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Pannella Marco, Orlando Federico - 21 agosto 1992
Il leader storico dei radicali, Marco Pannella, interviene nel dibattito sulle riforme promosso dal "Giornale"
UNA LEGGE SUI PROFITTI DI REGIME

Limitiamo a non più di dieci anni la permanenza nelle cariche pubbliche

Intervista a Marco Pannella di Federico Orlando

SOMMARIO: E'la regola che soffoca la nostra democrazia con la prevaricazione e con l'assoggettamento degli interessi pubblici agli interessi privati. E' una regola dalla quale non usciremo ad opera della "Commissione bicamerale per le riforme istituzionali". Perchè possa nascere il "sistema nuovo" è necessario in primo luogo una riforma elettorale che introduca il collegio uninominale secco all'inglese, in modo da avviare anche l'Italia al regime bipartitico dell'Inghilterra e degli Stati Uniti. Questa è la premessa di qualsiasi altra riforma. Noi radicali abbiamo poi deciso di lanciare una serie di proposte di legge anche di iniziativa popolare per arrivare al sistema del riordino morale della nostra società e della trasparenza. Le più importanrti sono due: una riguarda l'istituzione di un'Alta Autorità che indaghi sui profitti di regime, sugli illeciti arricchimenti della classe dirigente, politica e non politica; la seconda è il divieto a politici ed amministratori di ricoprire per più di dieci anni la

stessa carica pubblica.

(IL GIORNALE, 21 agosto 1992)

"Promuoveremo una serie di leggi di iniziativa popolare per concorrere a riportare pulizia nella vita pubblica italiana", annuncia Marco Pannella al Giornale. Qualche giorno fa, il leader radicale aveva rivolto un'interrogazione al governo sul presunto "affitto facile" dell'Ina al giornale l'Unità: duecento milioni annui, si diceva, per uno spazio enorme nel centro storico di Roma.

- Erano fondati i suoi sospetti?

"No, non erano fondati e desidero renderne subito atto all'"Unità" e ai suoi amministratori e giornalisti. Sono molto lieto di poterlo fare attraverso il Giornale, che è su posizioni politiche opposte a quelle dell'Unità, ma ha sensibilità liberale per capire che bisogna rendere sempre omaggio alla verità, anche quando ne è destinatario chi è molto distante da noi".

- Come ha scoperto che le informazioni in suo possesso erano non fondate?

"Nel modo più corretto: ho accettato l'invito di Guido Alborghetti e di Mattia Amato, che sono gli amministratori dell'Unità, a recarmi nella loro nuova sede per esaminare il contratto. Così ho potuto rendermi conto che l'Unità ha una nuova sede di millecinquecento metri quadrati per ufficio e di un migliaio di metri utilizzabili nel sottosuolo e pagherà all'Ina seicento milioni l'anno. In più, il giornale s'è accollato l'onere di lavori strutturali per cinque miliardi, lavori che normalmente deve fare il proprietario. E infine s'è accollato anche il passivo di Paese Sera, il giornale che precedentemente occupava quei locali, e che negli ultimi cinque anni non ha pagato l'affitto: più di un miliardo di arretrati".

- Cosa le hanno "ispirato" questi dati?

"Locali come quelli affittati all'Unità non hanno un prezzo commerciale. Se, tuttavia, si deve ritenere equo il contratto stipulato con l'Ina, debbo ritenere anche che si tratti della classica eccezione che conferma la regola. Basti pensare che l'Ina perdeva miliardi tenendo i locali inutilizzati, secondo la normale prassi di un'amministrazione pubblica sia pure appesantita da obblighi e vincoli imposti dalla regione politica".

- Se, come lei dice, questa è un'eccezione (di cui siamo felici anche noi per i colleghi dell'"Unità"), qual è la regola? O, meglio, cosa intende fare lei per rimuovere quella regola, che tutti conosciamo bene?

"Appunto, tutti la conosciamo bene: è la regola che soffoca la nostra democrazia con la prevaricazione e con l'assoggettamento degli interessi pubblici agli interessi privati. E' una regola dalla quale non usciremo ad opera della "Commissione bicamerale per le riforme istituzionali", che dovrebbe cambiare il nostro sistema politico: in quella commissione infatti ci sono culture inconciliabili, così come c'erano nel Gran Consiglio del fascismo: metti quella di Grandi e di Bottai contro quella di Farinacci. La Commissione è un Gran Consiglio da cui è stato escluso Mario Segni: e ditemi voi se, da una premessa simile, sia possibile pensare che la Commissione saprà concepire un sistema nuovo per il nostro Paese".

- Da che cosa potrebbe nascere il "sistema nuovo"?

"In primo luogo, come ho sempre detto, da una riforma elettorale che introduca il collegio uninominale secco all'inglese, in modo da avviare anche l'Italia al regime bipartitico dell'Inghilterra e degli Stati Uniti. Questa è la premessa di qualsiasi altra riforma. Nessuna riforma ha senso se si prescinde da questa premessa che è l'unica scelta rivoluzionaria in senso liberale".

