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Grinspoon Lester, Rossi Carla - 21 luglio 1992
"LA MARIJUANA"
di Lester Grinspoon

da "Le Scienze" edizione italiana di "Scientific American"

numero 19, marzo 1970, anno III, volume IV.

Ripubblicato da: CORA - OSSERVATORIO DELLE LEGGI SULLA DROGA - Documenti 1 a cura di Carla Rossi, hanno collaborato Giuseppe Lorenzi e Simonetta Verità - MILLELIRE STAMPA ALTERNATIVA - Informazioni sul proibizionismo a cura di Marcello Baraghini e Maurizio Turco - 21 luglio 1992

PREFAZIONE: a cura di Carla Rossi

Questo articolo, pubblicato per la prima volta su "Le Scienze" più di venti anni fa, non ha perso il suo interesse scientifico.

Ripubblicarlo oggi, nell'ambito di un dibattito sulla legge 162/90 sula droga e sul suo impatto, riveste un interesse particolare in quanto, permette di evidenziare come leggi "perverse" possano rendere pericolose e a volte mortali sostanze di per se pressoché innocue.

Se poi si confronta il documento della Drug Policy Foundation, riportato nel IV rapporto OLD - aprile 1992 , che riesamina 20 anni di fallimenti nella strategia andina degli Stati Uniti, tesa all'eradicamento delle colture prima di marijuana e poi di coca, che sono state seguite regolarmente da un'espansione selvaggia del mercato e dal passaggio a sostanze sempre più pericolose e alla crescita del potere economico e politico di organizzazioni criminali sempre più agguerrite, si è indotti all'amara constatazione della sequenza di errori delle varie politiche intraprese dai Paesi Occidentali, che sembra che non siano ormai più in grado di governare il fenomeno e neppure di immaginare come mettere a frutto i numerosi insuccessi ottenuti.

Credo che questo documento dovrebbe far anche riflettere quanti sembrano non accogliere l'urgenza di pervenire alla separazione dei mercati delle cosiddette droghe leggere e pesanti mediante una politica illuminata di tipo olandese, che riporti le sostanze leggere al loro giusto valore e "pericolosità", ostacolando quel passaggio dall'uso di droghe leggere a quello di droghe pesanti tanto sbandierato dai difensori del divieto ad ogni costo, mai provato statisticamente in modo attendibile, e reso possibile, e addirittura indotto, essenzialmente dagli interessi delle organizzazioni criminali che governano il mercato clandestino di tutte le droghe.

Non è la sostanza ad essere pericolosa, come scientificamente provato e noto già da oltre venti anni, come dimostra il presente documento mai smentito, è l'attuale gestione del mercato delle sostanze a rendere pericolosa la marijuana facilitando il passaggio ad altre sostanze e soprattutto la legge che porta in carcere anche i semplici consumatori di sostanze leggere a renderle a volte anche mortali.

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LA MARIJUANA

Si può dimostrare che si tratta di una

droga di modesta tossicità. La sua

notorietà solleva un interessante

dibattito pro e contro il suo uso.

di Lester Grinspoon

[Insegna psichiatria alla Harvard Medical School di Boston. Membro della commissione esaminatrice dell'America Board of Psychiatry and Neurology. Consulente della scientifico della National Organisation for the Reform of Marijuana Laws, membro del Consiglio Consultivo della Drug policy Foundation. E' consulente giuridico di alcuni stati americani: New Jersey, Colorado, Washington, New York, Vermont e Massachussetts. E' autore di una proposta per la legalizzazione e la tassazione delle droghe.]

La prima testimonianza dell'uso della marijuana si trova in un compendio cinese di medicina, l'erbario dell'imperatore Shen Nung del 2737 a.c. Il suo uso come stupefacente si estese dalla Cina all'India, poi all'Africa settentrionale e di qui, infine, all'Europa, circa nel 1800 dopo Cristo, forse portata da truppe dell'esercito napoleonico che tornavano dalla campagna d'Egitto. Nel nuovo mondo la marijuana era conosciuta da secoli nell'America meridionale e centrale, ma negli Stati Uniti non ebbe largo impiego fino al 1920 circa. Poiché la pianta della canapa, o "Cannabis sativa", da cui si ricava la droga sotto varie forme, è una pianta erbacea che cresce spontaneamente in molti climi, non è possibile sapere esattamente quale sia la sua diffusione attuale nel mondo. Secondo un'indagine eseguita dalle Nazioni Unite, coloro che usavano la droga nel 1950 erano circa 200 milioni, soprattutto in Asia e in Africa.

La canapa è stata a lungo usata nella storia come pianta tessile, come droga nelle cerimonie tribali e come medicinale, specie in India, Nel XIX secolo la droga veniva spesso prescritta nel mondo occidentale per diversi disturbi, come la tosse, l'esaurimento, i reumatismi, l'asma, il delirium tremens, l'emicrania e i dolori mestruali. Per quanto il suo uso stesse già alquanto diminuendo in seguito all'introduzione dei narcotici e analgesici sintetici, rimase nella farmacopea statunitense fino al 1937. Le limitazioni decretate dalla legge 1937 determinarono la sua esclusione dalla lista dei medicinali.

