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Perna Giancarlo, Pannella Marco - 19 novembre 1992
Se non vado resto per fare un governo
"Basta, lascio la politica". In questa intervista, il guru radicale annuncia l'abbandono. Certo. Certissimo. A meno che...

Intervista a Marco Pannella di Giancarlo Perna

SOMMARIO. A Giancarlo Perna che vuole intervistarlo sui suoi successi politici, Pannella ribadisce l'intenzione di lasciare la vita politica, il 6 febbraio, in occasione del congresso radicale: »Per 20 anni cerchi di evitare le Bosnie, e poi ti ritrovi un Bosnia quotidiana. Da 10 anni, ti batti contro la fame nel mondo e poi sai che quest'anno saranno 20 milioni i bambini morti di stenti. Bè allora, uno ha sprecato il tempo. Si vergogna e se ne va ...»"Ho previsto tutto con un anticipo di decenni. Nessuno ha avuto orecchie. Talvolta l'intelligenza, diventa strazio . Sul sostegno al governo Amato: »Da decenni, noi diciamo che il deficit va ridotto. Per la prima volta, questo governo sta cercando di farlo. Sono gli altri che si spostano dalla nostra parte, non noi dalla loro . Seguono tre "riquadri" contenuti nello stesso servizio giornalistico: i commenti di alcuni uomini politici sul suo annuncio di abbandono della politica; una breve scheda sulle più note battaglie radicali; gli "amici" e i "nemici"

(EUROPEO, 19 novembre 1992)

Dietro il suo scrittoio Marco Pannella è un perfetto busto della prima Repubblica, ma relegato al sesto piano di Montecitorio. Questa stanzetta di leader del gruppo federalista europeo, l'ex Partito radicale, è tutto quello che gli concede il Palazzo che egli ha incalzato per 40 anni, costringendolo spesso a fare ciò che voleva lui.

"Scusa se non mi alzo, ma la schiena non va", dice. E con gesto largo mi indica la sedia.

Ha una grande testa bianca. Il petto da lanciatore del peso deborda sul tavolo. I digiuni gli hanno scompensato il metabolismo. Mangia normalmente, ma non smaltisce. In piedi sarebbe gigantesco, seduto è enorme.

"A cosa devo l'onore?", dice con sorrisetto che a me personalmente da ai nervi perché lo conosco e so che sta per attaccare la solita solfa della stampa che lo ignora.

"Europeo ti mette in copertina. E ci chiediamo se in questo casino generale non sia arrivato finalmente il tuo momento", dico.

"Sto per lasciare la vita politica", dice.

"Ma che dici?", dico. Colpito.

"Il 6 febbraio" dice.

"Che succede quel giorno?", dico.

"C'è il nostro congresso", dice.

"Hai deciso?".

"Non so ancora se il mio ritiro sia probabile o solo possibile".

"Capisco", dico. Comincio a raccapezzarmi. E' ancora la vanità. Ora che sono in tanti a corteggiarlo, da Claudio Martelli, a Mario Segni, al presidente del Consiglio Giuliano Amato che lo tratta coi guanti, Marco fa il difficile. Sto al gioco.

"Hai fatto politica tutta la tua vita.

Se lasci, che fai?"

"Ho l'imbarazzo della scelta. Leggere, scrivere, studiare", dice.

Ti ci vedo proprio. Perché vorresti mollare?", chiedo.

"Per anni ho parlato, ma ho emesso silenzio", dice.

"Che senso ha lasciare proprio adesso?", dico.

"E' come andare in tv col bavaglio. Solo che metto il bavaglio alla mia vita. E' un ammonimento".

"Marco, non parlare come un profeta. Devo scrivere, spiegare ai lettori", dico. Incerto se sono di fronte a una panzana o a un dramma esistenziale.

