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Stanzani Sergio - 7 novembre 1992
L'ex Jugoslavia paga i nostri alibi
di Sergio Stanzani

SOMMARIO: "Come nel passato, quando siamo insorti contro la cultura prevalente che riteneva si potesse solo convivere con lo sterminio per fame di milioni di persone, anche oggi diciamo chiaro e forte che è invece possibile fermare la strage e scongiurare gli annunci di morte e di guerra" nell'ex Iugoslavia. Occorre riconoscere immediatamente la Repubblica di Macedonia, occorre una più rigida applicazione dell'embargo bei confronti della Serbia, occorre garantire il ritorno dei profughi croati nei territori occupati, occorre non far fallire l'esperimento radicale dove deputati e militanti di diverse nazionalità "sono impegnati concretamente a dimostrare che per vincere la maledizione dei nuovi nazionalismi e razzismi non servono slogan ma nuovi soggetti politici costituiti espressamente sulla priorità storica del federalismo".

(L'UNITA', 7 novembre 1992)

Ogni sera assistiamo, attraverso le immagini televisive, all'aggiornamento del macabro bilancio della guerra per la spartizione della Bosnia-Erzegovina, delle uccisioni e delle bombe, delle torture e dei campi di sterminio: diecimila i bambini morti o dispersi, 14.364 i morti accertati, 57mila le persone "scomparse" o "liquidate". L'Europa di Maastricht si dichiara impotente e si prepara ad assistere con la medesima indifferenza agli annunci di altri morti e di altre guerre. Oltre alla Bosnia, etnicamente "purificata", la prossima "preda" può essere infatti la Macedonia: le violazioni dell'embargo anti-serbo effettuate attraverso questo paese, il comune problema di una minoranza albanese, annunciano altri morti, altra guerra. Poi il dramma del Kossovo: nonostante gli sforzi nonviolenti dei leader politici della minoranza albanese, difficilmente la popolazione accetterà di trascorrerel'inverno, ormai prossimo, convivendo con la crisi energetica dovuta all'embargo e le vessazioni brutali di Belgrado. Gli

scontri armati e le uccisioni di poliziotti di questi ultimi giorni, annunciano ancora altri morti, altra guerra. Intanto rischiamo di dimenticarci che un quarto della Croazia è ancora occupato dai serbi e che centinaia di migliaia di profughi premono per poter ritornare nelle proprie case. Tutto ciò alimenta le tendenze espansionistiche croate in Erzegovina, e oltre: altri morti, altra guerra.

Infine il colossale giro di interessi e di affari prodotto e alimentato da questa guerra balcanica: le armi e la droga circolano liberamente in tutti i paesi dell'ex Jugoslavia.

Tutto ciò è conosciuto a Bonn come a Washington, a Roma come a Parigi. Ma si ritiene che si possono solo limitare i danni e non impedire l'evento. L'alibi che i paesi europei, ma anche gli Stati Uniti, si sono dati per giustificare questa cinica inerzia e che ci viene propinato insieme alle immagini di morte è altrettanto esplicito: l'unica alternativa all'impotenza della pressione diplomatica sarebbe un intervento militare massiccio che rischierebbe di coinvolgere tutti in una guerra ancor più devastante di quella in corso. Quindi non possiamo che stare seduti nelle nostre poltrone ad aspettare. Come nel passato, quando siamo insorti contro la cultura prevalente che riteneva si potesse solo convivere con lo sterminio per fame di milioni di persone, anche oggi diciamo chiaro e forte che è invece possibile fermare la strage e scongiurare gli annunci di morte e di guerra. Lo dicono innanzitutto le decine di deputati e dirigenti croati, bosniaci, macedoni, serbi e del Kossovo che si sono iscritti al Partit

o Radicale, insieme ai tanti colleghi del Parlamento italiano o russo, proprio per contrapporre alla rinascita dei demoni del nazionalismo e del razzismo la difficile ma obbligata pratica democratica, nonviolenta, federalista e internazionalista.

Il primo obiettivo deve essere l'immediato riconoscimento della Repubblica di Macedonia. Il mancato riconoscimento di questa Repubblica rende praticamente impossibile l'applicazione dell'embargo Onu alla frontiera con la Grecia. L'unico ostacolo - inaccettabile - è costituito dal fatto che la Grecia pretende che il nuovo Stato rinunci alla scelta della sua denominazione. Occorre, nello stesso tempo, battersi per una rigorosa applicazione delle sanzioni decretate dall'Onu nei confronti della Serbia e del Montenegro per ottenere l'arresto delle operazioni di "pulizia etnica" in Bosnia e per evitare che il conflitto dilaghi investendo la Macedonia ed il Kossovo. Occorre sollevare nelle sedi europee ed internazionali il problema del riconoscimento del Kossovo. Bisogna restituire la speranza ad un popolo che da decenni soffre vessazioni intollerabili.

Occorre garantire il ritorno dei profughi croati nelle zone occupate rispettando così le delibere internazionali. E' questo l'unico modo per spegnere un focolaio di tensione continua, per restituire alla Croazia la sua integrità territoriale senza fornire argomenti a coloro che spingono per la sua espansione ai danni della Bosnia. occorre infine che la Comunità europea superi i suoi egoismi e proponga subito un patto di associazione politica, di assistenza economica e di apertura del mercato comunitario e quelle repubbliche dell'ex Jugoslavia che accetteranno gli standard europei in materia di rispetto dei diritti umani e delle minoranze etniche.

Occorre non far fallire questo esperimento radicale, questo laboratorio transnazionale e transpartitico, unico nel mondo, dove deputati e militanti di diversa nazionalità e di diverse famiglie politiche, mussulmani o cristiani, bianchi o neri, sono impegnati concretamente a dimostrare che per vincere la maledizione dei nuovi nazionalismi e razzismi non servono slogan ma nuovi soggetti politici costituiti espressamente sulla priorità storica del federalismo. Chi saprà darci una mano prima che sia troppo tardi?

 
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