Ad ogni modo, in tutti i tempi la pianta della canapa ha suscitato interesse soprattutto per le sue proprietà di euforizzante. Sembra che il nome marijuana sia una corruzione del vocabolo portoghese mariguango, che significa bevanda inebriante. La diffusione della droga è messa in evidenza dalla moltitudine di termini dialettali con cui è conosciuta; per esempio negli Stati Uniti prende i nomi di "weed" (erbaccia), "grassa" (erba), "pot", "tea", "marijuana" ed altri ancora, e la si fuma quasi sempre in sigarette chiamate "reefers" o "joints". Altrove si prende spesso come bevande o mescolata ai cibi, per esempio dolciumi.

La droga varia molto in qualità ed efficacia, a seconda del clima, terreno, coltivazione e metodo di preparazione. Essa si ricava quasi esclusivamente dalla pianta femminile. Le infiorescenze e le foglie apicali quando la pianta è matura si ricoprono di una resina appiccicosa giallo-dorata, con un profumo di menta: questa contiene le sostanze attive. Si preparano tre qualità di droga, indicate con nomi indiani. La qualità più economica e meno efficace, chiamata "bhang", si ricava dagli apici di piante selvatiche e ha un basso contenuto di resina. La maggior parte della marijuana che si fuma negli Stati Uniti è questa qualità. Per gli Indù di palato fine il bhang è un rozzo surrogato del "ganja", un pò come la birra rispetto a un buon whisky scozzese, ed è disprezzato da tutti, tranne i più poveri. Il ganja si ottiene dalle cime fiorite e dalle foglie di piante coltivate e selezionate. Il terzo tipo di droga di qualità ancora superiore, chiamato in India "charas", è costituito dalla resina stessa, raschiata

con cura dagli apici delle piante mature. Solo questo tipo di droga è il vero "hashish"; l'opinione diffusa che questo nome si riferisca a una qualsiasi droga derivata dalla canapa è sbagliata . Il charas, o hashish, è da 5 a 8 volte più efficace della migliore marijuana reperibile negli Statui Uniti.

La composizione chimica delle droghe della canapa è estremamente complessa e non del tutto nota. Negli anni '40 si scoprì che i costituenti attivi sono vari isomeri del tetraidrocannabinolo. Recentemente è stato sintetizzato l'isomero delta-1: si pensa che questo sia il componente attivo principale della marijuana. L'efficacia della droga, però dipende probabilmente anche da altri componenti e dal modo in cui viene presa. Sono stati preparati circa 80 derivati del cannabinolo, e alcuni di essi sono stati sperimentati su animali o su volontari, per studiarne l'azione.

Gli effetti della canapa (usata qui come termine generale per indicarne l'insieme dei prodotti psicotropi ricavati dalla pianta) negli animali sono limitati al sistema nervoso centrale. La droga non altera sensibilmente il comportamento dei ratti o topi, o il semplice apprendimento nei ratti; tuttavia calma i topi resi aggressivi dall'isolamento e nei cani provoca uno stato soporoso con sogni che ricorda l'ultimo stadio dell'effetto della droga sull'uomo. In forti dosi la canapa produce negli animali sintomi come vomito, diarrea, tremori fibrillari e mancanza di coordinazione muscolare. Per alcuni animali sono state stabilite le dosi letali; per esempio nei gatti la dose letale per via orale è di tre grammi di charas, otto grammi di ganja o dieci grammi di bhang per chilogrammo di peso corporeo. Ai cani sono state dosi molto alte senza provocare decessi; anche tra gli uomini non è stato registrato nessun caso di morte. Gli effetti psichici della droga sono stati descritti frequentemente in letteratura. Molt

o tempo fa l'hashish ricevette una fama sinistra dagli scritti di letterati, in particolare il gruppo degli scrittori francesi (Baudelaire, Gautier, Dumas padre e altri) che formavano il "club des Hachichins" (ossia dei fumatori di hashish) nella Parigi del decennio 1850-60. I loro resoconti, scritti sotto l'influenza di grandi quantità di hashish, debbono essere ridimensionati come esagerazioni che non si applicano all'uso moderato della droga. Si supponeva che l'hashish fosse stato la causa della psicosi e della morte di Baudelaire, ma questa diceria trascura il fatto che egli era un alcoolizzato affetto di sifilide terziaria.

Bayard Taylor, scrittore, conferenziere e viaggiatore americano, provò su di se la droga durante una visita in Egitto nel 1854, e ne descrisse accuratamente l'azione.

