di Lorenza PonzoneCAPITOLO VII
VERSO IL PARTITO TRANSNAZIONALE
SOMMARIO: Paragrafo 1. Il gruppo "romano" e gli altri: dissensi e fratture tra gruppo parlamentare e partito, e fra gruppo "romano" e gruppi locali e regionali. La questione dei "partiti regionali federati". Finanziamento pubblico, assetto di tesoreria, controllo dei finanziamenti, richieste di partecipazione alle amministrative. Il XXII Congresso, Genova, novembre 1979. 2. La seconda rifondazione, la questione dei partiti regionali. Il decennio 1980-1990; il XXIII congresso, la questione delle elezioni amministrative, la campagna per i dieci referendum e l'appoggio socialista; Il XXIV congresso, approvazione definitiva del Preambolo allo Statuto; XXV congresso (Roma, 5-7 giugno 1981). 3. Referendum, ciclo compiuto, comincia la diaspora; fame e massacro della natura. "Un ciclo di lotte politiche" è concluso; nuove contraddizioni e crisi interne; XXVI congresso (Firenze, 28 ottobre 1 novembre 1981):mozione sulla lotta contro "lo sterminio per fame nel mondo"; definizione della questione dell'utilizzo dei fon
di pubblici; XXVII congresso (Bologna, 1982), scissione Rippa-De Cataldo-Pinto-Boato, scontro sul regime partitocratico e le sue degenerazioni; XXVIII congresso (straordinario), rifiuto della partecipazione alle elezioni; presentazione di liste radicali di opposizione alle "elezioni-truffa" del regime; candidaturea Toni Negri e nuovo confronto con il PSI; XXIX congresso: il partito nella crisi del regime; scioglimento o rinnovamento dei valori nonviolenti?; le elezioni europee del 1984, la candidatura Tortora; 150 deputati presentano una legge sulla fame nel mondo, che sarà approvata nel 1985; referendum sulla scala mobile;XXXI congresso (Firenze 1985): proposta di scioglimento del partito. 4. Si chiude? Il congresso di Budapest, ma il partito non morirà. I referendum sulla "giustizia giusta" con PSI e PLI; XXXII congresso (Roma, 1986): lancio della campagna per 10000 iscrizioni entro il 1986; si avvia la rifondazione, verso un partito "transpartitico" e "transnazionale", che viene definitivamente sancita ne
l XXXIV congresso (Bologna, 2-6 gennaio 1988) e sopratutto nel XXXV congresso (Budapest, aprile 1989).
(Lorenza Ponzone, IL PARTITO RADICALE NELLA POLITICA ITALIANA, 1962-1989, Schena editore, gennaio 1993)
1. Il gruppo `romano' e gli altri
Al successo elettorale del 3 giugno 1979 non corrispose una parallela crescita numerica ed organizzativa del partito. Si era posto l'obiettivo di diecimila iscritti, ma a malapena e con grande sforzo si raggiunse la cifra di 3.500 (283). Per di più continuavano, anzi si accentuavano le polemiche interne, si era approfondita la frattura tra centro e periferia, tanto che il Consiglio Federativo indisse una serie di assemblee regionali degli iscritti per chiarire il contenzioso che si era andato formando tra la base ed il gruppo "di comando".
Un tema che aizzava le polemiche, anche aspre, anche personali, riguardava la gestione dei fondi del finanziamento pubblico, ed i rapporti fra il partito ed i "soggetti autonomi", cioè Radio Radicale, Tele-Roma 56, il Centro Calamandrei (284). Nacque il caso di Paolo Vigevano, il tesoriere del partito nominato, perdurante la carica di amministratore unico del "Centro di Produzione s.r.l." delle radio radicali, e quindi investito di una funzione privatistica in un ente "terzo" rispetto al partito. In pratica Vigevano era accusato di essere contemporaneamente controllore, come tesoriere, e controllato, come amministratore della Radio Radicale.
Le tensioni interne di cui abbiamo già detto, da fatto assembleare, con rampogne, accuse, contro-accuse, abbandoni, prendono corpo in mozioni, nel corso del congresso del Partito della Lombardia (Milano, 20-21 ottobre 1979) e del convegno precongressuale di Firenze (settembre-ottobre 1979). Nel documento approvato a Milano sullo stato del partito, si chiedeva un "ritorno" allo Statuto (285). Molti militanti accusavano continue violazioni statutarie che avevano determinato una diminuzione delle iscrizioni (al congresso del partito radicale lombardo, che aggregava il 3,6% dell'elettorato della regione, erano presenti solo 263 iscritti) ed un impoverimento delle iniziative di base. Si affermava anche che gli organi federali "criminalizzavano" il dissenso interno (come ad esempio disse Laurini). Sul ruolo del P.R., la mozione approvata a Milano riteneva che il partito dovesse "configurarsi come centro di servizi politici per i cittadini, i gruppi, e le associazioni che vogliono lottare su specifici temi con la m
etodologia e la prassi libertaria dei radicali" (286). Nel precongresso di Firenze, i militanti definitisi "garantisti" lamentavano l'esclusione degli iscritti, dei partiti regionali, delle associazioni, dalle grandi decisioni politiche "assunte in modo verticistico ed autoritario". Ed il documento riferiva del profondo malessere del partito, che si manifestava con abbandoni, fughe nel privato, delusioni, e ben giustificate contestazioni sulla conduzione del partito. Si riferivano ripetuti episodi di autoritarismo e di decisioni antistatutarie per esempio nella formazione delle liste elettorali nazionali, di interferenze nelle elezioni locali, e si criticava la gestione dei fondi del finanziamento pubblico. Ed infine l'accusa politicamente più grave, che rovesciava la concezione stessa di un partito basato sul non professionismo, era quella della nascita di funzionari nel partito e nelle strutture ad esso collegate. Di qui il garantismo reclamato dal basso, cioè il ristabilimento del modello autogestionario,
federale, libertario, disegnato nello statuto. Principi "a parole sempre proclamati", ma spesso elusi. La mozione di Firenze conteneva delle proposte concrete ed operative sull'assetto del partito, non più centralizzato, come di fatto funzionava, con la prevalenza del "gruppo romano" sulle formazioni periferiche. Si chiedeva l'attuazione nell'imminente congresso nazionale di quelle norme statutarie che prevedevano un congresso per delegati, al fine di consentire a tutti gli iscritti, pur assenti dal consesso, di partecipare alla formazione delle sue decisioni. Si voleva così dare rappresentatività, nel congresso, a tutti gli iscritti, contrariamente a quanto avveniva nei Congressi assembleari le cui decisioni rispecchiavano, a causa delle massiccie assenze, la volontà delle ristrette minoranze presenti. Queste presenze, di solito, provenivano dalle città e dalle regioni dove si tenevano i congressi, e poiché 14 congressi su 35, tra ordinari e straordinari, si sono tenuti a Roma ne conseguiva la partecipazio
ne maggioritaria dei militanti romani o laziali, i quali, formando un gruppo compatto ed omogeneo, erano sempre presenti alle assemblee nazionali.