- Ma questa premessa è poco gradita a quello che lei chiama il sistema partitocratico e al suo Gran Consiglio. Cosa si può fare indipendentemente dalla grande riforma elettorale, con iniziative non istituzionali ma politiche?

"Noi radicali abbiamo deciso - ed è questa la novità che intendo illustrare al Giornale - di lanciare una serie di proposte di legge anche di iniziativa popolare per arrivare al sistema del riordino morale della nostra società e della trasparenza. Riordino e trasparenza che vogliamo ottenere non con processi giacobini in piazza ma con leggi ordinarie votate dal Parlamento e valide per tutti".

- Quali sono le più importanti di queste leggi?

"Sono due. Una riguarda l'istituzione di un'Alta Autorità che indaghi sui profitti di regime, sugli illeciti arricchimenti della classe dirigente, politica e non politica: a cominciare da cinquecento tra ministri, segretari di partito, grandi sindaci".

- Come l'Alto commissariato all'epurazione, inventato da Nenni nel dopoguerra?

"No, quello fu un classico esempio di processo giacobino. Noi vogliamo invece che, sulla base di una legge regolare, si indaghi scientificamente sugli uomini ai livelli più alti della nomenklatura e si decidano sanzioni che la legge deve espressamente prevedere. Talvolta guardo ai personaggi più rappresentativi dagli ultimi quindici o vent'anni e vedo come la carriera politica o comunque dirigente abbia letteralmente ribaltato la condizione sociale dei protagonisti, con arricchimenti inspiegabili. A me pare errato non porre il problema della disparità che si viene a creare fra chi si attiene alle regole, anche un pò oleografiche se vogliamo, della nostra onesta Italietta liberaldemocratica, e gli altri che di quelle regole hanno fatto strame. Noi dobbiamo costituirci come esempi di politici che hanno pagato di tasca propria, impoverendo, e non dobbiamo farci frenare dal pudore di presentarci come esempi".

- Qual è la seconda legge particolarmente significativa che vi proponete di presentare?

"E' il divieto a politici ed amministratori di ricoprire per più di dieci anni la stessa carica pubblica. In questo modo si otterrebbe quel cambiamento di classe dirigente che la Commissione bicamerale certamente non ci darà".

- Perchè non più di dieci anni?

"Perchè altrimenti la commissione fra interessi pubblici e interessi privati diventa salda e direi definitiva. Da casa mia vedo le abitazioni di autorevoli colleghi in lussuosissimi appartamenti di enti previdenziali, concessi a condizioni non di Ostia, potrei indicare un'ampia zona di sviluppo dove la speculazione è rigorosamente ripartita fra la Dc al 40 per cento, il Psi al 30 per cento e il Pds al 30 per cento anch'esso. Trovo le stesse sigle di imprese emiliano-romagnole a Milano, a Roma, in Sicilia, nel Sahel africano, in Somalia, in tutto il Medio Oriente. Significa che la ragnatela è enorme e gli affari pure".

- E questa ragnatela in che rapporto è con le istituzioni?

"In rapporto di osmosi. Le Regioni sono diventate la mano pubblica della spesa senza controllo. Per anni, ad ogni scadenza di legislatura in Sicilia, denunciavamo che migliaia di miliardi venissero stanziati ma, poi, non spesi. Le delibere per stanziare quei miliardi erano sempre assunte all'unanimità. si trattava di tipiche operazioni mafiose: finanziamenti a pioggia, per assicurare l'arricchimento delle cosche, dei politici e di altri esponenti delle classi dirigenti. Non si combatte tutto questo con cento leggi speciali sull'ordine pubblico o con sempre nuovi supercomandi che dovrebbero coordinare i comandi esistenti; ma spezzando il consociativismo di tutti i partiti attraverso il bipartitismo all'inglese, che impone al partito di opposizione di fare sul serio i controlli; e attraverso le leggi di cui parlavo contro gli arricchimenti di regime e contro la permanenza nello stesso posto di comando per più di dieci anni. Eccetera".

- Ma anche con un discorso organico di riforme istituzionali, o no? La Spagna, come lei dice, passò dal franchismo alla democrazia attraverso un procedimento riformista organico.

"Sì, ma non dimentichi che il presidente delle Cortes, grande consigliere di Franco, era un liberale crociano che di Croce amava perfino i suggerimenti istituzionali. Fu lui a proporre che la restaurata corona venisse affidata al principe giovane. Era quello che nel 1945 aveva proposto in Italia Benedetto Croce. Se, per esempio, quel consiglio fosse stato accolto, avremmo avuto in Italia una nuova Monarchia liberale nella quale le forze illiberali avrebbero avuto spazi di governo e di opposizione ma non il dominio sulla cultura politica che ha portato al disastro di oggi. La cultura politica sarebbe stata ancora dominata da noi nella linea della rinnovata tradizione liberaldemocratica, e forse oggi somiglieremmo un pò più al Regno Unito e un pò meno alla repubblica delle banane".

 
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