"Durante la mezz'ora di durata dell'effetto, non fui tanto influenzato dalla droga da non poter studiare con chiara percezione i cambiamenti che subivo. Notai attentamente il diffondersi di fini sensazioni per tutto il tessuto delle mie fibre nervose, e ogni fremito mi aiutava a liberare il corpo della sua natura terrestre e materiale, finché la mia carne mi apparve più leggera dei vapori dell'atmosfera; e mentre sedevo nella quiete del crepuscolo egiziano mi aspettavo di essere sollevato e portato via dalla brezza che increspava il Nilo. Mentre queste sensazioni continuavano, gli oggetti da cui ero circondato assunsero un'espressione strana e bizzarra... scoppiai in un lungo accesso di risate. L'allucinazione scomparve gradualmente come era venuta; fui sopraffatto da una sonnolenza dolce e piacevole e caddi in un sonno profondo e ristoratore".

Forse la relazione clinica più particolareggiata è quella dell'illustre psichiatra di New York, Walter Bromberg, che nel 1934 descrisse gli effetti psichici della droga basandosi su molte osservazioni e colloqui con persone sotto l'influenza della marijuana, e sulla propria esperienza.

"Lo stato di intossicazione inizia con un periodo di ansietà da dieci a trenta minuti dopo aver fumato, durante il quale il soggetto alle volte mostra paura di morire e ansietà di natura vaga, associate a irrequietezza e iperattività. Nel giro di alcuni minuti comincia a sentirsi più calmo e subito mostra chiari segni di euforia; diventa loquace... si rallegra e si esalta... comincia ad avvertire uno stupefacente senso di leggerezza agli arti e al corpo... ride fragorosamente e senza controllo... a volte senza il minimo stimolo... ha la sensazione che la sua conversazione sia spiritosa e brillante... il rapido fluire di idee da l'impressione di vivezza di pensiero e di osservazione, ma è evidente la confusione quando tenta di ricordare quello che aveva pensato... egli può cominciare ad avere allucinazioni visive... lampi di luce o immagini amorfe di vivido colore che si evolvono e sviluppano in figure geometriche, strutture, visi umani e dipinti di grande complessità... Dopo un periodo più o meno lungo che

può durare fino a due ore, il fumatore diventa sonnolento, cade in un sonno senza sogni e si risveglia senza provare effetti fisiologici secondari e col ricordo chiaro di ciò che era accaduto durante lo stato tossico".

La maggior parte degli osservatori considerano la relazione di Bromberg come una descrizione completa di tutti i fenomeni che avvengono durante l'intossicazione. Molti studiosi ritengono che gli effetti del fumo della marijuana da cinque a dodici ore. Per colui che ne fa uso per la prima volta, l'ansietà che talvolta si presenta inizialmente può essere alleviata dalla presenza di amici; coloro che si drogano abitualmente parlano a volte di "felice ansietà". E' oggi discussione che l'intossicazione aumenti sensibilità agli stimoli esterni, riveli particolari di solito trascurati, faccia sembrare più brillanti e più splendidi i colori, metta in luce valori nelle opere d'arte che prima avevano poco o punto significato agli occhi dell'osservatore e aumenti la sensibilità alla musica. Molti musicisti di jazz hanno detto che suonano meglio sotto l'influenza della marijuana, ma questo non è stato obiettivamente confermato.

Il senso del tempo è distorto: dieci minuti possono sembrare un'ora. Stranamente, c'è spesso una scissione della coscienza cosicchè il fumatore, sotto l'effetto della droga, è nello stesso tempo un osservatore obiettivo della propria intossicazione. Può, per esempio, essere afflitto da pensieri paranoici, ma nello stesso tempo essere ragionevolmente obiettivo su di essi e perfino riderci sopra e farsene beffe, e in un certo senso rallegrarsene. La capacità di mantenere un grado di obiettività può spiegare il fatto che molti di quelli che fanno uso abituale di marijuana riescono a comportarsi in pubblico in modo perfettamente equilibrato, anche quando sono fortemente intossicati.

La marijuana è nettamente distinta da altri allucinogeni come l'LSD, il DMT, la mescalina, il peyote e psilocibina. Benchè produca alcuni effetti simili, è molto meno potente di queste altre droghe. Non altera fortemente la coscienza e non porta ad assuefazione. Inoltre di solito i fumatori di marijuana possono valutarne accuratamente gli effetti e perciò regolare la assunzione di droga fino alla quantità necessaria per produrre il grado desiderato di euforia.

Consideriamo ora ciò che si è ricavato dai tentativi di ottenere misurazioni obiettive degli effetti psicologici, fisiologici, psichici e sociali dell'uso della marijuana. Esiste una vasta letteratura, che spazia per più di un secolo, e che si è particolarmente arricchita negli anni '60.

