONE

Cari amici, ho già avuto il piacere di pubblicare nel numero di marzo di quest'anno del vostro giornale "Il Partito Nuovo" un articolo intitolato "Il diritto alla lingua". La relazione che segue costituisce un approfondimento del tema del diritto alla lingua, diritto fondamentale per eccellenza, e dei due principi fondamentali relativi alla dignità e all'uguaglianza di tutte le lingue, dal punto di vista del diritto linguistico comparato.

La legislazione in materia linguistica e le relative politiche sono sintomatiche, in certi contesti politici, dei contatti, dei conflitti e delle disuguaglianze esistenti fra le lingue utilizzate su uno stesso territorio. Oggettivamente o in apparenza, queste lingue coesistono con difficoltà all'interno di un rapporto fra dominatore e dominato, che determina dunque il costituirsi di maggioranze e minoranze linguistiche.

Scopo fondamentale di tutta la legislazione linguistica è di risolvere in qualche modo i problemi linguistici che derivano dai suddetti contatti, conflitti e disuguaglianze fra lingue, stabilendo per legge lo status e l'impiego delle lingue in questione. Solitamente si privilegia la protezione, la difesa o la promozione di una o più lingue designate, attraverso la definizione giuridica di obblighi e diritti linguistici formulati a questo fine.

La legislazione linguistica canadese (l'Official Languages Act) è un esempio di legislazione ufficiale che definisce obblighi e diritti linguistici in relazione a due lingue designate, l'inglese e il francese(1). La legislazione linguistica del Québec (la Carta della Lingua Francese) costituisce anch'essa un esempio di legislazione esauriente che definisce obblighi e diritti linguistici in relazione al francese, ad alcune altre lingue variamente designate e alle altre lingue, in quanto non designate(2).

Il crescente intervento legislativo nell'ambito della politica linguistica ha dato origine, o riconoscimento, a una nuova branca giuridica, il diritto linguistico comparato, avente come oggetto lo studio della legislazione linguistica in tutto il mondo (nonché lo studio del linguaggio giuridico e del rapporto fra diritto e lingua). Nella misura in cui la lingua, che è il principale strumento della legge, funge al tempo stesso da oggetto e da soggetto legislativo, il linguaggio giuridico diventa linguaggio metagiuridico. E se il diritto linguistico comparato riconosce e protegge i diritti linguistici, sia pure, a volte, timidamente e implicitamente, si afferma allora come diritto futuristico, proprio perché fondato su basi storiche. Il riconoscimento e l'attuazione dei diritti linguistici poggiano su due principi fondamentali: il principio della dignità di tutte le lingue e il principio dell'uguaglianza di tutte le lingue. Ma uguaglianza linguistica non significa uniformità linguistica. La Torre di Babele è

la rappresentazione delle differenze culturali esistenti fra gli esseri umani, a livello sia individuale che collettivo. Nella misura in cui la legislazione linguistica tiene conto di questa realtà umana, essa può svolgere una funzione preziosa, poiché il crescente riconoscimento o la difesa storica, in diversi ambiti geografici e temporali, dei diritti linguistici promuove il diritto culturale alla differenza, foriero di creatività per gli individui e le famiglie, così come per le società, le nazioni e l'insieme della comunità internazionale.

Se esiste oggi una legislazione linguistica sempre più articolata, è perché in diversi contesti politici vi sono al tempo stesso contatti, conflitti e disuguaglianze fra i diversi idiomi compresenti su uno stesso territorio, nel quale coabitano in maniera problematica lingue oggettivamente o in apparenza dominanti e lingue subordinate, e dunque maggioranze e minoranze linguistiche. Va sottolineato però che, dal punto di vista storico, la realtà che si nasconde dietro i concetti di maggioranza e minoranza linguistica è alquanto variegata.

Basti pensare alla Finlandia e al Québec, dove rispettivamente gli svedesi e gli inglesi hanno a lungo rappresentato a tutti gli effetti le maggioranze linguistiche locali (ciò che non è più vero attualmente)(3), pur essendo statisticamente in minoranza.

Fine fondamentale di tutta la legislazione linguistica è di regolare secondo determinati principi i problemi linguistici che derivano dai contatti, conflitti e disuguaglianze fra lingue, pianificando o regolando lo status e l'impiego dei vari idiomi compresenti in base a certe norme o a certi criteri, e al tempo stesso privilegiando la protezione, la difesa o la promozione di una o più lingue designate attraverso la definizione giuridica di obblighi e diritti espressamente formulati.

2. TIPI DI LEGISLAZIONE LINGUISTICA

La legislazione linguistica si divide in base al campo di applicazione in due categorie: la legislazione che tratta degli usi ufficiali delle lingue e quella che tratta degli usi non ufficiali. Va da sé che in questa classificazione esistono margini di ambiguità.

In base alla funzione, la legislazione linguistica può invece essere suddivisa in quattro categorie: ufficiale, normalizzante, standardizzante o permissiva. Una legislazione linguistica che assolva a tutte queste funzioni è una legislazione esauriente, altrimenti è una legislazione parziale.

Si definisce "legislazione linguistica ufficiale" quella legislazione che rende ufficiale l'uso di una o più lingue designate nel campo legislativo, giuridico, amministrativo e dell'istruzione pubblica. A seconda delle circostanze viene applicato uno dei due principi seguenti: territorialità linguistica (in pratica, l'obbligo o diritto di utilizzare una o più lingue designate all'interno di un dato territorio) o personalità linguistica (in pratica, l'obbligo o diritto di utilizzare la propria lingua o qualunque altra lingua). Di per sé, l'ufficializzazione di una o più lingue designate non comporta necessariamente o automaticamente alcuna conseguenza di rilievo sul piano legale.