Dall'esame della localizzazione dei congressi emerge un altro dato: si sono sempre scelte le città centro-settentrionali, e dall'ingresso in Parlamento in avanti, si accentua la preferenza per Roma, il che caratterizza un partito più centralizzato. Quanto alla informazione parlata e scritta, la periferia, i partiti regionali chiedevano che "Notizie Radicali" e Radio Radicale diventassero accessibili a tutti gli iscritti, simpatizzanti, e che non continuassero ad essere luogo di dibattiti per le liste del partito.
Un altro tema di discussione precongressuale riguardava le elezioni amministrative che si sarebbero tenute nella primavera successiva. I partiti regionali erano favorevoli a partecipare alla competizione locale, perché poteva essere un'occasione per il P.R. di occuparsi dei problemi legati alla qualità della vita nelle città e nelle comunità locali, nel settore dell'ecologia, nei servizi di assistenza, e collegarsi con movimenti e gruppi che operavano, nelle regioni, sugli stessi temi.
Dal centro, contro le istanze dei partiti regionali, intervenne il tesoriere del partito, quel Paolo Vigevano accusato di essere nel contempo controllore e controllato delle casse radicali. Egli, esprimendo chiaramente la posizione della dirigenza nazionale, sosteneva che »non era possibile sancire per Statuto l'esistenza di partiti regionali (287), perché tali organismi erano, in effetti, delle "finzioni", in quanto non potevano, per l'esiguità degli iscritti, incidere realmente sulle istituzioni locali e nazionali. Perciò, Vigevano proponeva di fissare un minimo di iscritti più alto (superiore a cento), rispetto a quello previsto dalle norme allora vigenti per la costituzione di un partito radicale regionale. Una proposta siffatta avrebbe determinato in un partito con pochi iscritti come era il P.R. la fine della maggior parte delle formazioni regionali ed impedito la nascita di nuove, oltre a costituire un vulnus ai principi federalisti dello Statuto radicale.
Le polemiche tra "garantisti" e dirigenza, tra "centro" e "periferia" trovarono un terreno di scontro al XXII congresso (Genova, 31 ottobre-4 novembre 1979). E si consideri che questo congresso non si apriva su di uno scenario tranquillo, perché alcune settimane prima era stato arrestato in Francia il segretario del Partito, Jean Fabre, quale obiettore di coscienza. Marco Pannella chiese la sospensione del congresso per organizzare una protesta, contro l'arresto di Fabre, in Francia. Ma i congressisti si rifiutarono, e Pannella abbandonò l'assemblea.
Il congresso, da un lato, riaffermò la validità e la necessità di una nuova iniziativa referendaria sui temi qualificanti (nucleare, ambiente, ordine pubblico) dall'altro, nella mozione finale, s'impegnò a rafforzare i partiti regionali ed arricchirne l'autonomia e la capacità di espressione e di manifestazione (288).
Dunque, le istanze dei partiti regionali, la periferia, vengono recepite dalle mozioni generali, anche se a prevalere fu la posizione Rippa-Bandinelli, filo-pannelliana (289). Si aprì la questione statutaria, anche se poi venne demandata la valutazione al Consiglio Federativo. Venne eletto segretario Giuseppe Rippa, 29 anni, di Napoli, sulla linea di Pannella, direttore della rivista "Quaderni Radicali".
2. La seconda rifondazione. La questione dei partiti regionali
Il nuovo decennio, per il partito radicale, si apriva con aspre polemiche interne, fino alla spaccatura, a causa di una diatriba tra Pezzana ed Aglietta, del P.R. piemontese. Lorenzo Strik-Lievers scriveva, a proposito del clima all'interno del partito all'inizio di quell'anno, che »piccoli interessi, piccole questioni prendono il primo posto ed assorbono attenzioni e passioni, con il rischio di disperdere quella "diversità" che costituisce la ragione d'essere e la forza del P.R. (290).
Il XXIII Congresso (7-9 Marzo 1980, Roma) venne convocato per definire la linea del P.R. per le successive elezioni regionali ed amministrative. La decisione dell'assemblea su questo argomento interessava, particolarmente, ai militanti e dirigenti dei partiti regionali. Si decise la non presentazione delle liste radicali. Molti dei partiti regionali, come quello napoletano e delle Sicilia, mostrarono la loro contrarietà a questa decisione, che fu definita "preconfezionata a livello centrale".