Una ricerca approfondita sui vari aspetti del problema della marijuana fu condotta negli anni 30 da una commissione designata dal sindaco di New York Fiorello La Guardia. In questo lavoro Robert S.Morrow esaminò gli effetti della droga sulle funzioni psicomotorie e su alcune capacità sensoriali. Egli trovò che anche in forti dosi la marijuana non influenzava la prontezza della risposta a semplici stimoli. Non indeboliva neppure l'acutezza dell'udito, l'abilità musicale o la capacità di valutare brevi intervalli di tempo o brevi distanze. Influenzava invece la fermezza della mano e del corpo e il tempo di reazione a stimoli complessi.

Più recentemente Lincoln D.Clark ed Edwin N.Nakashima del College of Medicine dell'Università dell'Utah utilizzarono otto test di percezione, coordinazione e apprendimento nell'esaminare soggetti che ricevevano dosi di marijuana per bocca.

Essi trovarono che le prestazioni in sei prove su otto non erano peggiorate neppure con alte dosi di droga. Vi era stato uno scadimento della prestazione solo nel test del tempo di risposta e nell'apprendimento di un cifrario. Tuttavia nel caso del primo test questa conclusione era basata su due soli soggetti, e per il secondo si basava su cinque soggetti, uno dei quali in realtà mostrava un miglioramento, nel corso degli esperimenti. Andrew T.Weil, Noeman E.Zinberg e Judith M.Nelsen della Boston University School of Medicine recentemente sottoposero ad altre prove due gruppi differenti di soggetti, l'uno costituito da fumatori abituali di marijuana, l'altro da persone che provavano la droga per la prima volta. Per quanto riguarda la capacità di mantenere un'attenzione continua, la prestazione di entrambi i gruppi non fu influenzata dalla droga a qualsiasi dosaggio.

Nelle prove di riconoscimento (prova di sostituzione di una cifra con un simbolo), il gruppo dei "neofiti" mostrò qualche peggioramento sotto l'effetto della droga, ma le prestazioni dei fumatori incalliti di marijuana non peggiorarono significativamente, anzi ad alte dosi mostrarono una tendenza al miglioramento. Nelle prove di coordinazione muscolare e di attenzione i risultati furono uguali a quelli della prova precedente, ma in questo caso il miglioramento della prestazione dei fumatori abituali avrebbe potuto essere semplicemente dovuto all'esperienza. Nove soggetti che ricevevano la droga per la prima volta furono sottoposti anche a una prova per studiare gli effetti sul loro senso del tempo. Prima di prendere la droga i soggetti avevano dimostrato di poter valutare un periodo di cinque minuti con un errore di due minuti. Dopo aver ricevuto un sostituto inefficace della droga (placebo) nessun soggetto cambiò la sua valutazione dell'intervallo di cinque minuti. Durante l'intossicazione con dose bassa t

re soggetti grosso modo raddoppiarono la valutazione dei cinque minuti e sotto forte dose quadruplicarono la valutazione.

Nello studio della commissione La Guardia, Florence Halperm si occupò delle ricerche sugli effetti della marijuana riguardo alle funzioni intellettive. La studiosa trovò che i punteggi dei soggetti nelle prove di intelligenza, specie dove erano considerati concetti numerici, tendevano a diminuire durante gli ultimi stadi dell'intossicazione. Le loro prestazioni tornavano successivamente alla normalità. Il alcune prove di memoria e di facilità verbale le prestazioni non venivano peggiorate oppure venivano migliorate sotto l'effetto di dosi basse di droga. La ricercatrice quindi concluse che quando il rendimento intellettuale si abbassava, ciò era dovuto solo a una diminuzione di prontezza e precisione durante l'intossicazione.

Diversi ricercatori, tra i quali alcuni membri della commissione La Guardia, il gruppo di Weil ed altri, hanno esaminato gli effetti fisici e fisiologici dell'intossicazione della marijuana. Occasionalmente possono insorgere nausea, vomito e diarrea, specie se la droga è presa per bocca. Tuttavia di solito i sintomi sgradevoli che accompagnano l'intossicazione sono lievi. Si possono avere leggeri tremori, una lievissima dilatazione delle pupille accompagnata da una rallentata risposta pupillare alla luce e una debole mancanza di coordinazione. E' stato osservato un aumento della frequenza cardiaca, inoltre si può avere un leggero aumento della pressione sanguigna. L'urinazione tende ad aumentare come frequenza e forse come quantità. Spesso la bocca e la gola si inaridiscono, causando sete. Uno dei più singolari effetti dell'intossicazione è un senso di fame. Inoltre il cibo viene apprezzato in maniera particolare cosicchè una persona sotto l'influenza della droga può avvicinarsi ad un piatto ordinari con l'

anticipazione festosa di un buongustaio. Questo effetto suggerisce l'idea che la droga possa essere utile nel trattamento di quello stato patologico caratterizzato da perdita dell'appetito che va sotto il nome di anoressia nervosa.

