di Giuliano Pisapia, avvocatoSOMMARIO: La novità della sperimentazione svizzera (distribuzione controllata di eroina) è rappresentata dal fatto che una forma di legalizzazione non è stata conseguenza di una scelta di carattere ideologico ma della presa di coscienza di una tragica realtà e cioé del fallimento delle legislazioni pribizioniste.
(ITALIA OGGI, 16 maggio 1992
Due notizie, a prima vista contraddittorie, sono apparse nei giorni scorsi sulla stampa quotidiana. Mentre il Parlamento europeo si pronunciava contro ogni forma di legalizzazione degli stupefacenti, quasi contemporaneamente il governo svizzero decideva di iniziare la distribuzione sotto controllo medico di eroina da parte dello stato. Se si considera che la risoluzione del Parlamento europeo è stata approvata con un'esigua maggioranza (135 voti contro 121), e in contrasto con le conclusioni della commissione europarlamentare d'inchiesta sul traffico di stupefacenti, ben si comprende come, in realtà, le due notizie siano solo apparentemente contraddittorie: sempre maggiore è infatti il numero di chi ritiene necessario percorrere, nella lotta alla droga, strade diverse da quelle fino ad oggi seguite e dimostratesi, purtroppo, fallimentari. E' in questo contesto che si è sviluppata la proposta del Consiglio federale elvetico, da molti ritenuta avventata ma che, in realtà, è solo ragionevole. In Svizzera vi son
o oltre 60 mila tossicodipendenti su 6 milioni e mezzo di abitanti. I sieropositivi sono circa 20 mila. Nel 1991, i decessi per droga sono stati 403, con un'impennata del 30% rispetto al 1990. La strada del proibizionismo ha portato all'aumento dei morti per droga, dei sieropositivi e dei malati di Aids. Si è cos' deciso di distribuire, a chi già fa uso di sostanze stupefacenti, eroina, metadone e morfina sotto stretto controllo medico. Con l'obiettivo di limitare i decessi, le malattie collaterali, la commissione di reati connessi alla tossicodipendenza e di allargare il ventaglio di offerte terapeutiche, migliorando così, in concreto, le condizioni di vita dei tossicodipendenti e rendendo più concreta la possibilità di disintossicazione. E' evidente, infatti, che il contatto con le strutture pubbliche rende più facile quel rapporto di fiducia tra consumatore e operatore sociale, che è presupposto di qualsiasi trattamento terapeutico. La nuove e diversa attenzione che paesi a noi vicini mostrano verso propo
ste fino a ieri considerate impraticabili, non possono non far riflettere. Nel 1991 in Italia i morti ufficiali per eroina sono stati 1.275. I tossicodipendenti e i sieropositivi sono in continuo aumento. I tribunali di tutta Italia sono sommersi da procedimenti a carico di consumatori di droga (in alcune grandi città raggiungono il 70-80% delle notizie di reato): il che significa anche dispendio di uomini, mezzi, fondi ed energie che meglio potrebbero essere utilizzati nella lotta al grosso spaccio e alla criminalità organizzata. L'attuale situazione fa crescere a dismisura i guadagni dei narcotrafficanti che, chiaramente, tendono a investire i loro profitti in operazioni lecite, creando gravi scompensi a livello economico e finanziario. Eppure, malgrado la drammaticità della situazione, si continua a non prendere atto del fallimento dell'attuale scelta legislativa. Il che non significa avere certezze sui possibili risultati di soluzioni alternative ma, quanto meno, riconoscere la necessità e l'urgenza di p
ercorrere strade diverse da quelle fino ad oggi seguite. E proprio questa è la novità della sperimentazione svizzera: una forma di legalizzazione, che non è conseguenza di una scelta di carattere ideologico ma della presa di coscienza di una tragica realtà. Da noi, un'iniziativa analoga servirebbe anche a far uscire dalla clandestinità, e quindi da una situazione di degrado fisico e morale, quai tossicodipendenti (e sono la stragrande maggioranza) che non hanno alcun rapporto con le strutture pubbliche e private (su oltre 600 mila assuntori abituali di droga non più di 56 mila sono in collegamento con i servizi per le tossicodipendenze o con le comunità terapeutiche). Non è privo di significato che anche in Italia ipotesi di legalizzazione, collegata con interventi terapeutici e riabilitativi, trovino oggi consensi nei settori più diversi e insospettabili. Frequenti sono le prese di posizione di magistrati che richiedono di consentire, a chi si trova in crisi di astinenza, di ricevere o acquistare la dose da
un medico, piuttosto che da uno spacciatore. E le pronuncie di giornalisti, imprenditori, consulenti e professionisti contro l'attuale politica. Alcuni operatori hanno recentemente costituito un "Comitato per la regolamentazione delle droghe" (Red), il cui scopo è proprio quello di denunciare i danni del proibizionismo dal punto di vista economico: l'enorme quantità di denaro sporco da riciclare (una stima a livello mondiale di 400 mila miliardi) induce, infatti, i trafficanti a invadere i settori legali della produzione di beni e servizi, diffondendovi pratiche criminali e creando gravi situazioni di concorrenza sleale. Il fallimento delle strade fino ad oggi percorse deve far riflettere sull'urgenza di sperimentare la più presto soluzioni diverse da quelle attuali, che permettano, da un lato, di combattere efficacemente il narcotraffico e, dall'altro, di incidere positivamente sulle sofferenze dei tossicodipendenti, dei loro familiari e di chi è vittima delle loro minacce e violenze. Spezzare il legame pe
rverso fra chi della droga fa uso e abuso e chi, invece, ne fa fonte di guadagno è il primo passo per limitare i danni di un fenomeno che nessuna legge, da sola, può debellare.