La delusione della componente cosiddetta "garantista" fu forte, e si riannodò il dissenso ed il malcontento, in un convegno a Bologna (26 aprile 1980) sul tema "scelte politiche ed elettorali del P.R. di fronte al dettato statutario ed all'impegno collettivo per il successo dei referendum" (291). Nel documento approvato, si invitava a votare liste radicali e candidati radicali in altre liste, e ove non fosse possibile, si consigliava di dare il voto a liste e candidati della sinistra. Tuttavia l'indicazione definitiva del Consiglio Federativo - voto nullo e non impiego del simbolo radicale - non fu contestata dalle realtà locali, che decisero di non presentarsi, autonomamente. Il giudizio, comunque, sulla non partecipazione, fu diffusamente negativo da parte delle associazioni locali, anche se mitigato dal successo della campagna di raccolta delle firme per referendum.
Dal 27 marzo al 27 giugno fu effettuata la raccolta delle firme per i dieci referendum decisi dal congresso di Genova: caccia, centrali nucleari, legge Cossiga (contro la quale i radicali avevano fatto un duro ostruzionismo in Parlamento), codice Rocco, porto d'armi, ergastolo, tribunali militari, depenalizzazione delle droghe leggere, smilitarizzazione della guardia di finanza, depenalizzazione dell'aborto.
I radicali riuscirono a raccogliere 600.000 firme per ciascuna richiesta grazie anche all'impegno politico del partito socialista nelle ultime settimane di raccolta (292). Un grande successo per un partito che si trovava in difficoltà obiettive: sia interne sia di isolamento politico. I referendum, per l'uso ripetuto avevano una carica meno dirompente del passato; e oltretutto, a parte l'intervento del partito socialista che si concretò più che altro in un appoggio politico, ormai si identificavano completamente con il partito radicale, non riuscivano a far presa su altri gruppi. Bisogna aggiungere il motivo più importante che rappresenterà, probabilmente, la ragione della sconfitta del P.R. nell'81: i nuovi referendum chiedevano in realtà un voto pro o contro il partito radicale che veniva presentato come l'unico che si opponeva al "regime dell'ammucchiata" (293).
In un certo senso questo cambiamento di prospettiva riduceva i referendum quasi ad elezioni politiche ed inevitabilmente perciò la percentuale dei "sì" sarebbe stata bassa.
Intanto la componente "garantista" ancora una volta riunitasi ad Ancona il 12-13 luglio 1980, decideva di dare l'avvio ad una iniziativa "di informazione politica che aggregasse sia i radicali che ritenevano di continuare la loro militanza nel PR, sia quelli che se ne erano allontanati a causa dei "criteri verticistici ed antidemocratici" della direzione centrale.
Il XXIV Congresso (Roma 1-4 Novembre 1980) apparve alquanto movimentato, perché emerse, in tutta la sua carica dirompente l'intera questione statutaria, e può essere definito storico perché assunse, come preambolo allo Statuto, il testo proposto nel precedente congresso. Nella stessa occasione, si discusse sulla natura del rapporto tra partito e gruppo parlamentare, dell'autonomia dei partiti regionali e delle associazioni rispetto al momento elettorale, del numero minimo di iscritti necessario per costituire un partito regionale, dei criteri di utilizzo dei fondi derivanti dal tesseramento. Il Congresso, considerata la impossibilità di affrontare, nel loro insieme, i problemi statutari, e tuttavia ritenuta non più rinviabile la definizione di alcuni punti fondamentali, decise di convocare per l'agosto 1982 un Congresso straordinario di rifondazione statutaria e quindi politica del partito radicale.
Il preambolo allo Statuto approvato dal XXIV Congresso venne da tutti i militanti considerato come un manifesto politico-programmatico sul valore assoluto della non violenza e della disobbedienza civile. I termini dell'azione radicale, fuori e dentro il partito sembrarono totalmente innovativi.
Questo preambolo si articolava lungo tre direttrici: la centralità della politica internazionale, e il superamento, della generica indicazione antimilitarista tradizionale, con l'inserimento della battaglia contro lo sterminio per fame in una visione complessiva; la rivendicazione esplicita, nell'orizzonte laico del P.R., dei valori propri della religiosità cristiana; l'introduzione del diritto naturale come limite all'azione dello stato, e di conseguenza il diritto-dovere per il cittadino alla disobbedienza civile (294).
La parte politicamente più significante, più autenticamente radicale ci sembra quella sulla definizione della disobbedienza. Vi si proclama il dovere alla disobbedienza, alla non collaborazione, alle supreme forme di lotta non violenta per la difesa del diritto inteso però come diritto naturale.
L'appuntamento per la rifondazione del Partito era stato fissato per l'agosto del 1982. A quasi metà del percorso, il 17 maggio 1981, si votò per i referendum (295). L'esito, negativo per il P.R., accelerò i tempi della rifondazione; in quel momento la sinistra esultava per la vittoria, il disimpegno del P.S.I., che aveva lasciato liberi, sulla scelta del voto, i suoi iscritti.
Intanto il partito socialista sembrava aprirsi all'area radicale. Ma, già alla vigilia del XXV Congresso (Roma, 5-7 giugno 1981) tale ipotesi appariva ormai irreale, perché i due partiti perseguivano strategie diverse.
Ma l'argomento scottante, molto sentito dai partiti locali, che avrebbe dovuto affrontare questo congresso, riguardava le prime direttrici della rifondazione statutaria del partito. Ecco che, in questo clima di attesa, sopraggiunse una dichiarazione di Pannella, che esortava i militanti radicali a "liberarsi dallo Statuto". Ed aggiungeva, tra lo sconcerto dell'assemblea: »non facciamo finta di essere quel soggetto plurale, fatto di tanti partiti che non ci sono. Siamo un soggetto, 3/4/500 700 compagni che hanno saputo assieme lottare bene (296). Era la condanna a morte dei partiti locali. Ma il leader nella replica corresse il tiro affermando che le autonomie statutarie (i partiti regionali, le associazioni, le leghe) non solo non erano minacciate dalla sua ipotesi di rifondazione del partito, ma sarebbero state esaltate. Egli lanciava l'idea dei partiti regionali con simboli propri, esclusivi; da gestire in proprio. Una contraddizione tattica. La minoranza "garantista", la quale si raccoglieva intorno alla
mozione a firma Bandinelli ed altri non convinta dalle promesse di Pannella ribadiva il suo impegno per l'attuazione dello Statuto del PR, che tuttora rappresentava un modello di aggregazione politica e sociale.