"Ora parlo in generale, non di me. Un gesto come il mio può significare che non ce la faccio. Quando per anni ripeti quello che ti sta a cuore, insisti su quello che ti è più caro e che vorresti lasciare in eredità e poi vedi che parli al vento, che tutto questo viene accantonato. Per 20 anni cerchi di evitare le Bosnie, e poi ti ritrovi un Bosnia quotidiana. Da 10 anni, ti batti contro la fame nel mondo e poi sai che quest'anno saranno 20 milioni i bambini morti di stenti. Bè allora, uno ha sprecato il tempo. Si vergogna e se ne va", dice. Si emoziona e ti contagia.

"Ma Marcoo... Sembra che hai in groppa le colpe del mondo", dico.

"Ho previsto tutto con un anticipo di decenni. Nessuno ha avuto orecchie. Talvolta l'intelligenza, diventa strazio. Dire "l'avevo detto", è inelegante. Non potrei. Dire che una settimana fa il sindaco di Sarajevo si è iscritto al partito trasnazionale radicale, non fa notizia. Che una nostra iscritta jugoslava è stata uccisa mentre cercava di portare soccorsi alla Bosnia, idem. Nessuno ascolta. Allora, basta. Meglio abbandonare".

Mentre parla, fuma. Ogni cinque minuti, afferra la scatola. La palpa con piacere, poi estrae un sigaretto Mercator. E' una novità. Ha sempre fumato sigarette Celtique, che sono delle Gauloise forti. Settanta, ottanta bombe al giorno "Come 120 sigarette normali", precisa Pannella.

"Le fumavo dal 1956. Sempre quelle. Ero un monogamo totale. Ma ora non producono più Celtique e sono un vedovo inconsolabile. Tra le sigarette non c'è niente di equivalente Per questo sono passato al sigaro", spiega. "Meglio. Il sigaro non si aspira", dico. "Io il sigaro lo aspiro", dice.

Guardatelo il contestatore per eccellenza. Avvolto in una nuvola di fumo e nel doppio petto grigio che gli ha cucito su misura il sarto di Teramo. L'uomo del divorzio, dell'aborto, delle marce, degli ostruzionismi più lunghi mai visti a Montecitorio, l'antifascista, l'anticomunista, l'antiproibizionista della droga, il rompiscatole.

"Ora però sei diventato un altro", dico.

"Da 40 anni sono sempre lo stesso", dice.

"Da critico, sei ormai il difensore del sistema. Hai preso le parti della giunta abruzzese contro i giudici che l'hanno beccata con le mani nel sacco. Hai...".

"Alt. A me piacciono i magistrati come Di Pietro. Indaga, interroga, va per la sua strada, Non amo invece le retate e gli arresti senza interrogatori. E' quello che hanno fatto all'Aquila. La Giunta l'avevo accusata io per primo. Ma di fronte all'ingiustizia vale il principio che la difesa dell'avversario è più sacrosanta di quella dell'amico".

"Vabbè. Ammetterai però che stai appoggiando in modo plateale il governo di Amato. Hai simpatia per lui?", dico.

"Nessuna simpatia", dice. Verissimo. Lo sapevo. I due si disprezzavano. Per Pannella, Amato era troppo servo di Craxi. Per Amato, Pannella era un arruffone inutile. La politica li ha uniti.

"Perché sostieni il governo?", dico.

"Perché questo è il solo governo della Repubblica. Non ce n'è un altro possibile. Da decenni, noi diciamo che il deficit va ridotto. Per la prima volta, questo governo sta cercando di farlo. Sono gli altri che si spostano dalla nostra parte, non noi dalla loro. Tutti sanno che se c'è un solo giorno di crisi, i mercati impazziscono. Trovo intellettualmente disonesto e politicamente debole scatenare la piazza, come fanno comunisti e missini, fingendo di voler rovesciare il governo e sapendo contemporaneamente che questo non può succedere perché altrimenti c'è il patatrac. C'è stata però una sera che Amato e il ministro del Tesoro Barucci si erano scocciati. Stavano per mandare tutto al diavolo. E' stato allora che sono uscito allo scoperto e li ho appoggiati. Noi siamo all'opposizione del governo, ma ancora di più all'opposizione dell'opposizione". Per ogni situazione Pannella ha uno slogan pronto.