Ci sono numerose prove che la marijuana non sia una droga che dà assuefazione: cessarne l'uso non provoca sintomi di disassuefazione e il fumatore abituale non sente il bisogno di aumentarne la dose. I ricercatori hanno trovato che l'abitudine alla droga non è forte come quella al tabacco e all'alcool. Bromberg conclude che la marijuana non produce abitudine e che sviluppa "gli elementi edonistici della personalità". E' certamente possibile che alcune persone questo fatto sia causa di una dipendenza della droga per l'esperienza del piacere o per il sollievo dato al dolore psichico. Può tale uso definirsi abuso di droga? Il termine "abuso" è difficile da precisare e la sua interpretazione varia in funzione della cultura e delle consuetudini. Se si misura l'abuso in termini di pericolo per l'individuo e la società, allora si deve far notare che, benchè i pericoli dell'alcoolismo e anche del bere in società siano ben precisi, il bere in società non è considerato abuso. I pericoli dell'uso della marijuana, d'al

tra parte, non sono stati ancora determinati.

La posizione sfavorevole del pubblico statunitense nei confronti della marijuana risente di vari giudizi. Questo in parte è risultato di una "campagna educativa" iniziata negli anni 30 dal Federal Bureau of Narcotics (da allora ribattezzato Bureau of Narcotics and Dangerous Drugs), campagna che ha disseminato molte informazioni false o distorte sulla droga. Vi sono poi fattori culturali e sociali che contribuiscono a rafforzare i timori del pubblico nei riguardi della marijuana . Le vestigia della morale protestante, ancora potente negli Stati Uniti, condannano la marijuana come un oppiaceo, usato solo per soddisfare il piacere (mentre l'alcool è accettato perché lubrifica le ruote del commercio e catalizza i rapporti sociali). L'effetto della marijuana, che produce uno stato di introspezione e di passività fisica, ripugna a una tradizione culturale che apprezza l'attività, l'aggressività e l'arrivismo. Forse i pregiudizi sociali hanno la loro parte nell'allarmismo che circonda la droga: questi pregiudizi

provengono dalle vecchie generazioni, che vedono nella marijuana il simbolo della alienazione dei giovani, e dalla popolazione di razza bianca che, forse, in gran parte inconsciamente, considera la marijuana una droga "di colore" che sta rapidamente invadendo la loro comunità. Infatti, fino a poco tempo fa, la marijuana veniva fumata principalmente nei ghetti negri e portoricani e dalle persone di origine messicana. Forse non a caso alcuni degli Stati del sud hanno le leggi più severe contro la distribuzione della droga, comportando pene che vanno fino all'ergastolo e persino, in alcuni casi, alla pena di morte.

Se vogliamo affrontare razionalmente ed efficacemente il problema dell'aumento dell'uso della marijuana negli Stati Uniti, dobbiamo ovviamente cercare di eliminare tutti i fattori emotivi intorno alla questione e sostituire le dicerie coi fatti che si possono determinare. Esaminiamo le credenze correnti sulla droga.

Coloro che usano marijuana sono portati all'uso degli stupefacenti? La legge Federale del 1937, che mise fuorilegge le droghe ricavate dalla canapa, portò al loro aumento di prezzo, che fornì un incentivo agli spacciatori di stupefacenti a smerciare marijuana senza altri rischi legali oltre a quelli che già correvano. Ciò mise i fumatori di marijuana di fronte alla possibilità di far uso di tutti i tipi di droghe e condusse, come era prevedibile, un aumento dell'uso di stupefacenti che fu imputato all'aumento nell'uso della marijuana stessa. Nessuna relazione in tale senso è stata trovata in parecchi studi che hanno esaminato a fondo la questione, compresi quelli della commissione La Guardia e le ricerche sull'abuso di stupefacenti effettuata dalle Forze Armate per carico del Presidente degli Stati Uniti.

E' vero che l'indagine Federale mise in luce che tra coloro che usavano la eroina circa il 50% avevano già avuto esperienza con la marijuana; tuttavia nell'indagine si trovò anche la maggior parte di coloro che erano dediti all'eroina bevevano alcoolici e fumavano tabacco. Non vi sono prove per poter affermare che la marijuana conduca all'uso degli stupefacenti più facilmente dell'alcool e del tabacco.

La marijuana porta allora gli individui a un comportamento aggressivo, violento e criminale, come hanno sostenuto alcuni ricercatori? In uno studio approfondito del problema della marijuana a Manhattan, Bromberg non trovò indicazioni in tal senso. "Non è stato dimostrato alcun caso di assassinio o crimine sessuale dovuto alla marijuana". Ristudiando un caso che era stato citato dal Federal Bureau of Narcotics, di un uomo che aveva confessato di aver assassinato un amico sotto l'influsso della marijuana , Bromberg trovò l'individuo era un mentitore psicopatico e che non c'era nessuna prova che egli avesse mai usato la marijuana o qualsiasi altra droga. In Nigeria, uno studio di psichiatria, T.Asuni, notò che una comunità sottosviluppata aveva un'altra incidenza sia di crimine che di uso dell'hashish, ma concluse che queste statistiche si potevano attribuire alle frustrazioni delle persone piuttosto che a una relazione tra droga e crimine. Due studiosi indiani, R.N. Chopra e G.S. Chopra, in ricerche sull'uso

della droga, hanno affermato che la canapa, anzichè provocare un comportamento criminale, tende a sopprimerlo; l'intossicazione porta a uno stato letargico che inibisce qualsiasi attività fisica e quindi anche i crimini. La liberazione dalle inibizioni ha un aspetto verbale piuttosto che di comportamento. Sotto l'influenza della droga si possono dire cose che di solito non si direbbero, ma in genere non si fanno cose estranee alla propria natura.