3. Referendum: Ciclo compiuto. Comincia la diaspora. Fame e massacro della natura
Intanto un'altra pagina si chiudeva: il XXV Congresso, prendeva atto che il progetto referendario "risultava chiaramente compiuto con la prova referendaria del 17 maggio" (297); non nel senso che allo strumento del referendum non si doveva più far ricorso, ma soltanto che un ciclo di lotte politiche era concluso; e che il partito, libero dagli impegni referendari avrebbe potuto affrontare la lotta contro lo sterminio per fame nel mondo, con le mobilitazioni e le azioni dirette di sempre.
La classe dirigente radicale non era più quella mobile, dispersa e qualche volta disperata degli anni mitici; era diventata, almeno dall'osservatorio dei gruppi locali, un blocco compatto (in verità, lo era sempre stato, a livello romano) con gerarchie, e tendeva ad autoconservarsi, seguendo lo sperimentato meccanismo della cooptazione. I nostalgici delle battaglie degli anni '60, '70 lamentavano che anche la stessa parola "radicale" non era più "immediata, narrativa, ed affabulante" (298). Cominciava il terzo tempo radicale, con nuovi strumenti e nuove strutture.
Apparve sulla scena politica una sorta di destra radicale, che, come vedremo, di fatto, sarà fagocitata da Pannella. In quel momento, sembrava a molti militanti della prima ora che l'odiato "regime", la tanto contestata partitocrazia avesse contagiato del suo comportamento l'area radicale.
Sta di fatto che lo strumento messo in piedi dalla leadership per evitare una sostituzione dei fini non impedì, come abbiamo già notato, l'affermarsi di un certo professionismo politico nel partito, e di contro uno scardinamento dell'organizzazione periferica raccolta attorno ai partiti regionali che furono, in sostanza, congelati, dopo il 1 ottobre 1981 (299).
In secondo luogo, l'allontanamento degli iscritti occasionali o casuali, con l'aumento del costo della tessera correlato al reddito (300), segnò la fine del turnover, cioè di quell'aggregazione spontanea che era stata la parte più amata nel periodo eroico del partito. Infine arriveranno gli iscritti "radiofonici", cioè reclutati attraverso Radio Radicale, che avrebbero fatto l'offerta-tessera, ma che resteranno quasi sempre estranei alla militanza.
Col XXVI Congresso (Firenze, 28 ottobre - 1 novembre 1981) tornava in qualità di segretario Marco Pannella, che, di fatto, non aveva mai cessato di essere "il leader". In questo congresso si traduceva in una esplicita, precisa ed incalzante mozione, l'iniziativa radicale per la lotta allo sterminio per fame nel mondo. Ecco perché Pannella, nel momento in cui il partito assumeva questo fine straordinario e totalmente coinvolgente, non poteva non impegnarsi anche formalmente, in prima persona. Era l'unico esponente capace di far diventare azione politica il tema in cui si incentrava la crisi Nord-Sud del mondo, la fame nei paesi sottosviluppati, il massacro della natura, considerato l'olocausto dei nostri giorni. Intorno a questo impegno, il P.R. poteva richiamare la sua ventennale proposta di unità della sinistra, in cui si sarebbero ritrovati »quei democratici, quei comunisti, quei socialisti, quei liberali e quei credenti in altro che nel potere per i quali il diritto di ogni singolo alla vita e perciò alla
libertà, costituisca il valore primario (301).
La questione del finanziamento pubblico, sulla quale si erano scontrate, in passato, le varie componenti del partito, venne decisa con una mozione, che in modo molto articolato consentiva di separare la gestione dei soldi pubblici da quella dei fondi del partito. In particolare si stabilì: primo: il finanziamento pubblico non doveva essere utilizzato, in nessun caso, per far fronte alle spese relativa alla organizzazione e alle attività del partito; secondo: la corresponsione ai soggetti esterni al partito veniva affidata alla responsabilità del tesoriere, sulla base di progetti: dovevano servire, questi soldi pubblici, prioritariamente, all'attuazione di "una informazione autonoma al servizio dei cittadini e del paese"; terzo: le eventuali somme residue avrebbero formato un fondo di riserva straordinario destinato a far fronte alle esigenze di cassa per eventuali elezioni anticipate; quarto, le quote di finanziamento che sarebbero pervenute negli esercizi successivi, dovevano servire al ripianamento dei deb
iti contratti dal partito fino al 1 novembre 1981. Ed in ogni caso il tesoriere era autorizzato a far fronte ad improvvise esigenze di cassa con i soldi pubblici.
La situazione del bilancio del partito, all'inizio degli anni Ottanta, si presentava apparentemente florida, rispetto agli anni passati. I tesserati erano poco più di tremila, e quindi le entrate, sotto la voce "quote degli iscritti" segnava la cifra di 61 milioni, il triplo in confronto all'anno 1979; a cui si aggiungeva il "contributo di iscritti e sostenitori", di 121 milioni, il tutto portava la quota dell'autofinanziamento ad un livello molto alto. Tuttavia, anche se cospicuo, il dato dell'autofinanziamento era minoritario rispetto al bilancio complessivo, che recava un deficit di circa 200 milioni. Per ripianare il passivo si ricorse all'indebitamento bancario.
Il bilancio dell'anno successivo (16-10-81/15-10-82) presenta un deficit, enorme per le casse radicali, di 800 milioni, con una diminuzione dell'autofinanziamento a meno di 120 milioni.
La crisi interna del partito, di cui abbiamo già detto le motivazioni e l'ampiezza, sfociò in una profonda lacerazione al XXVII Congresso (Bologna, 28 ott. - nov. 1982).
