M.Be.SOMMARIO: Il primo segretario e il tesoriere disegnano un quadro drammatico della situazione economica del partito. "La questione è quella dell'essere o non essere del PR, del suo avere o non avere la forza per rispondere ai suoi compiti". "Quello che sembrava impossibile sembra diventato inevitabile: senza nuovi militanti ci avvieremo verso la fine"
(IL MESSAGGERO, 5 febbraio 1993)
"Quel che accade nella ex-Jugoslavia può ben essere inteso come un ideale parametro di riferimento per misurare quello che è stato, quello che è e quello che potrebbe essere il partito radicale transnazionale del diritto e della non violenza". E' l'esordio del primo segretario del partito, Sergio Stanzani, che dopo il saluto del sindaco (dimissionario) di Roma, Franco Carraro, ha aperto i lavori della seconda sessione del 36· congresso radicale all'hotel Ergife di Roma.
Anche Stanzani ha battuto i tasti delle tristi note che fanno da motivo conduttore di questo congresso. "La questione - dice - ancora una volta e sempre più e quella dell'essere o del non essere del partito radicale, del suo avere o non avere quel minimo almeno di forza che gli consenta di rispondere ai compiti che si vuole e si deve dare". E per avere questa forza sono necessari tanti soldi, subito. Trentamila iscrizioni. "Lunedì prossimo (ultimo giorno del congresso, ndr) noi dovremo prendere le nostre decisioni. Non baratteremo - continua il segretario radicale - per una ennesima speranza destinata a divenire illusione la regola che ci siamo dati: di vivere testardamente in onorevole mendicità, tentando sempre di fare della povertà ricchezza".
Stanzani lancia un appello. Lo lancia a tutti i presenti, "congressisti non iscritti, giornalisti, politici, tecnici, a chiunque in questo momento ci ascolti da Radio radicale perché si iscriva, perché diventi impossibile quel che sembra essere divenuto inevitabile: la vine di questo partito radicale".
"Anche nella concezione liberale - continua il segretario del PR - il partito viene considerato spesso come il luogo nel quale occorre rinunciare ad una parte almeno delle libertà personali e politiche. Il partito radicale, al contrario, costituisce un'associazione alla quale si aderisce per potenziare la propria libertà nell'interdipendenza". E' in questo senso, secondo Stanzani, che va interpretato il fatto che fra i radicali non esista "disciplina di partito".
Fra i temi che il partito radicale propone, Stanzani vuole soffermarsi sulla questione ambientale. "Una politica per l'ambiente - sostiene - deve avere oggi come primo obiettivo quello di ristabilire l'efficacia del diritto, individuando le condizioni della sua effettiva applicazione". E ricorda come ormai siano stati individuati gli embrioni di un diritto internazionale dell'ambiente. "Se è così - si chiede - non è essenziale e prioritario per tutte le forze ambientaliste darsi una capacità di lotta transnazionale per il diritto come quella che il partito radicale propone di organizzare?".
Poi lancia una sorta di manifesto transnazionale: "Vivere insieme, amici e compagni, al di là delle frontiere, al di là degli orizzonti chiusi dei nazionalismi totalizzanti, dei razzismi, dei fascismi di destra e di sinistra, delle intolleranze e delle paure, significa già oggi poter comprendere quel che unisce nel profondo e nel destino, quel che potrà essere il segno di un'epoca, di una civiltà, prima che siano gli storici e gli archeologi a raccontarlo, senza rinunciare a governare con la ragione umana la logica delle cose, con l'opera quotidiana il male di ciascuno, il male del mondo. Per sempre poter ricominciare, poter continuare".
Paolo Vigevano, il tesoriere del partito ("uno dei pochi non cercato dai giudici", così lo presenta Pannella), entra nel cuore del problema. "Il sistema italiano - dice - sta vivendo in questi mesi proprio sul problema dei finanziamenti, soprattutto grazie alla insospettata serietà di alcuni magistrati e grazie alla prossima celebrazione del referendum abrogativo della legge sul finanziamento pubblico dei partiti, la più grave crisi che abbia mai attraversato. Può essere la crisi finale che prelude alla riforma, ma potrebbe essere anche altro. Noi radicali sappiamo quanto con la nostra storia, con i nostri comportamenti individuali, con le nostre scelte collettive, con le nostre lotte abbiamo rappresentato in Italia, anche su questi temi".
E giù con una serie di numeri e di cifre, di conti e di bilanci, di somme e di sottrazioni, di moltiplicazioni e divisioni che portano a un drammatico risultato: "La situazione in cui ci troviamo oggi, sotto il profilo economico-finanziario, è più grave di quella in cui ci venimmo a trovare alla fine del 1989, quando avviammo con la sospensione di ogni attività il tentativo di risanare il bilancio". In soldoni, servono subito 5 miliardi, corrispondenti a trentamila iscrizioni. "E' possibile - si chiede Vigevano - che questo si realizzi in questo congresso? O dobbiamo chiudere?".
Per Vigevano, il fatto che il partito transnazionale sia l'unico strumento che possa dare concreta possibilità ai democratici "di tornare a sperare", trova continue conferme. "Quella più evidente - chiarisce - è nell'elenco delle sconfitte che quotidianamente subiscono quanti continuano ad operare attraverso le loro ormai inutilizzabili organizzazioni solo nazionali. E si chiamano ex-Jugoslavia, si chiamano antiproibizionismo soprattutto nei paesi dell'Est, si chiamano pena di morte soprattutto negli Stati Uniti, si chiamano nazionalismo ormai ovunque, si chiamano soprattutto la quotidiana abdicazione del diritto alla forza, al potere di mafie di ogni tipo". "E' per queste ragioni - conclude - che sottoponiamo come è nostro dovere al congresso, che dovrebbe essere di fondazione del partito, in termini tanto crudi e drammatici il problema della sua esistenza. E' il solito ricatto dei radicali? Certamente no. Lo può vivere come ricatto solo chi di ricatti è costretto a subirne quotidianamente".