Esistono diverse modalità di ufficializzazione di una o più lingue designate: le si può denominare formalmente "lingue ufficiali" o "lingue nazionali"; oppure si può stabilire che una o più lingue sono "la" o "le" lingue di determinati settori ufficiali; oppure si può concedere a una lingua uno status giuridico superiore in rapporto ad altre lingue, affermando, ad esempio, che soltanto i testi ufficiali redatti in quella lingua sono "autentici", come accade in Camerun(4). In costituzioni "regionali" quali quella basca e quella catalana, sono definite lingue ufficiali rispettivamente il basco e il castigliano e il catalano e il castigliano. Tuttavia, il basco è anche definito la lingua "propria" dei Paesi Baschi, mentre il catalano è la lingua "propria" della Catalogna(5). Altri paesi, come l'Irlanda e Malta, distinguono fra la lingua nazionale (irlandese e maltese) e la lingua ufficiale, l'inglese(6).

In alcuni paesi, come da un lato l'Algeria e dall'altro il Pakistan, l'India e la Malesia, il francese e l'inglese sono rispettivamente le lingue ufficiali temporanee. La costituzione filippina prevede, invece, una serie di misure per promuovere lo sviluppo di una lingua nazionale comune, chiamata "filipino".

In certe situazioni la conoscenza della lingua ufficiale o nazionale è un requisito importante. In Malesia, il riconoscimento della cittadinanza per i nativi è subordinato a una conoscenza elementare del malese, mentre per essere naturalizzato malese bisogna avere della lingua una conoscenza adeguata. In Brasile l'insegnamento primario si effettua esclusivamente in portoghese. In Norvegia a certi livelli elevati dell'amministrazione pubblica è d'obbligo conoscere il norvegese. In Spagna tutti gli spagnoli hanno l'obbligo di conoscere lo spagnolo(7).

In se stessa, l'ufficializzazione formale di una o più lingue designate non comporta necessariamente conseguenze giuridiche di rilievo. Il senso e le implicazioni giuridiche della nozione di lingua ufficiale dipendono dal trattamento giuridico concreto della lingua così designata. In certi casi, l'ufficializzazione di una o più lingue designate in un determinato contesto politico ha natura puramente formale, ma non esecutiva, e produce dunque un impatto esclusivamente psicologico, che peraltro non va sottovalutato.

Si definisce "legislazione linguistica normalizzante" quella legislazione che promuove l'impiego di una o più lingue designate come lingue abituali o comuni nei settori non ufficiali del lavoro, delle comunicazioni, della cultura, del commercio e degli affari.

Si definisce "legislazione linguistica standardizzante" quella legislazione che stabilisce certi standard linguistici cui una o più lingue designate devono conformarsi in determinati settori specialistici chiaramente delimitati, di solito settori ufficiali o altamente tecnici.

Si definisce infine "legislazione linguistica permissiva" quella legislazione volta a garantire, implicitamente o esplicitamente, il riconoscimento legale dei diritti linguistici. Ma la legislazione linguistica, considerata oggettivamente (cioè come insieme di norme legali concernenti la lingua), opera una distinzione all'interno dei diritti linguistici (che sono soggettivi nella misura in cui appartengono a qualunque individuo) fra il diritto a "una" lingua (il diritto a servirsi di una o più lingue designate in vari settori, soprattutto ufficiali) e il diritto "alla" lingua (il diritto a servirsi di qualunque lingua in vari settori, soprattutto non ufficiali). Tali diritti linguistici, basati rispettivamente sul principio di territorialità e sul principio di personalità, sono sia individuali, sia collettivi. Inoltre, se i diritti linguistici sono anche diritti collettivi, essi possono appartenere tanto alle persone fisiche quanto alle persone giuridiche (ad es., alle società). Dopo tutto, gli esseri umani

non sono soltanto individui, ma anche "animali politici", ossia persone che vivono all'interno di una gamma di organizzazioni sociali.

3. DIRITTO LINGUISTICO COMPARATO

La legislazione linguistica non obbliga nessuno a utilizzare una o più lingue in termini assoluti. L'obbligo vige solo in relazione ad atti o fatti giuridicamente rilevanti contemplati dalla legislazione linguistica. Ad esempio, l'obbligo a utilizzare una o più lingue sulle etichette dei prodotti è valido soltanto se nella legislazione non linguistica vige l'obbligo di etichettare i prodotti.

Inoltre, le norme legali esplicite concernenti la lingua regolamentano di solito la forma scritta (la lingua come mezzo) e non il contenuto linguistico scritto (la lingua come messaggio). Tanto il contenuto linguistico, quanto la forma, possono invece essere oggetto della legislazione non esplicitamente linguistica, come accade in Québec nel caso del Codice Civile, della Carta dei Diritti Umani o della Legge per la Protezione dei Consumatori.

In generale, la terminologia linguistica o i concetti linguistici (ad es., quello di lingua madre) acquistano rilevanza nella legislazione linguistica solo nella misura in cui sono formalmente comprensibili, intellegibili, traducibili, utilizzabili o identificabili in un modo o nell'altro, oppure hanno un significato in una data lingua.

Ad esempio, il paragrafo 58 della Carta della Lingua Francese del Québec afferma che, tranne alcune eccezioni, i cartelli pubblici devono essere esclusivamente in francese. Perciò, se una parola (ad esempio, "ouvert") compare in un cartello ed è comprensibile in francese, giuridicamente è una parola francese e il cartello pubblico è a norma di legge. O, da un altro punto di vista, se una parola compare in un cartello e non è comprensibile in francese, giuridicamente non è una parola francese solo se ha un significato in un altra lingua ed è traducibile in francese: ad esempio, la parola "open". In tal caso, il cartello pubblico è illegale.