La tensione tra le due componenti cominciò su questioni procedurali. Rippa e De Cataldo, dopo l'esito negativo per il loro gruppo delle prime schermaglie sull'ordine del giorno, abbandonavano il Congresso e rivendicavano la rappresentanza e la difesa dei diritti fondamentali del 40% degli iscritti, diritti che secondo loro erano stati violati dalla maggioranza assembleare (302). I due dissenzienti tentarono un controcongresso in una saletta accanto, e nacque così la prima scissione nella storia del P.R., a cui parteciparono una quarantina di congressisti. Il giorno successivo, anche i due deputati Pinto e Boato abbandonavano il partito, motivando la loro decisione col fatto che il P.R. aveva subito "una sorta di mutazione genetica". Il congresso confermava alla carica di tesoriere Marcello Crivellini e alla segreteria Marco Pannella.
Infine, il XXVII congresso approvò un dettagliato regolamento finanziario per disciplinare l'uso dei fondi pubblici, e per delimitare i poteri del tesoriere.
Nulla si dispose, invece, sul controllo dei fondi gestiti dai soggetti autonomi (radio radicale), (Tele-Roma), (Centro Calamandrei) da parte degli organi esecutivi del partito: di qui, successivamente, le polemiche sulla destinazione dei fondi pubblici, ritenuta da qualcuno non utile ai fini politici del partito.
A questo punto è necessario dire che la rifondazione del partito, postulata in tutte le istanze, dai militanti, dai simpatizzanti che gravitavano nell'area radicale, non ebbe luogo, nonostante che la mozione approvata dal XXIV Congresso (novembre 1980) prevedesse la convocazione per l'agosto 1982 di un congresso straordinario di rifondazione statutaria. Una commissione appositamente creata non riuscì ad esprimere nessuna ipotesi o proposta concreta. Sicché la struttura del partito non subì alcuna modifica, neanche nei successivi congressi.
Tutto questo accadeva perché non si riusciva a trovare un nuovo modello di organizzazione che sostituisse quello già sperimentato negli anni passati, un modello che fosse adeguato alle mutate condizioni politiche. In pratica c'erano da affrontare le questioni del rapporto fra il partito e gli eletti, partito e soggetti autonomi, la partecipazione agli organismi amministrativi di comuni e province, i delegati al congresso, i funzionari di partito, la formazione delle liste elettorali, i movimenti federati, i partiti regionali.
Nella mozione approvata dal XXVII congresso si rileva anche un primo sforzo di approfondimento della situazione politica determinatasi dopo la fine della solidarietà nazionale. Si valutano ormai esili i margini di democrazia esistenti nel nostro paese e si ritiene che la partitocrazia abbia prodotto una sorta di svuotamento costituzionale.
Sicché il P.R. auspica "la difesa e l'attuazione della Costituzione non proposte e progetti che interrompano i meccanismi di lottizzazione delle istituzioni, a cominciare da una grande petizione popolare per l'insediamento di una commissione d'inchiesta sul finanziamento pubblico dei partiti, sui loro bilanci e sul loro stato patrimoniale".
A questo punto del dibattito interno si delineò uno scontro, che successivamente diventerà più lacerante tra la concezione di Pannella, assai pessimistica, e quella di altri, come per esempio Gianluigi Melega e Roccella. La tesi pannelliana partiva dalla considerazione che la partitocrazia era ormai invincibile, per cui non rimaneva che il ricorso alla disobbedienza civile, cioè agli originari metodi di lotta radicali, improntati ad una dura azione non violenta, individuale, tipo scioperi della fame e della sete.
Intanto Pannella convocò un congresso straordinario perché i radicali decidessero se partecipare o no alle elezioni politiche anticipate indette per il 26 giugno 1983.
Bisogna dire che il P.R. da anni denunciava che in Italia era scomparsa ogni traccia di legalità, nel senso della certezza del diritto, e soprattutto lamentava una continua e sempre più grave degenerazione partitocratica del sistema costituzionale: a fronte di questo "sfascio", tanto per usare un termine consueto nelle invettive pannelliane, i radicali promossero uno sciopero del voto nelle elezioni del 1983 e nelle successive tornate elettorali, come manifestazione estrema di sfiducia verso gli altri soggetti politici, tutti più o meno consociati nella gestione del "regime" Italia. Un proposito, questo, in evidente totale ed ineliminabile contrapposizione con tutti gli altri partiti: il che avrebbe determinato l'isolamento, nel Parlamento e nel Paese, del partito radicale.
E' necessario dar conto come il XXVIII congresso giunse alla grave decisione di rifiutare la partecipazione alle elezioni. Gian Luigi Melega si disse contrario all'astensione dal voto, perché la presenza radicale nel Parlamento avrebbe potuto assumere il valore di testimonianza nelle istituzioni. Pannella dichiarò invece che le elezioni così come congegnate erano una truffa a danno del cittadino, che indirizzato da una informazione lottizzata tra i partiti, non aveva di fatto libertà di scegliere. La mozione Melega fu respinta dall'assemblea congressuale con 400 voti contrari e 341 a favore, mentre 68 delegati si astennero. Il congresso si concluse con una non decisione, comunque fu scartata l'ipotesi di una presentazione automatica ed incondizionata del P.R. alle imminenti elezioni.
Tuttavia, subito dopo, il consiglio federale assunse un deliberato, almeno apparentemente, contraddittorio. Decise di dare agli elettori radicali l'indicazione dello sciopero del voto contro la partitocrazia, ma anche di presentare liste radicali allo scopo di assicurare al partito degli spazi televisivi per propagandare "il boicottaggio non violento di elezioni truffa". Dunque una presa di posizione ambigua, ma tatticamente utile, perché assicurava la presenza radicale sui media nazionali, senza esporla ad un eventuale insuccesso nel confronto elettorale.