"Spirito di servizio, come un democristiano?".

"Nelle fasi importanti di un Paese, dice, ci vuole un riflesso unitario. Come gli inglesi hanno un riflesso monarchico nei momenti cruciali, io ho un riflesso repubblicano". Tanto vale che lo riconosca io, prima che me lo diciate voi. Questo grandissimo rigiratore di frittate, me l'ha strafatta. Volevo che confessasse le sue contraddizioni. Ha fatto la figura del tutto di un pezzo.

"Se ti chiedo di fare il ministro?", dico.

"A 63 anni non ha senso cominciare così. Ci sono nel vivaio radicale almeno 30 persone più giovani che lo farebbero altrettanto bene. Stanzani, la Bonino, Cicciomessere, Vigevano. Per fare qualche nome".

"E tu?"

"Io, se fra un paio di mesi cominciano altre decine di giudici a fare come Di Pietro..."

"Allora?", dico.

"...E' impossibile che si venga da me e mi si chieda di fare un governo". Questo è lo stesso Pannella che poco fa parlava di ritirarsi. Ma questo, secondo me, è più vero. Non gli rinfaccio di essersi smentito, perché chissà che cosa mi impapocchia.

Ormai siamo al più e al meno e gli chiedo perché Spadaccia, Teodori, Negri, Rutelli e tanti vecchi amici lo hanno abbandonato. La risposta giusta sarebbe: "Perché ho un caratteraccio. Succhio sangue fresco come un vampiro. Conto io, non gli altri". Invece dice: "La lunghezza delle mie amicizie, sono la mia fierezza. Spadaccia aveva 18 anni quando l'ho conosciuto. 55 quando se n'è andato. Teodori 14 all'inizio, 52 alla fine. Negri 18 e ne ha 35. Rutelli 20 e ne ha 38. La vita separa. E' già un miracolo che sia andata così. Ci si può stancare".

"Già".

"Loro, non io".

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SE NE VA? BUON PER LUI

Ma credete davvero che Marco Pannella possa lasciare la politica? E se succede, come valuterete l'evento?

GERARDO BIANCO, capogruppo Dc alla camera: "E' davvero singolare che, proprio quando comincia a essere ascoltato anche da chi non ne ha condiviso le posizioni, Pannella voglia ritirarsi. Spero che ci ripensi. Nella Vita politica i momenti di delusione sono frequenti e la tentazione di abbandonare è fortissima, e forse Pannella vive uno di tali momenti. Ma commetterebbe un errore perché egli può dare ancora molto alla democrazia italiana. Che è a rischio, proprio come lui ha intuito".

LUCIANO VIOLANTE, Pds, presidente della Commissione antimafia: "non me ne frega niente. E non mi pare un tema di discussione".

CARLO FORMENTINI, capogruppo Lega della Camera: "Non ci credo. Lo dice sempre ma non lo fa mai. Peccato, comunque, se decidesse davvero di ritirarsi perché perderemmo un personaggio di spicco. Ma non ci possiamo fare niente.Se la Lega si desse da fare per trovare iscrizioni al Partito radicale credo gli faremmo più un danno che un piacere. Nulla di strano se Pannella diventasse ministro. E' da un pezzo che fa parte della maggioranza. Noi lo tratteremmo come trattiamo qualunque forza del governo partitocratico. Niente sconti, nemmeno per Pannella".

CARLO VIZZINI, segretario Psdi: "Penso che la minaccia del ritiro sia una provocazione, com'è nel suo temperamento. Io lo incoraggio a restare in campo. Non è vero che nessuno gli dà ascolto, anche se molti non lo pensano come lui. Sarebbe un atto di viltà, e non è da Pannella, tirarsi fuori proprio adesso che c'è maggiore bisogno di voci libere che, pur essendo da decenni nel Palazzo, non ne sono state condizionate. Invece di ritirarsi, perché non fa uno sciopero della fame?