Per quanto riguarda il concetto di "madre lingua" da un punto di vista giuridico, nel 1988 la Corte Suprema del Canada ha affermato, in relazione al Caso Forget, che "il concetto di lingua non è limitato alla madre lingua, ma comprende anche la lingua d'uso o di comunicazione abituale... non vi è ragione di adottare un'interpretazione restrittiva che non prenda in considerazione la possibilità che la madre lingua e la lingua d'uso siano differenti"(8).

In linea di principio, la legislazione linguistica si rivolge ai parlanti di una lingua (in quanto utenti o fruitori) piuttosto che alla lingua stessa (in quanto parte integrante del patrimonio culturale di una nazione), a meno che non si tratti chiaramente di una legge di ordine pubblico (laddove per legge di ordine pubblico si intende qualunque legge che stabilisca principi giuridici talmente fondamentali ed essenziali, individualmente e collettivamente, nell'interesse della comunità, da diventare imperativi o proibitivi in termini assoluti, cosicché non possono essere elusi per alcuna ragione).

La Corte d'Appello del Québec nel Caso Miriam (22 marzo 1984), l'Alta Corte del Québec nel Caso Gagnon (15 dicembre 1986) e i tribunali francesi in diverse occasioni, fra cui il Caso Steiner (Corte d'Apello di Parigi, 27 novembre 1985), hanno tutti confermato i punti essenziali di quanto si è detto sinora(9).

Nel Caso Miriam, la Corte d'Appello del Québec, in un "obiter dictum" (ossia, una dichiarazione incidentale fatta da un giudice in una sentenza, ma non essenziale alle motivazioni della sentenza stessa, di modo che non costituisce precedente giudiziale), ha concluso che il paragrafo 89 della Legge 101 (che, ammettendo eccezioni, consente l'uso generalizzato sia del francese, sia di un'altra lingua) e il Preambolo della Carta (in cui si dice che essa deve essere applicata in uno "spirito di giustizia e di tolleranza") salvaguardano a tutti gli effetti il principio della libertà linguistica in Québec.

Nel Caso Gagnon, l'Alta Corte del Québec ha riconosciuto come francese il termine "office", in apparenza inglese, utilizzato al posto della parola francese "réception", perché si tratta di un'espressione peculiare del Québec, non proibita dalla legge e compresa dalla popolazione del Québec.

Nel Caso Steiner, la Corte d'Appello di Parigi, in una sentenza emessa il 27 novembre 1985, ha confermato il giudizio espresso dal Tribunal de Police di Parigi l'1 dicembre 1984, riconoscendo come francese la parola "show", poiché si trova in tutti i migliori dizionari francesi ed è facilmente compresa da tutti, così come la parola "showroom", dal momento che non esiste alcun equivalente francese di tale espressione e l'imposizione dell'uso del termine "hall" o "salle d'exposition" avrebbe carattere inquisitorio e prevaricatorio.

Tutto ciò che è linguisticamente "neutro" non acquista generalmente rilevanza nell'ambito della legislazione linguistica, come dimostra ad esempio il paragrafo 20 del Regolamento del Québec concernente la lingua del commercio e degli affari(10). Tale paragrafo afferma che Qualunque scritta, segnale o manifesto, e qualunque pubblicità commerciale possono consistere di pittogrammi, di cifre, di qualsivoglia combinazione inventata di lettere, sillabe o cifre, o di iniziali.

Mentre la presenza di una lingua - o "quantità" del suo impiego - può costituire l'oggetto di una legislazione linguistica esauriente, la "qualità" della lingua - o correttezza dell'uso linguistico - è soggetta invece alla forza dell'esempio e della persuasione, ossia all'uso non ufficiale, e agli standard del sistema scolastico e dell'amministrazione statale, in cui l'uso linguistico è ufficiale.

Non bisogna però credere, né dare l'impressione, che la "qualità" della lingua costituisca un fenomeno o un problema recente. Gli antichi greci si impegnarono in minuziose diatribe circa i benefici o gli svantaggi dell'"analogia", intesa come una forma di rispetto quasi religioso per le regole della grammatica e della tradizione linguistica, e dell'"anomalia", sinonimo invece di libertà e di creatività linguistica. Non molti anni fa, nel 1952, i greci moderni affrontarono nuovamente la stessa questione, quando si trattò di redigere la nuova Costituzione del paese. E' per questo motivo che l'articolo 107 della Costituzione ellenica del 1952 affermava che la lingua ufficiale del paese è la lingua in cui è scritta la Costituzione. Non era possibile menzionare la lingua greca, perché il greco non era universalmente inteso allo stesso modo. Inoltre, con quel paragrafo si proibiva di fatto qualunque tentativo di corrompere la lingua ufficiale!

La medesima ambiguità si riscontra nella Costituzione svizzera. Il paragrafo 116 di tale Costituzione afferma che le lingue ufficiali della Confederazione Elvetica sono il francese, l'italiano e il tedesco. Ma di quale tedesco si tratta, il tedesco della Germania o quello della Svizzera?(11)

Un altro problema importante è quello della comprensibilità dei testi legali: lo Stato di New York ha promulgato due leggi in difesa dei consumatori le quali prescrivono che certi tipi di contratti siano scritti in linguaggio "comprensibile" o "corrente"(12).