I radicali coglievano l'occasione elettorale per continuare a battersi contro la legislazione di emergenza: venne candidato e poi eletto Toni Negri, imputato al "processo 7 aprile" per atti di terrorismo, sottoposto a carcerazione preventiva per oltre 4 anni. Ancora una volta i radicali riuscirono a suscitare un largo dibattito nel paese sui problemi della giustizia. Il P.R. ottenne il 2,2% dei voti, nonostante la campagna astensionistica, 11 deputati ed un senatore. A differenza delle elezioni del '79, nelle quali ci furono molti candidati esterni, nell'83 gli eletti radicali sono tutti iscritti del P.R., per precisa decisione del partito: i parlamentari dovevano essere non i rappresentanti della nazione ma militanti non violenti all'interno delle istituzioni.
Abbiamo più volte detto che la posizione del P.R. di totale contestazione del sistema faceva entrare i radicali in rotta di collisione con tutti i partiti, accusati appunto di partecipare al "banchetto del regime". Anche con quelli più vicini, per comunanza di ideali, quali i partiti di sinistra in particolare. I rapporti col P.S.I. sono stati sempre contrastati nella lunga storia del partito radicale. Le colpe del conflitto tra forze radicali e socialisti non stavano da una sola parte. I socialisti consideravano i radicali dei rivali alla loro prossima sinistra, nella cui area avrebbero potuto attingere nel serbatoio del loro elettorato. I radicali da parte loro non riuscivano ad indurre il P.S.I. su posizioni di alternativa e di abbandono del centro-sinistra. Tuttavia i due partiti avevano operato insieme, nel 1980 per la raccolta delle firme per i 10 referendum. Ma il P.S.I. non dette il suo appoggio alla proposta di legge radicale contro lo sterminio per fame e nel 1982 cinque deputati radicali passarono
fra le file del P.S.I.
Ma dopo le elezioni dell'83, presidente Craxi, il P.R. ed i socialisti si avvicinarono perché il primo ministro del P.S.I. nelle sue dichiarazioni programmatiche inserisce il problema dello sterminio per fame.
Su questo scenario politico si aprì il XXIX congresso del partito (Rimini 29 ott.-1 nov. 1983). I radicali sembrano disorientati, quasi sgomenti, senza prospettive, come se si fossero infilati in un vicolo cieco. Pannella descriveva la situazione politica senza sbocco. Secondo il leader storico la crisi della democrazia italiana non consente spazi, nelle istituzioni, per una politica costruttiva di lotta da parte dei radicali e denuncia il fallimento del P.R. anche nella lotta contro lo sterminio per fame. Per questi motivi Pannella prefigurava l'ipotesi di uno scioglimento del partito, o comunque la sua rifondazione, incentrata sulla non violenza, disobbedienza civile e lo sciopero della fame, insomma un partito di ispirazione gandhiana.
L'assemblea congressuale si divise tra coloro che condividevano la linea pannelliana (Cicciomessere, Spadaccia) e quelli (Melega, Roccella) che prospettavano un partito radical-democratico, con capacità di incidere nel tessuto politico. Il congresso si concluse con una mozione unitaria che ripropose l'obiettivo prima mancato dei "tre milioni di vivi" nel 1984 e determinò in tre miliardi di autofinanziamento le risorse per conseguire tale obiettivo. Si decise, infine, la partecipazione del P.R. alle elezioni europee del 1984 per il preciso fine di cercare alleanze utili per la lotta contro lo sterminio per la fame nel mondo.
Un altro tema recato dai radicali di fronte all'opinione pubblica fu quello "per una giustizia giusta" e come simbolo-vittima delle storture nelle leggi vigenti, candidarono alle elezioni europee del 1984 Enzo Tortora, accusato di spaccio di droga e altri gravi reati.
I risultati nelle elezioni furono soddisfacenti (3,4%). E' prevalente il voto meridionale, soprattutto nei capoluoghi, con punte a Catania del 10,2% ed a Palermo del 9,9%.
Il XXX congresso (Roma 31 ottobre-4 novembre 1984) riconfermò la linea proposta da Pannella: approvazione della legge "Piccoli" contro lo sterminio per fame, rinvigorimento dell'azione antimilitarista, proposte di legge di iniziativa popolare nei settori dell'ecologia, ambiente, sanità, informazione, giustizia. Si decise la non partecipazione dei radicali alle successive amministrative ma di appoggiare autonome liste ecologistiche. Venne eletto segretario Giovanni Negri, 27 anni, e tesoriere Peppino Calderisi.
Intanto continuava, con testarda tenacia la lotta radicale contro lo sterminio per fame. Si era accumulata una notevole quantità di consensi e di adesioni su questo tema.
Era stata presentata, il 27 marzo 1984, da 150 deputati (D.C. P.S.I., P.L.I., P.S.D.I.) un'apposita proposta di legge, che prevedeva interventi straordinari per salvare almeno tre milioni di vite umane, con uno stanziamento di 3 mila miliardi da affidare ad un alto commissario. Dopo scioperi della sete di Marco Pannella, digiuni collettivi di centinaia di persone, appelli di premi Nobel, una risoluzione de] Parlamento Europeo, venne approvata dal Parlamento italiano, nel 1985, una legge per gli interventi contro lo sterminio per fame, che prevedeva lo stanziamento di 1.900 miliardi per un periodo di 18 mesi.
Nel 1985 la lotta politica si incentrò anche sulla questione della "scala-mobile". Sul referendum, voluto dai comunisti, per l'abrogazione del decreto Craxi sulla scala mobile, i radicali proposero l'astensione. La posizione del P.R. appare ragionevole tenuto conto, come notò acutamente Norberto Bobbio, che »in quella circostanza era da rifiutare non la decisione che doveva risultare dal voto, ma la stessa procedura adottata per prenderla ; trattandosi in definitiva di interessi economici contrapposti, si esigeva in tale materia una soluzione di compromesso. In ogni caso la decisione del Governo sulla scala mobile non doveva essere condizionata dall'opposizione. Il partito comunista, abituato ad un sistema di potere consociativo, pretendeva di contrattare anche su questo, esercitando una sorta di diritto di veto. I radicali invece reclamavano una netta distinzione dei ruoli, maggioranza da una parte e opposizione dall'altra, e quindi il diritto del Governo di attuare il proprio programma.
