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Pisapia Giuliano - 19 agosto 1992
(16) Legalizzare la droga non significa liberalizzarla
di Giuliano Pisapia

SOMMARIO: Nel corso dell'agosto 1992 si è aperto sulla stampa un dibattito sulla legalizzazione della droga. Giuliano Piasapia, intervenendo su Italia Oggi, precisa che legalizzare non significa affatto rendere libero l'acquisto e la vendita di stupefacente. Ma far sì che, chi già ne fa uso, lo possa fare, col supporto, non degli spacciatori, ma di medici, psicologi e operatori sociali. Invita comunque di spostare la discussione su un "programma minimo", immediatamente realizzabile, tendente a ridurre i danni, personali e sociali, provocati dall'uso delle droghe.

(ITALIA OGGI, 19 Agosto 1992)

Le recenti prese di posizione, favorevoli a un dibattito aperto e sereno sull'ipotesi di legalizzazione della droga aprono spiragli nuovi sul modo di affrontare un problema che, direttamente o indirettamente, tocca tutti noi.

Da parte di molti si è compreso che solo percorrendo strade diverse da quelle fino a oggi seguite (e dimostratesi fallimentari) sarà possibile limitare i danni derivanti da un fenomeno sempre più allarmante.

Da parte di magistrati, medici, giuristi, parlamentari, operatori sociali sono stati evidenziati gli aspetti positivi di una politica di legalizzazione: limitazione delle morti per overdose e dei casi di Aids; drastico ridimensionamento dei guadagni di mafia e camorra; diminuzione dei reati collegati alla tossicodipendenza (scippi, rapine, prostituzione ecc); possibilità di meglio utilizzare nella lotta alla criminalità organizzata le forze oggi costrette ad occuparsi di tossicodipendenti e piccoli spacciatori (nelle grandi città oltre il 60% dei procedimenti penali riguardano tali soggetti).

Rimane tuttavia un comprensibile timore: con la legalizzazione si finirebbe col creare paradisi (o inferni) artificiali, che attirerebbero tossicodipendenti da tutto il mondo e faciliterebbe il proselitismo di chi ancora non si droga. Una simile preoccupazione deriva, però, da un equivoco di fondo. Quello che porta a confondere legalizzazione con liberalizzazione. Legalizzare non significa affatto rendere libero l'acquisto e la vendita di stupefacente. Ma far sì che, chi già ne fa uso, lo possa fare, col supporto, non degli spacciatori, ma di medici, psicologi e operatori sociali. I primi, infatti, faranno di tutto per rendere chi si droga sempre più dipendente dalla sostanza e dal mercato illegale; i secondi, invece, faranno ogni sforzo per dissuaderlo e per vincere la sua dipendenza dallo stupefacente. Il che non equivale a incoraggiare un comportamento a rischio; ma sostituire un comportamento ad alto rischio con uno a rischio (relativamente) limitato.

Ciò, chiaramente, vale sia per i tossicomani, sia, a maggior ragione, per chi si avvicina per la prima volta al mondo della droga. E, del resto, è certamente preferibile che il tossicodipendente o il giovane neofita (anziché bucarsi in piazza, rischiando la vita e arricchendo gli spacciatori) assumano stupefacente in strutture che possono offrire supporti curativi e riabilitativi (controlli medici, farmaci sostitutivi, trattamenti psicologici ecc.).

Il problema, però, è indubbiamente più complesso. Proprio per questo, in un libro dal titolo "Legalizzare la droga: una ragionevole proposta di sperimentazione (Feltrinelli, 1991), è stato abbozzato un "programma minimo", immediatamente realizzabile, allo scopo quantomeno di ridurre i danni, personali e sociali, provocati dall'abuso di sostanze stupefacenti.

Il programma su cui è necessario aprire una serena discussione può essere così sintetizzato:

1) riorganizzazione dei servizi pubblici per le tossicodipendenze e assunzione di personale specializzato in numero tale da garantirne l'apertura per l'intera giornata, festivi compresi;

2) eliminazione delle norme che vietano ai medici di praticare la terapia che ritengono più appropriata ai soggetti in cura (oggi, per esempio, non è possibile prescrivere farmaci sostitutivi dell'eroina);

3) istituzione, presso le USL, di "Unità di strada", servizi mobili destinati al primo contatto con chi si droga;

4) predisposizione, nei luoghi frequentati da tossicodipendenti, di macchine per la distribuzione automatica di siringhe sterili in cambio di quelle usate. Si tutelerebbe così sia la salute di chi si buca, sia dei non consumatori che, quotidianamente, rischiano di infettarsi con siringhe abbandonate per strada;

5) eliminazione delle norme penali che puniscono con il carcere chi detiene droga per uso personale;

6) distribuzione controllata, in un numero significativo di città. di eroina e di altre sostanze stupefacenti. Ciò anche sulla base della norma che consente "l'uso terapeutico di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti e psicotrope, debitamente prescritti secondo le necessità di cura in relazione alle particolari, condizioni patologiche del soggetto" (art. 72 T.U. leggi stup.).

Dopo un certo periodo sarà possibile valutare (non sulla base di principi astratti ma di risultati concreti) se cessare la sperimentazione o estenderla a tutto il paese. Con una raccomandazione. Non ci si illuda di risolvere il problema. L'obiettivo è quello di ridurre il mercato clandestino, i suoi clienti e la sua capacità di penetrazione e di controllo. E, nel contempo, di limitare le sofferenze umane e i danni sociali causati dalla tossicodipendenza.

 
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