Le norme giuridiche in materia linguistica sono meno severe delle regole grammaticali. Vi sono quattro ragioni fondamentali per questa minore rigidità: innanzitutto, le leggi migliori sono quelle meno prescrittive, in particolare nel campo degli usi non ufficiali della lingua; in secondo luogo il linguaggio, come modalità individuale e collettiva di espressione e di comunicazione, è un fenomeno culturale essenziale, che è arduo cogliere nella sua essenza e definire giuridicamente; terzo, le norme giuridiche, così come le regole sociolinguistiche, sono applicate e applicabili solo se si conformano agli usi e costumi di una data comunità e al comportamento delle persone ragionevoli (che non sono necessariamente esemplari dal punto di vista linguistico), mentre le regole grammaticali si fondano sul rapporto maestro-allievo; infine, dal momento che le sanzioni legali, siano esse di natura penale (incarcerazione o pene pecuniarie) o civile (risarcimento, illegalità parziale o totale), sono generalmente più sever

e delle eventuali sanzioni linguistiche (voti bassi, perdita di prestigio sociale, perdita di clienti), le sanzioni legali nel campo del linguaggio si limitano di solito a multe o indennizzi di entità modesta o simbolica.

In materia di politica linguistica i giuristi sono perciò piuttosto prudenti e alquanto reticenti quando si tratta di interpretare la legislazione linguistica esclusivamente in termini di leggi concernenti l'ordine pubblico.

Poiché le sanzioni legali previste dalle leggi concernenti l'ordine pubblico sono piuttosto severe (ad esempio, illegalità parziale o totale), molti giuristi, in particolare i giuristi del Québec, preferiscono non considerare le leggi relative alla lingua esclusivamente come leggi di ordine pubblico, tranne quando il contesto legale è chiaramente in favore di una simile interpretazione, come nel caso dell'uso ufficiale di una lingua.

La Court of the Sessions of the Peace di Montréal nel Caso Sutton (3 febbraio 1983) e la Corte d'Appello del Québec nel Caso Miriam (22 marzo 1984) hanno affermato che in certe situazioni la legislazione linguistica del Québec si applica soltanto a quei francofoni i quali richiedano esplicitamente che ci si rivolga loro in francese. Si è dunque concluso che i francofoni possono rinunciare ai propri diritti linguistici, il che evidentemente fa supporre che la legislazione in questione non viene considerata come facente parte delle leggi concernenti l'ordine pubblico.

D'altro canto, la Corte di Cassazione francese ha invece affermato implicitamente, nel Caso France Quick (20 ottobre 1986), che la legislazione sulla lingua francese rientra nelle leggi sull'ordine pubblico. In questo caso giudiziario la Corte d'Appello di Parigi aveva assolto, con una sentenza emessa il 14 dicembre 1986, una ditta accusata di aver utilizzato i termini "giant", "big", "coffee-drink", "bigcheese", "fishburger", "hamburger", "cheeseburger" and "milkshake", sostenendo che tali termini ed espressioni erano nomi di fantasia o che erano comprensibili ai consumatori francesi(14). La Corte di Cassazione francese annullò la sentenza, affermando che la legislazione linguistica francese era volta a proteggere la lingua francese piuttosto che i francofoni, senza peraltro approfondire l'argomento(15).

Tuttavia, ciò non ha impedito alla Corte d'Appello di Versailles, nel Caso France Quick (24 giugno 1987), di considerare termini quali "spaghettis" e "plum-pudding" come francesi a tutti gli effetti e, quindi, conformi alla legislazione vigente, in quanto "noti al grande pubblico"(16).

Lo scopo fondamentale di questa legislazione è dunque di proteggere tanto i francofoni quanto la lingua francese. Si intende per francofono qualunque individuo la cui lingua d'uso sia il francese, ossia, da un punto di vista giuridico, chiunque sappia parlare in maniera relativamente intellegibile e capire il francese corrente.

Nel Caso MacDonald (1 maggio 1986) e nel Caso Ford (15 dicembre 1988) la Corte Suprema del Canada ha riconosciuto e salvaguardato a tutti gli effetti la distinzione fra il diritto a "una" lingua (diritto fondamentale e in quanto tale previsto dalla Costituzione Canadese, la cui storicità è esplicitamente riconosciuta in considerazione delle vicende storiche del paese, e pertinente agli usi ufficiali delle lingue) e il diritto "alla" lingua (diritto accessorio, non esplicitamente previsto in quanto tale dalla Costituzione Canadese, ma implicitamente fondamentale, e pertinente agli usi non ufficiali delle lingue). La Corte ha riconosciuto e salvaguardato anche le principali differenze fra usi ufficiali e usi non ufficiali delle lingue. Nel Caso Ford, la Corte Suprema del Canada ha dichiarato che la lingua è così intimamente connessa alla forma e al contenuto dell'espressione che non può esservi vera libertà di espressione mediante il linguaggio se si proibisce a chicchessia l'impiego della lingua di propria

scelta(17).

Secondo la Corte Suprema del Canada, dunque, il diritto "alla" lingua è implicitamente parte integrante del fondamentale diritto esplicito della libertà di espressione. Nel Caso Irving Toy (27 aprile 1989), la Corte Suprema del Canada ha inoltre confermato che anche le persone giuridiche godono di certi diritti linguistici, quale il diritto implicito "alla" lingua nel settore non ufficiale del commercio. In questa sentenza la Corte Suprema ha anche fornito la seguente definizione della libertà di espressione: La libertà d'espressione ci assicura la possibilità di comunicare i nostri pensieri e sentimenti in modi non violenti senza timore di subire censure. Per la Corte, libertà di espressione significa dunque, in linea di principio, qualunque contenuto (qualunque messaggio, compresi gli avvisi commerciali) in qualunque forma (qualunque mezzo di comunicazione e, quindi, qualunque lingua), purché non violenta(18).

