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Pannella Marco - 13 settembre 1992
Pannella: "Abbiamo un debito con lui"
di Marco Pannella

SOMMARIO: In occasione della pubblicazione dell'ultimo volume del "Diario Europeo" (1970 - 1986, Il Mulino) di Altiero Spinelli, il Corriere ospita un intervento di Marco Pannella che ricorda il suo personale debito, oltre quello di tutti, nei confronti di Spinelli. Il transpartito transnazionale »denominato Partito radicale forse salderà quel debito portando avanti la lotta federalista »bisognosa ormai del nostro "grano di follia" .

(IL CORRIERE DELLA SERA, 13 settembre 1992)

Lo ricordo, ero appena ventenne, il 1950 o giù di lì, nella penombra di un appartamento del Movimento federalista in via del Corso a Roma, a fine mattina. Lo ricordo, io convocato e accorso senz'ombra di perchè da darmi, mai avendo prima d'allora parlato con lui, già così grande, così un mito per me, solo scorto qualche volta nella prima sede de "Il Mondo" di Pannunzio e di Ernesto Rossi, in via Campo Marzio, salutarmi ora con un "Ciao!" e dirmi: "Mi confermano un gran bene di te, non perder tempo in tutte le cose che stai facendo, lasciale perdere, sei federalista, mi dicono, siamo in pochi e dobbiamo farcela ora. Devo fare il Congresso della gioventù federalista, dobbiamo mobilitare i giovani, a "Il Mondo" ti vogliono bene, ma loro anche stanno mollando. Devi darmi una mano, ci sarebbero come candidati Marcello Contigliozzi e Renato Cuocolo, sono bravissimi ma il segretario devi farlo tu. E fra pochi giorni a Livorno. Devi deciderti subito".

Gli dissi subito di no, ma non che io del Mfe e del Gfe non sapevo, in quel momento, altro che nulla, o quasi. E mi dissi che con quell'uomo avevo un debito, nella mia vita; oltre quello di tutti i vivi di allora.

Credo che mi abbia veramente perdonato solamente un paio d'anni (forse meno) prima di morire. Non sopportava quel ch'io andavo facendo, e più poteva sembrare, all'apparenza, importante, più s'infastidiva e gli ero insopportabile in quel mio fare, o sembrar fare, "altro". Con gli altri, finiva poi per assolvermi, difendermi.

Di me, doveva dir male lui. E annotava le mie distrazioni, le mie stranezze, il mio impegno, ogni volta, sul momento con fastidio, sufficienza, condiscendenza. Poi, ogni tanto, nel passar dei lustri e dei decenni, come cedendo a Ursula, sempre attenta, buona, curiosa, incoraggiante con me, ammetteva come comuni, nostre, quelle lunghe battaglie per i diritti umani e civili, Ci ritrovammo in Parlamento, nel 1976, lui eletto col Pci, io col Pr.

Ma se amicizia è "costanza dell'attenzione", come scriveva Simone Weil, sapevo e so che quel mio debito non ha mai cessato di crescere.

Poi, dal 1979, fummo insieme anche nel Parlamento europeo. E quando con l'Atto unico del Lussemburgo fummo sconfitti, e non volle cedere le armi, dopo un momento di desolazione, il Patriarca michelangiolesco ormai da tutti rispettato e anche amato, che sentiva ormai la morte circondarlo come una muta di cinghiali, come in un "heri dicebamus" tornò a parlarmi, non più del Congresso di Livorno della Gfe, ma impacciato e colmo di pudore, di timidezza anche, dicendomi: "Ma ora è il tuo turno, ora tocca a te; e ora tu lo puoi. Devi promettermelo".

Con amore e con rispetto non glielo promisi affatto, Ma coloro che lo vogliano ascoltino questa sera, alle 23 su Radio radicale, un suo lontano intervento a Firenze a un Congresso radicale, che lo replicherà in onore di questa pagina de il "Corriere della Sera". Il transpartito transnazionale denominato Partito radicale, con i suoi 250 deputati e senatori di 82 partiti nazionali, tutti federalisti spinelliani, forse salderà senza saperlo anche quel lontano debito, acceso una mattina di quel 1950, e rianimato dalla sua esplicita richiesta al Pr, che chi vorrà potrà stasera ascoltare, con la sua voce incrinata dall'emozione nel ricordare "il vostro maestro" Ernesto Rossi, e nel chiederci di portare avanti la lotta federalista, bisognosa ormai del nostro "grano di follia".

 
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