E' vero che la marijuana provoca il pervertimento sessuale? Questa opinione popolare è stata originata in parte dalle fantasie di scrittori licenziosi e in parte dal fatto che nel passato, coloro che usavano questa droga nel Medio Oriente la mescolavano ad afrodisiaci. Non vi sono prove che la canapa stimoli il desiderio o il vigore sessuale; questo è ammesso anche da Ahmed Benabud, psichiatra marocchino studioso della marijuana, che condanna severamente sotto l'aspetto psicologico. Alcuni drogati raccontano che l'effetto della marijuana aumenta il godimento nel rapporto sessuale, Ciò può essere vero nello stesso modo in cui viene aumentato il godimento dell'arte e della musica.

La marijuana porta alla degenerazione fisica e mentale? Le relazioni di molti ricercatori, specie in Egitto e in altri paesi orientali, indicano che i drogati cronici con estratti concretati di canapa sono in effetti tipicamente passivi, improduttivi, pigri e totalmente privi di ambizioni. E' possibile che l'uso cronico della droga nelle sue forme più forti abbia realmente effetti debilitanti come del resto accade per l'uso continuato di bevande alcooliche forti.

Vi può essere però un'altra spiegazione. Molti di coloro che prendono la canapa sono persone affamate, malate, disperate o fallite, che cercano attraverso questa droga poco costosa di sfuggire a una realtà altrimenti insopportabile. Uno studio approfondito sugli studenti di un college che si erano dedicati alla marijuana mostrò che la maggior parte di essi avevano sofferto a lungo di seri conflitti interiori o di depressioni prima di iniziare l'uso della droga.

V'è una notevole serie di prove che dimostrano che l'uso moderato della marijuana non produce alcun decadimento fisico o mentale. Uno dei primi e più vasti studi su tale questione fu una ricerca condotta dal governo inglese in India nell'ultimo decennio del secolo scorso. Si sospetta che il vero motivo dell'inchiesta fosse di stabilire che la canapa era più pericolosa del whisky scozzese, della cui vendita il governo otteneva un grosso giro di affari più l'introito della tassa. Nondimeno l'inchiesta fu condotta con la tipica imparzialità e completezza britannica. L'agenzia di ricerca, che aveva il nome di Commissione per la Droga della Canapa Indiana, intervistò qualcosa come 800 persone, tra cui consumatori e commercianti di droga, medici, sovraintendenti di manicomi, personalità religiose e altre autorità, e pubblicò nel 1894 un rapporto di oltre 3.000 pagine. Esso concludeva che non c'era alcuna prova che l'uso moderato di questa causasse qualche malattia, o danno mentale o morale, o comportasse la ten

denza all'eccesso più di quanto non avvenisse per l'uso moderato di whisky. Negli studi della commissione la Guardia nella città di New York, un esame di fumatori abituali, che consumavano in media sette sigarette alla marijuana al giorno (una dose relativamente forte) da un lungo periodo di tempo (la media era otto anni), dimostrò che essi non avevano subito alcun decadimento mentale o fisico come risultato del loro uso della droga. Uno studio simile compiuto da H.L. Rockmore, che avevano esaminato 310 soldati che avevano fatto uso di marijuana per un periodo medio di sette anni, dette gli stessi risultati. Nello sforzo di ottenere una panoramica razionale del problema della marijuana si è inevitabilmente portati a fare continui confronti tra questa droga e l'alcool e tra gli atteggiamenti dell'opinione pubblica verso le due droghe. Il "bere in società" è considerato una tradizione americana come la torta di mele, e ricevere un'accoglienza quasi altrettanto favorevole. Eppure anche questa abitudine comport

a rischi e conseguenze molto seri. Le statistiche delle assicurazioni sulla vita mostrano che coloro che bevono alcoolici hanno un tasso di mortalità più elevato della media in tutte le principali cause di decesso (disturbi cardiaci e del sistema circolatorio, cancro, disturbi del sistema digestivo, omicidi, suicidi e incidenti automobilistici o d'altro tipo). Si è trovato che la maggior parte dei guidatori uccisi in incidenti automobilistici avevano bevuto. Al contrario, finora non esiste alcuna prova che la marijuana contribuisca allo sviluppo di alcun disturbo organico; e nell'unica ricerca per stabilire il suo effetto sulla guida, uno studio condotto recentemente dall'ufficio della motorizzazione dello Stato di Washington, si è trovato che la marijuana diminuisce l'abilità nelle guida molto meno di quanto non faccia l'alcool.