Uno studio relativamente completo svolto per conto delle Nazioni Unite nel 1979, il Rapporto Capotorti, indica che, sebbene l'impiego di lingue diverse da quella/e ufficiale/i nei contesti ufficiali d'uso sia limitata o proibita in varie parti del mondo, l'impiego di qualunque lingua nei contesti non ufficiali non è generalmente soggetta a restrizioni o divieti(19). Eravamo giunti alla medesima conclusione nel 1977 dopo aver effettuato un'analisi degli articoli di 147 costituzioni di altrettanti paesi in materia di uso delle lingue(20). A mo' di esempio, possiamo ricordare che negli Stati Uniti 17 Stati (fra cui la California e la Florida) hanno approvato una legislazione linguistica in base alla quale l'inglese viene dichiarato lingua ufficiale nei contesti d'uso ufficiali.

Non va dimenticato, però, che la Turchia proibisce in alcuni casi l'impiego di certe lingue, diverse dalla prima lingua ufficiale di ciascuno dei paesi che riconoscono la Repubblica di Turchia(21). Le disposizioni proibitive contravvengono, in linea di principio, alla Sezione 27 della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966, che riconosce il diritto dei membri delle minoranze linguistiche a servirsi della propria lingua(22).

4. IL SENSO E LE IMPLICAZIONI GIURIDICHE DELL'ESPRESSIONE "DIRITTI LINGUISTICI"

Esaminiamo brevemente alcune importanti sentenze, fra cui quella relativa al regime linguistico dell'insegnamento in Belgio(23), le due sentenze della Corte d'Appello del Québec nei Casi Devine e Ford del 22 dicembre 1986(24), e le seguenti sei sentenze della Corte Suprema del Canada: del 13 giugno 1985, relativa ai diritti linguistici nella provincia del Manitoba; dell'1 maggio 1986, Casi MacDonald e Société des Acadiens; del 25 febbraio 1988, Caso Mercure; del 15 dicembre 1988, Caso La Chaussure Brown's; del 27 aprile 1989, Caso Irving Toy(25).

Nella sentenza europea del 1968, il tribunale ha affermato che il diritto alla lingua non è un diritto fondamentale; ma va sottolineato che in questa sentenza si trattava dell'uso ufficiale delle lingue, e più precisamente del diritto alla lingua nel campo dell'insegnamento. Nelle sentenze emesse in Québec la Corte d'Appello del Québec ha stabilito che il diritto alla lingua era un diritto fondamentale facente implicitamente parte integrante della libertà d'espressione che è, invece, esplicitamente riconosciuta e protetta in Canada e nel Québec come un diritto fondamentale(26). La Corte Suprema del Canada ha confermato all'unanimità tale impostazione nel Caso La Chaussure Brown's. In quest'ultima sentenza, la Corte ha affermato che la lingua è così intimamente connessa alla forma e al contenuto dell'espressione che non può esservi vera libertà di espressione mediante il linguaggio se si proibisce a chicchessia l'impiego della lingua di propria scelta. Nel Caso Irving Toy, la Corte Suprema ha dichiarato: Dif

atti, la libertà d'espressione ci assicura la possibilità di comunicare i nostri pensieri e sentimenti in modi non violenti senza timore di subire censure. Per la Corte, dunque, la libertà d'espressione comprende, almeno in linea di principio, qualunque contenuto (qualunque messaggio, compresi gli avvisi commerciali) in qualunque forma (qualunque mezzo di comunicazione e, quindi, qualunque lingua), purché non violenta. Ma va sottolineato che in queste quattro sentenze canadesi la discussione verteva sull'uso non ufficiale delle lingue, e più precisamente sul diritto alla lingua nei settori della pubblicità e della cartellonistica commerciale, oltre che nel campo delle ragioni sociali delle imprese.

Da queste sentenze risulta evidente, a nostro avviso, che il diritto "alla" lingua è, a tutti gli effetti, il diritto a "una" lingua (una o più lingue designate) nell'ambito dell'uso ufficiale delle lingue. Non è pensabile, infatti, che uno Stato possa utilizzare efficientemente le lingue di tutti i propri cittadini; di norma, deve limitarsi a praticare esclusivamente la/le lingua/e ufficiale/i o altre lingue designate, secondo criteri prestabiliti. Ad esempio, in virtù dell'articolo 38 dello Statuto speciale della Val d'Aosta del 1948, i testi ufficiali di questa regione autonoma italiana possono essere redatti in italiano o in francese, ma i dispositivi delle sentenze giudiziarie devono necessariamente essere stilati in italiano (27).

Il diritto a "una" lingua (una o più lingue designate) nell'uso ufficiale delle lingue non costituisce in sé un diritto necessariamente fondamentale. E' quanto risulta dalla sentenza MacDonald emessa dalla Corte Suprema del Canada, la quale ha stabilito che il diritto di utilizzare il francese e l'inglese nel settore giudiziario canadese, conformemente alle disposizioni scritte della Costituzione canadese, non costituisce in sé un diritto necessariamente fondamentale, ma piuttosto un diritto storico. D'altra parte, secondo la Corte Suprema, il diritto ad essere compreso in qualunque lingua presso un'istanza giudiziaria canadese rappresenterebbe invece un diritto fondamentale derivato dalla Common Law e a questo titolo non potrebbe neanche costituire l'oggetto di una clausola derogatoria da parte del Parlamento federale o di una legislazione provinciale, poiché è pressoché inconcepibile che venga completamente soppresso questo tipo di diritto fondamentale.

