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Pannella Marco - 10 gennaio 1993
Guerra in Bosnia e sfascio italiano
di Marco Pannella

SOMMARIO. La dura critica della politica estera italiana corresponsabile del fallimento del progetto di unione politica europea: »le illusioni economistiche e antipolitiche dell'Atto unico del Lussemburgo, ma ancora più dei Trattati di Maastricht, nell'ottimismo degli italo-scemi, hanno cancellato l'Europa, in quanto tale, dalla scena politica internazionale . Nell'annunciare per il prossimo articolo la definizione di alcuni scenari possibili di impegno italiano ed europeo a cominciare dal fronte ex jugoslavo, Pannella fornisce alcune informazioni su una iniziativa in corso di realizzazione per il gemellaggio fra comuni italiani e della Bosnia con il fine dichiarato di »concorrere a preparare la grande operazione di ritorno ai loro paesi e alle loro case dei profughi, a salvaguardare o ricostruire la documentazione essenziale su quelle comunità, a raccogliere informazioni sui crimini e sui criminali .

(PANORAMA, 10 gennaio 1993)

Ex Jugoslavia ed ex Impero sovietico, Medio Oriente e Terzo Mondo, ovunque la non-Europa diventa alibi e concausa della non-Italia. Mai la nostra politica estera è stata a tal punto nulla, degradante e degradata. La stessa nostra diplomazia, come struttura e come servizio, è vittima del tumore partitocratico. Il grande patrimonio nazionale e culturale che rappresenta è dilapidato. I migliori sono condannati a un fai-da-te che ne salva la dignità, non la funzione. E non sono più molti.

Dietro di sé, Gianni De Michelis non ha lasciato un sol filo d'erba, in un frenetico bailamme di presunzione, di provincialismo pseudocosmopolita, di irresponsabilità, di estraneità alle nostre migliori tradizioni, che pure erano le sole che il regime aveva in parte rispettato e perfino arricchito.

Duole dirlo a chi ne ha sostenuto liberamente l'opera: il governo Amato non fa che protrarre il disastro. Nessun partito nazionale, o corrente di partito, o area culturale, mostra in proposito consapevolezza e allarme, natura e modernità internazionalista, coerenza di convinzione federalista europea, interessi, idee, ideali e strategie vive. La fine di un regime lo ripiega su se stesso. Non solamente l'immagine, ma la stessa identità europea e italiana sono cassate dalla tragedia delle fazioni e delle etnie ideologiche, uniche patrie di se stesse.

S'occupano d'altro: di Tangentopoli, di Bicamerale, di perpetuarsi. Ancora una volta, istituzioni e società civile sono lì, facce della stessa medaglia.

Della non-Europa siamo divenuti i coautori. Gli Stati Uniti d'Europa sono rinviati alle calende del Duemila, e oltre. Le illusioni economistiche e antipolitiche dell'Atto unico del Lussemburgo, ma ancora più dei Trattati di Maastricht, nell'ottimismo degli italo-scemi, hanno cancellato l'Europa, in quanto tale, dalla scena politica internazionale. La sua immagine, da fascinosa e amata, è divenuta invisa o repellente a troppi, popoli o politici, interni o esterni alle sue frontiere.

Siamo giunti a rivivere l'ignominia che rese trionfante e micidiale la pur altrimenti resistibilissima ascesa del nazismo, e la cinica e suicida complicità con i suoi orrori. I demoni del secolo tornano, non più come fantasmi, ma come protagonisti. La storia si ripete. Come allora (non dispiaccia troppo a il manifesto, a Tg3, a Rifondazione, cubana, ai paleopacifisti) è la nequizia statunitense, l'Amerika, ad accorrere in Medio Oriente, in Somalia, nell'ex Jugoslavia, dopo aver inutilmente stimolato Bruxelles e Roma.

Roma ha per la sua linea quella di non averne. Occorre muoversi - balbetta - in sintonia con la politica comunitaria. Che non c'è.

Certo, dovrebbe invece esserci... Ma sul piano istituzionale è sempre più negata nei fatti e nei trattati, o nelle loro interpretazioni efficaci. Sul piano politico essa consiste nell'imporci di non disturbare i manovratori del Quai d'Orsay, dei Foreign Office o di quelli... comunitari! Così rinunciamo a quel che già più non abbiamo, e vestiamo con penne di tacchino (del pavone, non s'osa) la mosca cocchiera che siamo divenuti. Fatalmente la presenza italiana nella Commissione e nel Parlamento europeo, oltre che nel Consiglio, ha ora rango lussemburghese o, se ci va bene, belga.

In queste condizioni l'Italia deve darsi urgentemente una rinnovata politica estera, senza la quale siamo privi di qualsiasi forza contrattuale, interna o esterna.

Cercherò di dedicare il prossimo articolo a qualche scenario di impegno italiano (ed europeo), a cominciare dal fronte ex jugoslavo. Ma sin d'ora, come promesso, vorrei informare i lettori di Panorama, su una esemplare iniziativa in corso di realizzazione.

Come si svolga questa infame guerra ciascuno ormai sa. Unica strategia e alternativa al dovere di un rischioso, e tragico, massiccio intervento militare per far cessare il massacro e far tornare tutti gli aggressori a casa; e per processare i criminali politici e militari che hanno da due anni imposto una nuova guerra nazicomunista al mondo; unica alternativa - dunque - è in un complesso di misure, non in una sola, e in una provata determinazione ad agire in massa. Ne parleremo.

Prima di Natale, il Partito radicale ha proposto al sindaco di Sarajevo e al sindaco di Roma il gemellaggio delle due città. Ma non il "solito" gemellaggio. Si accinge, ora, a chiedere all'Associazione nazionale Comuni d'Italia, e a organizzazioni analoghe di altri Paesi, il gemellaggio con tutti i Comuni della Bosnia-Erzegovina occupata (oltre il 65 per cento dell'intero territorio), e non solamente di quella minacciata e assediata. Scopi dichiarati: concorrere a preparare la grande operazione di ritorno ai loro paesi e alle loro case dei profughi, a salvaguardare o ricostruire la documentazione essenziale su quelle comunità, a raccogliere informazioni sui crimini e sui criminali (da processare secondo il diritto e le Convenzioni internazionali: ma di questo nel prossimo articolo).

I comuni italiani sono 8 mila; i consiglieri comunali quasi duecentomila. Una mobilitazione, anche su questo obiettivo, di chi finora raramente ha saputo come dare almeno una mano, può essere un modo per far rivivere, e vincere, la resistenza al nazismo, e prepararne la disfatta salvando il massimo di vittime, di umanità.

E' questo un esempio; null'altro. Ma alla portata di moltissimi. Governo, Parlamento, partiti possono, se vogliono, far miracoli. Sapremo farglieli fare? Sarebbe uno splendido 1993; che comunque - malgrado tutto - dobbiamo augurarci.

Auguri. Si faccia quel che si deve, accada quel che può.

 
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