Probabilmente l'imputazione più pesante rivolta alla canapa è che essa può provocare varie psicosi o almeno turbamenti della personalità. Esiste una vasta letteratura su questo argomento, ed essa si ripartisce in tutte le sfumature di opinioni. Molti psichiatri in India, Egitto, Marocco e Nigeria hanno enfaticamente dichiarato che la droga può condurre alla pazzia, altri sostengono che ciò non è vero. Una delle autorità più spesso citate a sostegno dell'accusa è il marocchine Benabud. Egli sostiene che la doga produce una sindrome specifica, chiamata "psicosi della canapa". La sua descrizione dei sintomi che la identificano, comunque, non è molto chiara e altri ricercatori negano l'esistenza di una tale psicosi. I sintomi che sembrano caratteristici di questa sindrome sono comuni anche ad altri stati tossici acuti, tra i quali, particolarmente in Marocco, quelli relativi alla denutrizione e alle infezioni endemiche.

Benabud valuta che il numero dei fumatori di Kif (marijuana) che soffrono di psicosi non sia superiore al 5 per 1.000; questa percentuale tuttavia è più bassa dell'incidenza di tutte le psicosi valutate in popolazioni di altri paesi. Lo psichiatra americano Bromberg, in relazione sulle sue ricerche, elencava 31 pazienti le cui psicosi erano attribuibili agli effetti tossici della marijuana. Però sette di questi pazienti erano già predisposti alle psicosi, la cui insorgenza la droga aveva solo accelerato, altri sette furono in seguito riconosciuti schizofrenici, uno fu più tardi diagnosticato come sofferente di mania depressiva, e un certo numero dei rimanenti poteva aver avuto un acuto e temporaneo attacco di psicosi (la "schizofrenia dei cinque giorni") che si poteva scambiare per una reazione alla droga.

Bromberg non trovò nessun psicopatico tra i 67 criminali di un carcere che erano stati consumatori di droga. Freedman e Rockmore non ne trovarono neanche uno tra i 310 soldati fumatori di marijuana e a risultati simili si pervenne in numerosi altri studi su una gamma di campioni piuttosto vasta, I Chopra in India prendendo in esame un totale di 1.238 consumatori abituali di canapa, trovarono che solo 13 erano psicopatici, un numero che rientra nella consueta percentuale d'incidenza di psicosi nelle popolazioni occidentali. Negli studi della commissione La Guardia, nove dei 77 soggetti che erano stati accuratamente studiati avevano dei precedenti di psicosi; questa alta percentuale potrebbe essere attribuita. comunque, al fatto che tutti questi soggetti erano pazienti in ospedali o in istituti. Samuel Allentuck e K.H. Bowman, gli psichiatri che presero in esame questo gruppo, conclusero che: "La Marijuana non produce psicosi in un individuo stabile e ben integrato".

Questo non vuol dire che la droga non possa far precipitare uno stato ansioso acuto con preoccupazioni paranoiche, o, in persone sensibili, perfino una psicosi temporanea. Una droga che alteri lo stato di coscienza e distorca le percezioni può ben fare evolvere in una reazione schizofrenica un "ego" in equilibrio delicato, sovraccaricato da uno stato ansioso. Nel nostro programma di ricerca clinica al Massachusettes Mental Health Center di Boston abbiamo esaminato i casi di 41 pazienti che erano stati ammessi in stato di schizofrenia. Sei pazienti avevano fatto uso di marijuana in un'occasione o in un altra, ma in 4 casi la esperienza della droga era avvenuta molto tempo prima della crisi schizofrenica. Negli altri due casi uno studio accurato non riuscì ad indicare in modo preciso se la droga avesse fatto precipitare o meno la psicosi.

Si è data poca attenzione alla possibilità che la marijuana possa preservare certe persone dalla psicosi. Tra i consumatori di droga la percentuale di persone affette da nevrosi o da squilibri nella personalità è generalmente più alta che tra la gente comune, ci si potrebbe pertanto aspettare che anche l'incidenza delle psicosi sia più alta in quel gruppo. Il fatto che ciò non si verifichi suggerisce che per alcuni individui mentalmente disturbati, l'evasione procurata della droga possa servire a prevenire una crisi psicopatica.

Un secolo fa un medico francese, Jacques Joseph Moreau de Tous, riferiva di aver trattato con successo la malinconia e le altre malattie mentali croniche con un estratto di canapa. Numerosi altri medici in Francia, Germania e Inghilterra, provarono la droga, con risultati contrastanti. Nel decennio tra il 1940 e il 1950 sorse un certo interesse per il SYNHEXYL, un tetraidrocannabinolo sintetico, che apparentemente curava le psicosi depressive, ma nell'unico studio accurato su questo farmaco si trovò che esso non era più efficace di un placebo.

