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Manconi Luigi - 15 agosto 1992
(8) Antiproibizionisti e non, uniamoci
di Luigi Manconi

SOMMARIO: Nel corso dell'agosto 1992 si è aperto sulla stampa un dibattito sulla legalizzazione della droga. Luigi Manconi, intervenendo su 'Unità, contesta che una strategia di legalizzazione degli stupefacenti debba essere inconciliabile con i programmi di quanti operano nelle comunità terapeutiche e nei servizi pubblici per le tossicodipendenze. Le politiche di legalizzazione riguardano, in primo luogo, gli altri : quei 200.000 o 300.000 anonimi che oggi, per le ragioni più diverse, non possono o non vogliono smettere di drogarsi. A questi deve essere consentito di assumere sostanze stupefacenti nelle condizioni igieniche, sanitarie, sociali, giuridiche, le meno afflittive e le meno oprressive possibili.

(L'UNITA', 15 agosto 1992)

Ma chi l'ha detto che una strategia di legalizzazione degli stupefacenti debba essere inconciliabile con i programmi di quanti operano nelle comunità terapeutiche e nei servizi pubblici per le tossicodipendenze? Si tratta di approcci diversi ma non necessariamente alternativi. Ritengo sia il momento di individuare i punti di intesa, oltre quelli, ben noti, di contrasto.

L'attività delle comunità terapeutiche, ma anche quella dei servizi pubblici, è destinata in primo luogo - come è evidente - a chi ha scelto, sta per scegliere, intende scegliere l'astinenza. A chi disperatamente ci prova. Insomma, a chi ha smesso o vuole smettere. Dunque, la comunità, ma anche il servizio pubblico, presuppone una intenzione - ancorché incerta, fragile, reversibile - di astinenza. In tal caso, la comunità terapeutica è una importante opportunità, che può tradursi - per un certo numero di individui - nell'emancipazione della dipendenza. E tuttavia, se calcoliamo quanti nel 1991 hanno frequentato i servizi pubblici e le strutture private, si ottiene una cifra intorno alle 60.000 unità : ovvero un quarto (o più credibilmente un quinto) della popolazione tossicomane. (E tra questi, quanti hanno smesso o smetteranno definitivamente?).

Le politiche di legalizzazione riguardano, in primo luogo, gli altri : quei 200.000 o 300.000 anonimi che oggi, per le ragioni più diverse, non possono o non vogliono smettere di drogarsi. Oggi: ovvero in quella particolare fase della loro vita e della loro storia di dipendenza. A questi deve essere consentito di assumere sostanze stupefacenti nelle condizioni igieniche, sanitarie, sociali, giuridiche, le meno afflittive e le meno oppressive possibili. Condizioni, dunque, diverse dalla clandestinità, marginalità sociale e rischio igienico-sanitario in cui oggi si assume droga. Sono, in primo luogo, quelle condizioni (anche se non solo esse) che determinano le morti per overdose, il degrado individuale e di gruppo, l'attività criminale di chi per procurarsi droga - nei modi e ai prezzi stabiliti dal mercato clandestino - deve farsi rapinatore o scippatore, prostituto o prostituta; e poi, deve iniettarsi una sostanza di cui ignora la composizione qualitativa e quantitativa, in uno stato di crescente emarginaz

ione. Solo se quel tossicomane sarà sottratto a quelle condizioni e a quei rischi; se assumerà droga di cui conosce la composizione (ovvero meno rischi di overdose), se abbandonerà l'uso promiscuo degli aghi (ovvero minore diffusione del virus dell'Aids), se non sarà criminalizzato (ovvero meno galera): solo in tal caso, quel tossicomane potrà, domani o in futuro, scegliere l'astinenza; e sarà in grado di rivolgersi a don Picchi, a don Mazzi o a don Ciotti, a uno psicoterapeuta o ai servizi pubblici per le tossicodipendenze. O provarci da solo. Sarà infinitamente più agevole farlo in un regime di legalizzazione. Un tossicomane marginale e clandestino, criminalizzato e criminale, sieropositivo e disperato avrà molte meno ragioni e mezzi per emanciparsi dall'eroina.

Dunque, è il tossicomane il punto di riferimento essenziale delle politiche di legalizzazione. L'esatto contrario di ciò che ci attribuiscono Don Mario Picchi e Paolo Pacciarotti nell'intervista rilasciata a Cinzia Romano ("l'Unità" di lunedì scorso). Perché mai quanto fin qui detto dovrebbe "nascondere l'obiettivo di liberarsi dal fastidio-tossicodipendenti"?

La strategia della legalizzazione persegue una pluralità di obiettivi (anche quello di ridurre una delle principali fonti di ricchezza della mafia, anche quello di limitare la microcriminalità) : ma la meta principale resta la salute e la dignità del tossicomane. Che, pur se tale, può avere poca autonomia o nessuna autonomia. Dunque, le politiche e le terapie vanno valutate sulla base di questo fondamentale criterio: la loro capacità di incentivare o, al contrario, di ridurre quel tanto di autonomia che il tossicomane (sì, anche il tossicomane) conserva. E' questo il terreno - teorico e pratico - sul quale antiproibizionisti e anti-punizionisti, attivi nelle comunità terapeutiche e nei servizi pubblici, possono costruire intese e individuare obiettivi e programmi comuni.

 
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