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IL PADRE DI TUTTE LE BATTAGLIE

Se c'è un interruttore che ha acceso la lunga parabola politica di Marco Pannella, è scattato il 13 maggio 1974. Quel giorno, gli italiani che respinsero l'abrogazione della legge sul divorzio, si scoprirono tutti più laici, meno democristiani e sicuramente un po' pannelliani.

Da allora, grazia anche alla scoperta dell'arma referendaria, Marco Pannella e le sue ex truppe radicali hanno combattuto innumerevoli battaglie, tutte nate dall'ispirazione profetica del grande capo, nel filone dei diritti civili.

Dopo il divorzio, la legge sull'aborto, i referendum contro la legge Reale antiterrorismo e contro il finanziamento pubblico dei partiti, proprio negli anni in cui i partiti laici sembravano avviati a sepoltura, stretti nella morsa dell'unità nazionale e dell'alleanza tra Dc e Pci.

Le profezie pannelliane diventate negli anni grandi questioni politiche, non si contano. Dalla battaglia contro l'informazione lottizzata radiotelevisiva, ai clamorosi digiuni per la fame nel mondo, (che portarono allo stanziamento di 5 mila miliardi di aiuti al Terzo mondo), dalle accuse contro la tangentocrazia all'obiezione di coscienza in nome della non violenza, dalle campagne per "una giustizia giusta" culminate nella mobilitazione radicale a favore di Enzo Tortora, accusato, e poi assolto, di traffici di droga e collusioni con la camorra napoletana, fino ai referendum antinucleari e per la responsabilità civile del giudice.

Nell'ultimo anno, Marco Pannella si può tranquillamente attribuire la regia dell'elezione di Oscar Luigi Scalfaro al Quirinale e il lancio del sistema uninominale all'inglese che oggi molti politici sposano. Ma, come al solito, c'è arrivato prima lui.

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AMICI, AMICISSIMI ANZI NEMICI

Dai gay agli obiettori di coscienza, dai derelitti di ogni sorta ai leader politici di grande spicco, Marco Pannella ha avuto accanto a sé, lungo il suo cammino,gli alleati più diversi. Del partito radicale hanno fatto e fanno parte, per fare qualche esempio, l'onorevole Massimo Teodori, Staiti di Cuddia e Ilona Staller-Cicciolina, deputati del Pds come Willer Bordon e tagliagole camorristi come Pasquale Barra, affettuosamente soprannominato "o' animale" dai compagni di galera.

Nei giochi di Montecitorio, invece Pannella non ha avuto autentici e sinceri alleati, se non occasionalmente su singole battaglie.

L'interlocutore con cui più spesso ha tentato di tessere tele e accordi è stato Bettino Craxi. E Craxi ha sempre lasciato che il suo ex delfino Claudio Martelli coltivasse la rosa radicale, Il momento di maggior sintonia tra Pannella e il Psi si è verificato alla fine degli anni '80 quando il Psi sposò con entusiasmo le battaglie pannelliane antinucleari e contro gli abusi della magistratura. Pannella allora (nel 1988) avanzò per la prima volta la sua candidatura a un posto di governo e Craxi gli rispose: "La Dc non accetterà mai al governo un partito che ha eletto Cicciolina".

Fu la rottura. E forse il momento in cui Pannella ha deciso di correre da solo. Con Claudio Martelli ha conservato buoni rapporti di amicizia, ma quando Martelli ha deciso di capeggiare la sedizione contro Craxi, Pannella non è certo corso in suo sostegno.

Ora Pannella si trova accomunato, nella scelta a favore del sistema elettorale uninominale, con Giorgio La Malfa, con Claudio Martelli, Mario Segni e Umberto Bossi. Ma di qui a definirli suoi alleati, ne passa.

 
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