Intanto i radicali proseguivano la riflessione sullo stato del partito. L'autofinanziamento dai 96 milioni del 1984 era passato ai 2 miliardi e 200 milioni del 1985. Ma la raccolta di queste somme, ingenti in rapporto alle casse radicali, non era frutto di iscrizioni e sottoscrizioni, ma di campagne politiche. Questo fatto era il sintomo di una crisi nella partecipazione militante, cardine della struttura radicale da sempre. Oltretutto i conti rimanevano in deficit per effetto dei bisogni crescenti dei soggetti autonomi (radio radicale, Teleroma 56, centro Calamandrei).
Il XXXI congresso (Firenze, nov. 1985) si concluse con l'approvazione di una risoluzione proposta da Pannella che affidava agli organi statutari l'elaborazione di un progetto di cessazione del partito.
4. Si chiude? Il congresso di Budapest. Ma il partito non morirà.
Nel 1986 il P.R. riprese la battaglia referendaria, questa volta non più isolato, ma insieme al P.S.I. e al P.L.I. I referendum avevano per tema la responsabilità civile del magistrato anche per colpa, la commissione inquirente, la riforma elettorale del CSM (303). La comunanza di queste lotte referendarie metteva in tutta evidenza quel rapporto speciale tra P.S.I. e P.R., rapporto che si era rinsaldato con la segreteria Craxi. La Corte Costituzionale dichiarò illegittimi tre degli otto referendum che erano stati richiesti da diversi comitati promotori (quello sulla riforma elettorale del CSM e i due contro la caccia). Si andò al voto sui 5 rimasti dopo le elezioni politiche del giugno 1987, circostanza che vanificò la portata dirompente dei referendum. L'80% circa dell'elettorato si pronunciò a favore dell'abrogazione per tutti e cinque i referendum.
Ma i radicali continuavano a porsi il dilemma se continuare o cessare la loro attività. Al XXXII congresso (Roma, nov. 1986) Pannella prospettava lo scioglimento del partito. L'80% dei partecipanti si esprimeva invece a favore della sopravvivenza. Alessandro Tessari affermava che »la cessazione non significava sbarramento, ma imboccare la strada giusta per reinvenzione di quella che è stata chiamata la cosa radicale (304). Il congresso decideva di porsi l'obiettivo di dieci mila iscritti entro il 1986, pena lo scioglimento. Rinviava, comunque, il problema della rifondazione del Partito ad un altro congresso, da tenersi nel febbraio del 1987. Entro il 31 gennaio 1987 il P.R. raccoglieva 5 mila iscrizioni. Il dato più rilevante è quello delle doppie tessere, che taglia, secondo noi, trasversalmente, il mondo politico italiano. La singolare iniziativa della doppia militanza fu fortemente contrastata dagli apparati dei partiti di sinistra, che temevano un indebolimento della loro presa ed anche perché si profil
ava il pericolo di intese fuori dagli accordi di vertice, tra i singoli esponenti politici sui temi di lotta dei radicali. La doppia militanza poneva al P.R. il problema della ricerca di una nuova forma organizzativa, che teneva anche conto delle iscrizioni internazionali.
Nella seconda sessione dello stesso congresso venne decisa la sospensione delle norme dello stesso Statuto, e si affidava il compito della rifondazione del partito al Primo Segretario, Giovanni Negri, ed a otto segretari federali (305). Ora non si parla più di scioglimento, anzi i radicali sperano di rafforzarsi a livello internazionale, con l'obiettivo di alcune migliaia di iscritti da reclutare fuori d'ltalia, »perché si creino le premesse per fare del partito radicale il partito internazionale e internazionalista, laico e nonviolento, dei diritti umani, degli Stati Uniti d'Europa . Si insiste, inoltre, per il rafforzamento del carattere "transpartitico", di secondo partito, che il P.R. è venuto assumendo grazie alle doppie tessere. Sul piano politico interno vi è la proposta alle forze socialiste ed ecologiste di un accordo politico elettorale per la presentazione di liste separate alla Camera e di candidature comuni al Senato, attraverso la costituzione di un "fronte per la riforma federalista e repubbli
cana". Se queste liste avessero conseguito il 30% dei voti, vi sarebbe stata la proposta di riforma elettorale per l'introduzione del sistema uninominale all'inglese.
Vennero sospese le norme dello statuto riguardanti i partiti regionali. I radicali presero definitivamente atto del fallimento del federalismo come organizzazione interna del partito. Rimane solo i federalismo esterno: la possibilità di adesione di associazioni non radicali. Già dal 1982 il Consiglio Federativo, che doveva essere l'organo della federazione dei partiti regionali, aveva mutato nome e composizione: si chiamò Consiglio Federale, composto solo di membri eletti dal Congresso. Per il 1987 il C.F. sarebbe stato composto da cinquanta membri sorteggiati tra gli iscritti.
Il XXXIV congresso (Bologna, 2-6 gennaio 1988) sancisce definitivamente l'identità transnazionale del partito, nella convinzione che i problemi attuali non possono essere risolti solo in una dimensione nazionale, e la rinuncia a presentarsi a tutte le elezioni politiche nazionali.
Pannella avrebbe voluto imporre una clausola che prevedesse l'automatica cessazione del partito se non fossero stati raggiunti gli obiettivi fissati dalla mozione: 4 miliardi di lire di autofinanziamento e 3 mila iscritti fuori d'Italia.
La proposta di Pannella non fu accettata, e per la prima volta, nella storia del P.R., il gruppo dirigente si è trovato unito e compatto in contrapposizione col suo leader.