Esperimenti di uso della canapa per aiutare i tossicomani e recedere dall'uso dei narcotici hanno dato risultati più promettenti. Una relazione del primo impiego medico a questo scopo fu stesa nel 1889 da un medico inglese, Edward Birch, il quale aveva trattato un tossicomane dedito all'idrato di cloralio e uno dedito all'oppio sostituendo la canapa alle loro droghe e aveva trovato che essi potevano in seguito interrompere l'uso della canapa senza sintomi di assuefazione. Successi simili erano stati ottenuti in tempi più recenti in due esperimenti degni di nota: uno descritto nel 1942 da Allentuck e Bowman, che avevano gradualmente disabituato dei tossicomani dediti all'oppio sostituendo con un derivato dalla marijuana; e un altro risalente al 1953 di due medici del North Carolina, L.S. Thompson e R.C. Proctor, che avevano fatto recedere tossicomani dediti ai narcotici, ai barbiturici e all'alcool con l'uso di PYRAHEXYL, un tetraidrocannabinolo.

Stranamente, questi incoraggianti risultati non sono stati seguiti da esperimenti clinici su vasta scala o da ricerche accurate. Sembra che gli studi sui possibili impieghi medici della marijuana siano scoraggiati dalla perdurante idea comune che essa diventi un'abitudine, e dal fatto che la droga è proibita dalla legge e difficile da ottenere per vie legali anche a fini di ricerca.

Per capire gli effetti della marijuana e la sua attuale rigogliosa diffusione è indispensabile studiare le motivazioni del suo uso. In India, dove il suo consumo non è illegale e pertanto non complicato dalle ansie che sorgono per tale motivo, la canapa ha lo scopo dichiarato di semplice sollievo dalla desolazione e dalle privazioni della povertà. I Chopra fanno notare che durante la stagione del raccolto il consumo di droga tra i contadini subisce in alcune zone un incremento del 50 per cento. Questi autori osservano: "una pratica comune tra i lavoratori di fatica ingaggiati in opere di costruzione o di scavo, è quella di prendere qualche boccata di ganja, o di bere un bicchiere di bhang verso sera. Questo dona un senso di benessere, allevia la fatica, stimola l'appetito e provoca una blanda eccitazione che permette a chi lavora di sopportare più serenamente lo sforzo quotidiano della vita".

Questa semplice motivazione acquista valore se si pensa che negli Stati Uniti la marijuana ebbe inizialmente vasta diffusione nei ghetti. Numerosi studi su campioni di popolazione che erano sotto le armi hanno mostrato che l'87 per cento o forse più dei consumatori di marijuana erano negri. Freedman e Rockmore, andando a ricercare le motivazioni dei 310 fumatori di marijuana che stavano studiando, trovarono che generalmente la droga dava a coloro che ne facevano uso un senso di benessere; era un sostituto del whisky. Si deve comunque guardare al di là dei fattori personali, per rendersi conto dell'uso corrente della marijuana in larghi strati della popolazione degli Stati Uniti. Per esempio da uno studio effettuato su 54 pazienti bianchi, di classe media e diplomati presso istituti superiori, in cura presso psichiatri risultò che essi avevano cominciato con la marijuana per curiosità, per stare al passo con gli amici, per stimolarsi o per fare un'esperienza insolita. Tra i giovani di questo paese la marijuan

a esercita una potente attrazione, specialmente su coloro che hanno una tendenza all'introspezione e alla meditazione, o un bisogno imperioso di sottrarsi all'integrazione nella società. Per molti l'uso illegale della droga è una dimostrazione della sconfitta della società e delle sue convenzioni.

Come ha osservato C.P.Snow, l'inquietudine sembra stia diventando parte integrante del clima del nostro tempo. E' difficile evitare la conclusione che il crescente uso della marijuana sia in parte collegato alle spaventose minacce della sovrappopolazione, dei conflitti razziali e della guerra nucleare. D'altra parte queste minacce possono aver contribuito indirettamente alla campagna emotiva contro questa droga. Si può pensare che alcune delle reazioni generate nella popolazione dalla violenza e dallo spirito militarista del nostro tempo stia dando luogo a conseguenze come la marijuana. Considerata essenzialmente dannosa e pericolosa, adottata dagli hippies, yippies, kids ed altri che richiamano l'attenzione su quegli aspetti della realtà e quelle minacce di distruzione che la maggior parte di noi trova troppo angosciose da affrontare, la marijuana diventa un naturale e ovvio capro espiatorio.

In poche parole lo stato ansioso ed il senso di impotenza generato dai pericoli del nostro tempo possono essere parzialmente scaricati sulla marijuana, conducendo alcuni ad usare la droga come una difesa, e facendo insorgere altri in una crociata contro di essa. Per quanto entrambe queste reazioni offrano una qualche possibilità di riassestamento della psiche individuale nessuna delle due porta un contributo alla costruzione di un mondo più sicuro.

 
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