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Meletti Giorgio - 3 febbraio 1993
DECISIVO IL MARCO
POLITICA & CRISI/LA LINEA ECONOMICA DEL LEADER PIU' GETTONATO DAI PARTITI ALLA DERIVA

Gli hanno offerto anche la segreteria socialista. Ora a Pannella manca solo la candidatura alla Banca d'Italia. E Perché no? Dietro la maschera dello showman c'è un fedele allievo di Sella, Minghetti, Ernesto Rossi...

di Giorgio Meletti

SOMMARIO: Dopo la candidatura alla segreteria socialista, l'autore afferma che non ci sarebbe da sorprendersi se fosse proprio Marco Pannella quel superministro dell'Economia che l'Italia vagheggia da tempo. Percorrendo il pensiero economico di Pannella si scopre che si ripropone da sempre come la reincarnazione dei grandi leader della Destra storica, liberale , ostili agli eccessi speculativi e immorali del capitalismo privato. Dalla battaglia antiproibizionista sulla droga, a quella antinucleare, a quella per la riconversione della industria bellica e contro lo sterminio per fame, ha anticipato le soluzioni ai problemi più gravi del nostro tempo. Il suo forte richiamo alle regole del gioco, oggi potrebbe servire come chiave di lettura della storia delle rapide fortune imprenditoriali realizzate all'ombra della corruzione e che adesso rischiano di costare la bancarotta delle imprese e di produrre altra disoccupazione.

(CORRIERE DELLA SERA, Pagina economica, 3 febbraio 1993)

Arrivati a questo punto non ci sarebbe da sorprendersi se fosse proprio Marco Pannella quel superministro dell'Economia che l'Italia vagheggia da tempo. Non è un paradosso. Sbeffeggiato per decenni come immondo giullare della politica, il leader radicale si sta prendendo molte rivincite: sceglie i presidenti della Repubblica, dà e toglie ossigeno ai governi, viene invocato ovunque e comunque come salvatore di qualcosa. E adesso la sua candidatura alla segreteria socialista, surreale ma non sorprendente, viene lanciata nientemeno che da un prestigioso storico dell'economia come Luciano Cafagna.

Un riconoscimento dal sapore accademico, una specie di laurea honoris causa per il sessantaduenne politico abruzzese, che una laurea vera e propria l'ha presa, ma in giurisprudenza e con il minimo dei voti, l'umiliante 66. Ora invece comincia la riscoperta del pensiero economico pannelliano che, giusto o sbagliato che sia, ha se non altro il dono dell'eternità. Non è poco in un'arena politica dominata da ondivaghi fisiologici e patologici. Pannella si propone da sempre, fedelmente, come la reincarnazione dei grandi leader della Destra storica, quei costruttori ottocenteschi della nuova Italia unita che - forse per il semplice fatto che non rubavano - stanno tornando di moda: i fratelli Bertrando e Silvio Spaventa, Quintino Sella, Marco Minghetti, tutti singolari figure di liberali dirigisti, ostili agli eccessi speculativi e immorali del capitalismo privato. Da loro la filiazione pannelliana prosegue attraverso Piero Gobetti e i Rosselli, fino a Gaetano Salvemini e Ernesto Rossi. Insomma, se volete una

proposta di politica economica di Pannella, ricostruitela in una fornita biblioteca: è la via più breve, e rispetto a quello che è scritto non avrete sorprese.

Anche Perché nelle biblioteche c'è ormai anche il Pannella-pensiero autentico e originale, archiviato con frettolosa sufficienza negli anni passati e poi continuamente ripescato. Qualche esempio? Prendete la campagna antiproibizionista per l'eroina, che Pannella annovera nella politica economica, visto che il traffico della droga condiziona la vita produttiva di intere parti del Paese: quando fu lanciata nel 1975, con il famoso spinello in pubblico - e conseguente arresto - il "Corriere della Sera" dovette fare un articolo in prima pagina per spiegare che cos'era l'eroina, avvertendo che ormai i tossicodipendenti in Italia erano quasi cinquemila. "Diventerà la più florida industria italiana", avvertiva Pannella in manette. E fu archiviato come irresponsabile esibizionismo.

Due anni dopo Pannella era in Parlamento a combattere la politica energetica nucleare sostenuta dalla maggioranza di solidarietà nazionale. Alla mozione nuclearista del 5 ottobre 1977, autorevolmente presentata da Pietro Longo (poi finito in galera per una storia di commesse Enel) e Aristide Gunnella, e sostenuta dall'ampia lobby trasversale (comunisti compresi) che oggi si scopre abbondantemente lubrificata dalle tangenti, Pannella rispondeva con quella che sarebbe diventata - ma solo dieci anni dopo, in seguito a Chernobyl - la politica del governo: moratoria nucleare di cinque anni, e piano energetico basato su tecnologie convenzionali e alternative. A dargli ragione subito si sarebbero risparmiati un sacco di miliardi, e qualche anno prezioso.