Pronunciandosi sui diritti linguistici nel Manitoba, la Corte Suprema del Canada ha dichiarato: L'importanza dei diritti in materia linguistica si fonda sul ruolo essenziale che la lingua svolge nell'esistenza, nello sviluppo e nella dignità dell'essere umano. E' attraverso la lingua che siamo in grado di formare concetti, di strutturare e organizzare il mondo che ci circonda. Il linguaggio costituisce il tramite fra il singolo individuo e la collettività, che permette agli esseri umani di definire i diritti e gli obblighi che ciascuno ha nei confronti degli altri, rendendo dunque possibile la vita in società. E ancora, nel Caso Société des Acadiens, la Corte Suprema del Canada ha deciso che i diritti linguistici rientrano nei diritti fondamentali, mentre nel Caso Mercure ha affermato che difficilmente si può negare che il linguaggio sia profondamente radicato nella condizione umana. Non sorprende quindi che i diritti linguistici rappresentino un tipo ben noto di diritti dell'individuo e che i diritti conce

rnenti le lingue francese e inglese sono essenziali alla vita stessa della nazione(28).

Bisogna dunque distinguere fra il diritto a "una" lingua, diritto eventualmente storico, e il diritto "alla" lingua, che è invece necessariamente fondamentale.

In linea di principio, il diritto a "una" lingua (una o più lingue designate) e il diritto "alla" lingua, nella misura in cui viene riconosciuto, dovrebbero comprendere nell'uso ufficiale delle lingue non soltanto il diritto a esprimersi e a comunicare, ma anche il diritto a esigere di comprendere e di essere compresi e serviti nella lingua o nelle lingue utilizzate.

D'altro canto, nell'uso non ufficiale delle lingue, mentre il diritto a esprimersi e a comunicare in una data lingua non dovrebbe in linea di principio subire limitazioni di sorta, il diritto a esigere di comprendere e di essere compresi e serviti in una data lingua dovrebbe, sul piano pratico, essere limitato in situazioni linguistiche unilaterali e riconosciuto a certe condizioni nelle situazioni bilaterali o multilaterali.

5. CONCLUSIONE

Il diritto "alla" lingua diventerà effettivamente un diritto fondamentale, alla stregua di altri diritti fondamentali, solo nella misura in cui sarà garantito non soltanto da principi giuridici astratti, ma anche da norme contenenti disposizioni vincolanti che identifichino con la maggior precisione possibile i detentori e i beneficiari di diritti e doveri linguistici, nonché le sanzioni legali che tali disposizioni comportano. Altrimenti, il diritto "alla" lingua rimarrà un diritto fondamentale puramente teorico, come molti altri diritti fondamentali, proclamato in norme contenenti disposizioni orientative che assicurano i diritti linguistici, ma senza specificare le sanzioni e gli obblighi corrispondenti.

Se è vero che la legge conserva certi margini di ambiguità, e che la migliore legislazione è quella meno prescrittiva, in particolare riguardo agli usi non ufficiali delle lingue, è anche vero che il diritto "alla" lingua (e dunque il diritto alla differenza) acquisirà significato, dal punto di vista giuridico, soltanto se è salvaguardato (soprattutto per le minoranze linguistiche) nei suoi vari aspetti (in particolare, nell'uso ufficiale delle lingue) da norme contenenti disposizioni vincolanti, come accade di solito per il diritto a "una" lingua.

In quanto diritto storico (che tiene cioè conto delle vicende storiche di ogni paese), il diritto a "una" lingua merita una considerazione speciale in certi contesti politici, pur non essendo in sé un diritto fondamentale. In quanto diritto fondamentale (ossia, diritto e libertà irrinunciabili di ogni individuo), il diritto "alla" lingua, pur racchiudendo in sé la dignità propria di tutte le lingue, non può essere considerato un diritto assoluto in tutte le circostanze. Esiste una gerarchia che deve tenere conto, secondo modalità differenti ma non giuridicamente discriminatorie, degli imperativi storici e linguistici fondamentali delle nazioni e degli individui interessati, ivi compreso l'imperativo di ristabilire una chiara condizione di parità fra le diverse lingue che coesistono in un dato contesto politico(29).

Laddove stabilisce (ad esempio nel paragrafo 89) che Quando un atto non richiede l'uso esclusivo della lingua ufficiale (il francese), insieme a questa può essere impiegata un'altra lingua, la Carta della Lingua Francese del Québec riconosce e salvaguarda il diritto a "una" lingua e il diritto "alla" lingua, stabilendo un'interessante gerarchia fra i due tipi di diritti nel campo della politica linguistica(30).

E' molto difficile studiare le politiche linguistiche degli Stati moderni da un punto di vista strettamente giuridico, perché non sempre abbiamo a nostra disposizione tutti i provvedimenti giuridici pertinenti. In effetti lo studio esclusivamente a livello costituzionale, o di certi testi giuridici di natura costituzionale, non è sufficiente a trarre conclusioni giuridiche assolutamente precise.

L'ideale sarebbe avere a disposizione i dettati costituzionali, le norme giuridiche ordinarie, i regolamenti, le sentenze giudiziarie e amministrative, nonché i riferimenti dottrinali pertinenti in materia linguistica.

