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Il Partito Nuovo - 31 maggio 1992
La lotta nonviolenta del popolo tibetano

SOMMARIO: Il 13 aprile 1992, Piero Verni, segretario dell'associazione »Italia-Tibet , ha intervistato a Dharamsala, un villaggio dell'Himalaya indiano, il Dalai Lama, Premio Nobel per la Pace, leader in esilio del popolo tibetano, simbolo della nonviolenza e del dialogo.

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»Oltre alle torture, agli arresti indiscriminati, alle esecuzioni capitali, in Tibet è in atto un tentativo di distruggere completamente, di annientare la cultura del popolo tibetano. C'è una sistematica volontà di sdradicare perfino il ricordo di quella che un tempo era una delle più antiche ed importanti tradizioni dell'Asia : è quanto afferma il Dalai Lama nell'intervista che pubblichiamo in questa pagina. Il Tibet è solo una delle terre del pianeta dove sono violati i diritti delle persone, dove viene negata l'esistenza ad individui o a popoli interi.

Creare un'organizzazione capace di intervenire, in modo nonviolento rispetto alle situazioni di crisi che il mondo vive, affermando diritto e legge sovranazionali, battersi per una riforma dell'Organizzazione delle Nazioni Unite che superi il principio che regola la convivenza umana, la sovranità illimitata di ogni Stato, sono i nostri obiettivi di azione, il nostro progetto.

(IL PARTITO NUOVO - N. 7 - MAGGIO 1992)

Domanda: »Come vede l'attuale situazione politica del Tibet? .

Risposta: »Anche se rimane molto difficile, mi sembra di scorgere alcuni segnali positivi. Penso che il Tibet potrà essere liberato dall'oppressione cinese in un periodo che va dai cinque ai dieci anni. Ritengo che la Cina sia destinata a seguire un destino simile a quello dell'Unione Sovietica. Entro qualche anno avverranno grandi cambiamenti all'interno del nostro grande vicino asiatico .

D.: »In occasione della recente visita in India del Primo Ministro cinese Li Peng, diversi uomini politici ed intellettuali indiani hanno criticato le posizioni del Governo di Nuova Delhi sulla questione tibetana. Qual è la sua posizione al riguardo? .

R.: »Dal 1959 ad oggi i Governi indiani hanno aiutato moltissimo i rifugiati tibetani sotto un profilo umanitario. Ci hanno accolti in India, dove, anche grazie alla collaborazione delle autorità indiane, abbiamo potuto preservare gli elementi fondamentali della nostra civiltà .

D.: »Ma dal punto di vista politico, l'India non ha mai veramente aiutato la lotta democratica del popolo tibetano e, soprattutto in questi ultimi anni, sembra terrorizzata dall'idea di criticare Pechino sia per quanto riguarda il Tibet sia per la situazione dei diritti umani all'interno dello stesso territorio cinese .

R.: »Non voglio entrare nel merito della politica estera del Governo indiano, però posso dire che mi addolora constatare che le autorità di Nuova Delhi non offrano un esplicito aiuto alla lotta democratica e nonviolenta del popolo tibetano. Non gli diano quello stesso aiuto politico e morale che è invece concesso alle lotte di liberazione di altri popoli, come, ad esempio, i palestinesi e le popolazioni nere del Sud Africa. Inoltre, un Tibet libero sarebbe nell'interesse sia dell'India sia della Cina. Infatti, queste due grandi nazioni non si troverebbero più ad avere confini comuni e potrebbero impiegare per scopi pacifici e umanitari le ingenti somme di danaro che devono invece spendere per mantenere centinaia di migliaia di soldati lungo le rispettive frontiere .

D.: Cosa risponde a quanti affermano che il Governo cinese ha fatto patire anche al suo stesso popolo le medesime vessazioni che ha inflitto ai tibetani?

R.: »Certamente anche il popolo cinese nel campo dei diritti umani ha sofferto immensamente, a causa della politica del Governo comunista di Pechino. Ma purtroppo il caso del Tibet è ancora più grave, poichè siamo di fronte ad un vero e proprio genocidio culturale. Oltre alle torture, agli arresti indiscriminati, alle esecuzioni capitali, in Tibet è in atto un tentativo di distruggere completamente, di annientare la culturale del popolo tibetano. C'è una sistematica volontà di sdradicare perfino il ricordo di quella che un tempo era una delle più antiche ed importanti tradizioni dell'Asia .

D.: »Quando parla di genocidio culturale, si riferisce anche al trasferimento in Tibet di milioni di coloni cinesi? .

R.: »Certamente. Il trasferimento di milioni di coloni cinesi in Tibet rappresenta una diretta minaccia alla sopravvivenza della cultura tibetana e dello stesso popolo tibetano. Un enorme numero di cinesi continua ad arrivare nel mio Paese e ad insediarvisi. Tutti i lavori migliori sono riservati ai cinesi, che, tranne alcune eccezioni, governano in prima persona il »tetto del mondo . L'autentico stile di vita e l'identità culturale sono ormai prossimi all'estinzione .

D.: »Ritiene che le ultime affermazioni di Deng Tsiao Ping rappresentino un ennesimo cambiamento di rotta della politica cinese? .

R.: »E' probabile. Sembrerebbe che oggi i moderati siano di nuovo all'offensiva e gli esponenti dell'ala oltranzista stiano perdendo terreno. Ci sono anche voci di una possibile sostituzione di Li Peng con un politico di vedute più aperte .

D.: »In questo caso si aprirebbe qualche spiraglio per dei negoziati tra il suo Governo e la leadership di Pechino? .

R.: »E' difficile dirlo con certezza. Probabilmente se la situazione in Cina si evolverà positivamente, forse anche riguardo alla questione tibetana qualcosa di buono potrà accadere. Da parte mia sono sempre più convinto che una soluzione al dramma del mio popolo potrà essere raggiunta solo attraverso una politica di dialogo, di nonviolenza e di reciproca comprensione. Se non si riesce ad instaurare tra le parti un clima di fiducia e buona volontà saremo tutti sconfitti, tibetani e cinesi. E' per questo che rinnovo l'invito ai dirigenti di Pechino di concedermi la possibilità di fare un viaggio in Tibet. Potrei così, non solo spiegare direttamente al mio popolo la mia visione di una battaglia nonviolenta e democratica per ottenere i nostri diritti, ma anche sedermi intorno ad un tavolo con i leaders cinesi e tentare di creare, attraverso il contatto personale, una nuova atmosfera, meno sospettosa che in passato. Su queste nuove basi si potrebbe avviare una discussione amichevole e costruttiva. Questa è, alme

no, la mia speranza .

 
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