Per continuare con il "lui l'aveva detto", avrebbero potuto ascoltarlo anche quando, negli stessi anni, predicava l'immediata riconversione dell'industria militare, oggi sotto la tenda a ossigeno e fonte di sempre nuovi debiti per lo Stato anche Perché le armi italiane sembra non volerle più nessuno. E se gli avessero affidato la gestione degli aiuti per i Paesi poveri, come chiese con insistenza nel 1984, oggi forse non saremmo qui a fare i conti di quante migliaia di miliardi sono state sperperate o rubate con la scusa della fame nel mondo.

IL COEFFICIENTE DI INIQUITA'

Anche i recenti interventi in sostegno della politica economica di Amato, a ben guardare, vengono da lontano. Almeno dal 1982, quando già rivendicava le sue battaglie parlamentari contro le "scelte folli" della spesa pubblica, preannunciava la "bancarotta fraudolenta" del pentapartito, e chiedeva "una specie di tribunale Russell sui guasti della partitocrazia e del sindacato partitocratico, sulla corruzione e sull'occupazione partitica del potere". Per cui oggi "l'iniquità rivoltante" della manovra di Amato è il risultato inevitabile del dissesto della pubblica amministrazione, "prodotto dalla parte più consociativa della politica italiana, che ha unito, come alla direzione dell'Inps, boiardi partitici, boiardi dell'economia detta privata e di quella detta pubblica, o boiardi sindacali, i poteri reali unitisi in una concezione provvidenzialistica e solidaristica dell'economia".

"Un cittadino adulto deve capire per prima cosa che lo Stato italiano oggi è attrezzato solo per raschiare il fondo del barile dei poveri", spiega Pannella, tanto che "servono almeno altre tre manovre severe per ridurre quello che io chiamo il coefficiente di iniquità". E subito rilancia con una proposta: "Se invece di andare in piazza a sputacchiarsi fra di loro, milioni di italiani firmassero subito la mia proposta di legge di iniziativa popolare che impone la messa a riposo di chiunque abbia ricoperto per oltre dieci anni cariche di governo, qualcosa si muoverebbe".

Per esempio si potrebbe restituire al Parlamento la sua antica funzione che, come gli insegnano i maestri di cui sopra, con l'intervento straordinario di Montesquieu e Tocqueville, "serve prima di tutto a controllare la spesa, tenere i conti e spazzare via la corruzione". Oppure si potrebbe davvero fare la riforma del costo del lavoro, che è da molti anni al centro del programma economico di Pannella, almeno dal 1985 quando si battè contro il referendum comunista sulla scala mobile, accusandolo di aver fatto perdere almeno un anno di tempo dietro a un falso problema. E infine verrebbe forse anche il momento di affrontare la questione della cassa integrazione, "un problema tragico, una truffa legalizzata, pagata con i soldi di tutti, anche dai disoccupati, per far sopravvivere i profitti di aziende decotte".

Per un allievo di Ernesto Rossi la polemica contro i padroni del vapore è naturalmente obbligatoria. E se in politica il suo senso dello Stato si contrappone alla ragion di Stato, in economia il senso dello Stato di Pannella reincarna la polemica ottocentesca di Minghetti, Spaventa e Sella contro le società per azioni, lo scudo con il quale gli imprenditori privati si esentano dalle proprie responsabilità sociali. E quel generico ma forte richiamo alle regole del gioco, che da sempre è il marchio della politica pannelliana, oggi potrebbe servire come chiave di lettura della storia di rapide e incoerenti fortune imprenditoriali, realizzate all'ombra del sistema delle tangenti e che adesso rischiano di costare la bancarotta delle imprese e un'ondata di disoccupazione di ritorno.

L'ECONOMIA DEI GEOLOGI

Un corpus ideologico troppo generico per impostare una concreta politica economica? Forse, e infatti è sempre stato il cavallo di battaglia degli avversari di Pannella. "Scusi, ma lei che protesta tanto, che cosa farebbe per l'Italia se comandasse?", gli hanno sempre chiesto con scettico sorrisino. Una volta, molti anni fa, rispose a bruciapelo: "Assumerei subito migliaia di geologi". Poi vennero l'Irpinia, la Valtellina, la frana di Ancona, e alluvioni varie. Sommando il tutto, fa quasi un debito pubblico.

 
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