Questo, in realtà, è possibile soltanto per certi Stati o per certe entità statali federate, come il Canada e il Québec. Ecco perché l'esame giuridico-linguistico del Canada e del Québec è importante ed essenziale per meglio comprendere e interpretare le cause e le modalità giuridiche delle varie politiche linguistiche.

D'altro canto, è evidente che i diritti linguistici, e più in particolare il diritto alla lingua, sono sempre più spesso riconosciuti come diritti fondamentali, sebbene in misura ancora insoddisfacente. L'articolo 27 dell'Accordo internazionale sui diritti civili e politici del 1966, entrato in vigore nel 1977, costituisce in questo senso un buon punto di partenza. Tale articolo riconosce in linea di principio ai membri delle minoranze linguistiche il diritto a utilizzare la propria lingua.

Ecco perché crediamo che sia giunto il momento per gli organismi internazionali competenti, quali l'ONU, l'Unesco e il Consiglio d'Europa, e per alcune importanti organizzazioni private, di analizzare seriamente i fenomeni e i problemi pertinenti affinché sia redatta una dichiarazione universale dei diritti linguistici che possa finalmente essere approvata e adottata da tutti gli Stati interessati.

In questa dichiarazione, bisognerà tenere conto, per quanto riguarda la politica linguistica di ciascun paese, sia dei due ambiti d'uso delle lingue - ufficiale e non ufficiale -, sia della distinzione fra diritti linguistici storici e diritti linguistici fondamentali, da un lato, e fra maggioranze e minoranze linguistiche, dall'altro.

Si dovranno evitare certe posizioni inopportune, come quella secondo cui sono soprattutto le maggioranze linguistiche a dover essere protette o quella, antitetica, secondo cui solo le minoranze necessitano di protezione. E' evidente che bisognerà accordarsi su ciò che si intende con "maggioranza linguistica" e "minoranza linguistica". Soprattutto, si dovrà sempre tener presente che la torre di Babele è una realtà permanente della condizione umana, al tempo stesso appassionante e fuorviante. Ciò significa che nell'elaborazione di qualunque politica linguistica è necessario tener conto di tale realtà ed evitare il dirigismo linguistico a oltranza.

All'inizio di questa relazione abbiamo detto che i diritti linguistici si fondano su due principi fondamentali, il principio della dignità di tutte le lingue e il principio dell'uguaglianza di tutte le lingue. Questi due principi sono interdipendenti. Perciò, qualunque tipo di discriminazione linguistica o di gerarchia tra le lingue è intrinsecamente inaccettabile.

Tuttavia, non tutte le lingue sono uguali dal punto di vista storico. Vi sono lingue dominanti e lingue dominate, maggioranze e minoranze linguistiche, e tutto ciò contribuisce a determinare situazioni negative sia in campo linguistico, sia in altri campi. Come abbiamo già detto, uguaglianza delle lingue non significa uniformità delle lingue. Né l'uguaglianza fra le migliaia di lingue e dialetti del mondo può essere intesa in termini di uguaglianza assoluta. Tutte le lingue, proprio perché riflettono differenze vitali, devono poter vivere e lasciar vivere le altre lingue nei loro vari ambiti. E' questo l'unico modo di evitare la "guerra delle lingue". E se vogliamo conseguire la "pace linguistica", dobbiamo fare tutto ciò che possiamo, sul piano giuridico e politico, perché questa speranza di pace si traduca in realtà. La pace linguistica è possibile e desiderabile nell'interesse di noi tutti. Essa sarà una fonte di straordinaria creatività culturale. E' dunque indispensabile proclamare solennemente il pri

ncipio dell'uguaglianza e il principio della dignità di tutte le lingue umane, evitando ogni sorta di inaccettabile egemonia linguistica.

Mi auguro che questa relazione convincerà i partecipanti al congresso internazionale del Partito Nuovo, che si tiene a Roma fra qualche giorno, che il tempo è oramai venuto per promuovere in maniera decisiva il diritto alla lingua e ai due suoi principi fondamentali, il principio della dignità e il principio dell'uguaglianza di tutte le lingue.

L'Accademia Internazionale di Diritto Linguistico è pronta ad aiutarvi dal punto di vista tecnico. Buon lavoro e buona fortuna!

NOTE

(1) Official Languages Act, R.S.C., 1970, c. C-02. La legge ha subito modifiche sostanziali in seguito agli emendamenti apportati nel luglio del 1988 (v. Progetto di legge C-72, adottato dal Parlamento canadese il 7 luglio 1988 e approvato il 28 luglio 1988).

(2) Charter of the French Language, R.S.Q., c. C-11. La Carta è stata ampiamente emendata nel dicembre del 1983 e nel dicembre del 1988 (S.Q. 1983, c. 56; S.Q. 1988, c. 54). E' nota correntemente col nome di Loi No 101 (Legge 101).

(3) Gambier, Yves: La Finlande bilingue: histoire, droit et réalités, Conseil de la langue française, Québec, 1986.

(4) In Camerun il francese e l'inglese sono entrambi lingue ufficiali, ma solo i testi redatti in francese sono "autentici".

(5) Articoli 2 e 3 della Legge fondamentale di normalizzazione dell'uso del basco (Legge n. 10 del 24 novembre 1982) e articolo 5 della Legge di normalizzazione linguistica in Catalogna (Legge n. 7 del 18 aprile 1983).

(6) In questi paesi, se vi è conflitto fra testi, prevale il testo redatto nella lingua nazionale.

(7) Turi, Joseph-G., Les dispositions juridico-constitutionnelles de 147 États en matière de politique linguistique, Québec, C.I.R.B., 1977.

Per quanto riguarda la Spagna, v. l'articolo 3 della Costituzione del 1978.