Il Congresso approva le modifiche dello Statuto, che ridisegnano l'organizzazione del partito.
Il dibattito sulla cessazione del partito è continuato per tutto il 1988, fino al Congresso di Budapest (XXXV, 22-26 aprile 1989), dove è stata affidata la sorte del partito ad un quadrumvirato composto dal segretario, dal tesoriere, dal presidente del partito e dal presidente del Consiglio Federale.
Il partito, rifondato nel 1962, non è morto sulle rive del Danubio, ma è sopravvissuto sotto altre forme: molti esponenti sono trasmigrati in nuove e vecchie formazioni politiche, dai verdi, agli antiproibizionisti al PSDI, ma le idee, i metodi originari sembrano ancora vitali.
TAB. 13
ANDAMENTO NEGLI ANNI DELLE ISCRIZIONI
PROGRESSION ANNUELLE DES INSCRIPTIONTS
YEARLY PROGRESS OF MEMBERSHIPS
Anno-Annè-Year 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989
Italia-Italie-Italy 2.959 2.223 3.707 3.412 2.987 10.862 11.645 5.006 1.112
Altri paesi-Antres pays-Other countries 34 149 171 828 247
Totale-Totale-Total 2.959 2.223 3.707 3.412 3.021 11.011 11.816 5.834 1.359
Fonte: Relazione al XXXV Congresso (Budapest, 22-26 aprile 1989) di Paolo Vigevano, tesoriere del P.R.
NOTE
(283) Cfr. Documento del Consiglio Federativo in vista del XXIII Congresso del PR (31 ott.-4 nov. 1979), "Notizie radicali", n. 148,15 ottobre 1979.
(284) Fondazione di studi giuridici, istituita dal gruppo parlamentare del PR nel 1978, con i fondi del finanziamento pubblico.
(285) Mozione politica approvata dal 5· Congresso del P.R. della Lombardia (2021 ottobre 1979, Milano), in "Il Radicale", n. 2, novembre 1979 - Nello stesso numero della rivista milanese del PR, il Documento conclusivo dei due convegni pre-congressulai di Firenze.
(286) Mozione politica 5· congresso PR d.l., ibidem.
(287) PAOLO VIGEVANO, »Alcune proposte per il Congresso di Genova , "Notizie radicali", n. 147, 10 ottobre 1979.
(288) Mozione politica XXII Congresso.
(289) Vennero presentate e messe in contrapposizione due mozioni: una a firma Rippa-Bandinelli e l'altra Ercolessi-Ramadori. La votazione delle mozioni, nei congressi radicali avviene per alzata di mano, con possibilità di chiedere verifica e contro-verifica. Tali verifiche costituiscono in effetti nuove votazioni, con la possibilità di cambiare la propria volontà. Infatti nel XXIII Congresso vennero effettuate tre votazioni sulle mozioni contrapposte, che diedero risultati opposti.
(290) LORENZO STRIK-LIEVERS, »Il nuovo patto radicale , "Argomenti radicali", n. 19. febbraio-maggio 1980, p. 16.
(291) Cfr. RENATO VIVIAN, »Dentro il P R. - Analisi diacronica dei rapporti dei militanti radicali con lo Statuto del partito , a cura dell'Associazione radicale di Udine, 1982 pp. 40 e ss.
(292) M. TEODORI, »Elezioni, referendum, prospettive politiche , "Argomenti radicali", n. 15, febbraio-maggio 1980.
(293) »Fermali con una firma , opuscolo a cura del PR, Roma, 1980.
(294) Vedere anche la mozione politica approvata dal XXIII Congresso del PR, che costituisce il manifesto politico del nuovo PR, insieme al preambolo.
(295) La Corte Costituzionale, nel febbraio del 1981, aveva bocciato cinque dei dieci referendum radicali: quelli sulla caccia, centrali nucleari, codice Rocco, depenalizzazione droga, smilitarizzazione guardia di finanza. Veniva approvata una legge nel 1981 che modificava la composizione dei tribunali militari, impedendo il relativo referendum.
Così il 17 maggio 1981 si votò sulla legge Cossiga, l'ergastolo, il porto d'armi, l'aborto. Si aggiunse il referendum abrogativo della legge 194 richiesto dal "Movimento per la vita".
(296) Marco Pannella, Relazione pronunciata il 5 giugno 1981, nel corso del 253 congresso straordinario del PR, Roma, 5-7 giugno pubblicata a cura di Quaderni radicali.
(297) Mozione politica approvata dal XXV congresso del PR.
(298) ANGIOLO BANDINELLI, »Il partito radicale è morto, viva il partito radicale , "Referendum, quali, come, perché", a cura di Grazia Passeri e Silvio Pergameno, Roma 1981.
(299) Il XXIV congresso (Roma, novembre 1980) aveva approvato una mozione di attuazione dello Statuto nella quale di stabiliva il numero minimo degli iscritti per costituzione di un partito regionale in funzione della popolazione residente nella regione e fissare il 1· ottobre 1981 come termine per adeguarvisi ("Notizie radicali", n. 37, 1 dicembre 1980).
(300) Nel 1982 Pannella decise di aumentare nettamente la quota di iscrizione portandola a minimo "200 lire al giorno".
(301) Cfr. Mozione politica approvata dal 25· congresso.
(302) Cronaca del XXVII congresso in Notizie radicali, n 32, 20 agosto 1982.
(303) I radicali raccolsero le firme anche per altri referendum: tre sul nucleare con D.P., Il Manifesto, la FGCI e i verdi; due sulla caccia con i verdi.
(304) Cfr. N. BERTOLONI MELI, »Nasce il partito di continuisti , "Il Messaggero", 31 ottobre 1986.
(305) Aglietta, De Stefano, Spadaccia, Stango, Vesce, Valcarenghi, D'Elia, Dell'Alba.