(8) The Attorney General of Quebec v. Nancy Forget, 1988, 2 S.C.R. 90.

(9) S.F.P.C. v. Miriam, 1984, C.A., 104. Charles Gagnon v. the Attorney General of Quebec, sentenza n. 200-36-000035-86. Sentenza n. 85-1233 della XIII Chambre des appels correctionnels, Sezione B, Corte d'Appello di Parigi, e sentenza n. 148-705 del Tribunal de Police de Paris.

(10) R.S.Q., c. C-11, r. 9.

(11) Vedi F. Redard, R. Jeanneret e J.-P. Métral (a cura di), Le Schwyzertutsh, 5e langue nationale?, CILA, Neuchâtel, 1981.

(12) V. Capitolo 747, 1977, e Capitolo 199, 1978, degli Statuti dello Stato di New York.

(13) R. v. Sutton, 1983, C.S.P., 101; questa sentenza fu confermata dall'Alta Corte del Québec con la sentenza n. 500-36-0000136-831 del 15 agosto 1983. Per il Caso Miriam, vedi sopra, nota 9.

(14) Sentenza n. 1327-84 della XIII Chambre des appels correctionnels, Sezione B.

(15) Sentenza n. 85-90-934 della Chambre criminelle de la Cour de cassation.

(16) La Corte d'Appello di Versailles si ispirò in parte alla decisione della Corte di Cassazione (vedi sopra, nota 15) per la propria sentenza sul Caso France Quick (sentenza n. 69-87 della VII Chambre de la Cour d'appel di Versailles).

(17) Macdonald v. City of Montreal, (1986) 1 S.C.R. 460

Ford v. Quebec (1988) 2 S.C.R. 712 (vedi p. 748).

(18) The Attorney General of Quebec v. Irving Toy Limited, (1989) 1 S.C.R. 927 (vedi p. 1004).

(19) Capotorti, Francesco, Etude des personnes appartenant aux minorités ethniques, religieuses et linguistiques, Organizzazione delle Nazioni Unite, New York, 1979 (vedi in particolare p. 81). Va tuttavia sottolineato che, secondo il Rapporto Capotorti, il diritto alla differenza non è il solo diritto fondamentale in questo ambito: anche il diritto all'assimilazione appartiene alla categoria dei diritti fondamentali (p. 103).

(20) Vedi sopra, nota 7.

Vedi anche Skutnabb-Kangas e Phillipson, Wanted! Linguistic Human Rights, Rolig, Roskilde, 1989, Danimarca, pp. 55-84.

(21) Repubblica di Turchia, Legge sulle pubblicazioni in lingue diverse dal turco, Legge n. 2832 (19 ottobre 1983).

(22) Les Nations Unies et les droits de l'homme, Nazioni Unite, New York, 1973.

La Charte internationale des droits de l'homme, Nazioni Unite, New York, 1978.

La Convenzione Internazionale è entrata in vigore il 23 marzo 1976.

(23) Il caso verteva su certi aspetti del regime linguistico dell'insegnamento in Belgio, 23 luglio 1968, Annuaire de la convention européenne des droits de l'homme, 1970, vol. 11, pp. 833-1019.

(24) Devine c. Procureur général du Québec (1987) R.J.Q. 50 (C.A.).

(25) Renvoi relatif aux droits linguistiques au Manitoba (1985), 1 R.C.S. 721 (vedi p. 744).

Société des Acadiens c. Association of Parents (1986), 1 R.C.S. 549 (vedi p. 578).

Macdonald c. Ville de Montréal (1986), 1 R.C.S. 460 (vedi pp. 501-502).

André Mercure c. le Procureur général de la Saskatchewan (1988) 1 R.C.S. 234 (vedi pp. 32-33).

Ford c. Québec (1988), 2 R.C.S. 712 (vedi p. 748).

Procureur général du Québec c. Irving Toy Limited (1989), 1 R.C.S. 927 (vedi p. 970).

(26) Canadian Charter of Rights and Freedoms

R.U. 1982, c. 11, Schedule B, Section 2.

Charte des droits et libertés de la personne (Québec) L.R.Q., c. C-12, Section 3.

(27) Barbagallo, Renato, Codice della Regione Valle d'Aosta, Musumeci, Aosta, 1971, p. 86.

(28) Vedi sopra, nota 25.

(29) Turi, Joseph-G., "Introduction au droit linguistique", in Langue et droit - Language and Law, a cura di Paul Pupier e José Woehrling, Wilson et Lafleur, Montréal, 1989, pp. 55-85.

(30) Per quanto riguarda la natura non discriminatoria di certe disposizioni previste dalla Legge 101 (paragrafo 35 della Legge, che richiede a determinate categorie professionali una conoscenza adeguata della lingua francese), si veda la sentenza della Corte Suprema del Canada nel Caso Forget (vedi sopra, nota 8).

Per quanto riguarda la natura discriminatoria di certe disposizioni previste dalla Legge 101 (paragrafi 58 e 69 della Legge, riguardanti l'uso esclusivo della lingua francese per cartelli e manifesti e per le ragioni sociali delle società commerciali), si veda la sentenza della Corte Suprema del Canada nel Caso Ford (vedi sopra, nota 17). In questa sentenza, la Corte ha stabilito che la distinzione fondata sulla "lingua d'uso", introdotta dal paragrafo 58 della Legge 101, aveva l'effetto di "annullare" il diritto fondamentale "a esprimersi nella lingua di propria scelta" (p. 787).

Per quanto riguarda il paragrafo 89 della Legge 101, vedi sopra, nota 9.

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